Rompendo il ghiaccio...
Finalmente
sono entrato a tutti gli effetti nella stagione sportiva 2018. Con pochi
allenamenti alle spalle, con un anno in più sul groppone, con qualche chilo
parecchi chili di troppo sulla tartaruga. Ma con un paio di scarpe nuove da
orienteering che mi calzano a pennello come un paio di pantofole e mi fanno
dimenticare che un anno fa, a quest’ora, mi svegliavo di notte in preda ai
dolori della fascite plantare.
Tra tutti i
posti possibili per iniziare l’anno sportivo, il 3 febbraio sono andato ad
infilarmi in una gara del circuito promozionale organizzato dal Nirvana Verde
in quel di Civate, nella zona assai scoscesa che si affaccia sui due bacini del
lago di Annone.
Ovviamente
io e tutti gli altri abitanti di Orientonia sappiamo che “Nirvana Verde” è sinonimo
di fatica e di sofferenza fisica: d’altra parte da sempre i ragazzi del team che
una volta aveva sede a Bellano e adesso proprio a Civate corrono tutti come
bestie, si allenano facendo su e giù per il monte Bolettone e mangiano chiodi e ferri di cavallo. Altrettanto
ovviamente, ho pensato che per un circuito promozionale non avrebbero calcato
troppo la mano: di conseguenza quando Piero ha fatto le iscrizioni e mi ha
scritto su whattsapp il messaggio “Va
bene il percorso Nero per te?” ho pensato “Ma si dai! Cosa sarà mai? E’ una promozionale…”. Pensiero che è
tornato a sfiorarmi la mente quando dall’auto (eravamo ancora sulla strada
statale) ho guardato a sinistra ed ho capito quando era ripido il crinale
sovrastante l’abitato di Civate. Infine la
sensazione di aver appoggiato il cul0 (il mio, bello grosso) sulla pedata è
stata forte e chiara quando Piero mi ha detto che il comunicato gara diceva
qualcosa a proposito del Percorso Nero.
Sono andato
a leggere e ho scoperto che il percorso al quale mi ero così incautamente
iscritto si sarebbe svolto dapprima su un “corridoio”, cioè su una mappa di cui
era stampata solo la sottile striscia di terreno che congiunge le lanterne entro
la quale bisogna necessariamente rimanere (il che non è proprio la mia
specialità). Da lì si sarebbe passati su una parte di mappa - grande come un francobollo di una volta
dell’Italia Turrita da poche decine di lire - stampata “al completo”, cioè con
tutti i particolari al loro posto. Infine gran parte della gara si sarebbe
svolta su una carta stampata senza i sentieri, ma con una tale abbondanza di
curve di livello in salita da rendere il tutto praticamente marrone.
Ho già detto
che io odio le gare in notturna e le gare con partenza di massa? Aggiungo un
terzo fattore di odio: le mappe nelle quali, volutamente, non sono riportati
tutti i dettagli. Intendiamoci: io adoro
correre su terreni dove non c’è uno straccio di sentiero nemmeno a pagarlo.
Se, però, i sentieri effettivamente non ci sono nemmeno a pagarli. Ma se ci sono,
li voglio trovare in mappa (anche a costo di non percorrerne nemmeno uno). Di
conseguenza mi sono girato verso il buon Stefano Gottardi e, con tutto il carisma e la credibilità data da 13
anni e 228 gare come speaker, cioè praticamente implorando, ho tolto il cul0
dalla pedata ho chiesto di essere spostato sul Percorso Rosso per correre
su una mappa normale. Oh! Non ho nulla né contro chi ha organizzato quel
percorso né contro chi lo ha fatto… ma non è proprio nelle mie corde: io la
mappa la voglio completa. Punto!
Comunque
anche sul Percorso Rosso c’erano dei varchi spazio temporali mica da ridere: i
due secondi impiegati dalla 2 alla 3 me li spiego solo ipotizzando che ho
punzonato la numero 2 per due volte, e così si spiegano anche i 5 minuti per
andare dalla 3 alla 4 in quell’impasto di case-strade-rocce (ho girato i tacchi
per evitare di passare in casa di un indigeno, e invece era proprio da lì che
dovevo passare). Di sicuro non ho impiegato 36 minuti per andare dalla 7 alla
8, ma sono sicuro che degli 11 minuti impiegati per andare dalla 8 alla 9 ne ho passati almeno la metà a sbucciarmi
il naso contro la salita, da tanto che era ripida. Ne è valsa la pena però,
perché dal punto 10 in poi è stato davvero divertente, con il punto 14 collocato
in una specie di Monte Livata in miniatura trasferito nel lecchese. Discesa
dalla 16 alla 17 a cercare di non distruggersi le ginocchia (non si sono distrutte)
e volata finale con Oscar fino al meritato traguardo.
Il giorno
successivo, clamoroso a dirsi, non ho nemmeno un dolorino alle articolazioni.
Cosa che non si può dire del post-Milano nei parchi al Parco Forlanini del 10
febbraio. Ma questa è tutta un’altra storia.