Ho il cuore troppo tenero per certe imprese – parte 2
Loco di Rovegno. Domenica 27 settembre, ore 5.30. No, non è
purtroppo un errore di copia&incolla del pezzo precedente… La sveglia è
puntata davvero alle 5.45. L’Angelo Custode, che mi appare sempre nelle vesti
di Thierry Gueorgiou, viene a svegliarmi 15
minuti prima del trillo. Decido lì sui due piedi (o, meglio, decido lì per
lì sotto le coperte) che non è il caso di voltarmi per guadagnare 900 secondi
di sonno. Dall’altra parte della stanza c’è sempre un fagotto che dorme
abbozzolato nelle coperte: sempre Gianluca Carbone, che stavolta deve aver fatto le due di notte per
gestire le ultime emergenze del Campionato Italiano a staffetta. Alla lucina
dello smartphone mi alzo, prendo su tutte le mie carabattole, scendo le scale ed
arrivo alla macchina. Solo quando apro il baule, mi accorgo che tutto attorno a
me sembra offuscato e poco nitido, e
non è né il buio della notte né una evidente stanchezza: sono talmente
imbesuito di sonno che impiego un paio di minuti a capire che ho dimenticato
gli occhiali di fianco al letto! Il pensiero di fare la gara senza occhiali mi
sfiora… ma poi decido di rientrare, svegliando di nuovo tutto il caseggiato.
Ma praticamente è ancora notte fonda. La strada per Pietranera me
la sono fatta descrivere il giorno prima. Mentre guido sulle curve, passato
Rovegno, mi sembra di riconoscere alcuni luoghi dai quali sono passato il giorno
prima durante la Long Distance: la tratta lunga su strada, la piazzola con la gag per il ristoro… Arrivo a Pietranera alle
6.00. Il paese è immerso nel silenzio e nel buio più totale. Stupidamente non
mi sono fatto dare uno schema della zona di arrivo, mi sono solo fatto
raccontare genericamente una descrizione del tipo “ci sarà un punto spettacolo, un attraversamento della strada, un
corridoio fettucciato…”. Trovarli al buio è una impresa, anche se
Pietranera è un paese di due case e una chiesa. Trovare un punto nel quale abbandonare l’auto è una impresa ancora più
ardua.
Piccolo inciso, giusto per far capire il rischio che abbiamo
corso…
Al momento di lasciare l’auto abbandonata, identifico uno spazio
tra due alberi come “il punto più innocuo”
per non dare fastidio a nessuno. Dico questo a beneficio di tutti coloro che,
per entrare nel parcheggio dei Campionati Italiani, hanno dovuto fare 10 manovre per dribblare un’auto
parcheggiata alla caxxo proprio all’ingresso del suddetto parcheggio…
ecco, era la mia auto!
Decisamente non è
la mia giornata!
Alla fine, nel buio, mi sembra di intravedere il corridoio fettucciato… per esserne certo devo
entrare nel prato e toccare con mano il nastro, per capire se è la nostra
solita striscia di plastica bianca e rossa o un recinto elettrificato.
Parcheggio, mi cambio e faccio il taping, bevo
l’ultimo brick disponibile di succo di mela Esselunga (pensando che se è
bastato ieri per la Long, basterà anche oggi per la staffetta Senior) e mi
avvio lungo la strada al triangolo di partenza. Orario? 6.25 del mattino. E’ ancora buio, lontano si intravede appena un
chiarore, ma ho visto che per arrivare ai primi punti di controllo devo fare la
traversata di una ampia zona aperta, e quindi decido di approfittare di ogni minuto per “portarmi avanti con il lavoro”.
Ovviamente devo essere molto circospetto: non sempre riesco a
vedere dove appoggio i piedi e basterebbe incocciare il buco di una talpa per andare
lungo e disteso! Di conseguenza la mia scelta per attaccare il primo punto non
è quella che si vede sulla carta di Alessio Tenani, ma quella à-la-Stegal:
prato, sentierone, sentierino fino alla cima dell’ampio collinone, poi la traccetta
che porta nel bosco (al buio sembra di varcare la porta dell’inferno) fino a
sbucare nella radura. Qui arriva la prima lieta sorpresa della giornata: due volpi sono accucciate a meno di 5
metri da me! Non ho mai visto una volpe così da vicino, e la cosa mi fa
decisamente sorridere: ormai credo di essere più noto come “l’orientista che sveglia il bosco”
(assicuro che il baccano che faccio con le Inov-8 numero 50 lo sveglia davvero)
che per le mie doti al microfono!
Alla radura attendo qualche secondo che l’alba porti un minimo di
chiarore, ma gli occhi evidentemente si stanno abituando alla poca luce. Scendo
più o meno a casaccio fino alla
prima linea di rocce ed arrivo in bello stile (che significa “scendendo più spesso sul culo che sui piedi”)
alla roccetta. Il mio secondo punto è più lontano rispetto a quello di Teno, in
un avvallamento grosso come una casa, ma quando vado a nord impiego poco a
rendermi conto che non ci capisco più una beata fava! Dopo aver girato 5 minuti a vuoto e tirato giù i
santi che si erano appena ricollocati in cielo dopo la Long, torno sotto la
roccetta, rifaccio il punto della situazione, vedo che l’ago della bussola
punta di lì e che la direzione che avevo preso prima era di là, e alla fine
impiego circa 9 minuti per un punto da fare in 2! Punto 3 abbastanza facile
prendendolo dal primo fosso, ma poi sbaglio anche il punto 4: arrivo in cima al
nasone ad est del punto, mancandolo di qualche metro, e devo scendere di nuovo
tra le rocce prima di poter dire “ok,
sono arrivato”.
E’ il momento della prima tratta lunga: torno al nasone nel bosco,
traccia di sentiero… e seconda gradita sorpresa!
Un cervo!!! Un autentico cervo con palco di corna e tutto, sul sentiero a pochi
passi da me. Non ne vedevo uno in gara dai tempi di Anterivo. Quel cervo non è
per nulla spaventato da me, se ne sta lì
fermo come se io fossi appena un alito di vento nell’alba di Pietranera. Io
resto lì per qualche secondo senza sapere cosa fare (sono pericolosi i cervi?) ma
alla fine il quadrupede si gira e si dilegua nel nulla. Così anche io posso procedere,
fino ad uscire di nuovo sul prato… ora l’oscurità ha lasciato spazio alla luce,
ma il Principe Ignoto che è in me
non può cantare “Dilegua o notte!... Tramontate, stelle!... All'alba vincerò!”: può solo
capire che dopo essere stato per 20 minuti nel buio del bosco con le pupille
dilatate, la luce del mattino sembra uguale a quella di mille riflettori a San
Siro!
Il fatto di essere venuto a capo delle prime 4 lanterne in condizioni
“Tiomila Langa Natta ma senza pila frontale” in un tempo appena decente, mi
convince del fatto che ho la possibilità di fare le cose con calma, quindi per
andare alla 5 torno alla strada, scendo verso sud ed attacco la zona dal
sentiero.
Da qui in poi le cose prendono una piega sbagliata, ma tanto sbagliata, che
più sbagliata non si può.
Si inizia con il punto 5, che non è difficile e per fortuna non è uno dei
roccioni sul costone ma il primo che si incontra andando in bussola. Solo che
da quel momento il mio percorso assume i
contorni di un incubo, più che di una gara in solitaria. Inizio cominciando
a scendere tra le rocce, ma tra la penombra ed il terreno che mi sembra ridotto
ad una specie di ghiaione, mi sembra di essere sull’orlo di un baratro di cui
non vedo il fondo, con il terreno che sta rapidamente cedendo sotto il mio
dolce peso ed i sassi che franano e
rotolano senza che io percepisca il fatto che si fermano da qualche parte. Mi
isso un po’ a fatica in una zona sicura e provo un secondo tentativo: peggio
del precedente! Evidentemente il mio Angelo Custode, dopo avermi svegliato
prima dell’alba, ha deciso di andare a cartografare la pineta di Sarnonico! Mi
sposto ad est e comincio a scendere di sbieco, ma senza migliori risultati…
alla fine decido di risalire fino alla traccia di sentiero e puntare verso
nord-est, facendo un giro assurdo
per cercare di arrivare al punto 6: mi sembra ugualmente una specie di discesa
agli inferi, ma almeno per un po’ riesco a seguire la traccia di sentiero che
porta sempre più vicino al rumore dell’acqua che scorre.
Quando finalmente arrivo nel vallone, abbastanza tremante e sudato gelido ma più per la paura che per la fatica,
impiego quella che mi sembra una eternità per arrivare a capo della 6, e poi
della 7 (per fortuna la scala è 1:10.000 e la sofferenza nel verdone è minore
rispetto al giorno prima). Sono talmente a pezzi che, per andare alla 8, salgo
sulla strada e poi corro da est ad ovest lungo il sentiero: penso di aver
trovato il punto, alla fine, ma ad essere sincero non è che ormai me ne importi
più di tanto. La 9 è facile (raggiunta ancora dal sentiero) e la 10 se il Good
Lord vuole è ancora più facile (perché ci sono passato il giorno prima). La mia
11 per fortuna è molto più vicina e facile di quella della carta di Teno (si
trova al bivio dei ruscelli, quindi non
la sbaglio nemmeno se volessi) e mi posso astenere dalla scelta che con
ogni probabilità, a vedere la carta di Teno, mi avrebbe visto fare di nuovo il
giro del fullo del giorno prima, per prendere la lanterna dal sentiero ad
ovest. Nel frattempo sono passato dalla zona dove si stanno organizzando quelli
del campionato di softair: mi sembra
di ricordare che, la sera prima, un paio di questi si erano procurati due pettorali dei nostri
campionati italiani con i quali intendevano “mimetizzarsi” per fare qualche
agguato alle squadre avversarie! Se questa cosa è trapelata, sono spacciato ma giuro che se qualcuno
mi salta addosso pensando che io sia una specie di Rambo dell’altra squadra, lo squarto a mani nude peggio dello
sceriffo Teasle!
Alla 12, sinceramente, so di esserci arrivato (arrivato a capire che sono in
cima al roccione, intendo) ma di fare il giro e scendere al piede della roccia
non ne ho la benché minima intenzione… anche perché il morale è ormai sotto i
tacchi, la voglia e l’animus pugnandi sono andati a farsi un giro altrove, dell’Angelo
Custode ho già detto, ed io ho già capito da tempo che questa volta non finirò
la gara! Raduno le ultime forse per arrivare, via strada e sentiero, alla 13 ma
poi mi dichiaro ad alta voce che la mia
avventura è finita lì: la 14 sarebbe ancora raggiungibile, tornando sul
sentiero (pazzo chi è andato lungo il fiumiciattolo!), ma a quel punto il modo
più facile per tornare al traguardo sarebbe quello di proseguire fino alla 15 e
da lì issarsi alla quota del ritrovo, ed io non ho la benché minima intenzione
di affrontare di nuovo il fondo dell’orrido vallone tra le rocce!
Prima di ritirarmi, però, voglio togliermi
la soddisfazione di andare a vedere se il burrone sotto la 5 mi appare in
modo diverso sotto la pallida luce del primo sole del giorno; torno alla
strada, faccio il giro dei tornanti, arrivo di nuovo a nord del punto e rientro
nel bosco: la lanterna non è ancora stato posata, ma il burrone mi appare
ancora nella sua orrida ovvietà. Mentre rientro verso la strada, incrocio Rudy
che sta andando a posare e gli esterno qualche mia preoccupazione, cosa che
farò qualche minuto dopo con Raus quando lo incontrerò mentre sta andando a
posare alcune lanterne della prima parte di gara.
Da qui avanti sulla mia esperienza come apripista non ho nulla da dire. Vado
avanti a scrivere solo come ricordo per il mio diario personale.
Innanzitutto cominciamo a mettere le cose ancora più in chiaro. Fare il
tracciatore non è il mio mestiere!
Non ne sono capace, non ho fatto e non farò mai corsi di tracciatore, non ho alcuna
esperienza di tracciatura nei boschi. L’orienteering non è ancora pronto per un
tracciato (di qualsivoglia livello) firmato Stegal. Continuo a ribadire che è
quasi una magia il modo in cui i tracciatori, con alchimie che secondo me sconfinano nella stregoneria,
riescono a far combaciare i tempi attesi per una gara secondo quanto previsto
dalle regole internazionali con il disegno del percorso sul quale gareggeranno
atleti di qualsiasi livello. Per quello che ho sentito, non solo in occasione
del 2015, fare il tracciatore di una gara di Campionato Italiano implica un
lavoro che in passato (ed era il 17 febbraio 2012), avevo provato a commentare
in un pezzo dal titolo “La vera storia di questa storia”
Chapeau ai tracciatori, quindi, da parte di coloro ai quali il tracciato
del Campionato Italiano Senior a Staffetta è sicuramente piaciuto: Mamleev,
Tenani, Inderst, chi ha vinto nelle categorie Elite, Master e Giovani ed anche chi
non ha vinto ma ha trovato pane adatto per i suoi denti e si è divertito.
Faccio i complimenti a tutti coloro che sono scesi sul campo di gara il 27
settembre, e che hanno affrontato la tenzone con abilità fisiche e tecniche sicuramente superiori alle mie. Io
però, e non mi capita spesso, mi sono sentito molto a disagio, anzi sempre più
a disagio, mano a mano che procedevo nel bosco. Non intendo dolermi per il tipo
di terreno di gara: preferisco i boschi bianchi alla maglia nero-verde del
Sassuolo che ho affrontato a Pietranera, ma a Monza solo una settimana prima
una potenziale campionessa italiana mi aveva severamente ammonito con la frase
“dove c’è carta, c’è gara!”.
Il fatto
è che quando mi sono trovato per la seconda volta ad annaspare sulla discesa dalla 5 alla 6, non pensavo più alla mia
gara ma a tre nomi che avevo letto sulle griglie di partenza (e tengo a dire
che non è affatto colpa loro se la mia gara è finita nel modo che ho già
descritto): si tratta di Lily, Tommy e
Marisa ai quali esterno adesso (se mai lo verranno a sapere) il mio
pensiero, e magari commenteranno scuotendo le spalle e dicendo “ma questo non potrebbe farsi i cavolacci
suoi, che a noi il percorso è andato benissimo così???”. Il mio percorso
era una “M Senior”, non una “M Elite” e questo, un po’, secondo me comincia a
generare qualche piccolo equivoco.
In Italia non tutte le staffette Senior sono composte unicamente da
autentici Elite, ma ci sono anche squadre
degnissime che vedono un terzo frazionista altrettanto degno ma magari meno
avvezzo a passare là dove i vari Hubmann e Lundanes, ma ovviamente anche i vari
Seba Inderst, gli Emiliano Corona, i Miki Caraglio, i Misha Mamleev, i Jonas
Rass, i Lorenzo Pinna, i Jack Nisi, i Marek Hadam (andando a memoria su alcuni dei
passaggi segnalati dall’ottimo Fabio Storti – che approfitto per ringraziare - che
era al punto radio nel bosco) non si
fanno problemi e non hanno alcuna remora a lasciar andare le gambe in
discesa.
Ma domenica 27 settembre a Pietranera non sono così convinto del
fatto che fosse necessario inserire alcune specifiche tratte per fare quella selezione di minuti e
minuti che poi al traguardo abbiamo visto con i nostri occhi. Quando sono
tornato dal bosco, mi sono sentito addosso una grande responsabilità, e con il
distacco del tempo che è trascorso devo ammettere che questa si è manifestata
nel modo sbagliato.
Per questo
modo mi scuso qui con il tracciatore, il controllore e gli organizzatori.
Io mi sono sentito addosso la responsabilità di trovare un modo
per dare qualche avvertimento agli allenatori, ai master che magari non hanno
più l’elasticità mentale e soprattutto fisica per reagire ad una improvvisa situazione complicata, ma soprattutto a
quei ragazzi che non hanno una piena maturità tecnica e, in una gara a
staffetta, possono arrivare a rischiare più del dovuto o a sentirsi addosso la
responsabilità di coprire un “buco” di una staffetta con due atleti più forti.
(foto by Davide De Nardis)
Il modo in cui questa responsabilità è uscita fuori, prima di
accedere al trabattello dal quale ho commentato la gara, e poi nei minuti prima
del via, può essere stato sbagliato nella forma e nella sostanza. Con il senno
di poi posso dire che, non dovendoci essere nessuno nel bosco prima delle 9.30,
non dovrebbe esserci nemmeno nessuno a ricordare agli atleti che, prima di ogni
altra cosa, noi siamo tutti esseri umani
dotati di senno, e che quel senno e quella lucidità dobbiamo usarla anche
nel bosco prima di andarci a mettere nel pericolo. Credo che in un momento che
per me è stato emotivamente difficile soprattutto dopo quanto è successo due
anni fa, queste siano state le parole che ho usato (ma anche quando mi troverò
di fronte di fronte a San Pietro, o al giudice Di Pietro, dovrei ammettere come
un novello Arnaldo Forlani che “non mi ricordo…”)
Il giorno stesso della staffetta e poi ancora nei giorni
successivi e infine anche all’Arge Alp di Aprica, ho ricevuto a riguardo
commenti tra l’arrabbiato, l’offeso, il perplesso ed il comprensivo. Uso
volutamente tre parole con una connotazione negativa o parzialmente tale ed una
parola con una connotazione positiva perché, in percentuale, questa è stata la
distribuzione dei commenti. (non sto parlando di commenti fatti da
tracciatore, controllore ed organizzazione con i quali non ho più parlato dopo
la gara di questo argomento!).
Mi scuso quindi con coloro che, come atleti si sono sentiti negativamente sorpresi dai miei
“avvertimenti”: coloro che sono dotati dalla natura, dall’età e
dall’allenamento di qualità tecniche e fisiche in grado di domare tutte le zone
di bosco che abbiamo attraversato a Pietranera; coloro che sono sicuri del
fatto che un percorso che assegna un Campionato Italiano debba essere per forza
di cose molto più challenging di quelli che affrontiamo ogni settimana; coloro
che, gareggiando in una categoria molto giovanile o molto master, non hanno
affrontato alcuna delle tratte che ha messo me in seria situazione di difficoltà
e quindi al traguardo sono rimasti basìti
per il modo in cui io, che non ho alcun ruolo per farlo, mi sono permesso di
suggerire prudenza prima della partenza.
Nella mia esperienza di speaker-corridore ho sempre cercato, come
è successo anche ad Aprica nello scorso fine settimana, di essere un valore aggiunto lungo il percorso,
in qualità di atleta (parola grossa) che cerca di testare il percorso veramente
da vicino, nelle condizioni di gara e senza precedente conoscenza, prima che su
di esso si cimentino i concorrenti veri. Voglio ringraziare Tommy Civera e Lucia Curzio che, in
occasione della staffetta di Aprica, hanno ascoltato la mia esperienza fatta
poco prima del via ufficiale, decidendo poi in autonomia se apportare un minimo
correttivo – mettere giù delle fettucce e chiedere l’eliminazione di un recinto
che io ho intravisto a due metri di distanza quando mi ci stavo lanciando
contro - oppure no.
Spero che questo mio modo di pensare, in futuro non debba
costituire una difficoltà, sarei pronto a discuterne ed eventualmente rivedere
il mio ruolo.
Ma forse è proprio vero: il
mio cuore è diventato troppo tenero per certe imprese!
(…
continua…)
3 Comments:
Se non sbaglio (mi sono giunte alcune notizie in merito) durante la gara o nel post gara qualcuno si è rotto lo sterno e qualcun'altro è dovuto tornare dalla statale del fondovalle alla zona arrivo in autostop. Penso che un percorso tecnico non debba obbligatoriamente mettere in pericolo la vita!!!!
A te Stefano AVANTI SAVOIA!!!!!!
Ciao Stefano, finalmente! Pensavo di essere, stupidamente, unico. Il pensare che le gare alle volte siano "pericolose" sembra un'eresia che va punita con un'indifferente alzata di spalle. Sarà perché ora cerco di far gareggiare il mio ragazzino ma la mia sensibilità a certe problematiche si è accentuata. Per cui Grande Stefano per quello che hai fatto. Daniele Falcaro
Oggettivamente troppo pericoloso. Al di la dei gusti personali sul tipo di gara e di terreno, quella gara così non andava fatta. Peccato per chi si è fatto male. Peccato per gli amici Genovesi che hanno organizzato così bene l'evento per tutto il resto..... ma una carta appena un po' più "normale" proprio non c'era?
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