Oggi ho parlato con un eroe. Un eroe piccolo piccolo. Non uno di quelli grandi i cui nomi vengono consegnati direttamente nelle pagine dei libri di storia. Di storia orientistica, si intende.
Quelli oggi li abbiamo avuti a profusione: ben tre. E nessuno vuole togliere nulla a costoro. Nessuno può togliere un solo brivido ed un solo sospiro a quel momento nel quale Anders Nordberg, Thierry Gueorgiou e Michael Smola sono comparsi al punto spettacolo insieme, Tero a torso nudo dopo aver usato la divisa per tamponare la ferita di Martin Johansson. Nessuno potrà togliere un solo battito di mani a quel lungo applauso che ha accolto il loro arrivo, all’abbraccio con il Presidente della Federazione Svedese, al nuovo rinnovato applauso quando insieme sono ricomparsi in fondo al rettilineo. Al silenzio assoluto, di pietra che ha accompagnato le loro interviste nelle quali hanno spiegato cosa era accaduto, la paura, lo shock, con il cuore che pompa a mille per lo sforzo e la tensione e la consapevolezza di dover fare qualcosa, lì e subito, per l’avversario.
Nessuno potrà dare loro tre medaglie d’oro, e solo quelle migliaia di persone che praticano l’orienteering sapranno, con ricordi sempre più affievoliti negli anni, cosa è successo in quell’ultimo giro del maledetto mondiale a staffetta 2009.
Grandi eroi, appunto.
Ma io ne ho incontrato un altro. Era seduto lontano, dietro una grande catasta di legna nel parcheggio riservato ai Media. Piangeva, inconsolabile. E da quel poco che potevo capire si stava autoflagellando per qualcosa che non era riuscito a fare, per qualcosa che poteva rimanere avvinghiato tra le dita ed era scappato di mano all’ultimo momento. Un risultato insperato che sarebbe stato il coronamento di una lotta al limite delle possibilità, di una sfida lanciata ad avversari più forti, di una gara dettata solo da un coraggio che rasenta la follia più che dalle strategie razionale e dalle tattiche.
Piangeva, inconsolabile anche per i suoi “officials”. Hanno preso me che ero l’unico nei paraggi, pronto a tornare a Miskolc, con il mio cartellino “Media”; mi hanno chiesto se potevo fargli una piccola intervista sui due piedi, in inglese per costringerlo a ragionare, per obbligarlo a tornare ad una realtà che in quel momento forse stava rifiutando.
Ho ascoltato il racconto di un ragazzo che forse di nome conoscono 10 tesserati italiani. Mi ha parlato di sedute atletiche trascorse pensando a questo e quell’altro atleta, di speranze troppe volte finite in una bolla di sapone per pensare che potesse arrivare “quel risultato” che magari di cambia la vita, ti apre qualche porta importante, ti fa vedere una luce in fondo al tunnel della fatica e della soglia del dolore.
Mi ha fatto dei paragoni con Misha Mamleev, che oggi ha corso una gara all’attacco che solo per la “lira che manca al milione” non ha portato l’Italia al sesto posto. Mi ha parlato di Alessio Tenani e della stima che ha per il nostro Teno.
Mi ha parlato dei compagni di squadra che non aveva potuto condurre a quel risultato, della delusione nei loro occhi, della sensazione di fallimento. Ed i compagni di squadra erano invece attorno a lui, a cercare di rincuorarlo.
Mi ha parlato della possibilità che un ragazzetto smagrito che era lì anche lui un po’ defilato possa diventare un giorno il nuovo fenomeno dell’orienteering mondiale... come Andrea Seppi, no?... e di come un risultato importante avrebbe potuto aprire anche alle giovani leve la strada più facile.
E mentre mi raccontava tutto questo, pian piano si è calmato. Ed i suoi officials hanno potuto dirgli quanto importante era stata la sua prova, quanto lui aveva ripagato la fiducia riposta in una frazione così importante a staffetta.
Ed i suoi compagni di squadra sono riusciti a stringerlo in un abbraccio comune che per poco non ha tirato dentro anche me. La sensazione più bella è stata quella di vederlo finalmente in piedi, oltre quella catasta di legna, pronto a rientrare in azione.
Lo sport è una cosa troppo importante per lasciarla in mano ai dirigenti. Perchè loro non hanno mai bisogno di eroi, mentre lo sport e chi lo pratica con passione ne hanno davvero bisogno. Datevi degli eroi, affinché noi si possa prenderli ad esempio e portarli nei ricordi collettivi per anni ed anni ed anni.
Oggi tutti noi abbiamo conosciuti tre eroi. Onore a loro, perchè quell’onore se lo meritano tutto.
Io sono fortunato. Ho avuto il mio eroe personale. Piccolo piccolo, debole ed indifeso per alcuni momenti. Ma in grado di rialzarsi. Farò il tifo per lui anche se non so nemmeno se è riuscito a qualificarsi per la finale long! Se lo merita.
E tutto questo è orienteering: se non vi piace, non so cosa ci state a fare in giro...
1 Comments:
Il mio piccolo eroe è Stegal alla O-marathon...-))
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