Addio stagione 2015
23 gennaio 2016. L’anno nuovo è arrivato anche per me.
Stasera, se tutto va bene (e se trovo una lampada frontale che funziona!) ci
sarà l’esordio 2016 con la gara al Parco della Vernavola. E’ il momento nel
quale vanno in soffitta le medaglie ed i sorrisi dell’anno precedente ed
insieme a loro, ma più lente ad abbandonare le spalle su cui gravano come un
fardello ogni anno più pesante, le fatiche ed i dolori.
Di solito affidavo questo “rito del passaggio” all’ultima
lanterna dell’ultima gara dell’anno. Ma il finale di anno 2015 è stato assai
travagliato e dopo Giussano, dopo Angera, dopo Briosco e dopo aver saltato le
“50 lanterne”, in effetti non c’è stata una ultima lanterna cui affidare il
compito di tenere con sé le delusioni e le piccole gioie di una annata sportiva
vissuta ai margini della retrocessione, se non abbondantemente in zona…!
Oggi la mia preparazione alla gara della Vernavola è fatta
di piccole cose. La borsa è già pronta da alcuni giorni, le gambe sono già
calde. Ho scoperto durante gli allenamenti (non tanti ma sicuramente più
intensi rispetto a quelli di tutti i 10 anni precedenti) che il digiuno
pre-gara mi fa correre con maggiore efficacia. Ho appena finito di dare una vigorosa
spazzata ai pavimenti di casa, cosa che serve a tenere attivo il fisico e
sgombra la mente; ma prima di prendere le chiavi dell’auto e dirigermi verso
sud, voglio dare un saluto alla perla della mia stagione orientistica 2015, a
quella gara che ogni anno non finisce mai di stupirmi, di lasciarmi dentro
ricordi e sensazioni talmente vive e palpabili che adesso potrei chiudere gli
occhi e ritrovarmi di nuovi immerso nei colori, nei profumi, nelle sensazioni e
nel tepore di Serrada di Folgaria. E’ il 9 agosto 2015: è il giorno della
O-Marathon degli Altipiani.
Credo di averlo già scritto nel corso degli anni. Ma mi
assolvo: sto diventando vecchio, ripetitivo. La O-Marathon Elite dell’Altopiano di Lavarone
rimane il mio sogno irraggiungibile; incredibile a dirsi: è un sogno che ho si
è già avverato tante volte! Tutte le volte che sono riuscito ad arrivare al
traguardo in preda alle allucinazioni, ai crampi, alla rabbia, alla
determinazione, alla sofferenza. Un sogno reso possibile da una idea di Luigi
Girardi, dalla forza di volontà di Roberto Sartori, dalla voglia di essere
protagonisti di Carlo Cristellon, di Matteo Sandri, di Samuele Tait, di Rosella
e Pamela e Caterina e tutti i ragazzi del Gronlait che una volta all’anno si sparpagliano
per l’Altopiano a distribuire lanterne, punti di ristoro, partenze e arrivi. E
che si preparano mentalmente ad aspettare fino ad orari assurdi gli ultimi
naufraghi… più spesso l’ultimo naufrago: io.
La colpa per queste attese va equamente distribuita: il 99%
a me, che in fondo dovrei accorgermi dell’età che passa e che ci sono altre
categorie, e percorsi più brevi, per godere allo stesso modo dell’Altopiano.
L’1% a Luigi Girardi, che tanti anni fa ha coniato quella frase a cui mi
aggrappo (proprio come un naufrago alla scialuppa di salvataggio) quando è il
momento di chiedermi su quale categoria far cadere il click del mouse per
l’iscrizione, ed invariabilmente ogni anno scelgo Elite: “L’O-marathon non è
una gara più lunga delle altre, ma una avventura lunga un giorno”. E’ proprio quel
senso di avventura che rende questa gara così diversa, per me, da tutte le
altre. Non è solo più lunga, più faticosa, più estenuante (per me… quelli bravi
la prendono come una corsetta appena più impegnativa): è un modo per rimanere
da soli per qualche ora con una mappa, raccontandosi qualche storia o andando a
scartabella nell’album dei ricordi durante i momenti più lunghi e noiosi, e
intanto cercare lanterne, trovando la forza fisica e poi solo mentale per
andare avanti, nell’unico sport al mondo nel quale “non è detto che un passo
fatto in avanti sia un passo che ti avvicina al traguardo”.
Scusatemi se Shakespeare e Tennyson mi fanno una pippa, ma quest’ultima frase
è mia.
Nel 2015 il mio percorso di avvicinamento alla O-Marathon è
stato un tantinello tortuoso. Infatti alla O-Marathon io non avrei nemmeno dovuto
andarci! Due anni prima, nel 2013, avevo vissuto la mia dose di incubi durante
l’edizione di Passo Coe, quella TUTTA a Passo Coe: l’unica O-Marathon, a mia
memoria, disputata in ottobre (al freddo, tanto freddo) con modalità
one-man-relay che ne snatura l’essenza di “lungo trasferimento da un posto
all’altro". Correre una maratona in pista o su un anello non è la stessa cosa
che correrla spostandosi fisicamente da un paese all’altro, da una valle
all’altra, da un panorama all’altro. In fondo, se di avventura si tratta, i
veri avventurieri di una volta sono stati quelli che sono andati (e tornati da) in
un certo posto, non quelli che ci hanno girato in tondo più a lungo.
Nell’edizione 2013 ho toccato il fondo della mia delusione con un ritiro a tre
quarti di gara per freddo, per fatica fisica, per assenza di voglia di andare
avanti! Il freddo che era penetrato nelle ossa perché non avevo voluto
cambiarmi a metà gara indossando qualcosa di asciutto, la fatica che non avevo
saputo gestire ai ristori (quasi trascurati dal sottoscritto) e durante la gara
quando avevo cercato di rimanere agganciato a qualche trenino più veloce di me
fino a ritrovarmi comunque solo e senza più forze; infine senza voglia di
ritornare, per il quarto giro, nelle stesse zone che avevo affrontato nei tre
giri precedenti. Il traguardo, nel mio caso il benvenuto ritiro, nella
one-man-relay è sempre lì troppo a
portata di mano, invitante come i vestiti caldi ed il ristoro ed il riposo. Il
fatto è che nessuno mi aveva detto che oltre ai vestiti caldi, al cibo ed al
ristoro ci sarebbero stati la delusione, le lacrime, la rabbia… (Troisi avrebbe
aggiunto “la subornazione”).
Stavo ancora covando dentro di me tutte quelle sensazioni negative
in occasione della O-Marathon 2014 che non mi ha visto al via, ed era la prima
volta; troppo cocente la delusione, troppo vivo il dolore per una esperienza
che volevo fosse tutta mia e vincente (pur in fondo alla classifica) e che era
stata perdente sotto tutti i punti di vista. Con l’assenza alla edizione 2014,
ho perso anche il diritto al mio titolo di “senatore” della O-Marathon Elite,
cosa che credo ormai sia appannaggio dei soli Roberto Dallavalle e Michele
Franco (e forse Claudio Zanon?). Quindi perché preoccuparsi della edizione
2015?
Solo che poi arriva Skatos.
Flashback. 1° agosto 2015. Otto giorni prima. Il giorno del
mio compleanno ed è un giorno che finisce in un modo molto triste,
orientisticamente parlando (perché questo è il blog di uno che fa orienteering…
o meglio uno che vaga per i boschi mentre gli altri fanno orienteering… ma
occorre sempre mettere le cose nella giusta ottica). Comunque è un giorno
triste. Skatos mi ha respinto! La gara conclusiva della 10 giorni O-Ringen+WMOC
mi ha schiantato. Dopo 11 giorni di gare, 11 mesi di aspettative ed 11 anni di
attesa da quella prima volta a Skatos, mi sono ritrovato senza forze, senza
energie, senza più una goccia di forza di volontà in una delle carte più
esaltanti sulle quali ho mai posato il piede. Respinto senza appello. Forse
avrei potuto finire il mio percorso… in tre ore forse… Attilio mi ha detto, perchè lui
la gara l’aveva finita, che il punto nel quale mi sono ritirato era l’ultima
asperità del percorso, che da lì in poi sarebbe stato tutto più facile. Ma io
non avevo più volontà per andare avanti. Tre ore mi sarebbero servite tutte, ma
non avevo nemmeno più le energie per respirare e far battere il cuore. E poi
tre ore sarebbero state almeno una più de tempo limite che mi ero dato in una
giornata che sarebbe stata tanto impegnativa di suo: chiudere casa, restituire
auto, correre in aeroporto appena in tempo per l’aereo che ci riportava a casa.
Il rischio di far preoccupare i miei amici del GOK per semplice orgoglio non
valeva la candela.
Tanto vale spiegare che senza il GOK non ci sarei io. Perché
il GOK sono gli amici che mi portano alle gare fino in “altrovelandia” perché
c’è una promozionale su una carta bella, o che si svegliano ad un orario
assurdo all’alba per portarmi dall’altra parte della pianura padana quando il
sottoscritto fa lo speaker e quindi vuole avere il tempo di fare il suo
percorso prima degli altri. Senza di loro, che sono quanto ho appena descritto e
molto molto altro ancora, probabilmente parteciperei ad un quarto delle gare
che faccio. E se partecipassi ad un quarto delle gare che faccio, probabilmente
non sarei mai diventato uno speaker, e infine la mia vita sarebbe molto vuota. Sento già la voce di Attilio, se mai leggerà fin qui (perché… ecco… il
GOK non legge il mio blog… dicono che non hanno abbastanza giorni di ferie!),
che dice che sono un testone e che a Skatos avrei potuto farcela e che ce
l’avremmo fatta anche a chiudere casa e prendere l’aereo. La risposta è: ce
l’avremmo fatta ma a prezzo di infinite preoccupazioni. Meglio essere respinto
senza appello da Skatos che respinti senza appello al gate di Goteborg
Landvetter! Anche se il GOK si è dovuto sorbire per tutta l’attesa del volo, il
check-in, il volo e le ore successive il brontolio del sottoscritto che si
doleva e pativa per il fallimento di Skatos.
Poi, ad un certo momento, forse mentre ancora eravamo al
trasbordo ad Amsterdam, una domanda dal nulla si è fatta largo tra i miei
funesti pensieri: quand’è la O-Marathon? Da quel momento, nella mia testa due
voci contrapposte hanno combattuto una battaglia feroce per il possesso delle
mie decisioni. La prima voce era quella dello Stegal pessimista e negativo
(quello solito, diciamo): dove pensavo di andare con le mie poche forze? Alla
O-Marathon? A prendere un’altra legnata nei denti dopo l’edizione 2013 e con le
ferite di Skatos ancora aperte e sanguinanti nella pelle e nel cuore? “Non hai
più l’età per la O-Marathon! Lascia perdere! Non fa per te!!! Hai cercato di
trovare le soddisfazioni all’O-Ringen ed ai WMOC e guarda qui come ti ritrovi…
cercale altrove quelle soddisfazioni! Il cucito e la meditazione, ad esempio!”.
Questa era la prima voce.
La seconda appartiene allo Stegal positivo ed ottimista,
quello che non si vede mai in giro, ma c’è anche lui: in fondo… 12 giorni di
gare erano l’ideale per preparare la O-Marathon. Qualche giorno di riposo
sarebbe stato il toccasana per presentarsi al via con, nei muscoli, la memoria
delle gare in Svezia, con una preparazione tecnica accettabile, con una
missione da compiere per allontanare il fresco ricordo del ritiro nella finale
del Mondiale Long. Quando mai si potrebbe ripresentare una occasione del
genere?
Le due voci hanno brandito la clava chiodata (l’una) e lo
spadone a due mani (l’altra) e hanno cominciato a darsele di santa ragione.
Mentre nella mia testa era in corso quella orrida zuffa, una terza voce è
passata di lì per caso, e non era quella dell’altoparlante che invitava uno di
noi a presentarsi all’immigrazione o dei paramedici che accorrevano a
soccorrere un tale che per girarsi a vedere il passaggio di Conchita Wurst era caduto
a terra di faccia e aveva sparpagliato per tutto il gate di Schiphol i denti
davanti. La voce sembrava molto calma, quasi come quella di Obi Uan Kenobi alle
prese con Luke Skywalker nella SOLA E UNICA SAGA DI GUERRE STELLARI che sia mai
stata girata (la prima trilogia!): “Stegal… lascia perdere le altre due voci e
ragiona. Che tu sia stanco o no, cosa hai sbagliato nel 2013? Non ti sei
rifocillato durante la gara? Puoi rimediare. Hai cercato di alimentare il tuo
inutile orgoglio rimanendo nei trenini fino allo sfinimento? Puoi evitarlo, se
solo accenderai il cervello. La edizione 2015 sarà come quella che più ti
piace: un lungo incessante trasferimento da Folgaria a Serrada attraverso i
boschi, le valli, ci saranno salite e lanterne da trovare. E soprattutto sarai
solo, dovrai pensare fin dall’inizio di dover contare solo ed esclusivamente
sulle tue forze, il che è la cosa che hai sempre fatto… ti è andata male nell’unica
occasione nella quale hai cercato di fare l’atleta serio, e non lo sei. Dovrai essere
lì con la tua testa per 5 ore. Sarà difficile, ma non impossibile."
Ecco perché mi sono presentato al via della O-Marathon Elite
2015. Ed ecco perché l’ho finita: perché ho ascoltato quella voce, e ho
lasciato che le altre due si prendessero a mazzate fino a giacere entrambe a terra silenziose. Il mio corpo ha presentato il conto sabato mattina, prima della
O-Marathon, quando un improvviso e sensibile calo di pressione (dovuto a
qualche tensione lavorativa già accumulata in settimana) mi ha lasciato steso
sul sedile posteriore della GOK-car durante tutto il viaggio allucinante da
esodo estivo da Milano fino a Fondo Grande, ma Attilio e Roberta sono stati grandi
a portarmi a destinazione (solo una volta arrivato a Fondo Grande, nell’enorme
piazzale che ospita i camper, il mio stomaco si è lasciato andare di brutto).
Tre ore di autentica catalessi nel pomeriggio ed un piatto di pasta all’Osteria
delle Coe la sera mi hanno stagnato e foderato lo stomaco quanto è bastato per
passare una notte di sonno meno agitata del solito. Al mattino, la solita
colazione “come se non ci fosse un domani”, ed è stato il momento di
raggiungere il ritrovo a Serrada.
Eccoli. Gli O-Maratoneti. Guardateli. Ci sono i campioni che
fanno riscaldamento, ci sono i favoriti delle categorie master che si aggiustano
le borracce e infilano nelle tasche bustine di gel. Ci sono quelli meno
campioni e meno favoriti che si guardano attorno un po’ più smarriti, ma
comunque fiduciosi del fatto loro: si sono tutti iscritti ad una categoria “abbordabile”,
o comunque quella più congeniale e consueta. Poi ci sono io. Io cerco di
salutare tutti, per quanto mi sia possibile, e lo faccio per un unico scopo:
non rivedrò tutti quanti al traguardo. Intendiamoci! Nulla di tragico o di
ferale!!! No… molti degli O-maratoneti che prenderanno il via, saranno al
traguardo due o tre ore prima di me; andranno al ristoro, si cambieranno,
scambieranno qualche parere sulla gara, e poi prenderanno la strada di casa. In
quel momento io sarò ancora in mezzo al bosco a cercare di spegnere l’incendio
nei muscoli, di trovare la concentrazione per scovare le lanterne più
infrattate e di trivellare il cuore per convincermi che non sono matto, folle,
pazzo… ma che ce la posso fare. Andrà così anche questa volta.
Partenza da Folgaria davanti ai turisti frequentatori dell’isola
pedonale, scesi di buon mattino alla “vasca” per comperare il giornale o per un
cappuccino al bar. Si parte. Io cerco di stare nella coda del gruppo, di
controllare il percorso. Non voglio, non devo!, seguire il ritmo di nessuno,
nemmeno quello di Attilio e Roberta che partono sul percorso Master
maschile. Il mio percorso è molto chiaro: si sale sopra Folgaria per attraversare i
boschetti che conosco bene per averli affrontati in gare sprint o alla prima
sprint-relay 2013. Poi lungo trasferimento verso Costa, a risalire i campi da
golf fino alla nuvola di punti che stanno sopra alla zona del biotopo di Colpi.
Un altro grande trasferimento verso Fondo Grande ed a quel punto siamo nel
bosco tra Folgaria e Serrada, ad affrontare dislivelli, discese e tratte in
costa. In fondo a questa parte di percorso… l’ignoto: il cambio carta è all’ultimo ristoro a due
terzi di gara, dove papà Pezzé ci ha chiesto di arrivare “non più tardi di
mezzogiorno”. A prima vista, l’impresa mi sembra impossibile. Con il senno di poi,
l’impresa sarà impossibile. Ma ci sarà un ma…
(l'unione delle carte di gara, dal sito www.alessiotenani.it)
Salendo per la linea di massima pendenza sopra Folgaria,
vedo la coda del gruppetto di Elite avanti a me. Calcolo in 20 secondi il mio
ritardo, accelerando potrei raggiungerli e giovarmi del loro ritmo e trovare
le lanterne più facilmente. Ma quella non sarà la mia gara. Li lascio andare.
Un angolo acuto nel percorso me li fa incrociare poco dopo: il mio ritardo è
salito a 40 secondi circa; Marco Bezzi mi incita ad accelerare ed unirmi a
loro, ma non posso farlo. Cerco da solo le mie lanterne, faccio da solo la mia
strada, e quando lascio Folgaria per scendere verso Costa vedo davanti a me un
gruppetto di Master, tra i quali Attilio e Roberta. Non devo essere andato così
piano, se sto raggiungendo qualche master che aveva una prima parte del percorso
più corta. Risaliamo i campi da golf e ci portiamo in una zona di bosco molto “sporca”:
i rami a terra e la vegetazione scivolosa si fanno sentire nei muscoli più
delle salite. Per fortuna che qualche master attardato è ancora in zona… non
sarebbe stato facile trovare i punti tutto da solo nelle zone di bosco più
fitto.
Poi il lungo trasferimento verso Fondo Grande, e finalmente
si arriva al primo ristoro. Qui il dialogo con la figlia di Roberto Sartori è
emblematico…
Io: “Scusami per il ritardo… immagino che tu non stia
aspettando altro che il mio passaggio per chiudere il ristoro e andare a casa”
Lei: “A dire il vero ci penserà qualcuno a dirmi quando
andare via. E comunque non sei tanto indietro: sei il tredicesimo che passa e
mi hanno detto che alla partenza eravate un centinaio”
Io: “Grazie. Ma guarda che qui passano solo gli Elite. E gli
Elite in tutto sono tredici… Ti conviene chiamare al traguardo e chiedere...”.
Secondo trasferimento lungo la deliziosa stradina forestale
che collega fondo Grande a Serrada. Cominciano i punti più difficili nel bosco,
che continua ad essere parecchio sporco e pieno di ramaglie e felci: i disboschi
che devo attraversare lasciano nei miei muscoli più ferite di quanto io non
potessi immaginare, e comincio a pensare che forse anche questa volta non ce la
farò. Un richiamo dal basso, un’altra atleta master che mi chiede se ho già trovato
un certo punto. Poi il nulla, solo il ritmo del mio battito cardiaco, le mie
tensioni, la mia concentrazione e la fatica che gestire.
Ogni tanto, il gesto
di strizzare la fascia che protegge i miei occhi dal sudore. Un errore di
parallelo terribile mi porta nell’avvallamento sbagliato, in risalita verso la
strada asfaltata. Perdo i riferimenti e decido di affrontare una ventine di
curve di livello in salita per riportarmi alla forestale e scendere nell’avvallamento
giusto piuttosto che vagare a caso auto-convincendomi che so dove mi trovo e
che magari è la carta ad essere (come sempre) sbagliata!
Orientisticamente, è una scelta assurda: finisco per
impiegare 20 minuti di strazianti fatiche a trovare un punto da 3\4 minuti
anche per me e anche in queste condizioni. Mentalmente, è la scelta più saggia,
è la prova che so cosa sto affrontando e che non saranno i 15 minuti persi qui ad
influire sul risultato finale che mi vedrà comunque al traguardo, se così sarà,
attorno alle 5 ore. Dalla forestale, prendere l’avvallamento giusto e trovare
la lanterna è un gioco da ragazzi. E’ il momento di affrontare l’ultima parte
della seconda tranche del percorso e di raggiungere, se ancora ci sarà
qualcuno, il secondo ristoro a due terzi di gara.
Lo vedo dal fondo del sentiero. Papà Pezzé. Mezzogiorno è
già passato da un bel po’… probabilmente starà maledicendo chi lo ha messo in
quel ruolo, ed ovviamente anche il sottoscritto che si fa attendere oltre ogni
possibile ritardo. Lo chiamo da lontano per farmi vedere, sta arrotolando gli
striscioni degli sponsor, e poi arrivo finalmente al suo cospetto.
Io: “Ciao, scusami per il ritardo… immagino che sarai qui da
un bel po’ ad aspettarmi”
Lui: “scusa di che? Sono qui che mi sto godendo la giornata.
Guarda che posticino tranquillo, c’è il sole e fa fresco, non avevo mica voglia
di andare via finché non siete passati tutti”
Io: “Cosa posso prendere dal ristoro?”
Lui: “Guarda… qui c’è un po’ di tutto. ‘Sto gel qui l’è ‘na
roba del Sartori che per me l’è ‘na bomba. Poi gh’è anca ‘na roba lassata qui
dal Truffa, e quest’altra la è del Cipriani… la te vòl ti?”
Mi: “Mah… se la va ben per el Cipriani, la servirà anca a mi
che son ‘no sparzo! Podi ciapar su anca due o tre robe del Sartori?” (scusa Cip
se non ti hanno riportato la tua bomba! L’ho presa io!)
Lu: “Ciapa pur su tutt quel che te vòl ti, che mi se no devo riportar su tutt a Serrada”
Papà Pezzé. Una sicurezza. Una roccia. Il quel momento ho avuto la conferma che avrei finito la O-Marathon, anche per rispetto verso di lui.
Lu: “Ah! Vara che adess te l’hai quasi finida. Te manca solo ‘na gara middle per finire. Gh’è massa punti da far, ma sta sicuro che se i te trovi, te ‘rivi a Serrada che mi non son manco demò là”.
Incomincia l’ultimo terzo di gara: la middle nel bosco sopra
Serrada. Primi punti nel fazzoletto di bosco tra le rocce. Tutto ok. Poi un
rumore ed un salto di due metri da fermo. C’è ancora qualcuno nel bosco oltre a
me: una tuta del Varese Orienteering che non si capacita di non essere rimasta
solissima lungo il percorso! Allora c’è qualcun altro ancora in giro! Punti tranquilli, in sicurezza. Sentieri e bivi quando
serve, forme grossolane del terreno per attaccare i punti. Qualche piccola
incertezza qua e là, e quando questo accade ogni passo in più comincia a
diventare pura sofferenza, ma il traguardo è sempre più vicino e non ho voglia
di mollare adesso che sono arrivato sull’ultima carta di gara del percorso. Un
lungo trasferimento verso Serrada in una zona nella quale la vegetazione e le
ortiche dovevano essere molto più rigogliose prima del passaggio degli altri
O-maratoneti (sia benedetto il primo che è passato!). Ecco Serrada, qualche
punto nella zona residenziale, più facile di altri ma ormai le energie sono al
lumicino.
Al lumicino, ma qualcosa deve sempre rimanere in vena perché
il penultimo punto del percorso, quando ormai comincio a sentire in lontananza
i rumori del campo sportivo dove è posto l’arrivo, è infognato in un
avvallamento introvabile al primo passaggio ed al secondo passaggio. Ma dico
io, penso tra me… ma proprio un punto così impestato nel fitto del bosco
dovevano andare a mettere come penultimo punto prima della volata? Al terzo
passaggio la lanterna compare davanti a me come per magia: ogni volta mi chiedo
come ho fatto a non vederla prima, come se un folletto l’avesse fatta sparire e
poi me l’avesse fatta ricomparire davanti all'improvviso solo per bearsi della
mia desolazione e del mio stupore. Da lì in poi, occorre solo lasciare andare
le gambe (senza sbagliare sui bivi dei sentieri) fino al traguardo… in salita!
Lo scarico della sicard stavolta è una formalità. La mia
strisciata dei tempi farebbe rabbrividire un campione, farebbe ritornare dall’aldilà
Vladimir Pacl ad impedire la diffusione dell’orienteering in Italia onde evitare
che uno come me potesse anche solo pensare di provarci, dovrebbe spingere il
Gronlait Orienteering Team ad introdurre una postilla nel regolamento che dice
che l’Elite è riservata ad un certo tipo di soggetti, e che mica tutti possono
pensare di farla. Ma è il MIO scarico della sicard. Ce l’ho fatta. Ce l’ho
fatta anche questa volta! Attorno alle 5 ore, un tempo da vergognarsi… ma non me
ne vergogno affatto. E’ la prova della MIA O-Marathon, della MIA avventura
lunga un giorno.
Una avventura che dura da 7 anni, e che continuo a portare
con me ogni volta che vado in un bosco a cercare una lanterna.
Addio 2015. Sei stato faticoso, mi hai fatto dannare e
maledire certi momenti nei quali in gara non sono riuscito a raccapezzarmi. Ma
mi hai regalato questa perla.
Addio 2015.
Benvenuto 2016.
5 Comments:
tutto molto commovente, ma che cavolo di dialetto parla papà Pezze???
E che ne so? E' da 40 anni che non sento parlare il dialetto tutti i giorni, e non avevo voglia di andare a cercare sulla grammatica del Castelli :-)
Io mi ricordo così, più o meno il concetto si capisce...
Decisamente Shakespeare e Tennyson ti fanno una pippa, e il GOK non sa cosa si perde.
Commento di oggi di un importante esponente GOK: "Non abbiamo bisogno di leggere il blog per sapere quello che abbiamo vissuto e sentito in diretta (le lamentazioni)" :-)
Petzl...Petzl...ma complimenti per - 10 Kg
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