Stegal67 Blog

Tuesday, October 27, 2015

Altre disavventure di un orientista impreciso

Ce l’ho fatta. Sono arrivato al 24 ottobre e sono ancora in piedi! I’m still standing, come cantava Elton John. Una data che avevo segnato in rosso sul calendario, seppur non coincidente a tutti gli effetti con alcuna gara del calendario orientistico. Il 24 ottobre, infatti, ho virtualmente chiuso la mia stagione orientistica 2015. Si, ok, potrebbero esserci altre uscite… aspetto con il consueto timore reverenziale la “50 lanterne”, o la bi-sprint di Angera nella speranza che sia un po più ricca di scelte di percorso rispetto alla passata bi-sprint di Ghemme. Ma il grosso delle fatiche si trova ormai alle spalle, con un rush finale che si è dimostrato più temibile dell’arrivo in salita sul Muro di Huy al 16% di pendenza: dopo i Campionati Italiani Long e Relay già descritti e la Tuscania Five Days (cui dedicherò un capitolo a parte), c’è stata l’Arge Alp e infine le finali di Suunto Sprint Race e Coppa Italia: gli ultimi quattro appuntamenti sia come apripista che come speaker.

Il titolo lo prendo direttamente dall’ultimo commento che ho sentito domenica scorsa, lasciando il campo di gara innevato di Campomulo. Di fronte alla mia performance sulla media distanza, percorso MElite in un’ora cinquantanoveminuti e tot secondi, un forte orientista con alle spalle alcune gare di campionato del mondo mi ha palesemente liquidato con un “eh… non sei certo un orientista molto preciso…”.

Ora: poiché di campionati mondiali ce ne sono ogni anno, di vario genere (maschile e femminile), numero (junior, assoluti e master) e grado (C.O., MTB-O, Sci-O, Trail-O) la citazione è sufficientemente vaga per non lasciare alcun indizio alle torme di miei fans e di mie fans che potrebbero leggere nella frase di cui sopra un reato di lesa Maestà e partire, fiaccole e forconi in mano, alla ricerca del fellòne o della fellòna per applicare la giusta punizione. In effetti, parlando solo della gara di Campomulo, i miei 119 minuti di gara + bava alla bocca + arrivo in totale apnea + visioni e miraggi vari sono materiale sufficiente per accettare il parere illuminato di cui sopra, metterselo in saccoccia e via così che magari ci vediamo l’anno prossimo su questi stessi scherni (no, non è un errore di stampa… non volevo dire schermi ma proprio schermi… ah! ah! ah! sono il re dei giochi di parole e li devo pure spiegare).

Ma poiché la giuria dei film U.S.A, anche quando si tratta di giudicare un colpevole di sgozzamenti multipli con vituperio di cadaveri, lascia sempre l’ultima parola al condannato… sia mai che quello tiri fuori un pistolotto che Al Pacino gli fa unapippa e così lo lasciamo andare bello contento in nome della bella letteratura, voglio avere anche io la possibilità di spiegare come ho trascorso le mie ultime 5 ore e 32 minuti (trecentotrentadue minuti) nei boschi della penisola, laddove a conti fatti la somma dei tempi dei vincitori delle ultime quattro gare è stata di 2 ore e 34 minuti (centocinquantaquattro minuti)!

Piccola precisazione: una lettrice, tra i due tesserati Fiso che leggono il mio blog, (e poi Dario P. dice che non è vero che il suo è il blog più letto d’Italia: ma guarda che bastano tre lettori per essere in cima alla hit parade! E poi si contano solo quelli che arrivano alla fine dei pezzi) mi fa presente che le ultime puntate dei miei racconti sembrano entrare di diritto nel filone orientistico noto come “ti racconto il mio percorso dal triangolo rosso all’arrivo, curva di livello per curva di livello e limite di vegetazione per limite di vegetazione… e tu seguimi sulla mappa e non perdere il filo! Anzi: se hai due schermi, su uno leggi il racconto, sull’altro segui la mappa e almeno impara qualcosa ‘azzarola!!!”.

Purtroppo, da me c’è poco da imparare. Le curve di livello sono una roba che boh?!? Non capisco nemmeno se devo andare in salita o in discesa finché non mi ci trovo. Le linee color magenta sto ancora lì a cercarle sul terreno ma non le vedo mai (eppure quel tal mio amico Sgiorsgiù le trova sempre…), ed i miei split times sono competitivi solo rispetto alla deriva dei continenti o alla precessione degli equinozi. Quindi questa volta limiterò al massimo la descrizione delle mie evoluzioni pindariche sulla cartina, laddove la linea più breve tra un punto e l’altro è per me sempre l’arabesco (cit.).

Capitolo 1:  i primi 71 minuti poco precisi.

La staffetta Arge Alp è stata un antipasto di (quasi) tutto riposo rispetto all’individuale della domenica. Non sono un amante della carta “Aprica bordo sud” nella quale abbiamo corso due anni fa i campionati italiani a staffetta. Faccio sempre una fatica da bestia sudicia a venire fuori dalla zona di partenza, su quel prato tipo pascolo che nasconde solo insidie per le caviglie, e sul quale sento nei polmoni tutto il peso dell’altitudine cui non sono abituato. Però, almeno stavolta, quando finalmente esco dal pascolo ed entro nel bosco mi sembra di aver finito di soffrire. Attraverso, corricchiando e cercando di non dare troppo nell’occhio, la zona dove pascolano le mucche; poi scopro che invece qualcuno mi ha già sgamàto e mi rincorre con voce irata e con la spingarda imbracciata e caricata a grani grossi di sale; l’intervento, quasi postumo – e parlo di me! - del vice sindaco di Aprica garantirà a tutti i concorrenti una gara tranquilla, come orientisti e non come bersagli del tiro a segno. 

Il mio appuntamento con la gloria orientistica è alla lanterna numero 4, carbonaia che il controllore Mark Widow’s assicura essere tecnico e di difficile reperibilità. Io vengo su dall’angolo del prato, in bussola, trovo pure una traccetta nel bosco in salita e … ohibò! Ecco il punto 4! Si vede che ogni tanto il Signore dei Ciuchi (in milanese sarebbe il Signùr di Ciùcc, ma vuole dire un’altra cosa) guarda giù e mi aiuta, perché pensa che sennò questo va a finire in Valcamonica e col cavolo che poi abbiamo uno speaker per la gara del pomeriggio!


(la carta di gara HElite, ricavata in pennarello rosso da una W55 inutilizzabile)

Il tracciato di Tommy Civera non ci scaraventa troppe volte su e giù per il pendio; il mio contributo come apripista lo do (se mai qualcuno me lo avesse chiesto) segnalando un paio di recinti che, in discesa, persino l’impiegato panzottello vede apparire all’ultimo momento prima di un possibile impattaaAARGGGGHHH! (verranno messi nastri segnalatori, ed un paio di recinti verranno aperti del tutto). Così, dopo aver affrontato anche la seconda parte del giro sui pratoni e tra le paludi, vengo a capo della faccenda nel giro di 1 ora, 11 minuti e qualche secondo. Dopo i saluti di rito con il gruppo emiliano-lombardo che sta preparando l’arrivo, mi posso concedere una bella doccia, una seconda colazione ed un po’ di riposo, con il pensiero che per la prima volta nella mia carriera da apripisspeaker (neologismo che troverete in una delle prossime edizioni dello Zanichelli, ma solo se ‘sta cosa prende piede) posso dire di aver finito la gara prima ancora che i concorrenti arrivino in zona gara. Ovviamente questo darà origine all’illazione, dovuta alla mia pulizia ed alla mia apparente freschezza in zona ritrovo, che “questa volta Stegal il giro non l’ha fatto!”. E invece si!


(Minkia!!! Lo yeti!!!)


Capitolo 2:  i secondi 115 minuti. Appena più precisi, ma col vomito!

Se nel sabato della staffetta Arge Alp posso fare tutto con calma, non così la domenica. Intanto occorre salire in quota  con la cabinovia, e all’alba la temperatura è decisamente gelida: sul terreno che porta alla partenza, e poi spesso lungo il bosco, si incontrano ampie zone di brina ghiacciata ed i piedini prima di fare sciaff! sciaff! nelle zone paludose fanno cric! crac!... e non sono le articolazioni ma la crosta di ghiaccio che si rompe. Partirei con la termica, se non fosse che FA VERAMENTE FREDDO! Di conseguenza sostituisco la termica con un pesante pile. Questa soluzione ha il pregio di farmi stare più caldo, ma ha il difetto che la traspirazione del tessuto è azzerata e questo provocherà a momenti alternati il congelamento e l’andare arrosto.

Alla partenza, e sono le 7.20 del mattino, Lucia Curzio si traveste da comica di Zelig e mi dice una roba del tipo “puoi partire da lì dove sei, anche se la partenza in effetti è qui tra questi due massi” (distanza tra “lì dove sono” ed i due massi = tre metri). Arrivo al primo punto mentre Giamba Ravasio lo sta posando. Arrivo al terzo punto mentre Giamba Ravasio lo sta posando. Lascio il sesto punto mentre Giamba Ravasio lo sta posando (giusto per fare copia & incolla). Ho un lieve problema di orientamento solo sul secondo punto, cui passo sotto di un paio di curve: mi ricolloco sulla mappa, identifico il punto, vado verso il masso in salita e qui avviene un dialogo surreale come può verificarsi solo alle 7.30 di un mattino di tranquilla posatura punti.

Scena: sbuco dietro al sasso e trovo Tommy Civera accucciato per terra e aggrappato al paletto.
Tommy! Ma stai cagando proprio sul punto di controllo???
Stegal! Ma ti pare che cago sul punto di controllo??? Mi sono accucciato per non farmi vedere da te!
(chiedo perdono per il linguaggio grezzo e maschio che usiamo noi che andiamo per boschi all’alba, ma sic stantibus rebus…)

Il resto del percorso non mi impegna nemmeno tanto dal punto di vista tecnico (vado piano, le lanterne si trovano come i cercatori di funghi trovano i porcini), e le lanterne nella bella parte di bosco a-bordo-carta-ma-non-troppo le infilo una dietro l’altra in compagnia dei posatori Mark Widow’s e MauTode. Dopo la 16, la mia scelta di percorso prevede di passare dritto il mezzo al ritrovo! Di stare in costa e andare a precipizio sul punto non ne ho alcuna voglia… meglio scendere pian piano, tagliare in mezzo alle tende (sono campione olimpionico di scelte che nemmeno il tracciatore vede) ed arrivare a 5 metri di distanza dal punto successivo stando sul sentiero! La mia scelta verrà descritta sulle prime come poco precisa, velleitaria ed inutilmente spettacolare … fino al momento in cui succede che dalla stessa strada passano: Christine Kirchlechner, Simone Grassi, Ingemar Neuhauser, Simon Seger, Donatus Schnyder, Mikhail Mamleev! E questo credo basti e avanti per alimentare il mio spropositato EGO! (no, Valerio Casanova, non ti ho dimenticato… come vedi sei citato pure tu! Ma quando mai mi leggerai?).


Sul percorso nulla da dire, se la gara finisse al punto 18. Invece Paolo Mario “PossanoMenarti” Grassi decide che non è finita lì, e di mandarci giù nella rumenta più nera (punto 20) per poi farci risalire gratis qualche buona curva di livello. Nel titolo del paragrafo accennavo a qualcosa che inizia per vo- e finisce nel –mito, che è esattamente quello che mi provoca lo sforzo di venire su fino al traguardo, dove arrivo poco pulito e solitario in un tempo che è solo 50 minuti superiore al quello di Stefano Maddalena (il che, più o meno, rende la mia gara una delle migliori dell’anno). Poi succede anche che il buon Madda dica che lui è andato piano perché le H45 bisogna vincerle in 45-50 minuti… a me viene solo da rispondere che se a Usain Bolt fai correre i 120 metri anziché i 100 metri (ma la gara la chiami ugualmente “100 metri”), non è che Bolt ti dice che ha fatto una schifezza perché ci ha messo più di 9.70! Però il Madda è il Madda, e non sarò certo io a convincerlo…

Capitolo 3: i terzi 27 minuti. Pochi, ma solo grazie a MikiRonda…

A distanza di una sola settimana dal freddo e dalle fatiche (e dalle emozioni) dell’Arge Alp, arriva l’ultimo fine settimana di doppio (… sarebbe quadruplo…) impegno. Per fortuna la prima tranche del weekend è dedicata alla finale della Suunto Sprint Race Tour e, se il Good Lord vuole, a Schio posso finire la gara in un tempo che non è quello con il quale i keniani bravi fanno i primi 40 km della Maratona. Grazie all’intuizione dell’ultimo minuto di Marco Giovannini, non sono nemmeno costretto a fare il viaggio da solo! Arrivando a Schio, ci accorgiamo subito che una gara tra le bancarelle ed i mercati del centro renderebbe la cosa molto ma molto (e drammaticamente) simile ad una Venice-by-day o ad una Rome-by-Mayday… 

Alla fine i percorsi disegnati per l’organizzazione dei miei amici del Viorteam andranno solo a lambire il centro ma, con i passaggi nei parchetti ed un po’ di dislivello che a Schio non è mai buttato lì per caso, verrà fuori una gara che non esito a definire davvero graziosa. I miei 27 minuti di gara sono il risultato della collaborazione tra chi scrive (e corre) e Michela Ronda che pedala al mio fianco e mi incita, così intanto si fanno anche due chiacchiere per passare il tempo durante le tratte più scorrevoli. Per chi non fosse a conoscenza dei trascorsi tra Miki e me, posso solo rimandare ai ricordi di quella salita e del coraggio che Miki mostrò quel giorno (e, da quel giorno in poi, tutti i giorni), che sono incisi con il cacciavite nel disco rigido della memoria.


Grazie alla complicità di Denis Vecellio e di Andrea Maccà, riusciamo persino ad organizzare una bella premiazione con lo speaker da una parte ed il podio dall’altra (non è mai abbastanza chiaro che sul podio ci devono andare i vincitori, mica io!)…



(questa è Aprica, by Paolo Menescardi = dove deve stare lo speaker durante le premiazioni)


Capitolo 4:  gli ultimi 119 minuti. E scusate se poi sono poco preciso!

… anche perché le notizie che arrivano da Campomulo parlano di un terreno innevato da una spruzzata di neve e di un freddo che lévati! Sabato sera, nel briefing pre-gara, il Bravo coach Cristian Bellotto (course setter of the year 2014 secondo i siti e le riviste più autorevoli) aveva già deciso per tutti che la mia idea di passare dalla MElite ad una più tranquilla M40 “non s’aveva da fare”. Neve o non neve, freddo o non freddo, sul percorso M40 avrei trovato “qualche loop in meno”, “qualche difficoltà in meno”, “un po’ di dislivello in meno”, “un bel po’ di divertimento in meno”. Insomma: quando tempo addietro avevo esclamato “Coach! Che bello! Vengo a provare l’Elite… dai dai metti un punto sullo steso sasso che Sgiorsgiù ha cannato l’anno scorso!!” mi ero fatto su il sacco al letto da solo!

Le ultime parole (poco famose) del coach prima di accomiatarci sabato sera sono state più o meno del tipo: “Considerato tutto, direi che puoi farcela in un’ora e un quarto”. Bisogna però tradurre dal Bellottesco allo Stegalliano, nella stessa misura in cui quando una donna ti chiede “Quanti anni mi dai?” tu fai un carpiato all’indietro, valuti l’età che diresti e poi togli subito 10 anni e poi altri 5 o 6 perché ci tieni alla pelle (e se fai una figura di emme anche così, vuol dire che trattasi di autentica “cozza”): le parole del coach vanno lette come “Considerata la panza, il fatto che vai piano e qualche vaccata ce la butti dentro, se stai sotto l’ora e mezza sei un miracolato, ma non è che te lo posso venire a dire in faccia”.

Lo Stegalliano viene poi ulteriormente arricchito da una più attenta lettura del Devoto-Oli-Rocci-Sticavoli: “Se il coach pensa che se sto sotto l’ora e mezza sono un miracolato, considerato che per terra c’è neve, che parto all’alba, che non  sto in piedi, che il ginocchio fa contatto col gomito… un’ora e quarantacinque e speriamo in bene!”.

Risulterà poi che chi corre sperando, arriva sbavando…

Sui primi tre punti me la cavo anche discretamente, seguendo le orme dei posatori (il che mi fa visitare il doppio delle lanterne del mio percorso, ma chissenefrega). Ok: finisco per terra più volte di quanto fece Primo Carnera contro Max Baer, ma l’importante è rialzarsi sempre! Quando poi mi sposto nella zona Sgiorsgiù, quattro punti disposti attorno al sasso più famoso dell’orienteering mondiale, il mio Angelo Custode si ricorda di avere un appuntamento da qualche altra parte (spero per lui un posto più caldo e meno impervio) e mi pianta lì come quello della maschèrpa. Il fatto è che la 3 è il classico punto “Good Lord, fammi trovare questo che al resto ci penso io”. Il Good Lord esegue e poi sta a vedere cosa faccio io…


Ed io faccio schifo: 7 (capirai… mi sono confuso… sta lì in mezzo… si era confuso anche Sgiorsgiù!) – 4… e oh! Per arrivare alla 4 sono dovuto scendere giù sul sentiero! – 6! – 5 (finalmente, dopo varie Madonne e minacce che “se non lo trovo stavolta, torno a casa!” – 6 solo perché ormai capisco dove sono passato prima e 7 perché ci sono già passato due volte e tra un po’ mi danno la cittadinanza o il foglio di via. Intanto se ne è andata la bellezza di un’ora e la previsione originale del coach è di una precisione tale da far passare per rigorosi e inflessibili quei mattacchioni dell’Indiana secondo cui PiGreco valeva 3,2. Il mio Angelo Custode si vergogna e decide di mandare un sostituto che si fa trovare sul sentiero proprio dove, molto tempo prima, avevo attaccato la 4.

Solo che il sostituto è Maja Alm.

Flashback. 
Nel luglio 2014 eravamo nello stesso posto (Campomulo) a correre una roba tipo “Staffetta Mondiale”, vero? Una delle frasi rimaste celebri quei giorni (non paragonabile alla “Michiels will be in first place at the changeover, because I said so!” ma siamo lì…) è stata detta durante il duello all’arma bianca in ultima frazione tra Wyder, Alexandersson e Alm. Mentre Wyder sembrava andare a vincere da sola, mentre Per Forsberg faceva il tifo perché il cervello tornasse nella scatola cranica di Alexandersson che stava vagando stile-Stegal, io me ne uscii con una cosa del tipo che la gara non era ancora finita perché Maja Alm sarebbe “venuta giù dalle moops a tutta velocità” (che sarebbe un’altra citazione di un altro evento sportivo… ma lasciamo perdere che il discorso è già contorto così). Così avvenne. Poi la Svizzera vinse lo stesso, ma non prima che Alm facesse venire il cagotto alle rossocrociate venendo giù abbomba dalle moops…

Adesso torno a me. Sono sul sentiero e compare Maja Alm. Il bosco improvvisamente è bellissimo, c’è il silenzio, non sento più freddo, la visibilità è ampia e… BUM! Dritto sulla 8. Mi giro, leggo le curve di livello come se le avessi inventate io e… BUM! Dritto sulla 9. BUM! Dritto sulla 10. Con l’accompagnamento della bionda danese e in un bosco finalmente vivibile, arrivo alla 13 in bello stile. Solo che commetto il peccato originale, mentre vago tra le buche fettucciate attorno alla 14, di dire a Maja che “… adesso faccio da solo”.

Sbarco sul sentiero e tiro due accidenti al coach! Va bene che ho da fare 220 metri di dislivello, ma se proprio mi evitavi di fare il salto da una parte all’altra della montagna… affronto la salita, non ne posso più, sono in giro da un’ora e mezza e improvvisamente… improvvisamente… mi cade l’occhio sulla scelta tutta su sentiero! che avrei potuto fare andando dall’altra parte. Giuro che mi stavo mettendo a piangere. Giuro che ho pensato che per punizione avrei dovuto fermarmi lì, congelare ed essere ritrovato al disgelo a primavera! Mi è venuto un tale magòne che non sono nemmeno più riuscito a rimanere sulla linea che mi ero prefissato, ma sono arrivato fino al tornante della strada: il tornante PIU’ A NORD!

Da quel punto, arrivare alla 15 è stato un velleitario tentativo di far apparire normale una gara che di normale non aveva più nulla; nel frattempo erano arrivate anche le 10, ovvero l’orario massimo entro il quale uno speaker degno di questo nome dovrebbe essere all’arrivo, lavato e pettinato, a dare il buongiorno ai concorrenti (magari dovrebbe farlo già alle 9.30…). Anche perché, per sovrappiù, la fatica e la bronchite mi avevano formato un tale blocco di catarro in gola che non respiravo più, se non con fatiche ancora maggiori di quelle date dalla corsa. Ecco spiegato il motivo per il quale, per lo schifo di tutti gli astanti, sono arrivato al traguardo più bavàto di un San Bernardo… solo che la botticella avrebbero dovuto picchiarmela sulla testa per via della mia insipienza tecnica!

119 minuti di gara, e anche Maja Alm se ne è andata urlando “Gid din røv må klø og dine arme være for korte!”.


E tutto questo per sentirsi dire che non sono un orientista molto preciso!

7 Comments:

At 4:19 PM, Anonymous Anonymous said...

La 15 l'avevo anch'io (con un altro numero in successione ovviamente) ed è stato l'unico punto un po' banalotto della gara. Averlo piazzato in qualche curva della trincea in alto avrebbe fatto qualche vittima in più ... e tu non ti saresti disperato per non aver visto una scelta decisamente troppo allettante, soprattutto alla fine della gara. Dopo aver letto la prima parte del tuo post mi piacerebbe promuovere un referendum, e cioè votare la cartina più brutta dell'anno ...

 
At 4:20 PM, Anonymous Anonymous said...

Senti un po' invece: non è che la Web Ellis se la portano in Oceania come la Rimet in Brasile, vero?

 
At 4:25 PM, Blogger Stefano said...

Non farti influenzare dal fatto che ho scritto a pennarello il percorso Senior sopra ad una carta della W55 che era inutilizzabile (per evitare di interferire con la gestione della staffetta che è già incasinata di suo...).
Comunque il mio voto andrebbe alla carta della staffetta agli italiani :-)
(non parlo del percorso in se stesso, sono ignorante in materia).
Ma, come sono stato severamente ammonito, "dove c'è carta, c'è gara!"

 
At 4:37 PM, Blogger Stefano said...

Web Ellis?
Quella va in Oceania dritta e filata!

 
At 5:21 PM, Blogger Stefano said...

Dalla 13 alla 14 io sono andato a sud, cercando quella specie di spartiacque con la zona aperta in mezzo. Da lì slalom tra le fettucce e sasso. Le pendenze in queste zone mosse, ma che non sono scoscese e sempre nella stessa direzione, tendo a non considerarle perché altrimenti il rischio è quello di considerare che tutta la zona è una curva di livello unica talvolta in su e talvolta in giù quando magari sulla mappa è quasi piatto perché non è mai né troppo su né troppo giù.

 
At 2:37 PM, Anonymous Larry, ma non son mica gelosa said...

Mo chi cazz'è 'sta Majala?

 
At 2:55 PM, Blogger Stefano said...

Hai frequentato l'Erebus di recente? :-)

 

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