Nella mezza (maratona) del cammin di mia vita…
Sfinito ma arrivato al traguardo. Potrebbe essere il riassunto
della mia ultima domenica dis-orientistica, che non mi ha visto al via della
gara regionale di Brinzio bensì nella meno boschiva ma più tranquilla mezza
maratona di Certosa di Pavia. Il riassunto delle 48 ore che precedono il via ve
lo risparmio, perché interesserebbe ben pochi lettori o lettrici… Diciamo che
sono arrivato alla sera del venerdì (primo aprile) concludendo una settimana
che sapevo sarebbe stata fatta di tante di corse matte e strambe (quelle che fa
”il cavallo senza gambe \ se lo sprona e
lo molesta un bambino senza testa…”), motivo per il quale non mi ero
nemmeno iscritto a Brinzio. C’era una alta probabilità che si avverasse il sogno di trascorrere almeno un giorno intero a
rotolarmi tra le coperte del letto o tra i cuscini del divano per recuperare.
Sabato pomeriggio però è arrivato forte il richiamo “Chilometri!
Chilometri! Chilometri!”. Occorre mettere chilometri nelle gambe se voglio
affrontare con le energie necessarie i prossimi impegni! E’ stato così che
domenica mattina all’alba mi sono alzato, infilato nei calzoncini e nella
termica (che si rivelerà poi abbastanza inutile) e mi sono presentato al via
della mezza maratona della Certosa di
Pavia organizzata dalla società con cui collabora anche il collega seduto
due metri dietro di me in ufficio (il mio è un ufficio strano… possiamo
sembrare tutti dei mollaccioni, io per primo, ma il numero di borse da palestra
che compaiono ogni giorno è esagerato, ed inoltre in 5 si sono appena
presentati al via della Stramilano della settimana precedente!).
Sono passati gli anni nei quali una mezza maratona, o giù di
lì, una domenica si ed una domenica no erano il mio pane. Adesso gli impegni me
li devo andare a cercare con molta cura
(mi sento pur sempre sfinito = demolito +
spappolato) ma il tipo di terreno della mezza maratona che mi aspetta è
quello che più si avvicina alle mie caratteristiche: piatto, totalmente piatto,
inderogabilmente piatto! D’altra
parte non è la prima volta che dico che dalle mie parti, se vogliamo andare a
cercare il dislivello, dobbiamo usare il cavalcavia sopra l’autostrada… Il
panorama non è quindi all’altezza di certe corse brianzole con vista sulla
Grigna, sul Lissolo, sul Tetto della Brianza; il mio percorso non affronterà
tratti caratteristici come il temibile
“piramidone” del Memorial Longoni a Barzanò, o salite all’Alpe del
Tal-dei-Tali: ognuno deve fare il suo mestiere, ma pur essendo cresciuto in una
località di montagna, il mio terreno preferito è quello della bassa padana tra
Milano e Pavia; almeno qui non mi devo cimentare su percorsi che sembrano fatti
da tracciatori sadomaso che talvolta ti fanno salire un dislivello assurdo per poi farti scendere pochi metri più in
là, al solo scopo di aggiungere un “D+” (dislivello positivo) alla corsa…
sono disponibile a fare dislivello se questo sforzo mi consente di vedere
qualche bel posto, o di passare per un sentiero che altrimenti non farei, ma
non se è funzionale solo a salire di 200 metri di dislivello di botto per poi
farmi girare i tacchi e scendere dalla stessa strada o pochi metri più in là a
riprendere il percorso originale! Non mi chiamo mica Alvin, o “il Moro”, o
tutti quanti gli altri amici matti di Dario “Darietto la carogna” Stefani che
si fanno la UltraBericus come aperitivo!!!
E’ una domenica mattina fresca, che si scalderà solo nel
finale di gara, ed alle 8 del mattino io ho il mio Ipod nelle orecchie, il
cartellino per i controlli in tasca, la maglia di ordinanza
blu-come-il-cielo-luminoso fornitami da Banka Koper (ormai mio sponsor
personale) e parto con un ritmo tranquillo perché non voglio rischiare di
finire cotto e stracotto a due terzi della mia fatica. Il primo tratto di
percorso, dopo un giro nel parco di Certosa, si sviluppa sulla ciclabile del
Naviglio Pavese: una tirata di qualche chilometro che sembra tracciata dalla pallottola di un fucile
da tanto è dritta e sembra non finire mai. Istintivamente, nonostante la musica
nelle orecchie mi tenga compagnia e mi generi qualche bella scossa emotiva,
cerco di agganciarmi a qualche trenino di podisti; l’unico risultato è quello
di trovare altro materiale per la mia tesi di laurea in medicina sportiva
applicata agli impiegati panzottelli: la “sindrome
da corridore solitario”.
Per raccontarla in breve (Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!): possibile
che, tra tutti i corridore al via, solo io sempre io nient’altro che io non
riesco mai a trovare qualcuno che va al mio ritmo? Ok… io parto da solo, mentre
ci sono parecchi attorno a me che si presentano al via insieme, si allenano
probabilmente insieme, sanno di avere lo stesso passo o comunque uno molto
simile. So anche che non è bello accordarsi passivamente ad un gruppetto di due
o più amici (come un succhiaruote)che magari tra una curva e l’altra si fanno e
si raccontano i fatti loro, soprattutto se nel gruppetto corre qualcuna delle rare donzelle al via che
sembra di essere uno che si vuol fare bello davanti alle amiche degli altri.
Però non mi sembra davvero possibile che, quando corro, lo spazio tra me ed
il\i podisti più vicini sia sempre di una ventina di metri! E si tratta di
gente che o mi ha appena passato a velocità warp con un missile piazzato nel
didietro, oppure di gente che si è trovata davanti all’improvviso ed al terzo
chilometro sta già patendo la distanza, o che non è capace di tenere un ritmo
costante!
Sono qui che ascolto la mia musica e sviluppo la mia tesi di
laurea, ed all’improvviso mi sfila una maglia bianca e azzurra di una qualche
squadra AVIS della zona; colgo il nome sulle spalle (mi pare “Lorena”) e vengo
colto da una specie di odio diffuso
per l’umanità intera con pochissime eccezioni: si tratterebbe solo dell’ennesimo
classico esemplare di podista dei circuiti della bassa padana, se non fosse che
è alta 1 metro e 45 a dire tanto, mulina le gambette ad un ritmo che al
confronto Chris Froome quando scatta sull’Alpe d’Huez è un dilettante, e mi sta staccando come
nemmeno Bip-Bip quando vuole smettere di divertirsi con Wile.E.Coyote… A quel
punto guardo l’orologio, faccio due conti, e capisco che va bene il ritmo
tranquillo da “demoliti e spappolati di
tutto il mondo unitevi”… ma a tutto c’è un limite e quindi è il caso di
darsi una mossa.
La prima cosa da fare, intanto, è andare a riprendere
“Lorena” che è avanti a me una cinquantina di metri. Ma con calma, senza
strappi, usando il metodo che usava
Paavo Nurmi quando lasciava andare via gli avversari e poi si immaginava di
cominciare a ripescarli con la canna da pesca, finché essi dovevano per forza di cose “retrocedere verso
di lui”. Mentre sono qui all’ombra del primo sole a fare il pescatore di
tappe-che-mulinano-gambette, Lorena (o come diavolo si chiama) ad un certo
punto scompare come volatilizzata! Dietro non è, fermata non si è… Ah! Capito
tutto. Siamo al bivio dei percorsi: a sinistra proseguono i (mezzi) maratoneti,
a destra vanno quelli della 13 km. Improvvisamente, davanti a me, il vuoto
totale! Hanno girato tutti quanti, o quasi, a destra e devo convincermi che
sono ancora sul mio percorso cercando le balise
a bordo strada. Allora ditelo! Scrivetevelo con un pennarello sulla schiena!
Non “Lorena” o “il drago della bassa” o “non seguitemi mi sono perso”! Scrivete:
“sto facendo la 13 km e quindi non
demoralizzarti , oh tu che fai la 21 km, se ti sfreccio a fianco”.
Da solo e senza altre Lorene da raggiungere, torno ad
affidarmi all’Ipod ed alle sensazioni nelle gambe fino al ristoro del settimo
km abbondante posizionato all’interno dell’”oasi”, una zona protetta per gli
uccelli migratori che viene aperta al passaggio dei podisti solo in occasione
di questa corsa. Un ristoro fatto al volo mi consente di uscire dall’oasi con un trenino di altri tre podisti, così
almeno non sono sempre da solo (anche se sono il quarto del gruppetto, staccato
sempre di qualche decina di metri); osservando i miei compagni di avventura,
vengo colto da un pensiero sgradevole: ma
quanto corrono male questi qui?!? In particolare uno, quello che è davanti
a me di appena una ventina di metri, a vederlo non offre una bella impressione:
bassottello, tarchiato, corre veramente piano ed in un modo tutto sgraziato, al
punto che il mio primo pensiero è: “questo
perché non se ne è stato a casa sua, anziché venire qui a farsi del male?”.
E’ bassottello, mentre io sono alto, è tarchiato… vabbé… su questo non ci posso
fare molto!, corre veramente piano e in modo sgraziato e… ehi! E’ davanti a me! E per quanto a me
sembri di correre bello, pulito e plastico come Abebe Bikila, non c’è verso di
raggiungerlo. Forse che anche dietro di me c’è qualcuno che sta pensando (di
me) “e questo perché non se ne è stato a casa sua, anziché venire qui a farsi
del male?” ??? Me ne convinco a tal punto che mi giro a controllare, ma dietro
c’è sempre il vuoto pneumatico.
Ok. Allora è giunto il momento di farsi avanti. Pian piano
riduco le distanze e lo supero, e questo si incolla dietro di me. “Ecco chi è
il succhiaruote!” penso… ma non passano nemmeno 500 metri che questo parte con uno scatto come nemmeno Usain Bolt
e recupera la cinquantina di metri che ci separano dai due davanti e si attacca
a loro! E io chi sono? Di scattare in quel modo non se ne parla proprio, perché
mi ritroverei piegato in due a vomitare alla curva successiva. Registro lo
strano comportamento di quel tizio e mi metto di buzzo buono a limare qualche
curva per provare a raggiungere l’improvvisato terzetto. Attraversiamo paesini
di cui non sospettavo nemmeno l’esistenza (chi
ha mai sentito parlare di Baselica Bologna???), autentici ghost-village graziosi
e carini ma che, rimasti fuori dalle principali vie di comunicazione statali o
provinciali e da quelle che portano a qualche centro commerciale, sembrano
finiti persino fuori dal tempo. La distanza tra me ed il terzetto di riduce
centimetro dopo centimetro, sto per prenderli finalmente e… uno di questi si
ferma di botto! Ma cos’è? Ti ho seguito per 5 km dopo il ristoro e adesso che
ti ho preso abbandoni? Mentre passo a fianco, chiedo se va tutto bene e mi
sento rispondere “no… solo un dolorino…
lascio che passi e riprendo”. Il suo compagno di allenamenti si ferma pure
lui, il tracagnotto fa un altro scatto violento e si riporta avanti di 50 metri
almeno, ed io continuo a correre tutto solo.
Al ristoro del 15 km siamo tutti insieme ed io faccio altri
due conti. Qui con me ci sono: uno che sembra
un fustino del Dash e che fa le ripetute, uno che si ferma perché ha i
dolorini… e io allora chi sono? Sono solo uno che, evidentemente, non ha molta
voce in capitolo quando si tratta di prestazioni atletiche. Mi rimetto comunque
di buzzo buono e, in uscita dal ristoro, aumento un po’ l’andatura
approfittando del ritmo blando tenuto all’inizio. Tanto corro sempre da solo. Faccio entrare qualche bella “power
song” nell’Ipod e la scossa alle gambe mi aiuta ad arrivare agli ultimi
chilometri. Al cartello dell’ultimo chilometro allungo ancora ed arrivo in
bella spinta al traguardo: non sono nemmeno stanco come potevo immaginare, e
non patisco i 21 km né durante il pomeriggio di domenica né il giorno
successivo. Forse avrei potuto dare di più, ma non volevo proprio rischiare di
finire la benzina a tre quarti del percorso.
Un bel percorso, da rifare e suggerire agli amici (almeno a
quelli che non disdegnano di correre nella “bassa”), magari con l’aggiunta di
qualche garetta serale più corta visto che adesso parte anche il circuito delle
infrasettimanali. Tuttavia esco da
Certosa con un dubbio amletico: non è che quando corro, o quando faccio
orienteering, la gente pensa davvero di me “questo perché non se ne è stato a
casa sua, anziché venire qui a farsi del male?”.
Post scriptum: per i soli finali, il tarchiato che
faceva le ripetute è arrivato che io mi ero già cambiato e rifocillato…
1 Comments:
Non può aver fatto la 21 perché ha un personale di 2 ore 7 minuti sulla mezza (come dice internet, e io ci credo!) fatto in over-60, ed io se permetti quel tempo di 2 ore e 7 minuti me lo TU-TU-TU-TU-TU-TU-TU-.........
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