Stegal67 Blog

Wednesday, October 14, 2015

Ho il cuore troppo tenero per certe imprese – parte 2

Loco di Rovegno. Domenica 27 settembre, ore 5.30. No, non è purtroppo un errore di copia&incolla del pezzo precedente… La sveglia è puntata davvero alle 5.45. L’Angelo Custode, che mi appare sempre nelle vesti di Thierry Gueorgiou, viene a svegliarmi 15 minuti prima del trillo. Decido lì sui due piedi (o, meglio, decido lì per lì sotto le coperte) che non è il caso di voltarmi per guadagnare 900 secondi di sonno. Dall’altra parte della stanza c’è sempre un fagotto che dorme abbozzolato nelle coperte: sempre Gianluca Carbone, che stavolta deve aver fatto le due di notte per gestire le ultime emergenze del Campionato Italiano a staffetta. Alla lucina dello smartphone mi alzo, prendo su tutte le mie carabattole, scendo le scale ed arrivo alla macchina. Solo quando apro il baule, mi accorgo che tutto attorno a me sembra offuscato e poco nitido, e non è né il buio della notte né una evidente stanchezza: sono talmente imbesuito di sonno che impiego un paio di minuti a capire che ho dimenticato gli occhiali di fianco al letto! Il pensiero di fare la gara senza occhiali mi sfiora… ma poi decido di rientrare, svegliando di nuovo tutto il caseggiato.

Ma praticamente è ancora notte fonda. La strada per Pietranera me la sono fatta descrivere il giorno prima. Mentre guido sulle curve, passato Rovegno, mi sembra di riconoscere alcuni luoghi dai quali sono passato il giorno prima durante la Long Distance: la tratta lunga su strada, la piazzola con la gag per il ristoro… Arrivo a Pietranera alle 6.00. Il paese è immerso nel silenzio e nel buio più totale. Stupidamente non mi sono fatto dare uno schema della zona di arrivo, mi sono solo fatto raccontare genericamente una descrizione del tipo “ci sarà un punto spettacolo, un attraversamento della strada, un corridoio fettucciato…”. Trovarli al buio è una impresa, anche se Pietranera è un paese di due case e una chiesa. Trovare un punto nel quale abbandonare l’auto è una impresa ancora più ardua.

Piccolo inciso, giusto per far capire il rischio che abbiamo corso…

Al momento di lasciare l’auto abbandonata, identifico uno spazio tra due alberi come “il punto più innocuo” per non dare fastidio a nessuno. Dico questo a beneficio di tutti coloro che, per entrare nel parcheggio dei Campionati Italiani, hanno dovuto fare 10 manovre per dribblare un’auto parcheggiata alla caxxo proprio all’ingresso del suddetto parcheggio… ecco,  era la mia auto! 

Decisamente non è la mia giornata!

Alla fine, nel buio, mi sembra di intravedere il corridoio fettucciato… per esserne certo devo entrare nel prato e toccare con mano il nastro, per capire se è la nostra solita striscia di plastica bianca e rossa o un recinto elettrificato. Parcheggio, mi cambio e faccio il taping, bevo l’ultimo brick disponibile di succo di mela Esselunga (pensando che se è bastato ieri per la Long, basterà anche oggi per la staffetta Senior) e mi avvio lungo la strada al triangolo di partenza. Orario? 6.25 del mattino. E’ ancora buio, lontano si intravede appena un chiarore, ma ho visto che per arrivare ai primi punti di controllo devo fare la traversata di una ampia zona aperta, e quindi decido di approfittare di ogni minuto per “portarmi avanti con il lavoro”.

Ovviamente devo essere molto circospetto: non sempre riesco a vedere dove appoggio i piedi e basterebbe incocciare il buco di una talpa per andare lungo e disteso! Di conseguenza la mia scelta per attaccare il primo punto non è quella che si vede sulla carta di Alessio Tenani, ma quella à-la-Stegal: prato, sentierone, sentierino fino alla cima dell’ampio collinone, poi la traccetta che porta nel bosco (al buio sembra di varcare la porta dell’inferno) fino a sbucare nella radura. Qui arriva la prima lieta sorpresa della giornata: due volpi sono accucciate a meno di 5 metri da me! Non ho mai visto una volpe così da vicino, e la cosa mi fa decisamente sorridere: ormai credo di essere più noto come “l’orientista che sveglia il bosco” (assicuro che il baccano che faccio con le Inov-8 numero 50 lo sveglia davvero) che per le mie doti al microfono!


Alla radura attendo qualche secondo che l’alba porti un minimo di chiarore, ma gli occhi evidentemente si stanno abituando alla poca luce. Scendo più o meno a casaccio fino alla prima linea di rocce ed arrivo in bello stile (che significa “scendendo più spesso sul culo che sui piedi”) alla roccetta. Il mio secondo punto è più lontano rispetto a quello di Teno, in un avvallamento grosso come una casa, ma quando vado a nord impiego poco a rendermi conto che non ci capisco più una beata fava! Dopo aver girato 5 minuti a vuoto e tirato giù i santi che si erano appena ricollocati in cielo dopo la Long, torno sotto la roccetta, rifaccio il punto della situazione, vedo che l’ago della bussola punta di lì e che la direzione che avevo preso prima era di là, e alla fine impiego circa 9 minuti per un punto da fare in 2! Punto 3 abbastanza facile prendendolo dal primo fosso, ma poi sbaglio anche il punto 4: arrivo in cima al nasone ad est del punto, mancandolo di qualche metro, e devo scendere di nuovo tra le rocce prima di poter dire “ok, sono arrivato”.

E’ il momento della prima tratta lunga: torno al nasone nel bosco, traccia di sentiero… e seconda gradita sorpresa! Un cervo!!! Un autentico cervo con palco di corna e tutto, sul sentiero a pochi passi da me. Non ne vedevo uno in gara dai tempi di Anterivo. Quel cervo non è per nulla spaventato  da me, se ne sta lì fermo come se io fossi appena un alito di vento nell’alba di Pietranera. Io resto lì per qualche secondo senza sapere cosa fare (sono pericolosi i cervi?) ma alla fine il quadrupede si gira e si dilegua nel nulla. Così anche io posso procedere, fino ad uscire di nuovo sul prato… ora l’oscurità ha lasciato spazio alla luce, ma il Principe Ignoto che è in me non può cantare “Dilegua o notte!... Tramontate, stelle!... All'alba vincerò!”: può solo capire che dopo essere stato per 20 minuti nel buio del bosco con le pupille dilatate, la luce del mattino sembra uguale a quella di mille riflettori a San Siro!

Il fatto di essere venuto a capo delle prime 4 lanterne in condizioni “Tiomila Langa Natta ma senza pila frontale” in un tempo appena decente, mi convince del fatto che ho la possibilità di fare le cose con calma, quindi per andare alla 5 torno alla strada, scendo verso sud ed attacco la zona dal sentiero.

Da qui in poi le cose prendono una piega sbagliata, ma tanto sbagliata, che più sbagliata non si può.

Si inizia con il punto 5, che non è difficile e per fortuna non è uno dei roccioni sul costone ma il primo che si incontra andando in bussola. Solo che da quel momento il mio percorso assume i contorni di un incubo, più che di una gara in solitaria. Inizio cominciando a scendere tra le rocce, ma tra la penombra ed il terreno che mi sembra ridotto ad una specie di ghiaione, mi sembra di essere sull’orlo di un baratro di cui non vedo il fondo, con il terreno che sta rapidamente cedendo sotto il mio dolce peso ed i sassi che franano e rotolano senza che io percepisca il fatto che si fermano da qualche parte. Mi isso un po’ a fatica in una zona sicura e provo un secondo tentativo: peggio del precedente! Evidentemente il mio Angelo Custode, dopo avermi svegliato prima dell’alba, ha deciso di andare a cartografare la pineta di Sarnonico! Mi sposto ad est e comincio a scendere di sbieco, ma senza migliori risultati… alla fine decido di risalire fino alla traccia di sentiero e puntare verso nord-est, facendo un giro assurdo per cercare di arrivare al punto 6: mi sembra ugualmente una specie di discesa agli inferi, ma almeno per un po’ riesco a seguire la traccia di sentiero che porta sempre più vicino al rumore dell’acqua che scorre.

Quando finalmente arrivo nel vallone, abbastanza tremante e sudato gelido ma più per la paura che per la fatica, impiego quella che mi sembra una eternità per arrivare a capo della 6, e poi della 7 (per fortuna la scala è 1:10.000 e la sofferenza nel verdone è minore rispetto al giorno prima). Sono talmente a pezzi che, per andare alla 8, salgo sulla strada e poi corro da est ad ovest lungo il sentiero: penso di aver trovato il punto, alla fine, ma ad essere sincero non è che ormai me ne importi più di tanto. La 9 è facile (raggiunta ancora dal sentiero) e la 10 se il Good Lord vuole è ancora più facile (perché ci sono passato il giorno prima). La mia 11 per fortuna è molto più vicina e facile di quella della carta di Teno (si trova al bivio dei ruscelli, quindi non la sbaglio nemmeno se volessi) e mi posso astenere dalla scelta che con ogni probabilità, a vedere la carta di Teno, mi avrebbe visto fare di nuovo il giro del fullo del giorno prima, per prendere la lanterna dal sentiero ad ovest. Nel frattempo sono passato dalla zona dove si stanno organizzando quelli del campionato di softair: mi sembra di ricordare che, la sera prima, un paio di questi  si erano procurati due pettorali dei nostri campionati italiani con i quali intendevano “mimetizzarsi” per fare qualche agguato alle squadre avversarie! Se questa cosa è trapelata, sono spacciato ma giuro che se qualcuno mi salta addosso pensando che io sia una specie di Rambo dell’altra squadra, lo squarto a mani nude peggio dello sceriffo Teasle!

Alla 12, sinceramente, so di esserci arrivato (arrivato a capire che sono in cima al roccione, intendo) ma di fare il giro e scendere al piede della roccia non ne ho la benché minima intenzione… anche perché il morale è ormai sotto i tacchi, la voglia e l’animus pugnandi sono andati a farsi un giro altrove, dell’Angelo Custode ho già detto, ed io ho già capito da tempo che questa volta non finirò la gara! Raduno le ultime forse per arrivare, via strada e sentiero, alla 13 ma poi mi dichiaro ad alta voce che la mia avventura è finita lì: la 14 sarebbe ancora raggiungibile, tornando sul sentiero (pazzo chi è andato lungo il fiumiciattolo!), ma a quel punto il modo più facile per tornare al traguardo sarebbe quello di proseguire fino alla 15 e da lì issarsi alla quota del ritrovo, ed io non ho la benché minima intenzione di affrontare di nuovo il fondo dell’orrido vallone tra le rocce!

Prima di ritirarmi, però, voglio togliermi la soddisfazione di andare a vedere se il burrone sotto la 5 mi appare in modo diverso sotto la pallida luce del primo sole del giorno; torno alla strada, faccio il giro dei tornanti, arrivo di nuovo a nord del punto e rientro nel bosco: la lanterna non è ancora stato posata, ma il burrone mi appare ancora nella sua orrida ovvietà. Mentre rientro verso la strada, incrocio Rudy che sta andando a posare e gli esterno qualche mia preoccupazione, cosa che farò qualche minuto dopo con Raus quando lo incontrerò mentre sta andando a posare alcune lanterne della prima parte di gara.



Da qui avanti sulla mia esperienza come apripista non ho nulla da dire. Vado avanti a scrivere solo come ricordo per il mio diario personale.

Innanzitutto cominciamo a mettere le cose ancora più in chiaro. Fare il tracciatore non è il mio mestiere! Non ne sono capace, non ho fatto e non farò mai corsi di tracciatore, non ho alcuna esperienza di tracciatura nei boschi. L’orienteering non è ancora pronto per un tracciato (di qualsivoglia livello) firmato Stegal. Continuo a ribadire che è quasi una magia il modo in cui i tracciatori, con alchimie che secondo me sconfinano nella stregoneria, riescono a far combaciare i tempi attesi per una gara secondo quanto previsto dalle regole internazionali con il disegno del percorso sul quale gareggeranno atleti di qualsiasi livello. Per quello che ho sentito, non solo in occasione del 2015, fare il tracciatore di una gara di Campionato Italiano implica un lavoro che in passato (ed era il 17 febbraio 2012), avevo provato a commentare in un pezzo dal titolo “La vera storia di questa storia

Chapeau ai tracciatori, quindi, da parte di coloro ai quali il tracciato del Campionato Italiano Senior a Staffetta è sicuramente piaciuto: Mamleev, Tenani, Inderst, chi ha vinto nelle categorie Elite, Master e Giovani ed anche chi non ha vinto ma ha trovato pane adatto per i suoi denti e si è divertito. Faccio i complimenti a tutti coloro che sono scesi sul campo di gara il 27 settembre, e che hanno affrontato la tenzone con abilità fisiche e tecniche sicuramente superiori alle mie. Io però, e non mi capita spesso, mi sono sentito molto a disagio, anzi sempre più a disagio, mano a mano che procedevo nel bosco. Non intendo dolermi per il tipo di terreno di gara: preferisco i boschi bianchi alla maglia nero-verde del Sassuolo che ho affrontato a Pietranera, ma a Monza solo una settimana prima una potenziale campionessa italiana mi aveva severamente ammonito con la frase “dove c’è carta, c’è gara!”. 

Il fatto è che quando mi sono trovato per la seconda volta ad annaspare sulla discesa dalla 5 alla 6, non pensavo più alla mia gara ma a tre nomi che avevo letto sulle griglie di partenza (e tengo a dire che non è affatto colpa loro se la mia gara è finita nel modo che ho già descritto): si tratta di Lily, Tommy e Marisa ai quali esterno adesso (se mai lo verranno a sapere) il mio pensiero, e magari commenteranno scuotendo le spalle e dicendo “ma questo non potrebbe farsi i cavolacci suoi, che a noi il percorso è andato benissimo così???”. Il mio percorso era una “M Senior”, non una “M Elite” e questo, un po’, secondo me comincia a generare qualche piccolo equivoco.

In Italia non tutte le staffette Senior sono composte unicamente da autentici Elite, ma ci sono anche squadre degnissime che vedono un terzo frazionista altrettanto degno ma magari meno avvezzo a passare là dove i vari Hubmann e Lundanes, ma ovviamente anche i vari Seba Inderst, gli Emiliano Corona, i Miki Caraglio, i Misha Mamleev, i Jonas Rass, i Lorenzo Pinna, i Jack Nisi, i Marek Hadam (andando a memoria su alcuni dei passaggi segnalati dall’ottimo Fabio Storti – che approfitto per ringraziare - che era al punto radio nel bosco) non si fanno problemi e non hanno alcuna remora a lasciar andare le gambe in discesa.

Ma domenica 27 settembre a Pietranera non sono così convinto del fatto che fosse necessario inserire alcune specifiche tratte per fare quella selezione di minuti e minuti che poi al traguardo abbiamo visto con i nostri occhi. Quando sono tornato dal bosco, mi sono sentito addosso una grande responsabilità, e con il distacco del tempo che è trascorso devo ammettere che questa si è manifestata nel modo sbagliato.

Per questo modo mi scuso qui con il tracciatore, il controllore e gli organizzatori.

Io mi sono sentito addosso la responsabilità di trovare un modo per dare qualche avvertimento agli allenatori, ai master che magari non hanno più l’elasticità mentale e soprattutto fisica per reagire ad una improvvisa situazione complicata, ma soprattutto a quei ragazzi che non hanno una piena maturità tecnica e, in una gara a staffetta, possono arrivare a rischiare più del dovuto o a sentirsi addosso la responsabilità di coprire un “buco” di una staffetta con due atleti più forti.


(foto by Davide De Nardis)

Il modo in cui questa responsabilità è uscita fuori, prima di accedere al trabattello dal quale ho commentato la gara, e poi nei minuti prima del via, può essere stato sbagliato nella forma e nella sostanza. Con il senno di poi posso dire che, non dovendoci essere nessuno nel bosco prima delle 9.30, non dovrebbe esserci nemmeno nessuno a ricordare agli atleti che, prima di ogni altra cosa, noi siamo tutti esseri umani dotati di senno, e che quel senno e quella lucidità dobbiamo usarla anche nel bosco prima di andarci a mettere nel pericolo. Credo che in un momento che per me è stato emotivamente difficile soprattutto dopo quanto è successo due anni fa, queste siano state le parole che ho usato (ma anche quando mi troverò di fronte di fronte a San Pietro, o al giudice Di Pietro, dovrei ammettere come un novello Arnaldo Forlani che “non mi ricordo…”)

Il giorno stesso della staffetta e poi ancora nei giorni successivi e infine anche all’Arge Alp di Aprica, ho ricevuto a riguardo commenti tra l’arrabbiato, l’offeso, il perplesso ed il comprensivo. Uso volutamente tre parole con una connotazione negativa o parzialmente tale ed una parola con una connotazione positiva perché, in percentuale, questa è stata la distribuzione dei commenti. (non sto parlando di commenti fatti da tracciatore, controllore ed organizzazione con i quali non ho più parlato dopo la gara di questo argomento!).

Mi scuso quindi con coloro che, come atleti si sono sentiti negativamente sorpresi dai miei “avvertimenti”: coloro che sono dotati dalla natura, dall’età e dall’allenamento di qualità tecniche e fisiche in grado di domare tutte le zone di bosco che abbiamo attraversato a Pietranera; coloro che sono sicuri del fatto che un percorso che assegna un Campionato Italiano debba essere per forza di cose molto più challenging di quelli che affrontiamo ogni settimana; coloro che, gareggiando in una categoria molto giovanile o molto master, non hanno affrontato alcuna delle tratte che ha messo me in seria situazione di difficoltà e quindi al traguardo sono rimasti basìti per il modo in cui io, che non ho alcun ruolo per farlo, mi sono permesso di suggerire prudenza prima della partenza.

Nella mia esperienza di speaker-corridore ho sempre cercato, come è successo anche ad Aprica nello scorso fine settimana, di essere un valore aggiunto lungo il percorso, in qualità di atleta (parola grossa) che cerca di testare il percorso veramente da vicino, nelle condizioni di gara e senza precedente conoscenza, prima che su di esso si cimentino i concorrenti veri. Voglio ringraziare Tommy Civera e Lucia Curzio che, in occasione della staffetta di Aprica, hanno ascoltato la mia esperienza fatta poco prima del via ufficiale, decidendo poi in autonomia se apportare un minimo correttivo – mettere giù delle fettucce e chiedere l’eliminazione di un recinto che io ho intravisto a due metri di distanza quando mi ci stavo lanciando contro - oppure no.

Spero che questo mio modo di pensare, in futuro non debba costituire una difficoltà, sarei pronto a discuterne ed eventualmente rivedere il mio ruolo.

Ma forse è proprio vero: il mio cuore è diventato troppo tenero per certe imprese!


(… continua…)

3 Comments:

At 4:43 PM, Anonymous Anonymous said...

Se non sbaglio (mi sono giunte alcune notizie in merito) durante la gara o nel post gara qualcuno si è rotto lo sterno e qualcun'altro è dovuto tornare dalla statale del fondovalle alla zona arrivo in autostop. Penso che un percorso tecnico non debba obbligatoriamente mettere in pericolo la vita!!!!
A te Stefano AVANTI SAVOIA!!!!!!

 
At 5:25 PM, Anonymous Anonymous said...

Ciao Stefano, finalmente! Pensavo di essere, stupidamente, unico. Il pensare che le gare alle volte siano "pericolose" sembra un'eresia che va punita con un'indifferente alzata di spalle. Sarà perché ora cerco di far gareggiare il mio ragazzino ma la mia sensibilità a certe problematiche si è accentuata. Per cui Grande Stefano per quello che hai fatto. Daniele Falcaro

 
At 1:58 PM, Blogger Andrea Segatta said...

Oggettivamente troppo pericoloso. Al di la dei gusti personali sul tipo di gara e di terreno, quella gara così non andava fatta. Peccato per chi si è fatto male. Peccato per gli amici Genovesi che hanno organizzato così bene l'evento per tutto il resto..... ma una carta appena un po' più "normale" proprio non c'era?

 

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