Stegal67 Blog

Friday, September 30, 2016

5 giorni dello (S)Carso in Elite


“Oggi potete essere venuti fin qui per partecipare o per vincere. Se siete qui per partecipare, siete i benvenuti e nessuno potrà rimproverarvi per un piazzamento lontano dal vincitore. Uno solo vince la gara. Ma se siete qui per cercare di essere quell’uno, allora dovete essere pronti ad arrivare al traguardo con la maglia sporca ed i pantaloni strappati, stringendo i denti e respingendo la fatica e le lacrime. Questa è Gropada signori! E Gropada non perdona. A voi la scelta, se farne un enorme parcheggio fino al confine con la Slovenia ed oltre, o se farne una carta da orienteering… io propendo ancora per la carta da orienteering.”

Così parla l’Angelo Sterminatore
Poi parte la musica di “Welcome to the jungle” dei Guns ‘n Roses. 

E pensare che eravamo solo al primo pomeriggio di venerdì, ancora nella prima metà di quella che si sarebbe dimostrata una faticosa, lunga, a tratti interminabile, esaltante “5 giorni del Carso”. Per fortuna che dietro al microfono c’era anche Wolfgang Poetsch, altrimenti le cose sarebbero andate in modo molto diverso; in primo luogo credo che non avrei potuto terminare la mia gara a lunga distanza in MElite, forse l’ultima MElite Long della mia carriera? In secondo luogo il tasso di follia, che parte dalle vene del cervello ed arriva alla mia bocca e si travasa nel microfono, stava già mostrando un ingresso in piena “zona pericolo” ed eravamo appena alla terza gara… addirittura solo alla prima gara con il pienone di atleti e pubblico. Se fossi rimasto al microfono da solo, temo che avrei potuto dire cose irripetibili.

Adesso l’obiettivo del diario dovrebbe essere quello di spiegare come sono arrivato fino a Gropada e come l’avventura è proseguita fino al traguardo.

Comincio con il dire che, anche questa volta, il mio arrivo in zona gara martedì sera è stato tra il delirante ed il drammatico. Tre giorni prima, avevo infatti annunciato la mia rinuncia alla trasferta a causa delle condizioni del papà che non potevano lasciarmi assolutamente tranquillo (ed il Carso non è purtroppo all’angolo della strada…). Poi c’è una schiarita nelle condizioni, mio padre comincia a tornare (almeno come spirito) quello che fino ad un paio di anni fa si faceva 100 vasche a delfino ogni giorno, mia madre si mette tranquilla e tutti insieme decidiamo che posso partire. Con un orecchio sempre al cellulare, ma con una concreta speranza di arrivare fino al termine della 5 giorni. Risultato: martedì sera tardi, dopo 5 ore di viaggio solitario in auto, mi accascio sul letto a Duino ma sono pronto per aprire le danze il mattino dopo al Villaggio del Pescatore, prima tappa, in Elite.

Questa faccenda dell’Elite era una boutade che avrebbe dovuto servire più che altro come stimolo mentale, non tanto fisico. Nel bollettino di gara avevo letto: middle, middle, middle (a Gropada… quindi mica tanto middle), campionato italiano lunga distanza, poi sprint e staffetta. Per la sprint non c’è problema. Per la staffetta sono iscritto in M45 con Paolo e Lucia. Le tre middle, trattandosi di tappe di una 5 giorni, non saranno così insidiose (Gropada a parte). Quindi lascio perdere le mie velleità, che sono poi semplici speranze destinate ad infrangersi sulla carta di gara, di completare la gara Long e mi iscrivo in Elite: se devo commentare le gare degli Elite, meglio essere nelle condizioni di sapere cosa faranno, dove andranno, quanto patiranno. Cosa… dove… perché. Il “chi” di un normale pezzo di cronaca rimane il sottoscritto. Il “perché” è sempre nascosto nelle nebbie della follia.

Mercoledì mattina, con un vento di borino che lévati, inizio dunque la mia avventura sulle rive del Timavo. Sarà la tensione accumulata nei giorni precedenti, sarà la prima notte di sonno profondo che ho appena passato, sarà che finalmente mi sento pervaso da un po’ di tranquillità che manca da più di un mese… affronto la gara con un piglio decisamente pimpante e l’orienteering mi sembra tutto facile.
Probabilmente non si tratta del terreno più difficile del mondo, ma appoggiandomi a tutte le tracce di sentiero ed a tutti i gialli (prati) e giallini (prati appena più grezzi) riesco a venire bene a capo di tutte le lanterne. Mi azzardo persino a dire che l’errore più grosso di giornata (le indecisioni, al mio livello, non si contano come errori) lo faccio alla 8, che è a bordo strada e che pensavo di vedere da lontano; invece è dietro un cespuglio, ed i 20 secondi che resto lì come quello della maschèrpa ad aspettare che salti fuori lei da sola mi sembreranno alla fine un errore gravissimo. Dalla 9 fino al passaggio al punto spettacolo si tratta di scegliere con cura il sentiero da percorrere, Dio mi scampi che io mi metta a correre fuori dai sentieri!, e magari soffermarsi un attimo a guardare la piccola insenatura ed il mare alla 10, in quello che è davvero il punto spettacolo della gara ma solo per le categorie che hanno la fortuna di arrivarci. Poi (sembra incredibile) per arrivare alla 15 non c’è niente di meglio da fare che raggiungere la trincea e correrci agevolmente dentro fino al punto. Sbaglio, quella si, la 16 arrivando fino a vedere la linea elettrica che sta oltre la 17, ma mi riprendo bene ed addirittura mi posso bullare della mia tratta 19-20, tutta in bussola e dritta sotto la linea rossa (lasciando invero molta pelle sul ginepro ed i rovi di quella zona verde), laddove parecchi concorrenti che sentirò nel dopo gara cercano di fare il giro da sotto e finiscono per perdersi in un labirinto di cespugli che invero è più fitto dell’aperto brullo che compare in mappa.

1 ora e 13 minuti di gara per me e possiamo mettere un “fatto!” sulla prima tappa. Il migliore è un ragazzino austriaco alto, molto magro (secondo i miei parametri), molto bello (secondo tutte le ragazzine della Punto Nord Monza) che ci mette 48 minuti, ma in fondo lui è l’ottavo del mondiale junior mentre io sono solo l’ottavo del mondiale di “cene a base di schifezze” dietro a Ciccio di Nonna Papera e davanti al John Belushi di Animal House, quindi torno a cuccia con un bel po’ di fierezza in testa.

La magia orientistica del primo giorno sembra però abbandonarmi già durante la seconda tappa, nella quale devo lottare come un ossesso per arrivare al traguardo. Ennesima carta di gara nuova , per me, quella del Santuario di Monte Grisa.
Parto al mattino con un bel freschetto e la prima parte di gara è velocissima, e si si può anche appoggiare ai sentieri. Oddio… velocissima… per dire che io sono velocissimo dovrei perlomeno dimenticare i 3 minuti passati a girare come un allocco nella zona della 1, al centro di un’area delimitata da un-sentiero, una-strada, una-bucaconsassi: tutte cose evidentissime, perché o ci corro sopra (il sentiero), o la guardo da pochi metri (la strada) o ci butto un occhio dentro (la buca con i sassi). Ma ci metto pur sempre 3 minuti per trovare la buca giusta! Riparto come un centravanti inseguito da Franco Baresi e picchio dritto sulla 2, la 3, la 4 e la 5 (il bellissimo “menhir” che in realtà serviva per il puntamento a nord dei cannoni dal forte di Trieste, a ricordo di tempi passati molto brutti e di un Carso completamente brullo). Dritto alla 6 “come faccio ad arrivare al mio punto se sta al centro di una zona delimitata dalle fettucce rosse?!?!?... ah! Le fettucce sono solo dalla mia parte della buca…”. Dritto alla 7 che per fortuna ha una specie di scivolo per scendere in fondo alla dolina. Dritto alla 8 che Poetsch non sarà in grado di trovare (ARH! ARH! ARH!) e sentiero fino alla 9, con il bosco dalla parte sud della collina che sembra una pineta di Bedolpian.

Qui finisce il mio paradiso orientistico. Per andare alla 10, il mio piano prevede di scendere fino alla strada, bucare di slancio (diciamo pure “con il mio peso e la forza della gravità”) quel sottile strato di verde1, entrare in una zona di bosco che mi aspetto paragonabile ai Mille Pini di Bedolpian e raggiungere facilmente il punto. Purtroppo il “sottile strato di verde1” è pura giungla del delta del Mekong, e fino al muretto è solo un verde2 da parolacce e brutte cose dette sulle mamme altrui. Conservo un indimenticabile ricordo di me stesso che corre con il vento a favore e l’erba leggermente mossa dal borìno, come in una pubblicità della Nike, sul pianetto che dalla 11 porta alla 12. Poi arriva il momento di affrontare il loop 13-18 di cui conservo dimenticabili ricordi, e milioni di abrasioni! Cerco invano di contare i muretti, di stare in piedi sul terreno carsico che di più non si può, di dire a me stesso “coraggio! E’ il primo impatto con il Carso! Ti servirà per i prossimi giorni!” laddove però impatto vuol dire con i sassi sul terreno, con i muretti che franano sotto di me, e con i rovi e le spine di ogni maledetto cespuglio. Perdo 5 minuti e mezzo alla 14, perché la mia mappa non riporta in corrispondenza del punto 61 la relativa descrizione: con il senno di poi (e l’ingrandimento al 250% di uno scan 300x300dpi massima risoluzione) mi accorgo che quella che dovrei cercare è una buca. Nella realtà mi ritrovo in un anfiteatro di muri, muretti, sassi e curve di livello: non so cosa cercare e su che cosa concentrarmi! Guardo dietro ogni sasso, muretto e roccia, e solo dopo vane ricerche per disperazione mi accorgo di una buca dietro ad un sasso, che nasconde la lanterna.

Lo chiamo “effetto funghi o fragole”: da bambino, quando mia madre mi mandava nel bosco, se andavo con il cestino ed il coltellino era per i funghi che servivano al risotto, e l’occhio rimaneva concentrato a scorgere scodellette e vaciotti tra il muschio e l’erba. Se mi mandava con il contenitore lungo di plastica per le fragole della macedonia, l’occhio riconosceva ogni pixel rosso. Non mi è mai capitato di trovare, nella stessa spedizione, funghi E fragole! Inutile: devo sapere cosa vado a cercare, e quella descrizione punto mi sarebbe proprio servita.

Dalla 18 ad andare verso sud è un altro attraversamento di un verde2 terribile; le energie vanno rapidamente in riserva ed il mio tempo di gara di 85 minuti sarebbe menzionabile solo se gli altri Elite facessero ancora cilecca. Invece arriva il solito ragazzino austriaco alto e magro (e bello… si! Ho capito Alessia Eleonora e Anita! E’ bello…) e mi dice il suo tempo “....ty-eight”. Io penso “forty-eight” e dico “not bad!”. E lui “Not …tyeight, …ty-eight!”. E io “Yes, forty-eight, understood”. E lui “NOT FORTY-EIGHT! THIRTY-EIGHT! THREE EIGHT!” e mi fa segno anche con le dita. Lo calmerò spedendolo immediatamente a fare l’intervista con la RAI.

Una cosa curiosa è che a Monte Grisa non c’è stato speakeraggio. Avevamo già capito, vista la sacralità della zona, che avremmo dovuto limitare il contributo di rumore al minimo; non ci aspettavamo, nessuno degli organizzatori si aspettava, che non avremmo potuto montare l’impianto audio perché proprio quel giorno e all’ora di gara (e dopo TRE ANNI di attesa) gli alti prelati del luogo avevano deciso di far arrivare la processione con la nuova mega statua del vescovo che aveva inaugurato tanti anni prima il santuario. Niente speaker, quindi, ed un po’ di delusione quando la “processione” si è rivelata essere un camion che portava la sola statua da innalzare e nessun altro. Forse qualcuno non voleva proprio sentirci blaterare!

Venerdì si arriva dunque a Gropada, carta con la quale ho un conto in sospeso da saldare ampiamente. Nella mia unica apparizione da queste parti, non ero riuscito a concludere la gara, ubriaco di muretti e in ritardo per dare il benvenuto come speaker agli atleti in gara per la Coppa Italia. La middle di Gropada parte alle 14, unica volta in cui riesco a dormire fino ad un orario decente e arrivare con calma in zona gara, e vengo accompagnato in partenza da tutta una serie di raccomandazioni e consigli: pare che ciò che ho patito nella seconda parte di gara a Monte Grisa sarà nulla rispetto a quello che affronterò a Gropada; e che, per continuità, Gropada non sarà nulla rispetto al terreno di Sgonico. Io continuo a pensare “andiamo bene!”, che finirà nuovamente con un risultato Stegal 0 – Gropada 1 e che l’Elite a Sgonico è un passo troppo lungo per le mie gambe.

In effetti, guardando la carta di gara…
… non si fa alcuna fatica a capire che la gara di Gropada è divisa in due parti distinte: una nella quale mi sembra di viaggiare bene, di “essere in carta”, di fare bene il mio compito e tutto sommato di non patire proprio le difficoltà del percorso. L’altra è la parte nella quale tiro giù svariati mòccoli, mi pento e mi dolgo di aver scelto la categoria Elite, mi chiedo se ce la farò a finire il percorso, eccetera.

La cosa strana è che la parte in cui mi sento fìgo è la prima metà del percorso, quella nell’inferno. La parte in cui mi sento il solito inguardabile impiegato panzottello è la seconda, dalla lanterna 14 in poi!

Ok… non è che io abbia viaggiato all’inizio alla velocità del TGV (Thierry Gueorgiou Velociraptor): sono andato a prendere tutti i sentieri , ed anche la strada per andare dalla 2 alla 3 e poi dalla 5 alla 6. Anche per andare dalla 12 alla 13 ho fatto la scelta “sentiero verso est e poi verso nord”; dalla 14 alla 15 ho fatto il sentierone verso nord-ovest e poi quello verso est (dopo aver accoppato a pacche su tutto il corpo un nugolo di mosche cavalline… le odio!), ma la missione era sopravvivere e credo di esserci riuscito abbastanza bene. 93 minuti per una middle sono una roba tremenda, soprattutto se confrontato con il tempo del ragazzino austriaco altomagrobelloeoraancheantipatico, ma mi ha confortato il fatto che 93 minuti per due sono tre ore e 6 minuti, e che la middle di Gropada era la metà della Long di Sgonico. Avrei messo nel mirino della Long le tre ore di gara, e poi vediamo che succede (tanto Wolfgang Poetsch può dare il benvenuto a tutti alle 9 del mattino e proseguire da solo fino al mio arrivo).

Così venerdì sera si va a dormire presto con il solo conforto di una Pleskavica preparata da Peter Ferluga in persona. Dormire presto perché l’indomani si prospetta decisamente impegnativo: 
  • Sveglia ore 5.30, dal letto salto direttamente nella tuta da gara
  • Faccio il taping rinforzato ad entrambe le caviglie
  • Alle 5.50 scendo a svegliare Goggi e a cercare di mangiare qualcosa, ma è praticamente impossibile visto l’orario (il mio stomaco si rifiuta di incamerare qualsiasi cibo, nonostante io lo minacci con la prospettiva delle tre ore di gara)
  • Alle 6.15 saliamo in auto. 
  • Alle 6.25 siamo davanti alla zona arrivo. Parcheggio l’auto dove capita (memore di quanto feci l’anno scorso a Pietranera, dove al buio lasciai l’auto nello stesso modo e rischiai di bloccare tutto il traffico veicolare…)
  • Alle 6.35 prendo la strada già fettucciata verso la partenza (tutto il percorso è già predisposto)
  • Alle 7.03 parto verso l’ignoto

Non starò ovviamente a raccontare il mio peregrinare per i boschi di Sgonico step by step. La mia tattica per sopravvivere fino al traguardo è una sola: sentieri e sentieri, tracce e tracce. Tutte. Anche a costo di allungare parecchio la strada. Conosco la zona della 1 dagli europei master di qualche anno fa, e la 2 non è sbagliabile. Il terreno mi sembra persino meno insidioso di come lo ricordavo o era stato descritto, e per la 3 si può fare un ampio giro su sentiero fino a sotto il punto, ugualmente non sbagliabile.

Per andare alla 4 devo solo seguire con calma e pazienza ogni piccolo sentiero; mi “perdo” nella zona del Triangolo delle Bermude che inghiottirà in uno strano e invisibile bivio verso sud anche i due Scalet, Pezzati, Negrello, Bettega e (se non vado errato) Tenani, ma dopo un interminabile numero di minuti arrivo alla 4, che affronto larga cercando di stare il più possibile sul sentierino. Sbaglio la 6, che trovo più per culo che per anima, ma mi rifaccio alla 7 dalla quale ero già passato prima in uno strano impeto da “passiamoci adesso, che magari dopo mi ricordo dov’è”. Adesso si tratta solo di far passare la seconda ora di gara, dopo che la prima è andata via liscia e con fiducia: è un’ora cruciale perché arriva con le energie già ampiamente spese e con il pensiero che ce ne sarà una terza assai più dura subito dopo.

La 8  una collinetta larga più o meno quanto uno sputo: infatti la manco, arrivo sul sentiero, risalgo fino al prato e da lì devo remare duro per ritrovarla. E’ come la sequenza 6-7: sbaglio la 8 ma faccio bene (piano ma bene) la 9, la 10 e la 11 perché sono tutte disposte lungo la “Santa Traccia prega per noi poveri orientisti”. Utilizzo tutto il sentiero che gira attorno al prato (e il ristoro, maledizione, non c’è ancora) per arrivare alla 12, e poi ne combino di tutti i colori alla 13: penso che quel muretto non sia sbagliabile, e invece finisco per girare come una gallina senza testa attorno a tutti i cespugli, i verdini, gli alberi caduti… preso dalla disperazione, quando credo di aver identificato il sentierino ad ovest del punto, lo percorro scendendo fino al bivio (sono già più vicino alla 14 che alla 13), risalgo il sentiero che sta ad est fino a che incrocio il muretto e da lì il punto torna ad essere facile.
Per gli amanti dell’orrido:
  • In rosso la parte dalla partenza alla 4 e dalla 14 alla 15
  • In blu la parte centrale, dalla 8 alla 12.
Dalla 14, per arrivare alla 15 impiego poco meno del tempo della tratta 3-4: sono davvero stanco (prenderò il terzo carbogel troppo tardi, alla 15) e non mi fido più del mio orientamento; bussola ad ovest fino al sentiero che ripercorrerò verso sud per andare alla 18, poi su lungo il sentiero fino a trovare l’altra carrabile, ma le ultime curve di livello sono terribili. Ancora più terribili quelle che devo fare per andare alla 16, in quel pezzo di gara che si rivela una autentica “salita delle lacrime e delle bestemmie” (ma io non sono blasfemo e mi devo limitare alle lacrime). Per fortuna c’è la traccia di sentiero ad ovest della 16 e 17, altrimenti ero ancora lì a cercare. Poi è (quasi) solo discesa. Ancora una volta passo da un ristoro (quello della 18) e non trovo nulla. La 19 è banale, la 20 di più e da lì si gode una vista sensazionale sulla arena di gara che si è animata di 1000 orientisti che si vedono, si fanno sentire e mi sembra addirittura di percepire che qualcuno mi ha visto e sta facendo il tifo per me. Per la 22 affido l’anima al mio Angelo Custode, che deve essere andato a lezione da Gueorgiou perché arrivo al punto dritto sotto la linea rossa! Poi è soltanto fatica, in mezzo ai recinti ed alle vigne fino all’ultimo attraversamento del terreno grezzo che mi porta al punto 24. Sento le voci degli atleti, le macchine che passano per la strada ma i piedi fanno davvero fatica a muoversi mentre l’orologio ha già scollinato le tre ore di gara.

Sbuco sul pratone in discesa e cerco di correre un po’ dandomi un contegno. Nessuno sa a che ora sono partito, nessuno sa che sono in giro da 3 ore e 4 minuti. Forse la mia andatura davvero stanca non è il massimo che ci si aspetta di vedere dal primo che arriva al traguardo, ma mentre affronto l’ultima discesa sento distintamente tra il brusio e gli incitamenti una voce che arriva direttamente da dentro la mia testa: “Ce l’hai fatta stavolta!!!”. Quello che non ero riuscito a fare l’anno scorso in Liguria, me lo sono ripreso con gli interessi ad un anno di distanza a Sgonico.

Poi ci sarà un commento interminabile della Long Distance fino al finale thrilling in volata tra Misha e Klaus per il titolo italiano. Ci sarà il trasferimento a Gradisca d’Isonzo per una sprint davvero carina ma affrontata con i piedi e le gambe che all’inizio SI RIFIUTANO di muovere altri passi di corsa.
Ci sarà una premiazione interminabile e, a 18 ore di distanza dalla sveglia, sarò in grado di tornare a letto a stomaco vuoto.

L’indomani rientro nei passi più agevoli di un over-45 per la mia frazione a staffetta, che mi fa ripercorrere buona parte degli ultimi 40 minuti della gara long.
E ci saranno altri commenti al microfono, altre premiazioni ed infine il “rompete le righe e tutti a casa”. In tutta onestà una parte di me si sta ancora chiedendo se sia un segnale più di coraggio o più di follia pensare, alle 6 e mezzo di un mattino di inizio autunno, di muovermi dalla zona di arrivo per andare a fare una gara che non ho più nelle corde da un pezzo. La risposta che mi do è sempre la stessa, ed è molto semplice: non potrei mai pensare di commentare al microfono la gara di qualcuno, se prima non ho provato io stesso a vivere quella medesima gara. So che al microfono ci sono esperti più bravi di me, che non si lasciano nemmeno cadere nella tentazione di fare qualche battuta sulla performance di questo o quella atleta. A me capita di sicuro di sbilanciarmi in qualche commento che può risultare non molto felice ma nessuno, fino ad ora e da dieci anni (infatti non è mai successo), può dirmi “provaci tu se ne sei capace”.

Forse non ne sono del tutto capace, ma almeno ci ho sempre provato.

Monday, September 12, 2016

Una cosina semplice semplice...


Dopo le svariate tirate di orecchie che mi sono arrivate per via dei commenti pre-gara di Lodrino nel mio post precedente, è tempo di tornare a parlare bene delle gare lombarde (a quanto pare, in tutti questi anni di blog io avrei parlato bene solo delle gare trentine o di quelle organizzate dall’Erebus… non mi pare proprio, ma lasciamo perdere). Certo: per parlare bene di una gara lombarda, bisognerebbe innanzitutto avere sotto mano una gara lombarda… E infatti eccola qua! Promozionale a Muggiò organizzata dalla Punto Nord Monza.

Quando si parla di gare promozionali, talvolta si pensa ad eventi trascurabili, dedicati ai soli neofiti dell’orienteering che magari abitano nei paraggi ed hanno deciso, complice il bel tempo, di andare a passare una domenica mattina diversa dal solito; gente che vedremo una volta e basta, fino alla prossima gara nella stessa località (perché se poi si propone loro di andare a fare la prossima gara a Lodrino… mannaggia a me perché non sto mai zitto?!?!?). In un evento di questo tipo, sarebbe molto facile per gli organizzatori concedersi un po’ di agio, di tranquillità, di facilità nel mettere insieme tutti i tasselli che alla fine compongono l’evento orientistico. Attenzione! Non sto accennando in alcun modo ad una voluta dose di trascuratezza o di sciatteria o banalmente di disinteresse nel proporre la gara (il ritrovo, i percorsi, l’ambientazione…). Semplicemente, i più esperti possono ritenere ex ante che ad una gara promozionale la qualità della carta di gara può anche non essere quella del Mondiale (e menomale!!! Difficile fare peggio!), che il rilievo della mappa può prestarsi a qualche piccola lacuna (… e se penso sempre al Mondiale…), che i percorsi potrebbero non essere così succulenti o a prova di bomba.

Bene. Per il mio modestissimo parere la gara di Muggiò valeva tranquillamente una gara di Trofeo Lombardia, ed è almeno già la seconda volta quest’anno che una gara promozionale lombarda fa tornare a casa veramente contento l’orientista che è in me! (a giudicare dalla mole che mi porto appresso, dovrei dire “tutti gli orientisti che sono in me”). A Muggiò, promitionalibus promotionandis, troviamo l’aggiunta di tutta una serie di benefits che l’avrebbero resa molto appetibile a tanti altri orientisti, sicuramente a molti più di coloro che hanno costituito la sparuta presenza che è andata a correre nella caldazza della Brianza: ritrovo facile da raggiungere, partenza vicina, orario di partenza libero, nessun problema se Tizio si mette in coda in partenza proprio dietro a Caio per sfruttare l’”effetto treno”… tutto organizzato in modo molto famigliare, molto amichevole ed easy, tra amici che si salutano, avversari di categoria che si sfidano senza andare troppo per il sottile ma sempre in modo sportivissimo, classifiche che escono quasi in tempo reale e torte di compleanno che compaiono all’improvviso a complemento del ristoro. Non ci siete venuti? Peggio per voi!

In tutto questo non posso dimenticare che la maggior parte del lavoro l’ha fatta il tracciatore, Luca Pompele; non so quale nume tutelare sia sceso dal cielo a dargli ispirazione per i percorsi, se Daniel Hubmann, o Ruslan Gritsan (potrebbe…, visto che Luca è un fortissimo biker), o quell’impiegato panzottello che alle prese con una cartina ancora priva di cerchietti si chiede sempre “ma a questi che vengono a correre… dove mai potrebbe risultare piacevole essere scaraventati lungo il percorso?”. Ripensando al percorso di Muggiò e ad una intervista che gli feci nel 2012 per il Nuovo Lanternino, secondo me Luca potrebbe benissimo essere stato ispirato dal suo idolo Derrick Rose, l’allora playmaker dei Chicago Bulls; come Rose, anche Luca si è buttato sul disegno del percorso senza paura, senza tirarsi indietro, con il cuore e con la grinta.
Io non sono un tracciatore, non ho titoli orientistici per entrare in qualsivoglia rango federale, non sono nemmeno forte… ma nemmeno un cicinìno! Infatti anche a Muggiò, nella caldazza umida dei 33 gradi di questo settembre (temperatura percepita: altoforno siderurgico), ho trascinato i piedi da una lanterna all’altra ad una velocità tale da far sembrare Usain Bolt persino una lumaca schiacciata da un Tir. Non ho vinto nulla, non succede mai, ed al mio passaggio sui marciapiedi le persone non si sono dovute scansare di colpo per paura di essere investite: anzi un ragazzo delle medie che mi ha visto da lontano lungo la tratta 8-9 deve aver fatto in tempo a diplomarsi prima che ci incrociassimo! Nonostante questo, obiettività vuole che io dica che il percorso mi è davvero piaciuto, che mi è piaciuta la partenza in modalità labirinto (punti 2-3-4) e l’idea di attraversare il parchetto storico fin dalle prime battute. Mi sono divertito all’idea che nel loop dalla 11 alla 16 ci fosse il margine anche per un vecchio asfittico come me per limare ai giovincelli qualche metro andando a tagliare in mezzo alla vegetazione (fatto!); ed infine mi sono divertito all’idea che nella tratta 17-18 fosse più vantaggioso affrontare il Mont Ventoux (definition by Paolo Bocchiola), ovvero il ponticello a zig zag sopra il Villoresi, la zona del porticato ed il campo da calcio anziché finire evaporato e disidratato facendo il giro lungo su strada.


Credo che nessuno sia uscito indenne dal percorso senza un errore, una sbavatura, una incertezza che si riflette nel tempo finale di gara (e nell’esito di qualche sfida incrociata al calore bianco). E questo senza trucchi e senza inganni, solo con 19 cerchietti messi giù sulla mappa con passione. Tanto mi basta.

Monday, September 05, 2016

Gare da bollino fucsia


La somma di fattori fa poche grinze: è un momento nel quale, causa brutte traversie famigliari, sono obbligato a scegliere i miei momenti orientistici in base alla prossimità geografica rispetto alla mia vituperata casetta; inoltre la mia estate orientistica 2016 è stata caratterizzata sostanzialmente dalla “5 giorni di Svizzera” in Engadina. Con queste premesse, l’occhio si sofferma più facilmente sul calendario di gare ticinesi alla ricerca di qualche approdo che sia raggiungibile in tempi relativamente brevi  e dal quale ci si possa altrettanto facilmente disimpegnare qualora le suddette traversie dovessero virare al peggio.

Purtroppo non sempre “Ticino” fa rima con “vicino”. Da un lato i ticinesi sono ovviamente liberissimi di sfruttare in lungo ed in largo il loro territorio - e le loro curve di livello - fino ai semiaperti ed alle altitudini del Passo del Lucomagno, dall’altra anche i lombardi ci mettono lo zampino andando a definire nel calendario regionale che la gara annuale di Trofeo Lombardia da disputare in Ticino, quella valida per il Trofeo Insubrico, avrà come terreno di gara Lodrino…

A me queste cose lasciano sempre un po’ di retrogusto amaro in bocca. Chi risiede in zone limitrofe al confine, anche se non fa per abitudine la spola con la dogana di Brogeda, di Bizzarrone o qualunque altra, è abbastanza probabile che sia munito – anche per motivi non prettamente orientistici - del famoso bollino annuale delle autostrade svizzere, che nell’anno di grazia 2016 è quello color fucsia del costo di 40 CHF (al cambio in vigore nel momento in cui scrivo, sono 36,55 euro)

Bollino che diventa indispensabile per raggiungere una località come Lodrino che, per chi guarda la mappa dalla zona sud di Milano, diventa irraggiungibile tanto quanto Brobdingnag ne I viaggi di Gulliver o la meno aulica “fanculonia” spesso citata da Marco Bezzi (che, quando vuole, diventa poeta e narratore insigne).
Se io volessi partire da casa ed andare alla gara, dovrei farmi (secondo ViaMichelin) un’oretta di viaggio per arrivare via autostrada alla dogana di Maslianico e poi 126 minuti di strada cantonale per arrivare fino a Lodrino; tralasciando poi i 50-60 minuti, comprensivi di 25 minuti di furgone, per arrivare alla partenza … ma queste ultime cose riguardano solo l’organizzazione elvetica che avrà i suoi buoni motivi – senz’altro lo è il raggiungimento di una bella area di gara – per aver impostato gli spostamenti in questo modo. Per una gara di Trofeo Lombardia, anche no grazie (mi chiedo cosa ne penserebbe il buon Corrado Arduini, che per anni ha scarrozzato i suoi ragazzi sullo scassato pulmino Interflumina partendo da Casalmaggiore…).

A pensare male si fa quasi sempre peccato. Ma a pensare male, a me vengono in mente solo tre cose:
(1) l’ASTi ticinese si è stufata di avere tra i piedi questo “Trofeo Insubrico”, in comune con i lombardi, che genera casini organizzativi con le categorie sfasate (i lombardi hanno la over-35-45-55, i ticinesi la over 40-50-60) e con le tariffe di iscrizione decisamente diverse tra chi arriva da un lato o dall’altro del confine.
(2) gli estensori del calendario lombardo hanno visto che l’organizzazione della parte ticinese del trofeo 2016 era a cura della SCOM Mendrisio, sodalizio che più vicino ai confini italiani non si può (prova ne sono i tanti orientisti italiani tesserati per la SCOM), e quindi si sono fidati a mettere in calendario la gara di Trofeo Lombardia senza nemmeno controllare la carta geografica.
(3) è stata una decisione presa sulla base delle proprie personali attitudini e convenzioni, senza pensare a tutta quella parte di popolo orientistico lombardo che, magari, non abita a ridosso del confine e di comperare il bollino autostradale svizzero per una unica comparsata annuale oltre confine non ci pensa proprio.

Nonostante tutto, però, due gare in Ticino negli ultimi tempi sono riuscito a farle. Si tratta di due gare sprint, una nel paese di Dino e valida per il Trofeo “Fra.G.Ori” organizzato dall’AGET Lugano, l’altra a Lugano Bré che assegnava i titoli di Campione Ticinese: due località che sito proprio al confine della raggiungibilità per chi, come me, non è munito di bollino autostradale svizzero (ma, con l’aiuto dell’OK Bovec, l’impresa è stata resa molto più facile…).

La prima impressione che ne ho ricavato è che, a meno che la Federazione Internazionale non ci metta lo zampino, domenica 6 maggio 2018 sarò seduto in qualche posto con una connessione internet almeno decente a gustarmi una signora finale di Campionato Europeo Sprint. Quel giorno infatti in Ticino, dove non lo sa ancora nessuno, si correrà la finale del Campionato Europeo di Orienteering; sono sempre più fermamente convinto dopo aver visto le carte dei Mondiali degli ultimi anni, quelli precedenti e successivi a Venezia che è stato un Vero Grande Evento, che ticinesi ed italiani sappiano tracciare gare sprint come pochi altri. Sicuramente meglio degli svedesi! Se agli ottuagenari dell’IOF piacciono le gare sprint che ci concludono con 6 atleti al traguardo chiusi in 6 secondi… beh! Allora che vadano a Oslo, Zurigo o Stoccolma a vedersi un meeting in pista della Diamond League. Gara sprint significa “gara ultra veloce” e non “gara banale” che si decide su una unica scelta di percorso in 15 minuti; e non significa nemmeno che si deve concludere con un arrivo in volata spalla a spalla (che tale diventa solo nella immaginazione degli orientisti e solo DOPO aver guardato la classifica finale).

Almeno, questo è il mio parere. E, come diceva il mio primo maestro di scacchi, “è il mio parere, e come tale lo difendo”.

Nei miei sogni, nel 2018 potrei sentire la voce di Per Forsberg commentare un Europeo Sprint dal Corso Bello di Mendrisio dove si erano disputati i KOM tanti anni fa, o dallo Stadio Comunale di Bellinzona dopo che i concorrenti si sono cimentati con i castelli che sovrastano la città. Ma il vero sogno sarebbe quello di un arrivo indoor DENTRO l’impianto hockeistico della Resega di Lugano… Poi, per carità, gli organizzatori potrebbero benissimo decidere di farci scoprire un borgo nuovo, un nuovo labirinto, o farci tornare in una area già nota e degna di ospitare un simile evento ed il corollario di pubblico (Giubiasco?). Ma, per favore, cara IOF: lascia lavorare e sbizzarrire i ticinesi come meglio credono! Ne guadagnerà lo spettacolo, perché i ticinesi in queste cose ci sanno fare. Tu, cara IOF, no.

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Dino e Bré, quindi. Due gare in poche ore con un concept decisamente diverso. Fra.G.Ori rappresenta da tanti anni una sorta di palestra agonistica per tutti coloro che vogliono rimanere a contatto con la cartina: le gare non assegnano punti per questo o quel trofeo (a parte, appunto, il Fra.G.Ori stesso) ma sono frequentate da una marea di appassionati – a Dino erano 206 – che si sfidano su percorsi gender parity (cara IOF… “gender parity”: ti fischiano un po’ le orecchie?), disegnati talvolta da giovani AGETini che hanno appena completato il corso tracciatori e si fanno le ossa supervisionati da atleti più esperti. Serate frizzanti all’insegna dell’easy orienteering, con orari di partenza liberi e griglia che prevede partenze ogni minuto, e poi lasciamo che siano gli orientisti stessi a decidere chi sfida chi e che cosa c’è in palio! (ah! La regolamentite…)

Io ad esempio ero salito a Dino con l’unico obiettivo di “staccare” un po’… con un orecchio sempre incollato al cellulare per captare eventuali notizie da casa.  Al ritrovo con il gruppo misto OK Bovec-OriComo con il quale avrei condiviso il ritorno (Metka, Kristian, Giada), non avevo velleità di sorta se quello di sopravvivere decentemente allo spostamento del mio tonnellaggio dalla partenza all’arrivo. Questo finché non ho scoperto che, a fronte della scelta casuale degli orari di partenza (ognuno fa la fila e sceglie dal mucchio l’orario di partenza che più aggrada), ci siamo così trovati: Metka al minuto 1, Giada a quello 1+1, io a quello 1+2 e Kristian a quello 1+3.

Assodato che Kristian mi avrebbe “palàto” di parecchi minuti, dato più o meno per scontato – e non me ne voglia Metka – che alla fine sarei riuscito a lasciare indietro la piccola-bimba-dell’-Est non fosse altro per il fatto che si porta dietro, o dovrei dire davanti?... il prossimo nascituro già da oltre 5 mesi (quel bambino diventerà un campione di orienteering o un manichino da crash test), restava il duello tra me e Giada. Io sarò anche un sostenitore della parità di genere, e faccio battaglie per invitare chi parla di sport ad evitare l’uso dell’articolo “la” davanti al nome o al cognome della atleta durante le cronache, ma se si tratta di duellare non faccio sconti a nessuno\a ed esce anche tutto il mio pregiudizio latente… quindi ho pensato che dall’alto dell’esperienza data dalle mie “millecentordici” gare fatte in carriera non avrei impiegato troppo a raggiungere una ragazza più giovane di me di 20 anni, più magra di me di 40 chili, più atletica di me anche nelle mie migliori condizioni storiche… ma che di gare ne avrà fatte si e no una decina.

Tutto questo lo dico solo adesso… mai mi sarei permesso di scherzarci sopra alla partenza. Perché infatti le cose sono andate ben diversamente.

Alla partenza affronto i gradini in salita che mi portano alla lanterna svedese (che in Ticino si chiama ancora così… altro che delayed start) come se fossi uno che fa il parkour. Infatti ho già il fiatone! Mi butto a destra appena si apre il cortile ed entro in una di quelle zone che tanto mi piacciono quando faccio una gara sprint: anche se avrei bisogno di un ingrandimento 1:1000 della zona per capire cosa devo fare per arrivare alla lanterna 2, sento distintamente nel cervello la voce di George A. Taylor, del 116° reggimento di fanteria che si fa sentire forte e chiara nella mia testa a colpi di “porta via il culo da qui!!!”. D’altra parte non ho mai visto una lanterna corrermi incontro… (PLab si, e quella lanterna ce l’avevo in mano io, ma è un’altra storia).
Sulla salita dalla 5 alla 6 comincio a capire che le mie velleità di raggiungere presto Metka e Giada tali sono: velleitarie, appunto. Incrocio i loro passi mentre vado alla 6 (e loro stanno andando alla 7), alla 7 (e loro vanno alla 8), alla 8 (e loro vanno alla 9). In realtà. sfruttando la mia innata abilità di solutore di labirinti, le raggiungo alla 10 anche se per arrivarci faccio il “giro del fullo”. E’ tale la mia autostima che non mi rendo neppure conto che per andare alla undici attraverso la strada cantonale, quella disegnata in viola sulla carta. SGRUNT!!! Di questo me ne accorgerò solo nella analisi post gara con Kristian, quando ormai le classifiche sono pubblicate persino sul sito solv.ch…

Dalla 11 in poi, su un tipo di terreno che è l’unico reso possibile da questa mappa, non ne azzecco una! Tratta 11-12: parto in direzione nord con dietro Giada e Metka, poi mi fermo perché scambio la curva di livello principale che taglia perpendicolarmente la strada per un recinto non attraversabile (voce di Giada dopo la gara: “ma ti pare che mettono un recinto che interrompe la strada?!?!?”). Tratta 12-13: vado verso nord per lo stesso identico motivo! Tratta 13-14: ad est anziché ad ovest. Nel frattempo Giada scompare alla mia vista e, sui rari incroci, il cronometro dice che si è ripresa con gli interessi il minuto di vantaggio che aveva in partenza. L’ultimo sfondone è sulla tratta 17-18, che va ovviamente fatta in senso antiorario. Io invece vado verso nord-ovest perché mi convinco che, in zona “18”, sotto al numero “3” e al numero “2” non ci si passa… Dopo tutti questi obbrobri, e considerato che sarei da squalificare per il taglio tra la 10 e la 11, il risultato del confronto tra Giada e me è da rimandare ad una prossima (se mai ci sarà) occasione.

A distanza di poche ore si torna a Lugano, precisamente a Lugano Brè dove “A Brè ci si va solo se c’è un perché” (come dice Lidia). Sono iscritto nella categoria dei “tori” (HAL) ma solo perché la gara è sprint… e non essendo di passaporto elvetico sono messo davanti nella griglia di partenza insieme a Stefano Brambilla, Cesare Mattiroli e il solito Kristian: l’unico che non mi passerà sulle orecchie è Sbrambi, ma solo perché parte davanti a me! Il nucleo di Bré è bello bellissimo per farci una sprint, e Pier Brazzola è proprio il tracciatore ideale per far prendere qualche soddisfazione anche agli impiegati panzottelli come me... se non fosse che è proprio piccolo piccolo! Pier quindi è costretto a farci partire in alto in una zona di bosco che, nonostante la mia insipienza tecnica, riesco a domare con una certa soddisfazione grazie alla scala 1:4.000 che mi piace tanto: di fatto sono un bradipo addormentato, ma qualche volta mi capita di essere preciso e dritto sul punto.
Tra la 5 e la 6 mi passa sulle orecchie Cesare, che se è in nazionale non lo è certo per futili motivi. Arrivo bene fino alla 7, ma per andare alla 8 metto insieme un tempo che al vincitore basterebbe per fare metà percorso: la discesa ripida, come la salita (anche non ripida), non è proprio il mio pane; se in sovrappiù c’è anche il rischio che qualche rovo avviluppato attorno ai piedi mi faccia passare in un nanosecondo da “discesista cauto” a “caduta masso”, mi tiro indietro subito (i miei occhi stanno a più di due metri dal prossimo punto nel quale dovrei posare il piede, ed è una distanza che mi mette abbastanza paura). Vedo passare il grande Manuel Asmus e mi fisso pure di cercare di seguirlo da lontano: così facendo vado dalla 8 alla 10… perché nel tempo che io giro attorno alla collinetta della 8 e punzono, lui ha fatto la 9 e non l’ho visto!!! Ultimo loop e poi  tempo di andare a sfidare Pier Brazzola nella parte figosa del percorso, il nucleo di Bre: qui si che c’è da divertirsi come un matto! (peccato che sia così PICCOLO!!!). Finale tutto da correre per arrivare nella bella arena di gara, e sprint finale tirato a tutta con Reto Depedrini che mi sente arrivare alle spalle (aveva un paio di metri di vantaggio alla 100) e sprinta forte incitato dai suoi compagni di squadra dell’O-92: arriviamo contemporaneamente sul traguardo, e finisce a pacche sulle spalle, come è giusto e bello che sia.

Poi arriva il momento di riprendere la strada di casa, non prima di aver fatto rilevare che se gli svizzeri imparassero ad appendere al contrario la classifica della HAL, io sarei sempre campione ticinese. Ah! Ma appena divento presidente IOF, le classifiche le faccio appendere come voglio io… e come Presidente IOF imporrò che le gare di Trofeo Lombardia oltre confine si facciano in località più vicine!!!