Stegal67 Blog

Friday, December 30, 2016

My 2016: something to forget, much more to remember!


Adesso che Dario “dopolavori” Pedrotti è riuscito finalmente a pubblicare la lista delle sue gare predilette e maledette del 2016, corredate da stralci di cartina e tracce gps soprattutto delle sue peggiori malefatte (senza le quali il suo bottino annuale di medaglie e premi sarebbe ancora più invidiabile), a dare voce agli ultimi della classifica arriva l’impiegato panzottello! Senza tracce GPS, perché le case produttrici si vergognerebbero e gli eventuali compratori penserebbero che quell’aggeggio non funziona. Senza posizioni in classifica (cercate sotto la voce “brocco”), senza medaglie ricchi premi e cotillons. Ma con un sorriso beato stampato sul volto ed un sacco di bei ricordi da tirare fuori davanti al caminetto nelle lunghe sere d’inverno, quando la cumpa in ascolto esclama in coro “Ebbasta! Cheppalle!!! Ancora ‘sta storia di quando ti sei perso nel buio alle 7 del mattino e ti hanno tirato fuori dal bosco con i cani?????”.
62 gare disputate in un anno sono un bottino che può benissimo mettere l’orienteering alla voce “disease” della mia vita sportiva: si tratta in fondo di gareggiare in media più di una volta alla settimana in uno sport che occupa all’incirca tre quarti del calendario solare. Ma a queste andrebbero aggiunte le 28 gare nelle quali mi sono poi cimentato per la gioia di grandi e picc… per la gioia di… mmmm... per la mia personale gioia! Come ormai tutti gli affezionati piccoli lettori (cit. by Larrycette) sanno, quest’anno sono arrivato a quota 201 gare come speaker e a 200 gare come concorrente+speaker. L’intervista di Rai Sport di cui tutto il mondo sta parlando si concludeva con un augurio del giornalista per le prossime 200 gare come speaker, al quale io rispondevo “201…”. Ma questo sketch è stata una delle parti tagliate dell’intervista, che sennò da sola occupava tutto il tempo della programmazione di Rai Sport!
Ma torniamo ai fatti concreti. Ecco la mia classifica delle gare 2016 preferite nel bene e nel male, perché alla fin fine sono tutte quante degne di essere conservate nel baule dei ricordi. La solita semplice avvertenza, sennò poi ci sono quelli che mugugnano… “preferite” significa che in quella particolare occasione mi sono sentito un orientista al 100%, anche dal basso del mio probabile ultimesimo posto in classifica, “maledette” perché in quelle circostanze non ho dato il meglio di me, perché sono arrivato al traguardo deluso da me stesso, perché non ho rispettato il Primo Comandamento che dice che ogni volta bisogna dare il massimo nel rispetto di organizzatori ed avversari. Astenersi quindi i sostenitori del “mancava il vice-sotto-aiuto-delegato-tecnico”, della griglia di partenza con 6 minuti di intervallo tra ogni concorrente, del tempo-del-vincitore diverso da quanto riportato al comma C del codicillo 42 del Reame Tomo Fondamentale, del terreno di gara “indegno”, eccetera… questo è solo il mio baule dei ricordi!
Ah… Dario: questo pezzo era già pronto da un pezzo (simpatico calembour). Cosa non si fa per lasciarti vincere di tanto in tanto!
Something to forget…
Il giorno in cui non so se ho dimostrato più tenacia o più follia. Credo che l’orienteering sia un misto di tutte e due le cose. Ma io gareggio in Elite solo per l’ultimesima posizione e c’è un tempo meteorologico che in confronto Mordor è Sharm El Sheik… quindi chiamiamola follia una volta per tutte! Però è vero che sono anche un po’ tenace, vero? Il pezzo sul blog che ho scritto già domenica sera mi è venuto in mente praticamente tutto mentre facevo il loop dalla lanterna 10 alla lanterna 13: Thierry Gueorgiou, leader religioso della setta “la concentrazione in gara è tutto” sente delle fitte terribili al duodeno ogni volta che viene a sapere di questa cosa
9° posto: La mia Due giorni di MTB-O a Folgaria
Non sono un biker. L’ultima gara di MTB-O che ho fatto risale ai tempi di Cecco Beppe e la disciplina della MTB-O era molto diversa: oggi è roba per funamboli con le gambe d’acciaio, le biciclette forgiate dalla NASA e uno spiccato denso del chissenefrega per la propria personale incolumità fisica. Però il primo giorno, sabato, era una gara sprint e ho detto “provo l’Elite, che sarà mai?”. Sabato, a Lavarone, cerco di dare una mano a Ivan Gasperotti andando a posare alcune lanterne del percorso: mi carico di paletti e stazioni elettroniche e casco per terra DA FERMO! Commento di Ivan, ridendo: “Tu non sei un biker…”. Decido che vado a posare a piedi. Quando torno e chiedo a Ivan se può fare un controllo, mi dice che ha notato che la mia bicicletta era ancora lì… “Sono andato a posare a piedi, mica penserai che vado su e giù in bicicletta da quel sentiero pieno di radici sporgenti”. Commento di Ivan, perplesso: “Tu non sei un biker…”. Alla fine mi faccio dare una cartina del percorso Esordienti, mi cago addosso su tutte le discese dove prendo una velocità assurda e mi pianto fisicamente su una salita al 30% (minimo) male asfaltata. Alla fine dico ad Ivan: “Ma hai intenzione di mandare anche gli Esordienti su quella salita assurda? Non si va su nemmeno con la moto!”. Commento di Ivan, rassegnato: “Tu non sei un biker…”. Morale della favola? Forse non sono un biker…
Se non fosse per l’impegno che ci ho messo al microfono, le mie gare sarebbero quasi dimenticabili: un ritiro a Montalcino, una prestazione appena dignitosa a San Gimignano “clamoroso ex aequo con il mio compagni di merende Fabio Dalla Riva!) ed una meno che dignitosa a Siena. Per fortuna che poi ci sono i ricordi di Piazza del Campo! Però, dal punto di vista del mio orienteering, sono state tre gare nelle quali ho fatto letteralmente pena, tra una fascite plantare che non perdona, un fisico in sfacelo, il diluvio del sabato e le pochissime ore di sonno. Quando la rifacciamo Massimo? Quando la rifacciamo???
Arrivo a questa tre giorni direttamente da Varsavia, con la valigia già pronta per spostarmi a Vienna e con le gambe ancora piene di fatica per le gare in Cansiglio. Se tutto ciò appare come un misero tentativo di giustificazione per le penose prestazioni in gara… ebbene lo è! Sabato pomeriggio, nella middle di Barni, quando cerco di andare dritto alla lanterna sono storto o corto o tutte e due le cose insieme; quando tento di andare volutamente a destra o a sinistra del punto per poi correggere, casco dritto sulla lanterna e penso spesso che devo ancora fare un pezzo di strada. Sulla “sprint” notturna calo un velo pietoso, anche sulle parolacce che al traguardo ho indirizzato al tracciatore. La long di domenica, dopo una serie di equivoci nell’iscrizione che mi portano a fondo griglia di partenza, vedo le energie esaurirsi di botto a tre quarti del percorso, e da quel punto è solo dolore fisico. Quando guardo il calendario e vedo che il Nirvana Verde ha in programma nel 2017 una due giorni di Coppa Italia, mi viene voglia di spacciarmi per un cinquantenne!
Alla vigilia dell’appuntamento multi-days di inizio luglio, difficile pensare che sarei riuscito a partecipare a 5-gare-5 di C.O., a 5-gare-5 di Trail-O, a fare lo speaker e a partecipare pure alle battaglie serali a Whist. L’ho fatto e mi sono parecchio divertito, ma i miei risultati come atleta non sono sicuramente stati egregi. Oppure si? In fondo sono uscito indenne, e correndo da solo, dalle due difficili tappe di Monte Agaro, una delle quali corsa subito dopo aver preso parte a non so quale tappa della 5 giorni di trail-O! La sensazione che mi resta è quella di aver gareggiato sempre in modalità “sopravviviamo a questa tappa, che domani ce n’è un’altra”: scelte iper-sicure e chissenefrega del tempo di gara perché devo pensare a salvare le gambe… ma in definitiva avrei potuto provare a fare molto di più.
5° posto: La mia regionale sprint a Vedano al Lambro
Arrivo al ritrovo letteralmente con il trolley del viaggio di lavoro a Vienna, dai 10 gradi ventosi e secchi ai 30 gradi con punte di umidità del trecento per cento. No bbuono! Le gambe sono un lontano ricordo, il cervello si spegne nel secondo giro, la puzza di cipollotti sulla suola delle scarpe non viene via nemmeno usando l’acido muriatico…
4° posto: il mio Campionato Provinciale Middle Distance Alto Adige
Una prestazione disastrosa per quanto riguarda la classifica, nonostante il bosco di Laranza sia uno dei miei preferiti. Presumo che non mi abbia agevolato il fatto di arrivare a Laranza direttamente dalle oltre due ore di gara passate nel bosco di Castelrotto a fare la mia frazione lunga (lunghissima) della Relay of the Dolomites. Mi pare di capire che nel 2017 si replica con l’accoppiata Middle-sabato + Relay-domenica, ma stavolta non posso più fare a piedi da Santa Cristina (relay) a Castelrotto (middle 2017): cercasi urgentemente un passaggio auto!
6 tappe previste. 5 tappe corse (la quinta tappa annullata a tre quarti di griglia di partenza è ancora una beffa…). Di queste cinque: una decisamente banale nel bellissimo bosco di God da Staz nel quale starei volentieri per ore; una abbastanza banale a S-Chanf a prendere dimestichezza con il fatto che “correre con gli altri” può significare talvolta “seguire le tracce”; una abbastanza banale a Sils, ma è l’ultima e quindi va già bene che si riesce a correre visto che la giornata prevede un passaggio da Milano ed il successivo immediato trasferimento in Trentino. Una tappa “normale” al Maloja dove mi resta il rammarico per aver ceduto fisicamente nel momento clou quando stavo facendo proprio una bella gara ed ero uscito indenne dal merdaio delle pietraie. Una gara “anormale” a Diavolezza nella quale c’era solo da mettere l’indicatore in modalità “sopravvivenza” e così è stato. Facendo i conti, anche economici, non una delle più belle trasferte della mia carriera orientistica…
Quando si corre in uno dei posti più belli del mondo, assistito da un tempo meteorologico che a inizio maggio si vede una volta ogni quattro secoli se c’è la congiunzione astrale giusta, ci si aspetterebbe almeno una prestazione dignitosa per rispetto verso il Creatore dell’Universo e di tutte queste belle cose.
O almeno per rispetto verso il pubblico assiepato in zona arrivo che, causa devastazione della cartina per le note polemiche sulla riproduzione dell’urogallo, potrà vedersi una tantum in diretta buona parte del finale di gara. Ahimé! Nulla di tutto questo! Fino al passaggio al punto spettacolo, il mio orienteering è randomico al limite del patetico (per fortuna che ci pensa Marco Bezzi ad indicarmi i punti…). Dopo il punto spettacolo, il fisico non abituato a quella altitudine è allo sbando. Quando ieri ho guardato le immagini di RaiSport, che hanno immortalato il mio passaggio proprio nella zona degli spettatori, mi sono chiesto se l’effetto “slow motion non sia stato un espediente per farmi andare più veloce di quanto non lo fossi nella realtà
1° posto: la mia Night Hawk giorno e notte a Passo Coe
L’anfiteatro di Base Tuono a Passo Coe potrebbe essere perfetto per un Mondiale di CO, o di qualunque cosa “mondiale” abbia a che fare con l’orienteering. Se non siamo d’accordo su questo, non andate avanti a leggere e chiudete la finestra internet perché non vi voglio nemmeno conoscere! Se penso a quanto potrebbe essere suggestiva la partenza di una staffetta mondiale come questa… magari però con UN ALTRO SPEAKER e non con questo…
La carta di gara torna e (talvolta) non torna ma lasciamo perdere: quella si può sempre aggiornare, ben diverso sarebbe creare dal nulla un palcoscenico come questo. A parte questo, considero Passo Coe come l’università dell’orienteering: se sei capace, ne vieni fuori e persino bene e puoi fregiarti della tua pergamena di laurea; se non sei capace, ti schianti come sull’esame di Fisica Teorica e puoi andare a fare un altro mestiere. Io per l’ennesima volta mi sono schiantato di brutto! Arriverà il giorno in cui riuscirò a fare decentemente una gara a Passo Coe, ma quel giorno non è stato nel 2016.
 
Se è arrivato fin qui, qualcuno commenterà che le gare non-OK sono molte… ma in fondo se sono in questa lista è perché ognuna di esse mi ha dato mille motivi per essere ricordate anche positivamente. Quindi le ritrovereste tutte nella lista qui sotto, quella che elenca i motivi per andare fiero di un 2016 di gare. Ma qui sotto c’è spazio per le giornate nelle quali tutto, ma proprio TUTTO, è andato alla grande!
Much more to remember... 
Una ideona di Remo Madella. Tecnicamente, non è C.O.: non ci si sposta solo a piedi e non si devono trovare lanterne. Tuttavia si sono mappe di ogni tipo, bisogna essere efficaci negli spostamenti, occorre trovare i punti di controllo e far funzionare molto bene il cervello. Se a questo aggiungiamo il fatto di gareggiare con un compagno che pensava di venire a fare una passeggiata, il diluvio che ci ha accompagnato per tutta la gara, l’inseguimento da parte delle forze dell’ordine in pieno centro di Milano, le foto dei turisti giapponesi e la corsa finale per rimanere davanti al tram… ecco che diventa una giornata da apoteosi. Nel 2017 saremo di nuovo al via, con un nome della squadra “I pali della darsena” che sembra rubato alle idee di Rocco Siffredi e invece è un ricordo dell’unico momento di defiance che abbiamo avuto in quelle 5 ore di gara.
C’eravate? Non serve che io dica nulla. Non c’eravate? Mi dispiace taaaaanto per voi… Per me personalmente, una delle rare volte nelle quali il contatto con la carta di gara è talmente perfetto da andare a trovare senza alcun timore tutti, ma proprio tutti (meno uno, ma ero a due metri...) i nastrini appesi ad uso dei posatori. Il mio tempo di gara è assai superiore a quello previsto dal tracciatore Mamleev, ma è una di quelle situazioni nella quale sono convinto di essere più fortunato di coloro che hanno impiegato un’ora meno di me a finire il percorso! Il 14 maggio 2017 si replica!
Mi sono allenato per tutto l’inverno 2016 per questa gara. Immaginavo di poter correre in una bella foresta pulita nella quale non occorre fare i conti con i graffi ed i lividi rimasti sulle gambe, e l’occhio può perdersi tutto attorno a guardare lo spettacolo della natura. La realtà delle cose è stata ancora più incredibile di come me la ero immaginata… Probabilmente esagero quando dico che avrei potuto gareggiare in calzoncini corti e scarpette da jogging, ma nemmeno tanto! E se adesso penso che l’anno prossimo, sulla carta vicina, ci facciamo i campionati italiani a lunga distanza… Tre cose indimenticabili di quella gara: la “tratta lunga” con scelta uguale a quella del vincitore Mikhail Mamleev, i selfie con le lanterne che mandavo al tracciatore per confermare che ero ancora in piedi e stavo avanzando, e soprattutto il bosco incredibile attorno al villaggio cimbro.
Ok… i più forti ci possono viaggiare a 3 min\km… ma anche gli impiegati panzottelli come me ci possono tirare fuori una esperienza davvero goduriosa.
Di tutte le tappe della 5 giorni del Carso, era quella che pensavo di non riuscire a finire. Di tutte le tappe della 5 giorni del Carso, era quella che più desideravo di poter completare. Un solo dubbio in partenza, da solo alle 7 del mattino: ce la farò? Il mio pessimismo diceva di no. Se ne è dato conferma all’inizio della tratta lunga (“non ce la posso fare”), sul primo loop mentre cercavo una lanterna tra le rocce che era INCASTRATA tra le rocce, e poi via via lungo il percorso mano a mano che si avvicinava il completamento della seconda ora di gara e la strada da fare era ancora tanta. Dopo la salita al Golgota che tra le lacrime di fatica mi ha portato al quindicesimo punto, ho cominciato ad avere il dubbio che FORSE ce la potevo fare. E questa cosa è diventata una certezza quando sono sbucato sulla terrazza che gettava verso l’arena di gara ed ho visto l’esplosione dei colori di tutti gli orientisti d’Italia e non solo. Come dice qualcuno che scrive meglio di me: “Anche uno notoriamente un po' difficile come me può essere moderatamente soddisfatto, no?

Thursday, December 08, 2016

199.. e plus ultra


Sono a terra, e non so nemmeno come ci sono finito. E’ curioso come la mente riesce a fare delle strane associazioni di pensiero: mi sento come se fossi appena stato falciato da Rino Gattuso mentre mi involavo sulla fascia, palla al piede. La luce, invero molto fioca, della mia headlamp inquadra un parafango, un pneumatico: è evidente che sono caduto in mezzo a due automobili; poco più lontano vedo una catenella appesa a due piloncini: ecco il mio Rino Gattuso! La conta dei danni, per fortuna, dura solo qualche istante: spalla sinistra a posto, braccio sinistro a posto… l’adrenalina sparata fuori al momento della caduta sta mettendo a tacere persino la fottutissima fascite plantare che mi perseguita da qualche settimana, quella che ho cominciato a sentire durante la 5 giorni del Tesino in luglio e che ormai torna a farsi viva a ritmo sempre più serrato: non ho mollato in Friuli, durante la 5 giorni del Carso, anche se alla partenza della sprint di Gradisca d’Isonzo non riuscivo quasi ad appoggiare il piede al suolo. Non ho mollato nemmeno a Savona o sul Beigua, ma il conto mi è arrivato addosso a Montalcino, alla prima tappa della Tuscany Three Days.
Mentre mi rialzo, faticosamente, riavvolgo il nastro dei primi 5 minuti di gara: la partenza nel castello, in notturna e con formula mass start… ho già detto che io ODIO le notturne e ODIO le mass start? Alla partenza sono schierato in prima fila, tutto sulla destra, e nel freddo della serata toscana osservo con terrore la porta attraverso la quale usciremo per affrontare la gara, una porta stretta e, di tanto in tanto, percorsa in senso opposto da atleti di altre categorie che sono partiti prima di noi: se qualcuno arriva mentre stiamo partendo noi della M21-34, il frontale rischia di essere raccapricciante. So di essere l’ultimo dei partecipanti alla gara, e so di essere l’ultimo al mondo quando si tratta di trovare sulla mappa il simbolo del maledetto triangolo di partenza! La luce della mia lampada è proprio debole: ho prestato la mia ad uno degli atleti stranieri più forti, o almeno quelli piazzati meglio nella World Ranking List, e che è arrivato a Montalcino senza pila frontale! Gliel’ho prestata perché è evidente che a lui sarebbe giovata assai più che a me… ma a giudicare dai risultati devo ammettere che i punti della World Ranking List qualcuno i trova nel sacchetto delle patatine allo stesso modo di come una volta si trovavano i punti della Lista Base italiana!
La lampada me la presta quindi Simone, ma va messa in carica e non c’è molto tempo prima della nostra partenza. Il piede sinistro urla e mi fa sobbalzare di dolore, si gareggia di notte e non posso contare su una luce frontale per tutta la durata della gara… se c’è qualcosa che gioca a mio favore, deve trattarsi di qualcosa di molto nascosto. Sento la voce dello speaker, il bravissimo Franz Isella, e resto un po’ inebetito davanti al fatto che quella voce che sento al microfono non è la mia. Dieci secondi al via… cinque… GO! La fiumana dei tori si precipita verso la porta del castello. Io mi faccio da parte e muovo i primi passi incerti, cerco il simbolo del triangolo di partenza ma non lo trovo (as usual!) e quindi decido di cercare solo di seguire, zoppicando già vistosamente, gli ultimi concorrenti del mio drappello.
All’arrivo al primo punto di controllo, trovo un marasma: c’è il cavalletto ma manca la stazione da punzonare! La troviamo nell’erba, vicino al cavalletto: evidentemente non era fissata benissimo e non ha retto all’impeto della mandria di tori che sono già passati da lì. Qualcuno punzona e la lascia ricadere nell’erba. Per puro spirito di servizio, decido che la terrò io in mano per far punzonare tutti, almeno per il tempo necessario agli Elite più forti di ripassare da quello stesso punto, che è anche il quinto della nostra sequenza di gara. Quando dal fondo della salita vedo ritornare a grandi falcate Ryabishkin, capisco che ormai sono passati tutti almeno una volta e che me ne posso andare, non prima di aver appoggiato la stazione sul cavalletto… e che il cielo gliela mandi buona! Mi allontano verso il secondo punto, con il piede che ormai manda al cervello tutto il suo disappunto, con una luce frontale sempre più fioca, ma quando giro a sinistra per andare verso il secondo punto… SBAMM! Incoccio su Rino “catenella” Gattuso.
Già a quel punto ce ne sarebbe a sufficienza per arrendersi e tornare al ritrovo, ma non ho mica fatto 6 ORE DI MACCHINA per ritirarmi tra il primo ed il secondo punto, e quindi con caparbietà (che è solo sinonimo di idiozia, stupidità, inosservanza delle più elementari norme di sopravvivenza) mi rimetto in piedi e ritorno sul percorso. Non incrocio più tante luci frontali come in precedenza: è ovvio che quasi tutti i concorrenti si sono spostati nella parte centrale del percorso; mi sforzo di pensare che è una gara sprint, e che se non impiegherò 30 minuti a finirla saranno 40 ma posso farcela (si… come no?!? Con 40 minuti sarei finito parecchio in alto in classifica… altro che sprint!). Sempre zoppicando termino il primo loop, vado anche io verso la seconda parte del percorso di cui non vedo nulla sulla mappa perché ormai la frontale è KO. Arrivato ad un grosso incrocio di alcune strade, mi vengono incontro alcuni concorrenti che evidentemente stanno già tornando verso la parte finale della gara: sono talmente al buio che credo di non riconoscerne nemmeno uno anche se sento delle voci e degli incitamenti nei miei confronti.
Il punto 8 è quello decisivo: decido di affrontarlo passando in uno stretto pertugio tra due recinti, un passaggio che non sarà più stretto di mezzo metro e che trovo quasi a tentoni. Ci sono dei gradini all’inizio di quel passaggio, ed io non sono in grado di vederli: inciampo ma non cado perché NON DEVO PIU’ CADERE! Quando arrivo in fondo a quel passaggio dovrei trovare la lanterna, ma nel buio i miei occhi percepiscono solo il vuoto. Ed è esattamente quello che mi aspetta: per miracolo, mi sono fermato a pochi centimetri da una serie di gradini A SCENDERE, sui quali avrei rischiato di frantumarmi se il mio angelo custode (che la prossima volta col cavolo che mi farà prestare a chicchessia la luce frontale!) non mi avesse provvidenzialmente fermato. A questo punto idiozia, stupidità e inosservanza delle più banali norme di sicurezza svaniscono: proseguire è inutile, non sono nemmeno arrivato ad un terzo del percorso e la parte peggiore, quella nella quale serve DAVVERO la luce frontale, è ancora davanti a me. Arrivederci Montalcino, benvenuto ritiro. Un ritiro che, nelle condizioni tecniche (senza luci) e fisiche (piede sinistro martoriato dal dolore) nelle quali mi trovo, mi riporterà al traguardo ma ancora con gran fatica e dolore.
La gara deve essere stata proprio bella, almeno dai commenti dei concorrenti attorno a me che non si capacitano del fatto che sono già arrivato al traguardo. Franz al microfono continua ad andare alla grandissima, ma la mia unica preoccupazione è quella di fiondarmi in farmacia per acquistare un noto antidolorifico da prendere ADESSO SUBITO ALL’ISTANTE. Non riesco nemmeno a mangiare qualcosa: la gamba fa davvero male al punto che, quando dal piede parte una staffilata di dolore, la devo tenere ferma con le mani. Faccio parte dell’organizzazione ed è solo a mezzanotte passata, dopo chilometri di guida e milioni di curve, che riusciamo a raggiungere il nostro letto. Fa freddo. Mi infilo i calzettoni di lana, i pantaloni imbottiti, la termica, sopra la termica metto il pile. Mi metto i tappi nelle orecchie ed una fascia sugli occhi in modo da far calare su di me il silenzio ed il buio, infine un cappellino di pile in testa. E mi metto così sul letto, nemmeno sotto la coperta, in una specie di scafandro che serve per isolarmi da tutto e da tutti ma che non può isolarmi dai miei dubbi e dai miei pensieri, e soprattutto dalla domanda che mi accompagna fino nel sonno:
*** CHE COSA CI FACCIO IO QUI? ***
C’è una risposta, ovviamente. Ma per sentirla dovrà aspettare le premiazioni del terzo giorno, e la sentirò dalla voce di Massimo “Whites” Bianchi a cui tutti quanto noi orientisti dobbiamo essere grati per il Tuscania Three Days (non solo a lui, ovviamente, ma lui E’ l’incarnazione del Tuscania Three Days). Premiazioni del terzo giorno, e Massimo ringrazia i collaboratori, le associazioni, i volontari e lo speaker con il quale il dialogo è stato più e meno così: “Stefano, verresti a fare lo speaker a Siena per...” “CI SONO! VENGO IO! SONO GIA’ LI’” “Aspetta! Non ti ho ancora detto per che cosa…” “CI SONO IO! CI SONO IO!!!”. Davvero. E’ andata davvero così.
Non ero mai stato a Siena. Eppure Siena, come a tante persone della mia generazione, è sempre stata nel mio cuore: in particolare in occasione del Palio del 16 Agosto, quello della Madonna del’Assunta che la RAI trasmetteva per buona parte del pomeriggio di una delle giornate più sonnolente dell’anno. La voce che portava nelle case le immagini deliranti del Palio era quella di Paolo Frajese, che anche lui (purtroppo) ha un posto riservato nella mente di tanti italiani della mia età.
 “Siena nel cuore” non vuol dire di certo che anche io mi posso sentire un “contradaiolo”: tale si nasce e invero tale non si diventa, ma in una epoca nella quale i canali televisivi non erano ancora inflazionati dal digitale terrestre, da Sky Netflix Youtube Periscope (che cavolo è Periscope?), il Palio di Siena costituiva un punto di aggregazione sul terrazzo della casa di Coredo, al punto che mettevamo il televisore sul terrazzo medesimo al riparo dalla luce del sole e diffondevamo la voce di Frajese tutto attorno, raggiungendo non solo le sedie degli amici che facevano anfiteatro attorno per tutto il pomeriggio tra un bicchiere di qualcosa e un assaggio di qualcos’altro. Così, appena Massimo Bianchi ha nominato “Siena”, la mia testa ha pensato “Frajese”: per tutto il 2016 non ho fatto altro che favoleggiare il momento nel quale mi sarei trovato io a parlare in Piazza del Campo! Paolo Frajese, poveretto, si starà rivoltando nella tomba…
A tutto ciò si aggiungeva un piccolo particolare di cui ero venuto a conoscenza solo qualche giorno prima della partenza per Montalcino. Sul desktop del mio computer ho il mio curriculum vitae, che aggiorno ad ogni cambio di mansione lavorativa. Di fianco ad esso, ho il mio curriculum vitae orientistico, quello nel quale elenco anno dopo anno tutte le gare nelle quali sono stato speaker. Da qualche giorno ero curioso di sapere a che numero di gare fossi arrivato, e così un pomeriggio mi sono messo a contare: 1 nel 2004, più 10 nel 2005 fa 11, più 5 nel 2006 fa 16… contando le apparizioni negli anni più impegnativi, ho scritto sul foglio una lista di numeri vicina e poi superiore al 20. Quando si è trattato di fare la somma finale, ho sbarrato gli occhi, ho ricontato, ho ricontato dal 2016 a scendere ed il numero che tornava era sempre quello:
199.
Cavoli! Se me lo avessero detto nel 2004 al Trofeo delle Regioni di Pian del Gacc… Istintivamente ho provato un piccolo moto di insoddisfazione: Siena non sarebbe stata la mia duecentesima gara come speaker, ma “solo” la duecentounesima. Insoddisfazione che poi si è tramutata in un nuovo sorriso: è vero, San Gimignano sarebbe stata la gara #200 come speaker, e Siena la #201, ma Siena sarebbe stata nelle mie previsione la gara #200 COME SPEAKER E COME CONCORRENTE. Perché, come ormai anche i sassi potrebbero aver scoperto, nella mia carriera c’è stata una sola gara (Trivial Pursuit: qual è questa gara?)  alla quale ho fatto lo speaker senza prima aver vestito i panni dell’atleta, fosse anche solo quelli di un atleta esordiente nella MTB-O ai Campionati Italiani. A questo punto tutto tornava: avrei avuto la mia gara #200 e sarebbe stata a Siena, in Piazza del Campo, con Paolo Frajese che da lassù mi guarda sbraitare e pensa che non ci sono più i bei vecchi tempi dei cronisti compassati e glaciali.
E tutto questo sta svanendo come lacrime sotto il diluvio, mentre sono sdraiato sul letto, imbacuccato nel mio scafandro.
*** CHE COSA POSSO FARE ADESSO PER RIMEDIARE? ***
Intanto bisogna trovare la forza per alzarsi da letto ed affrontare la giornata di sabato. Il piede fa ancora le bizze, non ha ancora deciso di mettersi tranquillo ed ha tutte le intenzioni di farmi pagare a caro prezzo le poche lanterne della sera precedente. Il cielo è carico di pioggia: prenderemo acqua, questo è sicuro; prenderemo freddo noi e prenderanno acqua e freddo gli atleti arrivati da ogni dove. Se mi fermo per un istante a considerare il fatto che il 99,99% degli atleti che conosco fa questa cosa esclusivamente per passione, c’è di che rimanere fieri di far parte della famiglia degli orientisti.
Quando arriviamo alla Piazza del Duomo di San Gimignano, il mio stomaco ha già fatto spazio alla colazione e pranzo che mi dovrà dare energie fino alle premiazioni previste in serata: due biscotti e un tetrapak di succo, sufficienti almeno per prendere un altro antidolorifico. La piazza comincia ad animarsi… mi meraviglio che a nessuno sia venuto in mente di realizzare uno di quei video “fotogramma per fotogramma” nel quale si vede in pochi secondi la creazione di tutto l’allestimento: gonfiabili, gazebi, postazioni dei computer, postazione speaker, segreteria. Nel giro di pochi minuti, i classici avventori della piazza (ci sono un paio di capannelli che discutono animatamente di politica, come nei film di Don Camillo e Peppone) vengono surclassati dagli orientisti. E’ palpabile la sorpresa anche negli occhi dei turisti stranieri, che arrivano fin sulla Piazza del Duomo per fotografare e farsi un selfie in uno degli scorci più caratteristici e medievali d’Italia e devono dribblare le transenne dell’arrivo e i cartelli degli sponsor; scena che si ripeterà, in modo ancora più evidente, il giorno dopo quando il Tuscania Three Days riuscirà a colonizzare Piazza del Campo di Siena… no, dico! Piazza del Campo!
Quando sento che non posso aspettare oltre, chiedo di poter fare il mio percorso. Si tratta di una vera gara sprint, e sono sicuro di poter tacitare il piede per una mezz’ora. Mi copro bene, vado in partenza ed ho l’onore di essere sul percorso da Massimo Bianchi in persona… Ok: sparato è una parola grossa. Diciamo che mi devo accontentare di zompettare qua e là cercando di non forzare il piede e di farmi vedere in uno stato di forma appena decente quando incrocio i ragazzi dell’organizzazione che sono in giro per approntare tutto quanto. Oppure quando cerco di rendermi atletico davanti agli occhi della Polisportiva Besanese, che ha scelto uno scorcio di San Gimignano per la foto di gruppo senza accorgersi che in quella stessa piazza c’è una lanterna: io li vedo da lontano, studio l’attacco al punto che è proprio all’angolo di una chiesa, aumento la velocità, arrivo dritto sul punto, freno… ecco: avete presente l’attrito che offre l’erba bagnata? Zero! Quella lanterna sta nell’angolo e ci saranno due metri di erba e terriccio attorno: un volo come nemmeno nel calcio saponato, davanti agli occhi di tutta la Besanese (più o meno mezzo migliaio di occhi…). Spero che stessero tutti quanti guardando l’obiettivo della macchina fotografica; in ogni caso, dopo questa ennesima prodezza, non penso che la Besanese mi prenderebbe mai!
(dal sito www.alessiotenani.it - io per andare alla 1 ho fatto il giro da destra...)
Il resto della gara scorre via senza troppa infamia. San Gimignano offre salite sulle quali spingo con un piede solo, discese che affronto in perfetto stile “Bambi sul ghiaccio”, ed un loop finale di lanterne nella parte alta della rocca dove non mi raccapezzo per niente: ad un certo punto capisco che almeno il giardino in cima alla rocca l’ho capito (avendolo ormai perlustrato palmo a palmo) e quindi posso fare le ultime lanterne cercando di rimanere il più possibile dentro quel perimetro, sotto gli occhi abbastanza esterrefatti di Stefano Baccelli che cammina da un punto all’altro ed arriva regolarmente prima di me! Il resto della giornata vola via in una cronaca assai meno memorabile di quanto avrei auspicato per l’occasione (è davvero la mia duecentesima gara) ed in una premiazione che viene spostata nella piccola sala del Consiglio Comunale a causa del monsone che si sta abbattendo su San Gimignano: stipati all’inverosimile, tutti o quasi sudati dal dopo gara, con una umidità del 200% e parte del pubblico rimasto fuori sulle scale ad aspettare di sentire il proprio nome per venire a ritirare il premio, scavalcando in qualunque modo possibile i corpi degli orientisti che sono riusciti ad entrare nella sala.
Sembra notte fonda quando risalgo sull’auto di Maurizio Ongania per andare a mangiare qualcosa e poi a dormire. Il monsone non accenna a diminuire, qualunque cosa indosso è umida o bagnata o inzuppata. Ci si lava al meglio ed è ora di cercare di dormire qualche ora: tra poco più di 5 ore dovremo alzarci per andare a Siena e cercare di fare del nostro meglio in Piazza del Campo. Nelle condizioni in cui siamo tutti, nelle condizioni in cui sono io, è palpabile il timore di fare una figuraccia epocale in quello che avrebbe dovuto e potuto essere nelle aspettative di tutti un giorno in cui l’orienteering SPACCA veramente! E’ una notte in cui succede di tutto. Diluvia in modo equinoziale per tutto il tempo, con condimento di tuoni lampi e saette che cadono anche molto vicino al campeggio che ci ospita. Quando ci siamo appena sdraiati e sentiamo grattare sulla parete, Edoardo si alza, apre la porta e mi dice “sono solo dei cinghiali”. Penso che stia scherzando e che stia definendo “cinghiali” i suoi compagni di squadra del Tarzo che stanno nello stesso campeggio… invece no: ci sono proprio i cinghiali tutto attorno a noi!
Alle 5.30 maledico la sveglia, maledico me, maledico il meteo e maledico tutto e tutti. Butto alla rinfusa la roba bagnata in valigia e mi presento all’appuntamento con Massimo nel parcheggio: continua a diluviare, come se il cielo avesse deciso di aprire il rubinetto della doccia su Siena e se lo fosse poi dimenticato aperto. Come può venire ancora tutta quell’acqua? Questo è il momento cruciale della tre giorni, perché è l’unico momento nel quale le nostre certezze si sfaldano un po’: ci chiediamo se ci sono le condizioni per correre, ci chiediamo se e in che modo possiamo garantire la costruzione di un evento sportivo degno di questo nome. Davanti alle facce perplesse, stanche e già coperte di pioggia, Massimo pronuncia una frase: “Se decidiamo che non ci sono le condizioni di sicurezza per correre, allora possiamo rivedere tutti i nostri piani”.
C’è una frase che dice che di fianco ad un grande uomo c’è sempre una grande donna. Sotto il diluvio di Siena, quella donna è Monica Casalini. Dalla frase di Massimo passano solo uno o due secondi, poi è lei che ci scuote tutti: “Forza! Non possiamo mollare adesso! Andiamo a Siena e cominciamo a lavorare!”. E poi la chiosa finale: “QUALCOSA DI BUONO PUO’ SEMPRE SUCCEDERE!”. Se fossimo stati nel medioevo, ricorderemo oggi Monica come quella che venne bruciata sul rogo per stregoneria… perché solo chi ha potere sulla meteorologia può immaginare che la gara di Siena verrà appena appena lambita da una sottile e sporadica pioggerellina, addirittura a tratti avremo il sole, mentre tutto attorno gli elementi si scatenano provocando inondazioni e pericoli. Intanto però siamo ancora alle 6 del mattino e siamo sotto il diluvio… Maurizio Ongania guida la sua auto fino ad un parcheggio ai piedi della cinta muraria. Da lì, risaliamo faticosamente lungo le vie medioevali di Siena trascinandoci appresso zaini, valigie e materiale di gara.
Poi, improvvisamente, vedo una scalinata che scende. Davanti a me si apre in modo sempre più evidente uno degli spettacoli più incredibili che io possa ricordare: Piazza del Campo di Siena, completamente vuota. C’è la Fonte Gaia, la Torre del Mangia, il Palazzo Comunale. Questa forma a conchiglia unica al mondo, con un rettilineo ed una unica forma semicircolare a congiungerne gli estremi, e con la “bombatura” classica della conchiglia che rende la piazza una discesa verso la Torre o una salita verso i gradini. Mentre i ragazzi si infilano nel Palazzo Comunale, appoggio la mia roba e resto lì a godermi la piazza per qualche minuto: mi sembra di sentire i suoni che nel corso dei secoli sono rimbombati in occasione di ogni evento storico, mi sembra di udire le urla che si levano ad ogni Palio, mi sembra di vedere la folla dei contradaioli che si ammassa nella Piazza per seguire la corsa dei cavalli. Vedo a pochi metri da me la curva del Casato, una rampa in salita che è quasi invisibile nelle immagini televisive (la salita, intendo) nella quale cavalli e fantini piegano a gomito verso destra per portarsi sul semicerchio. Poi passano davanti a Fonte Gaia e cominciano a scendere ad una velocità folle verso… verso… VERSO IL MURO! Perché la curva di San Martino finisce con un MURO! La seconda curva a gomito del palio, ma ancora più pazza perché ci si arriva in discesa lanciati a bomba e cavalcando a pelo; e se sei così abile e fortunato da riuscire a girare, ti trovi davanti dopo pochi metri la Torre del Mangia che chiude ancora di più la strada.
No. La giornata di Siena non può finire male. Non so dove gli altri abbiano trovato la forza e la motivazione per andare avanti: io l’ho trovata proprio in questi minuti passati da solo in piazza. Il ritrovo si anima, la segreteria è pronta in un battibaleno. A montare il corridoio di arrivo con tutti gli striscioni degli sponsor impieghiamo la metà del tempo che ci abbiamo messo a San Gimignano. Cominciano ad arrivare i primi turisti e, ancora una volta, percepisco la loro sorpresa: ma oggi siamo noi i padroni di Piazza del Campo! Non devo nemmeno aspettare di sentirmi pronto per partire perché è Massimo che mi guarda e dice: “Sei pronto per cominciare?” e vedo che ha un sorriso largo da qui a là. Sono già vestito da gara e devo solo presentarmi in partenza. Ci sono già alcuni orientisti sulla Piazza, che fanno foto ovunque mescolandosi con i turisti. La partenza è in salita, ed io cerco di domare meglio che posso la rampa della curva del Casato. Da lì mi butto a sinistra e comincio a “respirare Siena”: so di non essere veloce ma penso che questo mi farà godere ancora di più il posto nel quale ho la fortuna di correre. O voi atleti stranieri che venite a correre in Italia: potrete vantare i vostri campioni, le vostre medaglie, i vostri successi. In Italia abbiamo la Storia, e poi le montagne il mare e le città d’arte, abbiamo il cibo migliore del mondo e il vino e la musica. Sono sempre convinto che vinciamo noi!
Primo passaggio dalla Piazza del Campo, e gli orientisti sono ancora di più. Punzono lo “spectator control” e mi butto fuori dalla piazza con tutta la velocità che consentono le mie gambe, nuovo giro nella zona vicino alla Piazza del Mercato e poi secondo passaggio in salita lungo la Piazza, che stavolta è davvero piena di orientisti, di colori e di emozioni. L’arrivo, per fortuna, è in discesa… La mia prestazione è pessima (non posso nemmeno contare su quei due famosi biscotti e sul tetrapak di succo, e non ho preso antidolorifici) ma il cuore batte a mille all’ora non per la fatica ma per l’emozione.
(sempre dal sito www.alessiotenani.it)
Di lì a qualche minuto, sarà il mio turno di prendere il microfono. Impiegherò parecchie decine di secondi prima di riuscire a pronunciare la prima parola, anche se poi da lì andrà via tutto più facile. Durante quella manciata di secondi di silenzio, mi sono chiesto se fosse giusto essere lì io con il microfono a parlare, in un luogo che è quasi santo per la devozione e le emozioni con il quale viene vissuto dai turisti e soprattutto dai senesi. Mi limito a pensare che Paolo Frajese sarebbe stato un OTTIMO commentatore di gare di orienteering, ed in quel momento sembra che un raggio di sole sbuchi dalle nuvole ad inondare la Piazza. D’accordo… nulla di mistico, nulla di trascendente, nulla di soprannaturale. Ma chissà se da lassù qualcuno ha voluto dare una mano perché tutti quanti si potesse arrivare in fondo alla nostra giornata senese, alla nostra gara e, per quanto riguarda me personalmente, in fondo alla mia cronaca.

(Dedicato a Massimo, Monica, Giaime, Francesca, Franz, IK Prato, Picchio Verde, tutti quanti si sono adoperati per questa Tre giorni. Dedicato a Dario Pedrotti che ha sbaragliato Piazza del Campo. Dedicato a chi mi ha pensato da casa mentre ero sotto il diluvio e mi vedrà in televisione. Dedicato a Paolo Frajese e a tutti i cronisti – non solo sportivi – che mettono il cuore dentro le parole che dicono e che scrivono)