Altre disavventure di un orientista impreciso
Ce l’ho fatta. Sono arrivato al 24 ottobre e sono ancora in
piedi! I’m still standing, come cantava Elton John. Una data che avevo segnato
in rosso sul calendario, seppur non coincidente a tutti gli effetti con alcuna
gara del calendario orientistico. Il 24 ottobre, infatti, ho virtualmente
chiuso la mia stagione orientistica 2015. Si, ok, potrebbero esserci altre
uscite… aspetto con il consueto timore reverenziale la “50 lanterne”, o la
bi-sprint di Angera nella speranza che sia un po più ricca di scelte di
percorso rispetto alla passata bi-sprint di Ghemme. Ma il grosso delle fatiche si trova ormai alle spalle, con un rush
finale che si è dimostrato più temibile dell’arrivo in salita sul Muro di Huy
al 16% di pendenza: dopo i Campionati Italiani Long e Relay già descritti e la
Tuscania Five Days (cui dedicherò un capitolo a parte), c’è stata l’Arge Alp e
infine le finali di Suunto Sprint Race e Coppa Italia: gli ultimi quattro
appuntamenti sia come apripista che come speaker.
Il titolo lo prendo direttamente dall’ultimo commento che ho
sentito domenica scorsa, lasciando il campo di gara innevato di Campomulo. Di
fronte alla mia performance sulla media
distanza, percorso MElite in un’ora
cinquantanoveminuti e tot secondi, un forte orientista con alle spalle
alcune gare di campionato del mondo mi ha palesemente liquidato con un “eh… non sei certo un orientista molto
preciso…”.
Ora: poiché di campionati mondiali ce ne sono ogni anno, di
vario genere (maschile e femminile),
numero (junior, assoluti e master) e
grado (C.O., MTB-O, Sci-O, Trail-O)
la citazione è sufficientemente vaga per non lasciare alcun indizio alle torme
di miei fans e di mie fans che potrebbero leggere nella frase di cui sopra un reato di lesa Maestà e partire,
fiaccole e forconi in mano, alla ricerca del fellòne o della fellòna per
applicare la giusta punizione. In effetti, parlando solo della gara di Campomulo,
i miei 119 minuti di gara + bava alla bocca + arrivo in totale apnea + visioni
e miraggi vari sono materiale sufficiente per accettare il parere illuminato di
cui sopra, metterselo in saccoccia e via così che magari ci vediamo l’anno
prossimo su questi stessi scherni
(no, non è un errore di stampa… non volevo dire schermi ma proprio schermi…
ah! ah! ah! sono il re dei giochi di parole e li devo pure spiegare).
Ma poiché la giuria dei film U.S.A, anche quando si tratta
di giudicare un colpevole di sgozzamenti multipli con vituperio di cadaveri,
lascia sempre l’ultima parola al condannato… sia mai che quello tiri fuori un
pistolotto che Al Pacino gli fa unapippa e così lo lasciamo andare bello contento in nome della bella
letteratura, voglio avere anche io la possibilità di spiegare come ho trascorso
le mie ultime 5 ore e 32 minuti (trecentotrentadue
minuti) nei boschi della penisola, laddove a conti fatti la somma dei tempi
dei vincitori delle ultime quattro gare è stata di 2 ore e 34 minuti (centocinquantaquattro minuti)!
Piccola precisazione: una lettrice, tra i due tesserati Fiso
che leggono il mio blog, (e poi Dario P. dice che non è vero che il suo è il
blog più letto d’Italia: ma guarda che bastano tre lettori per essere in cima
alla hit parade! E poi si contano solo quelli che arrivano alla fine dei pezzi) mi fa presente che le ultime puntate
dei miei racconti sembrano entrare di diritto nel filone orientistico noto come
“ti racconto il mio percorso dal
triangolo rosso all’arrivo, curva di livello per curva di livello e limite di
vegetazione per limite di vegetazione… e tu seguimi sulla mappa e non perdere
il filo! Anzi: se hai due schermi, su uno leggi il racconto, sull’altro segui
la mappa e almeno impara qualcosa ‘azzarola!!!”.
Purtroppo, da me c’è poco da imparare. Le curve di livello
sono una roba che boh?!? Non capisco nemmeno se devo andare in salita o in
discesa finché non mi ci trovo. Le linee color magenta sto ancora lì a cercarle sul terreno ma non le vedo mai (eppure
quel tal mio amico Sgiorsgiù le trova sempre…), ed i miei split times sono
competitivi solo rispetto alla deriva
dei continenti o alla precessione degli equinozi. Quindi questa volta
limiterò al massimo la descrizione delle mie evoluzioni pindariche sulla
cartina, laddove la linea più breve tra
un punto e l’altro è per me sempre l’arabesco (cit.).
Capitolo 1: i primi 71 minuti poco precisi.
La staffetta Arge Alp è stata un antipasto di (quasi) tutto
riposo rispetto all’individuale della domenica. Non sono un amante della carta
“Aprica bordo sud” nella quale abbiamo corso due anni fa i campionati italiani
a staffetta. Faccio sempre una fatica da bestia sudicia a venire fuori dalla
zona di partenza, su quel prato tipo pascolo che nasconde solo insidie per le
caviglie, e sul quale sento nei polmoni tutto il peso dell’altitudine cui non
sono abituato. Però, almeno stavolta, quando finalmente esco dal pascolo ed
entro nel bosco mi sembra di aver finito
di soffrire. Attraverso, corricchiando e cercando di non dare troppo
nell’occhio, la zona dove pascolano le mucche; poi scopro che invece qualcuno mi ha già sgamàto e mi
rincorre con voce irata e con la spingarda imbracciata e caricata a grani
grossi di sale; l’intervento, quasi postumo – e parlo di me! - del vice sindaco
di Aprica garantirà a tutti i concorrenti una gara tranquilla, come orientisti
e non come bersagli del tiro a segno.
Il mio appuntamento con la gloria orientistica è alla lanterna numero 4,
carbonaia che il controllore Mark Widow’s
assicura essere tecnico e di difficile reperibilità. Io vengo su dall’angolo
del prato, in bussola, trovo pure una traccetta nel bosco in salita e … ohibò!
Ecco il punto 4! Si vede che ogni tanto il Signore dei Ciuchi (in milanese
sarebbe il Signùr di Ciùcc, ma vuole dire un’altra cosa) guarda giù e mi aiuta,
perché pensa che sennò questo va a
finire in Valcamonica e col cavolo che poi abbiamo uno speaker per la gara
del pomeriggio!
(la carta di gara HElite, ricavata in pennarello rosso da
una W55 inutilizzabile)
Il tracciato di Tommy Civera non ci scaraventa troppe volte
su e giù per il pendio; il mio contributo come apripista lo do (se mai qualcuno me lo avesse chiesto)
segnalando un paio di recinti che, in discesa, persino l’impiegato panzottello
vede apparire all’ultimo momento prima di un possibile impattaaAARGGGGHHH! (verranno messi
nastri segnalatori, ed un paio di recinti verranno aperti del tutto). Così,
dopo aver affrontato anche la seconda parte del giro sui pratoni e tra le
paludi, vengo a capo della faccenda nel giro di 1 ora, 11 minuti e qualche
secondo. Dopo i saluti di rito con il gruppo emiliano-lombardo che sta
preparando l’arrivo, mi posso concedere una bella doccia, una seconda colazione
ed un po’ di riposo, con il pensiero che per la prima volta nella mia carriera da apripisspeaker (neologismo
che troverete in una delle prossime edizioni dello Zanichelli, ma solo se ‘sta
cosa prende piede) posso dire di aver finito la gara prima ancora che i
concorrenti arrivino in zona gara. Ovviamente questo darà origine
all’illazione, dovuta alla mia pulizia ed alla mia apparente freschezza in zona
ritrovo, che “questa volta Stegal il giro
non l’ha fatto!”. E invece si!
Capitolo 2: i secondi 115 minuti. Appena più
precisi, ma col vomito!
Se nel sabato della staffetta Arge Alp posso fare tutto con
calma, non così la domenica. Intanto occorre salire in quota con la cabinovia, e all’alba la temperatura è
decisamente gelida: sul terreno che porta alla partenza, e poi spesso lungo il
bosco, si incontrano ampie zone di brina ghiacciata ed i piedini prima di fare sciaff! sciaff! nelle zone paludose
fanno cric! crac!... e non sono le articolazioni ma la crosta
di ghiaccio che si rompe. Partirei con la termica, se non fosse che FA
VERAMENTE FREDDO! Di conseguenza sostituisco la termica con un pesante pile.
Questa soluzione ha il pregio di farmi stare più caldo, ma ha il difetto che la
traspirazione del tessuto è azzerata e questo provocherà a momenti alternati il
congelamento e l’andare arrosto.
Alla partenza, e sono le 7.20 del mattino, Lucia Curzio si traveste da comica di Zelig e mi
dice una roba del tipo “puoi partire da
lì dove sei, anche se la partenza in effetti è qui tra questi due massi”
(distanza tra “lì dove sono” ed i due
massi = tre metri). Arrivo al primo punto mentre Giamba Ravasio lo sta posando.
Arrivo al terzo punto mentre Giamba Ravasio lo sta posando. Lascio il sesto
punto mentre Giamba Ravasio lo sta posando (giusto per fare copia &
incolla). Ho un lieve problema di orientamento solo sul secondo punto, cui
passo sotto di un paio di curve: mi ricolloco sulla mappa, identifico il punto,
vado verso il masso in salita e qui avviene un dialogo surreale come può verificarsi solo alle 7.30 di un
mattino di tranquilla posatura punti.
Scena: sbuco dietro al sasso e trovo Tommy Civera accucciato
per terra e aggrappato al paletto.
“Tommy! Ma stai cagando
proprio sul punto di controllo???”
“Stegal! Ma ti pare
che cago sul punto di controllo??? Mi sono accucciato per non farmi vedere da
te!”
(chiedo perdono per il linguaggio grezzo e maschio che
usiamo noi che andiamo per boschi all’alba, ma sic stantibus rebus…)
Il resto del percorso non mi impegna nemmeno tanto dal punto
di vista tecnico (vado piano, le lanterne si trovano come i cercatori di funghi
trovano i porcini), e le lanterne nella bella parte di bosco a-bordo-carta-ma-non-troppo le infilo
una dietro l’altra in compagnia dei posatori Mark Widow’s e MauTode. Dopo la 16,
la mia scelta di percorso prevede di passare dritto il mezzo al ritrovo! Di
stare in costa e andare a precipizio sul punto non ne ho alcuna voglia… meglio
scendere pian piano, tagliare in mezzo alle tende (sono campione olimpionico di scelte che nemmeno il tracciatore vede) ed
arrivare a 5 metri di distanza dal punto successivo stando sul sentiero! La mia
scelta verrà descritta sulle prime come poco precisa, velleitaria ed
inutilmente spettacolare … fino al momento in cui succede che dalla stessa
strada passano: Christine Kirchlechner, Simone Grassi, Ingemar Neuhauser, Simon
Seger, Donatus Schnyder, Mikhail Mamleev! E questo credo basti e avanti per
alimentare il mio spropositato EGO! (no, Valerio Casanova, non ti ho
dimenticato… come vedi sei citato pure tu! Ma quando mai mi leggerai?).
Sul percorso nulla da dire, se la gara finisse al punto 18.
Invece Paolo Mario “PossanoMenarti” Grassi decide che non è finita lì, e di
mandarci giù nella rumenta più nera (punto 20) per poi farci risalire gratis
qualche buona curva di livello. Nel titolo del paragrafo accennavo a qualcosa
che inizia per vo- e finisce nel –mito, che è esattamente quello che mi provoca
lo sforzo di venire su fino al traguardo,
dove arrivo poco pulito e solitario in un tempo che è solo 50 minuti superiore
al quello di Stefano Maddalena (il che, più o meno, rende la mia gara una delle
migliori dell’anno). Poi succede anche che il buon Madda dica che lui è andato
piano perché le H45 bisogna vincerle in 45-50 minuti… a me viene solo da
rispondere che se a Usain Bolt fai correre i 120 metri anziché i 100 metri (ma
la gara la chiami ugualmente “100 metri”),
non è che Bolt ti dice che ha fatto una schifezza perché ci ha messo più di
9.70! Però il Madda è il Madda, e non sarò certo io a convincerlo…
Capitolo 3: i terzi
27 minuti. Pochi, ma solo grazie a MikiRonda…
A distanza di una sola settimana dal freddo e dalle fatiche
(e dalle emozioni) dell’Arge Alp, arriva l’ultimo fine settimana di doppio (…
sarebbe quadruplo…) impegno. Per fortuna la prima tranche del weekend è
dedicata alla finale della Suunto Sprint Race Tour e, se il Good Lord vuole, a
Schio posso finire la gara in un tempo che non è quello con il quale i keniani bravi fanno i primi 40 km
della Maratona. Grazie all’intuizione dell’ultimo minuto di Marco Giovannini,
non sono nemmeno costretto a fare il viaggio da solo! Arrivando a Schio, ci
accorgiamo subito che una gara tra le bancarelle ed i mercati del centro
renderebbe la cosa molto ma molto (e drammaticamente) simile ad una
Venice-by-day o ad una Rome-by-Mayday…
Alla fine i percorsi disegnati per l’organizzazione
dei miei amici del Viorteam andranno solo a lambire il centro ma, con i
passaggi nei parchetti ed un po’ di dislivello che a Schio non è mai buttato lì per caso, verrà fuori una gara che non esito a
definire davvero graziosa. I miei 27 minuti di gara sono il risultato della
collaborazione tra chi scrive (e corre) e Michela Ronda che pedala al mio
fianco e mi incita, così intanto si fanno anche due chiacchiere per passare il
tempo durante le tratte più scorrevoli. Per chi non fosse a conoscenza dei
trascorsi tra Miki e me, posso solo rimandare ai ricordi di quella salita e del coraggio che Miki mostrò quel giorno
(e, da quel giorno in poi, tutti i giorni), che sono incisi con il cacciavite
nel disco rigido della memoria.
Grazie alla complicità di Denis Vecellio e di Andrea Maccà,
riusciamo persino ad organizzare una bella premiazione con lo speaker da una
parte ed il podio dall’altra (non è mai abbastanza chiaro che sul podio ci
devono andare i vincitori, mica io!)…
(questa è Aprica, by Paolo Menescardi = dove deve stare lo speaker durante le premiazioni)
Capitolo 4: gli ultimi 119 minuti. E scusate se poi
sono poco preciso!
… anche perché le notizie che arrivano da Campomulo parlano
di un terreno innevato da una spruzzata di neve e di un freddo che lévati! Sabato
sera, nel briefing pre-gara, il Bravo coach Cristian Bellotto
(course setter of the year 2014 secondo i siti e le riviste più autorevoli)
aveva già deciso per tutti che la mia idea di passare dalla MElite ad una più
tranquilla M40 “non s’aveva da fare”.
Neve o non neve, freddo o non freddo, sul percorso M40 avrei trovato “qualche loop in meno”, “qualche difficoltà in meno”, “un po’ di dislivello in meno”, “un bel po’ di divertimento in meno”.
Insomma: quando tempo addietro avevo esclamato “Coach! Che bello! Vengo a provare l’Elite… dai dai metti un punto sullo
steso sasso che Sgiorsgiù ha cannato l’anno scorso!!” mi ero fatto su il
sacco al letto da solo!
Le ultime parole (poco famose) del coach prima di
accomiatarci sabato sera sono state più o meno del tipo: “Considerato tutto, direi che puoi farcela in un’ora e un quarto”.
Bisogna però tradurre dal Bellottesco allo Stegalliano, nella stessa misura in
cui quando una donna ti chiede “Quanti
anni mi dai?” tu fai un carpiato all’indietro, valuti l’età che diresti e
poi togli subito 10 anni e poi altri 5 o 6 perché ci tieni alla pelle (e se fai
una figura di emme anche così, vuol dire che trattasi di autentica “cozza”): le
parole del coach vanno lette come “Considerata
la panza, il fatto che vai piano e qualche vaccata ce la butti dentro, se stai
sotto l’ora e mezza sei un miracolato, ma non è che te lo posso venire a dire
in faccia”.
Lo Stegalliano viene poi ulteriormente arricchito da una più
attenta lettura del Devoto-Oli-Rocci-Sticavoli: “Se il coach pensa che se sto sotto l’ora e mezza sono un miracolato,
considerato che per terra c’è neve, che parto all’alba, che non sto in piedi, che il ginocchio fa contatto
col gomito… un’ora e quarantacinque e speriamo in bene!”.
Risulterà poi che chi corre sperando, arriva sbavando…
Sui primi tre punti me la cavo anche discretamente, seguendo
le orme dei posatori (il che mi fa visitare il doppio delle lanterne del mio
percorso, ma chissenefrega). Ok: finisco per terra più volte di quanto fece
Primo Carnera contro Max Baer, ma l’importante è rialzarsi sempre! Quando poi
mi sposto nella zona Sgiorsgiù,
quattro punti disposti attorno al sasso più famoso dell’orienteering mondiale,
il mio Angelo Custode si ricorda di avere un appuntamento da qualche altra
parte (spero per lui un posto più caldo e meno impervio) e mi pianta lì come quello della maschèrpa. Il fatto è
che la 3 è il classico punto “Good Lord,
fammi trovare questo che al resto ci penso io”. Il Good Lord esegue e poi
sta a vedere cosa faccio io…
Ed io faccio schifo:
7 (capirai… mi sono confuso… sta lì in mezzo… si era confuso anche Sgiorsgiù!)
– 4… e oh! Per arrivare alla 4 sono dovuto scendere giù sul sentiero! – 6! – 5
(finalmente, dopo varie Madonne e minacce che “se non lo trovo stavolta, torno a casa!” – 6 solo perché ormai
capisco dove sono passato prima e 7 perché ci sono già passato due volte e tra
un po’ mi danno la cittadinanza o il foglio di via. Intanto se ne è andata la bellezza di un’ora e la previsione
originale del coach è di una precisione tale da far passare per rigorosi e
inflessibili quei mattacchioni dell’Indiana secondo cui PiGreco valeva 3,2. Il
mio Angelo Custode si vergogna e decide di mandare
un sostituto che si fa trovare sul sentiero proprio dove, molto tempo
prima, avevo attaccato la 4.
Solo che il sostituto
è Maja Alm.
Flashback.
Nel luglio 2014 eravamo nello stesso posto (Campomulo)
a correre una roba tipo “Staffetta Mondiale”, vero? Una delle frasi rimaste
celebri quei giorni (non paragonabile alla “Michiels will be in first place
at the changeover, because I said so!” ma siamo lì…) è stata detta durante
il duello all’arma bianca in ultima frazione tra Wyder, Alexandersson e Alm.
Mentre Wyder sembrava andare a vincere da sola, mentre Per Forsberg faceva il
tifo perché il cervello tornasse nella scatola cranica di Alexandersson che
stava vagando stile-Stegal, io me ne uscii con una cosa del tipo che la gara
non era ancora finita perché Maja Alm sarebbe “venuta giù dalle moops a tutta velocità” (che sarebbe un’altra
citazione di un altro evento sportivo… ma lasciamo perdere che il discorso è
già contorto così). Così avvenne. Poi la Svizzera vinse lo stesso, ma non prima
che Alm facesse venire il cagotto alle rossocrociate venendo giù abbomba dalle
moops…
Adesso torno a me. Sono sul sentiero e compare Maja Alm. Il
bosco improvvisamente è bellissimo, c’è il silenzio, non sento più freddo, la
visibilità è ampia e… BUM! Dritto
sulla 8. Mi giro, leggo le curve di livello come se le avessi inventate io e… BUM! Dritto sulla 9. BUM! Dritto sulla 10. Con
l’accompagnamento della bionda danese e in un bosco finalmente vivibile, arrivo
alla 13 in bello stile. Solo che commetto il peccato originale, mentre vago tra
le buche fettucciate attorno alla 14, di dire a Maja che “… adesso faccio da solo”.
Sbarco sul sentiero e tiro due accidenti al coach! Va bene
che ho da fare 220 metri di dislivello, ma se proprio mi evitavi di fare il
salto da una parte all’altra della
montagna… affronto la salita, non ne posso più, sono in giro da un’ora e
mezza e improvvisamente… improvvisamente… mi cade l’occhio sulla scelta tutta su sentiero! che avrei potuto
fare andando dall’altra parte. Giuro
che mi stavo mettendo a piangere. Giuro che ho pensato che per punizione avrei
dovuto fermarmi lì, congelare ed essere ritrovato al disgelo a primavera! Mi è
venuto un tale magòne che non sono nemmeno più riuscito a rimanere sulla linea
che mi ero prefissato, ma sono arrivato fino al tornante della strada: il
tornante PIU’ A NORD!
Da quel punto, arrivare alla 15 è stato un velleitario
tentativo di far apparire normale
una gara che di normale non aveva più nulla; nel frattempo erano arrivate anche
le 10, ovvero l’orario massimo entro il quale uno speaker degno di questo nome dovrebbe essere all’arrivo, lavato
e pettinato, a dare il buongiorno ai concorrenti (magari dovrebbe farlo già
alle 9.30…). Anche perché, per sovrappiù, la fatica e la bronchite mi avevano
formato un tale blocco di catarro in gola che non respiravo più, se non con
fatiche ancora maggiori di quelle date dalla corsa. Ecco spiegato il motivo per
il quale, per lo schifo di tutti gli astanti, sono arrivato al traguardo più
bavàto di un San Bernardo… solo che la botticella avrebbero dovuto picchiarmela
sulla testa per via della mia insipienza tecnica!
119 minuti di gara, e anche Maja Alm se ne è andata urlando
“Gid din røv må klø og dine arme være for korte!”.
E tutto questo per
sentirsi dire che non sono un orientista molto preciso!
7 Comments:
La 15 l'avevo anch'io (con un altro numero in successione ovviamente) ed è stato l'unico punto un po' banalotto della gara. Averlo piazzato in qualche curva della trincea in alto avrebbe fatto qualche vittima in più ... e tu non ti saresti disperato per non aver visto una scelta decisamente troppo allettante, soprattutto alla fine della gara. Dopo aver letto la prima parte del tuo post mi piacerebbe promuovere un referendum, e cioè votare la cartina più brutta dell'anno ...
Senti un po' invece: non è che la Web Ellis se la portano in Oceania come la Rimet in Brasile, vero?
Non farti influenzare dal fatto che ho scritto a pennarello il percorso Senior sopra ad una carta della W55 che era inutilizzabile (per evitare di interferire con la gestione della staffetta che è già incasinata di suo...).
Comunque il mio voto andrebbe alla carta della staffetta agli italiani :-)
(non parlo del percorso in se stesso, sono ignorante in materia).
Ma, come sono stato severamente ammonito, "dove c'è carta, c'è gara!"
Web Ellis?
Quella va in Oceania dritta e filata!
Dalla 13 alla 14 io sono andato a sud, cercando quella specie di spartiacque con la zona aperta in mezzo. Da lì slalom tra le fettucce e sasso. Le pendenze in queste zone mosse, ma che non sono scoscese e sempre nella stessa direzione, tendo a non considerarle perché altrimenti il rischio è quello di considerare che tutta la zona è una curva di livello unica talvolta in su e talvolta in giù quando magari sulla mappa è quasi piatto perché non è mai né troppo su né troppo giù.
Mo chi cazz'è 'sta Majala?
Hai frequentato l'Erebus di recente? :-)
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