Una questione da poco
Vorrei subito mettere in chiaro un punto: scrivendo quello che troverete qui sotto (se avrete la pazienza di leggere fino in fondo) non voglio certo fare sfoggio di competenze che non ho, non voglio fare vanto di sapere come si risolve uno tra i problemi più gravi che affligge i nostri tempi (o, meglio, che affligge fin dall’inizio dei tempi). Non ho io la soluzione, anche se ritengo che la soluzione sia in ognuno di noi. Chiamatemi pure lo stolto che guarda il dito anziché la luna, chiamatemi pure quello che non ha capito niente, quello che parlandone in modo irriverente sottovaluta la cosa perché per sua fortuna non ci è mai passato, quello che “certi argomenti non li devi andare a trattare così”, quello che “… e te ne accorgi adesso e vieni a farci tutto il tuo pippone?”, quello che… quello che… quello che… Non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno, e per dirla tutta non sapevo neppure del significato dato al 25 novembre. Il che, forse, da l’idea di quanto io viva l’argomento in modo làbile e poco partecipato. Però questo è il mio pensiero.
***
Antefatto: 21 settembre 2014 – Passo Vezzena –
zona del traguardo – voce registrata dello speaker
Ancora un titolo da assegnare… categoria W17 e
nessuna squadra è arrivata al traguardo. NO! UN MOMENTO! Una tuta blu e nera
compare da dietro la collina! Il Gronlait… con Francesca Buffa! Il Gronlait sta
per aggiudicarsi l’ultimo titolo della giornata! E’ finita anche la categoria
W17… E INVECE NON E’ FINITO NIENTE! Sta arrivando anche De Nardis! Polisportiva
Masi!... De Nardis all’inseguimento di Buffa che sembra sfinita! … 40 metri di
vantaggio per il Gronlait! … La W17 non è ancora finita quando mancano meno di
200 metri al traguardo! Gronlait contro Masi! … Buffa contro De Nardis che ha
un bersaglio davanti a sé a meno di 30 metri di distanza! … Buffa all’ultimo punto!
… Buffa si volta a cercare De Nardis… che è sempre più vicina! … 20 metri
adesso di distacco… Buffa sembra non averne più E MANCA ANCORA TUTTA LA SALITA
FINO AL TRAGUARDO! … Anche De Nardis è stanchissima! Ma la medaglia d’oro è
ancora lì a portata di mano! Buffa ora sulla run-in! Anche De Nardis imbocca la
corsia finale!... Buffa si volta indietro… anche De Nardis è stanchissima! …
Buffa sull’ultima curva! … E’ una corsia finale eterna!... 10 metri di
distacco!... Adesso sono meno!... Mancano pochi metri! Ancora 20 metri per
Buffa incitata dalle sue compagne! … De Nardis le sta arrivando addosso!... 10
metri! 5 metri! BUFFA SI LASCIA CADERE SUL TRAGUARDO! Gronlait è campione
d’Italia W17! La Masi è seconda! La rincorsa feroce di Francesca De Nardis è rimasta
a 5 metri dal successo!...
***
So che i problemi sono altri, so che ci sono
ben altri modi per dimostrare sostegno e vicinanza e rispetto alle donne, nello
sport e non solo. Questo credo di saperlo bene. Persone ben più qualificate di
me hanno già parlato del tema che menzionerò nel racconto e tramite i miei ricordi
personali che seguono. Ad esempio: https://ildragomanno.wordpress.com/2014/08/15/parita-genere-lostaifacendosbagliato/
In conclusione del pezzo
linkato viene proprio scritto “Non è certo un articolo a discriminare una donna
rispetto a un uomo, e non
è eliminandolo che si risolve il problema della disparità”.
Solo che domenica mattina,
ascoltando una telecronaca di sci alpino infarcita di “LA”, ho provato una
sensazione che stavolta vorrei definire tutta maschile: mi sono veramente
girate le palle!
***
In principio Quello Lassù
aveva deciso di rimanere sul facile. Dopo 6 giorni di lavoro indefesso,
dedicati alla creazione di cielo e mare e stelle e sole e luna e pesci e
animali, aveva creato l’essere umano. Un genere solo bastava. Il genere era
quello maschile: uno solo, Adamo. C’era solo lui e non si faceva confusione: il
recinto non era chiuso bene e le bestie si disperdevano nei dintorni? La colpa
era solo sua. La luce restava accesa tutta la notte perché nessuno aveva spento?
Sempre colpa sua. La pattumiera non si portava in strada nel giorno giusto? Il percorso era posato male? “Adamoooooo!!!! Ma che ti possino…”. E
non c’era nessun altro che poteva prendersi la colpa.
Però poi Quello Lassù deve
essersi montato la testa. “Proviamo a
complicare un po’ la situazione…” deve aver pensato. E creò un altro genere,
quello femminile: Eva. Quindi Eva arriva qualche tempo dopo Adamo, un po’ a
rimorchio. Adamo nel frattempo aveva già avuto il tempo di ridurre il salotto
ad un porcile, di riempire il frigorifero di porcate e di abbandonare cartine e lanterne ovunque in casa. Eva si mise di
buzzo buono, e le cose cominciarono ad andare meglio.
A quel punto però sorse il
problema che Adamo ed Eva dovevano distribuirsi bene le mansioni, sennò Quello
Lassù avrebbe potuto andare in confusione. Come diceva Simona, collega al capannino
di Astrofisica, Adamo si riservò il compito di spaccare la legna per l’inverno,
cacciare l’orso, cartografare la foresta,
procacciare il cibo e cose così. Eva avrebbe badato che Adamo non facesse
troppi guai, avrebbe badato alla casa, ai bambini ed alla loro educazione, al rispetto delle linee guida ISOM e ISSOM
e cose così. Nessuno voleva correre il rischio che, se un giorno Eva si fosse
messa a procacciare il cibo e Adamo a badare alle linee guida, Quello Lassù potesse
andare in confusione.
Solo che, un giorno, Adamo era
a letto con 37,3 di febbre e stava cercando il prete per ricevere l’estrema
unzione. L’orso era effettivamente nelle vicinanze e stava facendo razzìa
nell’orto. Così Eva, che aveva solo la febbre a 38,9, dopo aver portato su la
legna dal ripostiglio e aver finito di imbiancare il tinello, decise di andare
fuori a cacciare l’orso. E lo fece con tale perizia che Quello Lassù si lasciò
andare ad un “Bravo Adamo! Ben fatto!”.
“Io non sono Adamo, sono Eva” fu la risposta a Quello Lassù. Che
rimase perplesso. Il compito di cacciare l’orso era del maschio. Possibile che
anche Eva fosse un maschio? Questo pensiero Lo arrovelllò fino al giorno in
cui, guarito Adamo, i due Gli si presentarono e dissero: “Io sono Adamo, il
maschio”. “Io sono Eva, la femmina”. E poi all’unisono: “Solo che ogni tanto ci scambiamo i compiti!”. Questa cosa
destabilizzò Quello Lassù, che aveva perso gli occhiali e non distingueva più
Adamo da Eva se non in base ai compiti che questi svolgevano. Aveva quindi
bisogno di trovare una soluzione al più presto, perché insomma Quello Lassù
aveva la fama di essere infallibile, e se tra gli altri Quelli Lassù si fosse
sparsa la voce che sbagliava pure ad appioppare il nome ai due bipedi sulla
Terra (due ne aveva da gestire! Mica miliardi), avrebbe perso punti
rapidamente. La soluzione che trovo fu di aggiungere due lettere ad uno dei
nomi:
“Tu Adamo sarai per sempre
Adamo. Tu invece Eva sarai per sempre LA
Eva! Così, con l’aggiunta di due sole lettere, io non farò più confusione.
Quando mi direte che Adamo ha preparato il caffè, capirò che è stato l’uomo a
farlo. Quando vi sentirò dire che LA Eva ha costruito l’argine per portare
l’acqua corrente in casa, capirò che è stata la donna a farlo”
Pare che sia per questo motivo
– per un senso di rispetto nei confronti di Quello Lassù - che ancora oggi
tantissime persone, soprattutto nella redazione delle cronache sportive, si
sentono in dovere di rispettare la regola che Rossi, Sinner, Ibrahimovic,
Gallinari, Windisch e compagnia cantante si nominano così, mentre per parlare
dell’altra parte dell’universo si parla delLA Goggia, delLA Pellegrini, delLA
Cagnotto, delLA Kostner, delLA Wierer e via dicendo.
***
Non prendetemi per pazzo. Credo di capire anche
io che i problemi, quando si parla di violenza in ogni forma sulle donne, sono
ben altri. Se solo guardiamo alla sfera sportiva, è lampante la disparita nelle
cronache, negli spazi e nelle considerazioni, con i giornali che tendono a
commentare non solo i risultati ma anche il taglio dei capelli o
l’abbigliamento più o meno intrigante. Però questa cosa dell’articolo “LA” mi
ha sempre lasciato davvero perplesso e sconcertato. Nella storia dei Giochi
Olimipici, così come nello stupido raccontino qui sopra, le donne sono state
ammesse a tavola dopo gli uomini.
Forse la mia fortuna è stata che, quando ero bambino, a Tavon venivano a passare la villeggiatura due pimpanti signore di Pavia, Germana Malabarba e Diana Pissavini, che avevano fatto parte della squadra di ginnastica artistica che aveva vinto l’argento alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928. Un argento che, nei racconti non solo loro ma persino dei giornali locali (olandesi, perché olandese fu l’Olimpiade e fu l’Olanda a vincere), avrebbe potuto essere oro se non fosse che l’Italia eseguì l’esercizio senza il supporto di un accompagnamento musicale al pianoforte, cosa che fece l’Olanda impressionando benevolmente i giudici.
Il mio primo contatto con due autentiche sportive fu quindi con due donne. Lo sport olimpico femminile ebbe il suo primo oro con Ondina Valla alle Olimpiadi del 1936, poi con Irene Camber (secondo la dizione di “Storia delle Olimpiadi”, mutata in Campber in “Storia delle Olimpiadi invernali”) a Helsinki 1952. Credo che il merito di aver sdoganato a tutti i livelli televisivi lo sport al femminile possa essere attribuito a Sara Simeoni, ma siamo già al 1978 ed agli Europei di Praga con record del mondo nel salto in alto. Io invece avevo avuto la fortuna, una volta sbarcato a Milano, di frequentare quasi tutti i giorni, seppure bambino, il campo sportivo “Cappelli” in Piazza Caduti del Lavoro dove, che ci fosse il sole o che piovesse a dirotto, agli ordini del professor Renzo Testa dello Sport Club Italia si allenava ogni giorno una certa Paola Pigni. La pista di atletica del campo Cappelli non era (non lo è neppure adesso) omologata per le gare di atletica: 6 corsie di terriccio nero a fare da cornice ad un campo di calcio spelacchiato, con la particolarità che il giro completo della pista era di circa 370 metri. Così i volenterosi atleti avevano segnato con la vernice sul bordo dell’anello più stretto il punto, ancora sul rettilineo fronte tribune, dal quale dovevano partire per cimentarsi in una cronometrata sui 200 metri. E se volevano provare un 400 metri dovevano percorrere i primi 30 metri del rettilineo prima di affrontare la prima curva. Paola Pigni si allenava lì in qualunque condizione meteorologica: se diluviava, saliva sulle tribune ed affrontava dure sessioni di allenamento sui gradoni degli spalti.
(cronaca di una gara disputata all’Arena di Milano, presa dal sito della Fidal)
Pigni vinse il bronzo alle
Olimpiadi di Monaco 1972, quelle della strage di Settembre Nero, e alle stesse
Olimpiadi il mondo fece la conoscenza di Novella Calligaris, tre medaglie tra
argento e bronzo nel nuoto e poi medaglia d’oro e primatista mondiale a
Belgrado 1973 negli 800 stile libero. Nonostante io avessi appena compiuto 5
anni, avevo l’album delle figurine di “Munchen ‘72”, e di Novella Calligaris
non si faceva menzione. Ben diverso l’album “Campioni dello sport 1973” dove
Calligaris compariva con le sue tre medaglie (la stessa figurina che è oggi sulla
sua pagina wikipedia).
A me è sempre sembrato ovvio
che Marcello Fiasconaro (tanto per dire di un altro che frequentava il campo
sportivo Cappelli e che, dopo gli allenamenti che fecero di lui il primatista
mondiale sugli 800 metri, prendeva un pallone dalla strana forma ovale e
cercava di insegnare a noi bambini cosa fosse il rugby, lui che veniva dal Sud
Africa) fosse “Fiasconaro”, che Pigni fosse “Pigni”, che Donata Govoni (nata a
Pieve di Cento, il paese di mia zia Ida, e che vinceva le corse a scuola contro
i maschi) fosse “Govoni” e stop.
In tutti questi anni, da affamato
di cronache e telecronache sportive, ho sempre sentito un fondo di disagio nel
leggere o nell’ascoltare celeberrimi e meno celebri commentatori sportivi che
parlano tranquillamente della gara di Tortu, della nuotata di Paltrinieri o del
diritto di Sinner, e poi come se niente fosse commentano il salto delLA Trost,
le rimonte delLA Pellegrini e i vincenti delLA Pennetta. Lo considero un
retaggio del tempo in cui, nell’atletica come in altri sport, la presenza
femminile doveva necessariamente essere connotata dagli addetti ai lavori alla
stregua di un mondo a parte, di intermezzo, di "non è una cosa
seria". Un maschilismo strisciante che aveva già relegato la parte
femminile dell’universo al ruolo di sesso debole.
Questa cosa viene
continuamente mantenuta e tramandata di generazione (non solo giornalistica) in
generazione in tanti modi subdoli, tra i quali secondo me c’è anche l’uso
continuo di quell’articolo “LA”. Non c’è nessun motivo per usarlo, mi dico. Se
un telespettatore sta guardando una gara di sci alpino, come è successo a me domenica
mattina (ho retto 2 minuti, poi ho spento e sono andato a correre), non c’è
nessuno bisogno di continuare a ripetere LA Shiffrin, LA Brignone, LA questa o
quella. C’è scritto già: slalom speciale FEMMINILE. Spettatori e spettatrici non
l’hanno notato? Se seguono quello sport, sapranno benissimo da solo chi sono
Shiffrin e Brignone (mia madre lo sa!)
Se non lo sanno, basta un minuto per vedere l’atleta al traguardo, vedere le sue avversarie (o i suoi avversari, se la gara è maschile) ed inquadrare la situazione. Se ancora non fosse sufficiente, basterebbe al telecronista il piccolo escamotage di dire ogni tanto il nome dell’atleta: MIKAELA Shiffrin, FEDERICA Brignone. Ci sono dubbi? Invece no. Che a fare la telecronaca ci sia IL telecronista o LA telecronista o entrambi, quell’articolo è sempre presente, a perpetuare lo strisciante maschilismo che permea anche il mondo dello sport.
Io non sono un cronista
sportivo o un giornalista. Sono solo (e finché mi sarà concesso) uno speaker di
orienteering appassionato o, come sento dire sempre più spesso, uno
storyteller. Penso (ma attendo smentite) che in tutti questi anni come speaker
nessuno mi ha MAI sentito mettere l’articolo davanti al nome di una atleta. E
se l’ho fatto, posso vergognarmene. C’è una unica atleta, una sola, per la
quale ho usato l’articolo “LA”, ma l’ho fatto unicamente nelle nostre
conversazioni al campo di gara, prima o dopo la competizione, dopo aver ben
specificato che quell’articolo, usato per lei soltanto, rappresentava
unicamente il segno del mio rispetto per una atleta che a livello regionale
master si batteva alla grande nelle categorie maschili, dandoci anche delle sonore
legnate, come i tempi al Campionato Regionale a Staffetta disputato al Parco
della Pellerina sono lì a dimostrare. L’atleta in questione è Giovanna Varoli
dell’AAA Genova.
***
Detto tutto questo, ho risolto
il problema? No. Ho contribuito in qualche forma a cambiare lo status quo?
Neppure. Ho vinto qualche riconoscimento? Nemmeno.
Ma nessuno di questi è per me un motivo abbastanza valido per smettere di parlarne.
3 Comments:
ciao Stegal,
su questo tema mi ritengo abbastanza sensibile, ma la questione del "la" davanti al cognome delle atlete non l'avevo mai notata. grazie!
Immenso <3
Bravissimo
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