Calendario dell'Avvento - giorno 13 - Corno alle Scale - Coppa Italia long
La gara più creepy dell’anno? Risposta facile, almeno per me: Corno alle Scale. Posso ripensare a quella gara e sentire di nuovo la pelle d’oca sulle braccia. Ma non per il freddo. NON – PER – IL – FREDDO. Come al termine delle puntate più riuscite della serie “Ai confini della realtà” che poi non mi facevano dormire la notte, come durante la scena finale di "High Plains Drifter" con la sagoma dello straniero Clint Eastwood che sparisce nel nulla. Almeno Clint spariva in una giornata di sole…
Antefatto. Il morale è quello che è. A Gaggio Montano il giorno prima non ho capito
nulla. A Corno alle Scale so già da qualche settimana che non potrò completare
il percorso. Troppo distante la partenza dal luogo dove dormo, troppo lunga la
gara (un’altra long distance d'altri tempi in questo 2021), io troppo fuori forma
per potermela cavare in un tempo anche di poco superiore alle tre ore.
Perché lo faccio allora? Perché credo nei miracoli e perché
voglio sempre vedere con i miei occhi dove andranno gli Elite (anche se a conti
fatti farò solo due terzi del percorso). Però di miracoli a Corno alle Scale
non se ne verificano, e quanto a vedere con i miei occhi…
Il momento creepy lo avevo già vissuto, ma quella sensazione
di essere finito in un’altra dimensione mi avrebbe accompagnato per tutta la gara.
Accade tutto nella lunghissima tratta tra la 2 e la 3, una tratta che ci vuole
fede ed incoscienza solo per pensare di poterla fare, sulla scala 1:15.000.
Sono uscito dal punto 2 andando verso ovest, su una pendenza assurda, con un
solo obiettivo in mente: raggiungere il crinale. Il terreno compare e scompare
a momento alterni a seconda se il vento gelido cresce o cala, nel qual caso mi
ritrovo istantaneamente nelle nuvole basse.
Per arrivare la crinale impiego una vita, ma il mandato ricevuto da Alessio è forte e chiaro: “quando sarai su, prova a capire se possiamo mandare gli Elite a correre sul crinale, a te di sicuro il vento non ti porta via… ma gli altri potrebbero avere qualche problema”. Poco dopo la metà tratta, quando ormai il mio unico pensiero è “chi me l’ha fatto fare” passo di fianco al rifugio posto sopra il lago Scaffaiolo. Due gitanti che hanno evidentemente dormito lì stanno uscendo, coperti di indumenti tecnici come se stessero percorrendo la rotta di Amundsen al polo. Io viaggio con la mia termica, un berretto e i pantaloni lunghi. Praticamente mezzo nudo.
Supero il rifugio e mi porto proprio sul crinale, sulla
cuspide della barriera montuosa, dove c'è un vento da regata Fastnet. Sento una voce che mi urla
“fai attenzione! Il crinale è pericoloso, c’è un vento fortissimo”. Ed io rispondo
“E’ proprio per questo che sono qui!” (una risposta, come dire, davvero
intelligente, vero?). Poi sento nel vento qualche altra parola urlata verso di me, ma non distinguo le parole. Di quanto mi sarò allontanato nel frattempo?
Quindici metri? Mi volto verso il rifugio.
Il rifugio non c’è più. E’ sparito nel nulla. Una casa, con i muri ed il tetto. Sparito. Nel. Nulla.
Una pelle d’oca così non credo di averla provata negli
ultimi lustri. E NON ERA IL FREDDO! Panico totale e paura irrazionale. Mi
rimetto insieme (a fatica) e per qualche metro provo ad accelerare, perché se
sono finito in un’altra dimensione “ai confini della realtà” voglio togliermi
di lì nel più breve tempo possibile. E così riesco ad arrivare alla 3, che mi
riconcilia con il fatto che sono di nuovo tornato nella mia dimensione terrena e non ho superato uno Stargate.
La 4 la trovo ma non è merito mio. E’ una gran botta di c…
che mi capita mentre viaggio in bussola con il solo obiettivo di rimanere in
carta e non finire in Toscana (cosa che invece succederà ad un altro
protagonista della gara), dopodiché fino alla 10 l’unico problema da risolvere
è quello di non congelare e di cercare di dimenticare la scena del rifugio
inghiottito dal varco dimensionale.
Alessio mi aveva chiesto di verificare lo stato della tratta
2-3, ma che dire della 10-11 ? Con la pioggia che comincia a cadere incessante,
non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di tentare la via della
costa in mezzo alle rocce. Sembra una parete di vetro. Scendo sul sentiero, passo vicino alla partenza dove, nel giro di
qualche quarto d’ora, succederanno scene di puro stoicismo e resistenza di
fronte all’imperversare degli elementi.
Da qui in poi io posso fare solo l’elenco dei punti che
raggiungo prima di tornare alla base: 11 (risalita penosa e pietosa, e chi me
lo ha fatto fare?), 12 (piazzola in piena zona di rocce, ma ho fiducia perché io
ho il potere di trovare le carbonaie al primo colpo), 13 – 14 – 18 – 19 – 20 e
finish. Il racconto vero della giornata lo ha scritto Andrea Migliore sul sito
della besanese, e vi invito ad andare a leggerlo perché la sua è pura epica sportiva.
Io a Corno alle Scale ho vissuto parte della gara nella regione dell'immaginazione, una regione dove potrebbe succedere di tutto, anche che un rifugio sparisca nel nulla. Una zona che potrebbe trovarsi "Ai confini della realtà".
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