“Se sarò ancora in piedi…” – parte 5 di Over The Limits
Cronache farlocche di nove giorni da paura - parte 1
(ero rimasto ad Avio)
Qualche giorno fa, in una cornice decisamente più invernale
rispetto a blablabla… insomma! Stavo sull’Altopiano del Renon a commentare dal
vivo alla Ritten Arena le gare della Coppa del Mondo Junior di Pattinaggio di
Velocità! Ecco, l’ho detto. Il pattinaggio di velocità sta cercando di portarmi
via all’orienteering, e tutto questo per via del fatto che… del fatto che sarà
una delle prossime storie e non anticipo niente (spoiler: Soave e Vicenza).
Probabilmente nel commento del pattinaggio di velocità non me la sono cavata
male…, insomma… le solite quattro cose che dico anche alle gare di
orienteering, il solito tono piatto che aveva Guido Meda mentre Valentino Rossi
superava Jorge Lorenzo al Gran Premio di Catalunya 2009. Quelle cose lì. E più
di qualcuno è venuto a chiedermi se io avessi già commentato altre gare, altri
sport. E quando ho detto “orienteering” una persona mi ha chiesto “Ma hai mai
gareggiato in Cadore?”. Per farla breve (credici!) è saltato fuori che questa
persona aveva pure un mio video sullo smartphone, perché sul podio della
premiazione finale ho intervistato sua moglie, vicesindaco.
Ho mai gareggiato in Cadore? A mia memoria, si! E al lungo,
pure. E con alterni risultati, persino! Cadore 2023, quindi. E poi Primiero
2023, poffarbacco! Tutto in fila, tutto senza una sola sosta. Senza respiro e arrivando
senza energie molto prima della flame rouge dell’ultimo chilometro.
Ma andiamo con ordine. Parto da Coredo per arrivare in Cadore
all’alba del primo luglio… e che sarà mai? Solo una apocalisse stradale. Al mio
approdo a Caralte di Cadore sono stordito di chilometri, deviazioni in stradine
e viottoli a causa di incidenti vari. E sono pure in ritardo sulla tabella di
marcia. Quando mi allungano la carta di gara e guardo le pareti della valle
stringersi attorno a me, penso “Oggi vado in cerca di guai”.
In effetti…!
Ma non è tanto la lanterna 1, la prima dell’intera 5 Days of
Italy, a fregarmi. A quella mi portano le tracce lasciate dai posatori. Sembra
paradossale, ma la parte più difficile è quella che dalla 11 porta alla 12, poi
alla 13 e infine fuori dal costone: praticamente, il sentiero! Immagino che
quel sentiero dopo centinaia di passaggi si sarà trasformato in una autostrada.
Ipotizzo che non ci fosse davvero altro modo per riportare i concorrenti giù
dal terrificante costone senza farli ripassare dalla partenza. Solo che, quando
sono passato io, quel sentiero praticamente non esisteva ancora (se ne
percepivano solo vaghe tracce qua e là, non sempre tutte nella stessa
direzione) e quindi arrivare alla 14 è stato davvero un esercizio di paura e di
dubbio, almeno nelle due occasioni nelle quali per seguire una parvenza di
traccia sono andato a guardare giù nel baratro con poche energie per girare sui
tacchi e tornare in quota.
Nel finale mi concedo una lunga sosta alla fontana della 16,
anche se in zona ci sono orientisti che stanno parcheggiando o facendo merenda
nei bar della zona. Per fortuna riesco a rimettere insieme un po’ di energie,
perché risalire alla 20 in mezzo a quel pattume di verde e roccette è una
fatica improba, e per andare alla 21 non trovo niente di meglio (il cervello
ormai è andato) che risalire altre 9 curve di livello fino al sentiero.
Al traguardo, mentre mando a Marco Bezzi tutte le mie
maledizioni, l’orso buono della Val di Sole (sempre lui) mi dice che il peggio
della 5 giorni è alle spalle. Gli devo credere? Forse si, perché l’altra
informazione che mi arriva sulla seconda tappa di Monte Zucco dice che il
dislivello indicato nel bollettino, 650 metri, è decisamente sottostimato.
Per questo motivo la sveglia suona domenica alle 4.45 del
mattino. Salto nei vestiti, arrivo nella zona del PalaGhiaccio di Tai di Cadore
e vado in partenza tutto solo soletto alle prime luci dell’alba. I mitici “Condor”,
di supporto all’organizzazione, avevano detto a tutti che avrebbero cominciato
ad approntare la zona arrivo alle 5, ma io li precedo (o stanno ancora dormendo,
sopraffatto dai liquori d’erba homemade distribuiti da Carlo Pilat la sera
prima). Alle 5.25, quando prendo il via e mando un messaggio nell’etere, le
uniche presenze in partenza sono quelle di una famiglia di scoiattoli.
Monte Zucco è una carta che ricordo molto bene dalla Coppa Italia dell’anno scorso Non devo fare cose eccezionali, solo trovare i punti e sopravvivere: ho quattro ore per arrivare al traguardo a dare i benvenuto ai concorrenti e penso di potercela fare senza dannarmi troppo l’anima. Dopo il primo loop ed i punti 5 e 6 affrontati sempre appoggiandomi al sentierino ad est, arriva il momento della “traversata” dalla 6 alla 7.
Qui le curve li livello le hanno buttate giù a manciate. Non devo farmi demoralizzare dalla fatica (e dal fatto che è ancora lunga), devo solo mettere i piedi uno davanti all’altro sui sentieri e, ogni tanto, prendere fiato e guardare attorno a me. Perché quello che c’è attorno a me merita una sveglia prima dell’alba
Quando arrivo alla 7 sono le 6.25 ed è tempo di mandare un altro messaggio nell’etere, per evitare che mi stiano ancora cercando nella cuccia o a colazione.
Andando dalla 8 alla 9 faccio in tempo persino a mandare ai
posatori una foto di un errore in carta (risposta “grazie ma fregatene, non se
ne accorgerà nessuno”). Quando arriva il momento di passare alla seconda parte
della gara, cerco di capire dove sono i pericoli più evidenti: al di là del
dislivello perché bisogna scendere di nuovo fin quasi a valle, e della fatica che
comincia a farsi sentire e che poi diventerà il fattore cruciale da gestire, vedo
subito che i guai maggiori li potrei andare a cercare nella tratta 20-21, dove
occorre nuovamente superare il Vallo Adriano in salita, quando probabilmente
anche l’ultimo carbogel avrà finito il suo effetto e sarà difficile convincere
il cervello che “dalla 21 è tutta discesa”.
Nei fatti, arriverò già bollito alla 20 (colpa della salita 16-17 che non è nulla di che, ma a me fa effetto). Il che mi fa andare a riprendere la strada tornando verso la 19 ed usando poi tutta la strada fino ad arrivare alla zona della 21, che è una parte di bosco bellissima.
Poi sarà il momento di scendere verso l’arrivo, di affrontare
una lunga giornata di arrivi e di cerimonie di inaugurazione e di infilarmi a
cuccia per una dormita di tre ore filate.
Lunedì mattina è prevista un’altra sveglia all’alba, perché
la gara è middle ma bisogna arrivare fino a Padola. La gara è divisa in parti
decisamente diverse e che mi lasceranno impressioni molto differenti
SI inizia nel semiaperto tutte bozze e terreno impestato da
dove eravamo già partiti nella precedente edizione della 5 giorni (quella
commentata con Forsberg) e la prima difficoltà della mappa è data dal fatto che
i contorni del terreno sono assai più marcati rispetto a quelli di Monte Zucco:
lo stesso simbolo (cocuzzolo) che a Caralte ed a Monte Zucco stava a
rappresentare una lieve protuberanza del terreno, qui indica un netto e
visibile bitorzolo gigante. I miei tre (tre!) tentativi prima di trovare la 1
sono lì a dimostrare che i cambi di terreno sono tra le cose più infide dell’orienteering.
Alla 2 arrivo perché c’è un agevole sentiero che mi porta in zona, mentre la 3
la trovo per disperazione: sta cominciando a diluviare, le pendenze sono
persino accidentate con l’erba alta, e sono per terra più volte di quanto vorrei.
Il secondo loop è decisamente più facile, oppure ho fatto l’occhio a cosa devo guardare e cosa no. Però sbaglio la 4, nel senso che la dimentico proprio!: Arrivando dalla strada, il mega-masso si vede dal bivio, la lanterna non c’è ancora e la mia testa dice “ok, questa è fatta” e proseguo lungo il sentiero che mi porta verso la 5. E’ solo al bivio a nord della 5 che mi dico da solo “ma ci sono andato poi alla 4?”. Risposta facile: no. Torna indietro, torna alla 5. 6 e 7 sono solo questione di bussola. Per andare alla 8 faccio quello che, in teoria, nessuno avrebbe potuto fare: risalgo il bordo dell’area di partenza fino al triangolo, e poi mi appoggio ai sentieri, al fiumiciattolo ed ancora ai sentieri. Nel frattempo è arrivato Samuele Tait a posare le lanterne, ed è tutta un’altra musica.
La 12 è una traversata fatta apposta per evitare ai
concorrenti dislivello clamorosamente inutile, ma persino il pezzo 11.13 sarà
particolarmente apprezzato da Vojtech Kral (mica pizza e fichi!) che ne parlerà
come di una zona nella quale il cambio di ritmo avrebbe potuto creare qualche
difficoltà nelle brevi tratte successive.
Io non so cosa sia un cambio di ritmo, probabilmente il buon
Vojtech allude al fatto che 11-12-13 dovrebbero essere fatte al massimo per poi
rallentare e stare attenti. Il mio ritmo invece cambia, e me ne accorgo con sorpresa
ed un certo grado di autocompiacimento, quando arrivo alla zona della 13, dove
sto correndo sicuramente più veloce delle mie recenti performances. Trovo la
13, cambio direzione, seguo la bussola e in quel bosco fantastico “piombo!” sulla
14. Qui giro direzione mettendomi per una volta IO in piega come Valentino
Rossi e continuo come se fossi un folle a trovare 15, 16 e 17. Ancora una volta
una allucinazione: se io sto correndo a quella velocità, cosa farà mai nello
stesso pezzo di bosco questa ragazza qui?
E mi immagino che stia cercando di raggiungerla. Ovviamente la campionessa del mondo mi stacca prima della 18, ma riesco ad arrivare al traguardo con un bel sorriso stampato sul volto, che spero possa dare morale ai concorrenti che mi vedono fradicio come un pulcino e coperto di fango e magari si aspettano chissà che cosa.
Sono talmente contento della mia gara che, il pomeriggio,
mentre gli altri dell’organizzazione sono talmente pieni di belle energie che vanno
a Fiames ad approntare la quarta tappa, io mi tengo nella zona di Pieve di
Cadore per fare almeno la quinta tappa, quella sprint in paese.
Piove, pioviggina, ed il terreno è davvero scivoloso. Il
percorso sprint disegnato da Eddy Sandri mi piace, con tutti i rimbalzi, i
passaggi negli anfratti più reconditi, le scelte che magari ti fanno guadagnare
10 metri… Quella che non mi piace è la partenza! Perché dal triangolo di
partenza alla 1 occorre superare uno sbarramento di vegetazione che nemmeno il tenente
colonnello Bill Kilgore con tutto il napalm del mondo sarebbe riuscito a
scalfire.
So che le mie segnalazioni (lamentele? Preghiere? Piagnistei?) una volta arrivato al traguardo e condiviso con gli altri cosa penso di quella lanterna hanno portato gli organizzatori a dotarsi di un decespugliatore e della conseguente decisione di fare pulizia della zona che va ed esce dal punto 1. Penso che tutti coloro che non ci hanno lasciato brandelli di pelle (oltre alla equità della gara stessa) non sapranno mai chi devono ringraziare: Eddy Sandri per aver procurato il decespugliatore e Marco Bezzi \ Fabio Hueller per averlo usato con perizia!
(… prosegue domani da Fiames …)
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