Stegal67 Blog

Wednesday, December 06, 2023

“Se sarò ancora in piedi…” – parte 2 di mah?!?

Altre cronache quasi surreali dell’anno 2023

Il secondo trimestre di gare si apre con… il nulla. Devo aspettare il fine settimana della Provincia Granda per rimettere i piedi nelle Inov-8 numero 49,5 e la bussola al dito. Mentre i viaggi di lavoro si susseguono e mi portano OltrAlpe, OltreCortina ed OltreManica, la trasferta verso Vinadio ed Esterate mi conduce oltre i cartelli che danno il benvenuto in provincia di Cuneo, da dove mancano solo un paio di ore abbondanti per giungere a destinazione rimanendo sempre entro la stessa provincia.

E’ il weekend giusto per celebrare la nuova corazzata che si affaccia al top del livello giovanile, l’Oricuneo, con le sue tute bianche e rosse che fanno tanto Polisportiva Besanese e le sue sterminate leve giovanili ancora poco riconoscibili dall’occhio dello speaker, atlete ed atleti abituati a macinare chilometri su chilometri per andare a gareggiare in Trentino, in Veneto ed in Friuli, e che per una volta possono giocare a pochi (o ancora molti?) chilometri da casa. Lo speaker se ne esce con un “se vi lamentate dei chilometri fatti oggi per venire fin qua, pensate a quanti chilometri fanno i cuneesi ogni vota che vedete una delle loro tute nei vostri boschi”. L’Oricuneo, o l’OPK Miraflores, o il ProTeam NordOvest… si, il Piemonte è già una bella corazzata, varata e gestita da dirigenti illuminati che stanno riportando in alto un territorio che da troppo tempo versava in condizioni minime a livello di squadra giovanile. La medaglia vinta dall’OPK Miraflores al Pian del Gacc, la presenza in nazionale del ProTeam NordOvest e gli allori dello stesso Oricuneo agli italiani di Piani di Praglia sono già una conferma, più che una sorpresa.

Alla Fortezza di Vinadio arrivo dopo la consueta apocalisse autostradale sulla direttrice Milano-Genova, e quindi in forte ritardo rispetto alla tabella di marcia. Per questo arrivo a destinazione e devo subito vestire i panni dell’apripista ed affrontare le molteplici insidie del percorso: all’inizio è centro storico, con un gran numero di viuzze, anfratti, scalette elanterne posizionate ovunque. Poi c’è la salita più dura dell’anno, quella che dalla cima del paese porta alla cima della fortezza: un tunnel rettilineo, buio, con un numero spaventoso di gradini ed una pendenza superiore ad una funivia alpina. Avevano detto che per la gara sprint in fortezza avrebbe potuto essere utile la frontale, ma chi ci aveva mai creduto? Io no. Quando rivedo la luce, obnubilato più dalla fatica che per le tenebre, è il momento di affrontare lo schuess che porta verso un altro dedalo di viuzze, poi nel fossato tra le mura della fortezza e l’area del campeggio dove Tait e Mariani voleranno a velocità insostenibili.

L’area del campeggio si dimostra più insidiosa del previsto, forse un effetto di aver fatto andare le gambe in discesa a grado di intensità terzo sulla scala Mercalli. Anche atlete ed atleti ben più celebrat* di me lasceranno secondi e minuti preziosi in una area nella quale i primi visitatori venuti a rizzare tende e strutture per la primavera e l’estate ci guardano incuriositi. Gli ultimi svarioni alla facilissima 20: vado alla 20 prima di andare alla 19, così mi trovo a navigare avanti e indietro sul terrapieno sotto gli occhi di chi dal cortile della fortezza guarda verso il campo gara e non capisce cosa sia passando nella testa del tracciatore (quando invece si farebbe meglio a chiedere cosa sta passando nella MIA testa). Nel passaggio dal sole del cortile al buio pesto dell’area sotto le mura mi farebbe nuovamente comodo la frontale: praticamente le calette della 21 le devo trovare a memoria!

Al traguardo, dopo aver ripreso fiato, mi esibisco al microfono in una gaffe degna del mio nome: “Mi è sembrato di correre in mezzo alle giostre di cavalieri, ai tempi del Templari, con i cortigiani e le cortigiane in vestiti sfarzosi ed i guerrieri in armatura. Ho cercato trappole, tesori, passaggi segreti ed ho vissuto una avventura degna di Dungeon and Dragons!”. Piccolo errore: la fortezza è della metà del diciottesimo secolo, ed ai tempi del Medioevo da queste parti forse affilavano ancora le punte di selce sulla nuda roccia.

Il giorno successivo si sale (o si scende?) alla mappa di Esterate per il Campionato Italiano Middle. Nonostante mi sembri di essere geograficamente ai confini del pianeta Terra, Esterate è più vicina a Milano di quanto sia stata il giorno prima Vinadio: la valle è chiusa a sud dalle Alpi Marittime, e quando al mattino parto per la mia gara poco dopo l’alba fa un freddo becco e sembra quasi che stiano venendo giù dei fiocchi di neve. Partenza in salita, e la sento forte e chiara perché, anziché provare a salire di traverso, preferisco stare sul sentiero ed “aggredire” la 1 lungo la linea di massima pendenza. La mappa è ovviamente segnata con il colore bianco, ma il fondo del terreno è più sassoso rispetto ad altri a me più affini (prego, bosco di Falzes, non c’è di che). Il che vuol dire che si sale di brutto, mettendo i piedi sulle roccette piccole, anche dalla 1 alla 2. Grazie al cielo nella prima parte ci sono dei “semafori” molto evidenti: la canaletta alla 2, il termine del muretto alla 3.

La faccenda dei sentieri prende sempre più piede nella seconda parte della gara, e sebbene su un percorso Elite dovrei essere in grado di andare più dritto verso i punti basandomi sull’enormità di dettagli ben visibili della carta di Esterate, i sentieri mi assicurano una maggiore consapevolezza del fatto che prima o poi raggiungerò il punto in un tempo abbastanza decente. Il finale è abbastanza facile, tutto sommato considero la gara più facile (o io mi sono trovato più a mio agio?) rispetto a come temevo che fosse. Il mio tempo? Passiamo oltre… mi limito a dire che il mio tempo finale si colloca a metà tra quello di Pellegrino Tecco (ma è Stefano) e quello di Marco Di Stefano (ma è l’omonimo atleta dell’Amatori Orienteering Genova) e sono quindi da considerare Fuori Tempo Massimo

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Altri viaggi di lavoro, altri voli ed altri treni. Quanta strada nei miei sandali… parto per un viaggio ma le borse per andare alle prime gare successive sono già pronte in anticamera per gestire al meglio un rientro dall’aeroporto ad ora tarda ed una ripartenza in auto all’alba. Solo che poi si ritorna dalle gare ad ora tarda della domenica e bisogna trovare già pronta la valigia successiva (o almeno la lista di che cosa va trasferito dalla valigia precedente a quella nuova, o dalle borse portate alle gare alla valigia).

La tappa successiva dl giro del mondo in 80 gare è quella di Corno alle Scale, la località del pianeta Terra dal clima più mite e soleggiato, con i suoi cieli azzurri, la brezza lieve che accarezza il viso, le pendenze dolci… DRIIIIIIIIIIINNNN !!! Accidenti, la sveglia! Stavo sognando! Ma cosa è questa pioggia gelida ed incessante, questa nebbia lattiginosa, questo vento artico? E’ Corno alle Scale bellezza! Per la seconda volta la Polisportiva Masi e gli orientisti lo affrontano in una gara nazionale, e per la seconda volta le condizioni sono da tregenda. Anzi! Ancora più da tregenda rispetto alla prima edizione (quando, almeno il sabato, il clima ci aveva graziato nella sprint di Castiglione dei Pepoli).

Sabato parto per il mio giro da apripista con DUE termiche. Piove, quando non piove tira un vento gelido tipo blizzard, quando non c’è il vento gelido le nuvole mi avvolgono come se fossi nell’ovatta. E le pendenze… beh! Meglio evitare di guardare la carta troppo avanti, meglio stare concentrati sull’hic et nunc, posto di sapere bene se mi trovo proprio in quell’hic dove penso di essere.

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Partenza… pant pant… bosco scivoloso dopo il recinto di protezione della pista da sci… salita salita salita… pant puff pant puff… alla 3 ci arrivo dopo una salita che mi sembra in corda doppia. Giro 4-5-6 tutto sommato abbordabile. Per andare alla lanterna numero 8 non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello di attraversare una zona di rocce che mi sembra puro inferno! Ripasso dalla 2 e sbarco faticosamente sul sentiero arrampicandomi con le mani. Così almeno la 8 la vedo da lontano, ma è solo un attimo: perché poi non vedo più niente! Né la lanterna, né il roccione, né l’avvallamento. La visibilità diventa il sogno di Adriano Galliani allo stadio di Marsiglia (o la realtà di Adriano Galliani allo stadio Marakana di Belgrado nel 1988…). Vedo improvvisamente un luccichio poco lontano e benedico il fatto che Marcello Lambertini sta posando con la frontale accesa ed è arrivato al punto prima di me.

Per fortuna poi ci sono delle lanterne più fattibili, che percorro in parallelo con Massimo Bianchi che sta facendo un giro di controllo in veste di delegato tecnico. Poi parte una discesa libera di 39 curve di livello (!!!) nella quale, almeno per la prima parte 12-13, sono SEMPRE PER TERRA! Il mio ritmo ormai è quello di una lumaca asmatica, e per questo sono sempre in grado nella faggeta della 15-16 e nella risalita (terrificante!) dalla 17 alla 18 di tenere il punto sulla mappa. Completo la mia fatica con un tempo che al confronto la gara middle di Esterate era stata una sprint al Parco di Trenno!

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Se nella giornata di sabato il tempo non ci aveva dato tregua, la domenica comincia con una allerta meteo di tutti i colori. Sono il secondo ad arrivare sul campo gara, dopo un primo pulmino della Masi. Alessio Tenani mi accoglie con la frase immortale “Ma sei qui anche stamattina? Non ti spaventa proprio niente ?!?”. La long è very-long (o, meglio, è una “vera” long, come devono essere le long: toste e dure) e chi si iscrive in Elite deve essere consapevole che sarà portato ai limiti delle proprie possibilità: non è una long per tutti i tapascioni (come me!) che pensano “ma si… ci metterò tre ore magari, ma arriverò al traguardo”. Alessio mi suggerisce di saltare la prima parte e di partire dal punto spettacolo, per poter andare ad affrontare i punti in faggeta che, giuro che è vero, sono proprio belli.

IT’S A F*CKING TRAP!!!

E’ una maledetta trappola. Arrivare alla 8 è un incubo: sono 100 e passa metri secchi di pendenza in partenza dal bordo lago, sotto il diluvio e ancora quasi al buio. Per andare alla 9 mi rifiuto di affrontare l’orrido vallone con le rocce (si, lo so, questo è un MIO problema) e quindi scendo al tornante della strada e risalgo passando per la 10. E così via. Il risultato è che quando risalgo alla 17 dalla 16, nel posto più bello di tutta la faggeta, semplicemente non è ho già più. E ho fatto solo 10 dei TRENTA PUNTI che si smazzeranno gli Elite! Ed è già passata un’ora e mezza e sono bagnato come un pulcino tenuto a mollo nel catino della roba sporca! A quel punto decido che terminerò la mia fatica alla 20. Ma per arrivare alla 18 faccio il giro della Fullonia, perché davvero non vedo alternative: mi attacco al sentierino che taglia il vallone più a nord, arrivo al maledetto bivio e volgo lo sguardo a destra ed una vocina del cervello di dice “sicuro che non ti è bastata la 17?”. No che non mi è bastata… e quindi su per altre 13 curve di livello, poi ci sono le mani sulle ginocchia, la testa che urla che sono un completo coglione, il fisico che proprio non ce la fa più.

Quando trovo la 20, per me è il traguardo. Più in alto penso che stia infuriando la bufera, più a sud dovrei andare a testare (come mi aveva chiesto Alessio) se la corda che avrebbe aiutato gli altri concorrenti a valicare il vallone è agibile o meno. Io avrei soltanto voglia che qualcuno inventasse il teletrasporto per arrivare subito all’arrivo. Potrei persino pensare di fermarmi lì, di congelare come l’uomo di Similaun e di non sentire più la fatica ed il dolore. Da lontano però passa una tuta della Masi (Frascaroli forse? O Calligola?) e decido pian piano di andare a cercare quel passaggio. Mi convinco che i centimetri per arrivare alla 27 in fondo non sono tanti, che la scala della carta non è 1:15.000 ma è 1:10.000, che il vallone non arriva mai ma è solo perché io sto andando proprio piano… sia come sia, quando arrivo a sud del vallone mi accorgo che sono ancora in piedi, ma ho esaurito da tempo le parolacce all’indirizzo mio, della Masi, dello speaker, del tracciatore, di Stegal, della Fiso, dell’orienteering e del mondo intero. Passo nella zona della 27 (nella realtà vedo quella che mi sembra l’inizio della canaletta e mi dico che la lanterna è lì), trovo la 28 e infine cascando e rotolando piombo a peso morto sulla 29, perché l’esistenza del sentierino a zig zag che scende dall’ultima balza è sconosciuta alle mie residue parvenze di essere umano.

Una vera long, per me probabilmente a livello di una O-Marathon. Ma vedo che Mariani la termina in un’ora e 37 ed è un marziano, Bettega in un’ora e 52 ed è un fenomeno, Bertelle e Tait sotto l’ora e mi chiedo come possano avercela fatta. In mezzo a 11 ritirati, l’eroe è Luca Faini, che completa la gara in tre ore e 17 minuti, e anche nel suo caso mi chiedo come possa avercela fatta. Con quel tempo e quelle pendenze e quelle difficoltà.

Non è più tempo per me.

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