Stegal67 Blog

Friday, December 08, 2023

“Se sarò ancora in piedi…” – parte 4 di sgrunt!!!

Cronache esageratamente faticose dell’anno 2023

(...si continua dalla puntata di Falzes)

Sebbene io sia in giro ormai da varie settimane senza sosta, quello che ho descritto finora è solo l’inizio. Comincia infatti il periodo in cui mi trasformo davvero in un nomade, accampato in auto e con il baule stracarico di vestiti di lavoro, vestiti da montagna, qualunque cosa mi possa servire per fare una gara di orienteering.

A fine maggio salgo a casa, a Coredo, e ne approfitto per correre e commentare l’edizione 2023 del Trofeo Carlo e Franco, organizzato ancora una volta splendidamente dall’Orienteering Mezzocorona. Non ho la carta di gara con me, perché in pratica mi si è quasi spappolata in mano a causa di qualche caduta e grattata di troppo con il terreno bagnato, costringendomi in un paio di occasioni a fare azimut nel bel mezzo del nulla cosmico, o a cercare le lanterne traguardando ad occhio l’incrocio tra il prolungamento della linea magenta che porta ad un punto di controllo ed il prolungamento della linea magenta che esce da quel punto. Per dare una idea del bosco, questo è il percorso M70 che ho trovato su internet: bellissimo, fradicio (al mattino all’alba… capirai!) e sempre abbastanza percorribile.

Chi parte all'alba, ovvero io ed i posatori, deve fare i conti con l'orso: è il periodo nel quale le prime pagine dei giornali sono intasate della storia del fattaccio avvenuto in Val di Sole. I posatori vanno in coppia (memorabile l'incontro nel bosco con Nausica Paris e Luigi Chini), io... io no, vado da solo. Il mio percorso è leggerissimamente più lungo di quello pubblicato sopra che ho trovato su internet: si affaccia con una lanterna quasi al bordo dei roccioni a nord (e lì pascolo..), poi va un po’ avanti e indietro per farmi fare strada e dislivello, e nel finale mi fa affrontare la parte di bosco un po’ ad est ed un po' più in alto delle lanterne 10-12-14; solo che anche questa parte di percorso è del tutto grattata via dalla mia carta di gara, e quindi per trovare il penultimo punto mi tocca tirare una riga nord-sud e seguire la bussola, dovendo così correre su e giù per tutte le collinette della zona. Segue discesa con pendenza assassina in discesa fatta per lo più sul mio onorevole posteriore.

Da Coredo passo direttamente a Livigno, il Piccolo Tibet, dove non sono mai stato in vita mia. Il fatto che sarà una autentica avventura è testimoniato già da quanto avviene lungo la strada da Coredo ("condita" da due fantastici panini con la Bologna mangiati a Marilleva), quando opto per salire sul Passo Gavia anziché fare il giro più lungo. La strada del Gavia che parte da Ponte di Legno, sebbene leggendaria ma mai fatta prima, è una delle più assurde sulle quali abbia mai guidato in vita mia. Per fortuna non è buio e l’auto mi sorregge sulle pendenze (ma come fanno a farlo in bicicletta???). A 6 km circa dalla vetta sorpasso un ciclista fermo sul ciglio della strada che si tiene con le mani un ginocchio. Mi fermo. Si tratta di uno spagnolo, è parte di una comitiva di ciclisti venuti a fare le grandi salite del Giro d’Italia. Gli è saltato un ginocchio e non può più andare avanti pedalando, ma non riesce nemmeno a salire a piedi (e mancano 6 km alla vetta!) ma nella comitiva non ci sono macchine di scorta che possano aiutarlo. Praticamente, è morto. Mi offro di caricare lui e la bici in auto e di portarlo in cima, dove io suoi compagni di avventura lo staranno sicuramente aspettando. A 2 km dalla vetta raggiungiamo un altro ciclista del gruppo iberico. Almeno lui sta in piedi, ma di salire sulle rampe del Gavia non ne ha più la forza. Però almeno è in bici… soluzione: metto le quattro frecce, lui si attacca al finestrino ed io comincio a salire con il terrore di sbandare e di tirarlo sotto. 500 metri dopo, un altro ciclista! Stessa situazione, stessa soluzione, con l’aggravante che adesso vado come una lumaca, che ho un ciclista attaccato da una parte ed uno attaccato dall’altra. Per fortuna le macchine che si accodano sono comprensive e non sento un solo colpo di clacson o di lampeggianti fino in cima. Qui la comitiva è accolta con un applauso… ma solo per loro, per i sopravvissuti. A me nemmeno un grazie. Forse il destino prima o poi mi ricompenserà.

A Livigno le mie fatiche cominciano con la gara di Passo Eira, quella alla quota più alta, attorno ai 2300 metri. Il percorso non mi sembra così difficile (anche se la fettuccia della lanterna 4 la trovo praticamente per caso), ma respirare e trovare una molecola di ossigeno per i polmoni è una impresa titanica.

Per alcuni tratti del percorso mi sembra di avere la testa avvolta nell’ovatta e le gambe si rifiutano di correre anche quando procedo lungo la curva di livello. Sento l’odore del sangue in gola e nei polmoni e quando, nella seconda parte di gara, bisogna salire dalla 13 alla 15 le tempie cominciano a pulsare. La fettuccia della 16, più facile di innumerevoli altre lanterne, la trovo solo perché me la indica Edo Tona dopo che ero “andato lungo”. Ancora più assurda la scena alla 18, invero banale, dove la fettuccia sta allegramente svolazzando nel vento e quindi mi tocca rincorrerla e posizionarla nel posto giusto sotto ad un sasso. Arrivato al traguardo resto a lungo in uno stato catatonico, questa altitudine proprio non fa per me.

Dopo aver ripreso, a stento, sembianze umane, scendo a Livigno dove è in procinto di essere disputato il Campionato Italiano Sprint Relay. Il piano originale era quello di correre (per la seconda volta in giornata) la sprint Elite, poi fare un giro sul percorso M50 (e sarebbe stata la terza gara). Ma i polmoni e la testa hanno già reso l’anima al Signore: dopo un inizio abbastanza sprint per superare l’isola pedonale ancora affollata di turisti e di orientisti quanto le calli di Venezia, la mia andatura scende a livello “turista in giro per negozi”; ad un certo momento mi diventa difficile anche solo fare il conto delle casette che lascio dietro di me e tenere il punto sulla mappa, e certe uscite dal punto sgangherate ed in direzione del tutto casuale sono lì a dimostrarlo. Peccato, perché il terreno di gara, praticamente privo di recinti ed aree private, sarebbe il sogno per qualsiasi (penso io) orisprinter del pianeta

La battuta di giornata è quella del fonico-DJ venuto a mettere su la musica per... "riempire le pause nel commento, ogni tanto smetterai pure di parlare o no?"

L’ultima giornata, domenica, è dedicata alla gara Long con arrivo al Mottolino. Per tutti gli altri. Per me, la gara long è divisa in due parti. La prima, nella parte nord della carta sopra le funivie e fino alla 13, la faccio sabato pomeriggio sotto il diluvio, dopo che gli atleti al mattino si erano sciroppati la middle di Passo Eira con il sole. La seconda, quella a sud, la corro effettivamente domenica mattina, PRIMA che si scateni un ulteriore diluvio.

Anche in questo caso di tratta di long vera! Forse, ma dico solo forse (perché non solo un tecnico) con qualche tratta di troppo del tipo “tieni la curva di livello giusta… tieni la curva di livello giusta… sbatti addosso al punto… gira di 90 gradi… scendi\sali lungo la linea di massima pendenza... sbatti addosso al punto... gira di 90 gradi… segui la curva di livello nell’altra direzione”. Ma va benissimo così! Memorabile la gag alla 17: casco per terra e rompo la bussola. Giusto per fare del casino inutile, posto su Instagram la mia faccia e scrivo sul gruppo Whattsapp degli organizzatori che sono in giro e ho rotto la bussola. Mi arriva una risposta: “di tutti i posti possibili, ho scelto quello giusto per andare senza bussola!!!” (cit. da Samuele Curzio). Ed in effetti, senza nemmeno incontrare problemi esagerati, riuscirò ad arrivare indenne al traguardo con tutti i punti in saccoccia.

Da Livigno si riparte verso sud (impossibile andare in altre direzioni senza espatriare) ma non torno ancora a Milano. Ho in programma un nuovo viaggio di lavoro prima dell’approdo a Volano, provincia di Trento, per il sabato della semifinale dei Campionati Italiani Knock-Out. Si tratta di un fine settimana sul quale devo necessariamente stendere un velo pietoso per tutto quanto concerne le mie prestazioni atletiche: in a nutshell, non sto più in piedi! Sarà questo l’unico motivo per il quale a Volano le prendo anche dai non-ancora-quattordicenni, tra i quali Giacomo Zagonel e Gabriele Fontana?

Nella domenica che assegna titolo italiano, provo il percorso facendo qualche farfalla nel paese di Avio, con la carta “tutti i punti” (ma anche “tutte le lanterne da spostare” tra una manche e l'altra) predisposta da Stefano Raus.

Solo a questo punto posso (finalmente?) riprendere la strada di casa. Ma per poco: davanti a me è dipanata una sequenza di gare, e sarà solo la prima sequenza del 2023, che ispira il titolo a questa serie di racconti: “Se sarò ancora in piedi…”.

Frase che, in fondo, è anch'essa una bella “(cit.)”

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