Stegal67 Blog

Saturday, December 25, 2021

Calendario dell'Avvento - bonus track - Foresta del Cansiglio - Coppa del Mondo

Il Calendario dell’Avvento termina il 24 o il 25 dicembre? Ci sono pareri discordanti in proposito, nessuno mi ha ancora convinto. C’è chi dice che il 24 è l’ultimo giorno perché poi il 25 si aprono i regali, altri dicono che è il 25 dicembre il giorno giusto per aprire scoprire l'ultima casellina. Due pareri diversi, entrambi validi. C’è chi suggerisce che Stegal67 dovrebbe andare a fare un altro mestiere e chi teme che in tal caso le renne si perderebbero ed i regali non arriverebbero più.

Intanto mi faccio i complimenti da solo per aver terminato l’opera, visto che alla data del primo dicembre non avevo pronto proprio nulla. Poi, per non saper né leggere né scrivere, ho deciso per il 25 dicembre di scrivere una bonus track, pubblicando due mappe di cui almeno una dovrebbe essere nota ai più. Due mappe = due gare? Non in questo caso: la prima “gara” infatti non l’ho finita, mentre il percorso della seconda mappa non mi vede né in griglia di partenza né in classifica finale.

E’ il momento di tornare ad Archeton.

Finali di Coppa del Mondo 2021.

Io dovrei fare lo speaker locale, come spalla al grande Per Forsberg. Ma tutto attorno a me si estende la Foresta del Cansiglio, e ci sono le spectator races organizzate per i pochissimi che si avventurano sull’altopiano nonostante le restrizioni causa Covid, i tamponi, il distanziamento sociale. Decido che parteciperò almeno alle spectator races.

Nell’alba del giovedì, poche ore prima che prenda il via la very-long distance di Coppa del Mondo, raggiungo l’area picnic del Bus de la Lum, mi cambio, abbandono lo zaino nello stesso posto dove era la tenda speaker agli Italiani Middle e mi avventuro nel bosco.

Di nuovo. Terza volta nel 2021. Nel bosco di Archeton.

Sono fiducioso perché mi sento quasi come se io fossi a casa. Ormai conosco bene i trucchi e le insidie del bosco, e poi non ho forse bevuto proprio ad Archeton la pozione magica che mi ha accompagnato per buona parte dell’anno? Per andare alla 1 non ho nemmeno bisogno di attingervi… tanto devo solo percorrere il sentiero a costo di girare un po’ largo in senso antiorario. Ma ho dimenticato di consultare il bugiardino della pozione magica. Scritto in piccolo, molto in piccolo: “la pozione magica funziona ovunque TRANNE ad Archeton”.

Perso.

Persissimo

O meglio. So esattamente che sono sul sentiero. Dietro di me c’è il Bus de la Lum, Davanti c’è la strada che porta al Filippon. So tutto tranne una cosa: dove sta quel maledetto punto!

16 minuti e 40 secondi per trovare il primo punto. Sarà stato alto? Sarò stato basso? Sarò stato boh? E che ne so io??? Alla fine il punto l’ho trovato, dopo aver cominciato a camminare sulla mia autostima che era finita sotto i piedi. Da quel momento, opto per una strategia conforme ai miei standard orientistici: cammino. Cammino e basta. E tengo i piedi sul sentiero, anche a costo di fare il giro dell’oca dalla 2 alla 3. Affronto un po’ di ortiche alla 5 e vengo a capo della 8 (che sta su un naso ma in una zona che mi sembra più mossa di quanto è segnato in mappa).

Dalla 10 vado sbaglio e torno alla 2, poi 11, riattraversamento della strada, ed ultime lanterne che mi riportano al Bus de la Lum. Ma alla 13 succede un fatto imprevisto: suona di nuovo il telefono. E’ una telefonata che mi lascia abbastanza interdetto e soprattutto azzera del tutto la mia concentrazione sul terreno di gara. Cerco di andare alla 14 ma capisco presto che non ho la più pallida idea né di dove mi trovo, né della direzione da prendere per andare avanti, e che non saprei neppure ritornare dritto alla 13. O forse è stato l’attraversamento del confine immaginario tra Veneto e Friuli Venezia Giulia a fregarmi? Concentrazione a livello zero, motivazione idem. Decido di interrompere la mia peregrinazione, in tempo per tornare al Bus de la Lum, riprendere lo zaino, salutare la crew di Paolo Di Bert che sta cominciando a predisporre partenza ed arrivo della spectator race e prendere la strada per la zona di arrivo della Coppa del Mondo.

Venerdì non sto in piedi. Pressione a terra e giramenti di testa tutto il giorno. Mi riprendo solo nel tardissimo pomeriggio, in tempo per andare a salutare (un po’ barcollando) il team Osterreich che si sta allenando sulla cartina della mia gara del giovedì.

Sabato mattina è di nuovo sveglia molto presto. C’è la seconda spectator race da correre sul bellissimo bosco di Vallorch. Quando arrivo al centro gare, Aaron Gaio mi propone: “vuoi fare l’apripista della Coppa del Mondo middle?”. Ciao Vallorch! E’ stato un piacere. Ma io torno ad Archeton.

Vado ad affrontare il terreno più tosto, più assurdo, più tecnico, più tutto sull’orbe terracqueo.

Considerazioni sparse.

Per trovare il punto 1 ho impiegato “solo” 9 minuti. Il 107esimo in classifica al primo punto della Coppa del Mondo impiegherà 3 minuti e 35 secondi. Ad un certo punto mi sono dovuto dire ad alta voce “Forza Stefano! Tra qualche ora Hubmann cercherà questo stesso punto! Ce la farà lui, ce la devi fare anche tu!”. Dalla 3 alla 4: strada! Gli ultimi movimenti equiparabili ad una corsa sono quelli nel pezzo 5-6-7, ma da quel punto in poi il frattale di Mandelbrot che ho davanti diventa troppo complicato per fare qualunque cosa che abbia solo la parvenza di orienteering. E’ una specie di caccia al tesoro nella quale io mi indico da solo con il braccio la direzione che devo prendere, faccio 15 o 20 passi, mi fermo, controllo la mappa e ricomincio ad indicare la nuova direzione, in loop quasi infinito.

Quando sto arrivando alla 15, ricevo una telefonata dagli organizzatori, mi chiedono dove sono finito perché sono in giro da un’ora e quarantacinque minuti. Da quel punto nel bosco sento distintamente la musica degli altoparlanti del centro gara, ma non mi arrischio nemmeno a spendere una previsione sul tempo di arrivo. E faccio bene, perché impiegherò altri 20 minuti per arrivare alla 18. L’ultimo shock è in corrispondenza dell’uscita dal bosco, quando passo dal varco nel recinto e vedo in lontananza la zona dell’arrivo, distante 950 metri.

Sono considerazioni che non dovrei nemmeno fare ma… tempo finale dell’ultimo della Coppa del Mondo (Tom Drygalski – Belgio): 1h08m52sec. Tempo del penultimo (Emil Oebro – Danimarca): 52m09sec. Tempo di Stegal: 2h12m13sec. Sento ancora le risate del terreno di Vallorch che mi aspettava quel mattino…

Buon Natale a tutti!

Friday, December 24, 2021

Calendario dell'Avvento - giorno 24 - Alpe Adria e Coppa Italia - Bellamonte

Aspettavo questo momento da alcuni anni: il ritorno sulla carta di Bellamonte. Che per alcuni è storica perché a Bellamonte è stato disputato il primo ecc.ecc., o perché Bellamonte è stata la sede della prima riunione del neo-nato ecc.ecc. Tutto bello, tutto giusto. Solo che a me Bellamonte dice ben altro.

Quando ero un nemmeno-tanto-giovane virgulgo dell’orienteering, mi abbeveravo alle parole del maestro Andrea Rinaldi. Non è che adesso non mi ci abbevero più, ma sono diventato una quasi-vecchia erba infestante. Comunque. Andrea mi diceva che per diventare orientisti bisognava aver gareggiato almeno una volta in TRE posti. Numero 1: la foresta del Cansiglio. Numero 2: la faggeta di Monte Livata. Numero 3: Bellamonte.

Non sto a dilungarmi su cosa raccontava Andrea il merito ai punti 1 e 2. Sul punto 3, Andrea ci intratteneva parlando di allenamenti con la squadra nazionale durante i quali i più blasonati Elite si perdevano. Una carta contenente tutto, ma tutto, proprio tutto! Sassi, rocce, paludi, movimenti del terreno, mille avvallamenti, cambi di vegetazione, radure, semiaperti…

Io credo nel potere della visualizzazione. Scrivo e dico parole, ma vedo immagini. Ascoltando Andrea, mi immaginavo una carta di gara grande più o meno come una Gazzetta dello Sport ancora non in formato tabloid. Finché il giorno arrivò. Volantino cartaceo nel librone della società: c'è una gara a Bellamonte. Si va. Si va a vedere in cosa consiste questa specie di terzo segreto di Fatima. Ci si va a perdere insieme a quelli della nazionale. Come si maneggerà una carta grande quanto un lenzuolo?

Scoprirò di riuscire a maneggiarla molto bene. Anche perché trattasi di un foglio formato A4 dove rimane un sacco di spazio per la descrizione punto (che veniva ancora spillata “carta su carta” alla mappa), gli sponsor, i nomi dei cartografi e tante altre cose ancora. Ma c’è tutto, su quella mappa! Tutto tutto tutto tutto tutto! Sassi, rocce, paludi, movimenti del terreno, mille avvallamenti, cambi di vegetazione, radure, semiaperti…

Tra me e Bellamonte è stato un colpo di fulmine. Ho una vasta collezione di mappe, perché ci ho corso ogni volta che ho potuto. Gare promozionali, gare regionali, semplici allenamenti (era uno degli allenamenti proposti per i JWOC 2009). Ci ho fatto un terzo posto al Trofeo Fiamme Gialle dietro a Gabriele Bettega ed Emiliano Corona, e ci ho vinto pure ex aequo una gara del Circuito Trentino in Notturna. C’è feeling, insomma.

A due terzi del mese di maggio, l’Alpe Adria 2021 è andata in scena proprio a Bellamonte. Una volta tanto, mi sono preparato per bene: sono andato a riprendere le vecchie mappe, ho studiato le scelte di percorso fatte anni addietro, ho fatto persino un po’ di simulazioni a secco “se dovessi andare da qui a là… avvallamento, sasso, gruppo di sassi, radura, palude… lanterna!”. Nelle mie simulazioni, ogni volta raggiungevo il punto di controllo.

Arrivo a Bellamonte in autostop, saluto la crew del GS Pavione, mi cambio e non vedo l’ora di andare alla partenza che sta in un posto di una bellezza stordente. Un minuto e 45 secondi dopo, sto già toccando il secondo punto. Niente di eccezionale: sono già in 34esima posizione, ma sono pervaso dalla sensazione di rinnovato feeling con quel terreno di gara. Per 74 minuti di gara non avrà più un solo cattivo pensiero, un solo momento di nervosismo. Arrivo al traguardo palleggiando con una sfera di plastica modello “SuperTele” da calcio che ho trovato nel bosco!

Il giorno dopo va in scena la gara di Castellir, una long d’altri tempi con tanto dislivello. Io ricevo la mappa di gara solo poco prima delle 8 del mattino. Annuncio al pubblico di segnarmi già come ritirato o missing punch. Dalla partenza scendo dritto verso il punto 7, attorno al quale pascolo per qualche minuto (ho chiesto a Robert Merl di spiegarmi come avesse fatto a trovare il punto: la sua spiegazione mi è ancora oggi incomprensibile, gli Elite fanno davvero uno sport diverso dal mio)

I punti dalla 8 alla 15 sono solo la punizione per non aver provato a fare la gara intera, la tratta 13-14 e poi la 14-15 sono mostruosamente dure per me che non digerisco le pietraie. Dalla 15 risalgo alla 25 e poi comincio a correre sulla strada. Incrocio un sacco di auto di orientisti che mi fanno i fari, mi salutano, sanno che sto andando ad aprire il percorso.

Sto correndo incontro alla carta che adoro. Dalla stradina a nord-est della 16 entro nel bosco e raggiungo l’inghiottitoio tra le rocce al primo colpo. Passo dalla fontana dove i ragazzi del Pavione stanno facendo rifornimento d’acqua per il ristoro ed attacco la 17 senza un solo pensiero negativo. Così la 18, in un pezzo di bosco da favola e poi le altre lanterne del loop. Persino la tratta lunga (siamo al 15.000, è lunga davvero!) sembra essermi amica… fossero così tutte le tratte lunghe!

Il rammarico arriva solo alla 23, quando devo perdere quota ed il bosco di Bellamonte lascia gradualmente spazio ad un terreno più ostico e pendente. Torno sulla strada provinciale, arrivo tornante, scendo alla 25 e da lì è solo fatica. Ma una fatica pulita. Fa freddo, piove e dovrei essere esausto. Invece sono felice, sorridente ed esausto. Sappiamo tutti, che ci sono motivi diversi per ritrovarsi esausti alla fine di una gara. La mia domenica a Bellamonte è stata un motivo giusto.

E a proposito: se volete diventare veri orientisti, dovete gareggiare almeno una volta alla Foresta del Cansiglio, a Monte Livata ed a Bellamonte. Quanta invidia per chi ha cominciato quest'anno ed è già a due terzi del percorso!

Thursday, December 23, 2021

Calendario dell'Avvento - giorno 23 - Relay of the Dolomites - Collepietra Steinegg

Non apprezzo a priori tutto ciò che scrivo. Mi può piacere o meno il risultato finale quando rileggo il mio blog. Sono contento se ho scritto in modo fluido e quasi “da flusso di coscienza”. Resto deluso quando devo pensare “prima” a ciò che scriverò “dopo”. Soprattutto, però, non mi viene naturale scrivere che lì sono stato bravo, che là sono andato forte. 

So di non essere né bravo né forte. Se lo fossi, forse non mi cimenterei più in Elite bensì nella mia categoria master, cercando di strappare qualche posizione di rincalzo dietro ai soliti noti: i vari Giovannini, Gobber, Hueller, Grilli, Dalla Santa, Magenes, Corona… o Stefano Maddalena e Tiziano Boiani quando scendono a sud di Brogeda.

L’anno prossimo potrei addirittura approdare in M55 (aaaaaarrrrrgggh al solo pensiero!) con i vari Beltramba, Anuchkin, Pradel… sarei le new entry del quinquennio M55 e chissà, forse Dario, Oleg e Roberto stanno già avendo brividi lungo la schiena al pensiero di quel tale Stefano che entrerà in categoria a partire dal 2022, a sconvolgere le classifiche e mettere in pericolo leadership da tempo consolidate.

Alludo, ovviamente, al mio coetaneo, collega di università e di lavoro Stefano Brambilla.

Però ogni tanto mi scappa di scrivere che sono stato bravo e forte. Poi mi rammarico da solo. Penso a chi legge il blog pensando “ma questo chi si crede di essere? Ogni volta che lo incrocio è fermo, o perso, o tutte e due le cose!”. Quelli bravi e forti sono altri, lo so benissimo, ed io non gareggio neppure nel loro stesso universo: non vedo le stesse cose che loro vedono nel bosco. Non mi accorgo della possibilità di fare le loro stesse scelte di percorso. 

D’altra parte, la stessa lanterna e la stessa tratta di percorso sono diverse se le cerchi passeggiando come un cercatore di funghi o correndo a tre e mezzo al chilometro, magari mentre ti stai anche giocando una medaglia ai Campionati Italiani o un posto in nazionale, o durante una staffetta quando senti il peso dei compagni di squadra sulle spalle. 

Già, il peso. Per questo io non corro più le staffette. Sono sicuro di aver fatto vincere due medaglie d’oro alla mia società Unione Lombarda semplicemente rinunciando a gareggiare in terza frazione, che era già attribuita a me, sia a Passo Coe (dove ha corso Andrea Battelli) che a Passo Radici (dove lo sprint è stato vinto da Oscar Galimberti). Quindi non chiedetevi cosa ho pensato quando ho visto il mio nome in quinta frazione nella staffetta composta da Lukas Patscheider, Sonia Rampado, Edoardo Tona e Chiara Sanzovo. 

Ogni volta che vi capiterà di leggere quanto sono stato bravo, o che attacco i punti come Thierry Gueorgiou, preparate la tara e mettetela sul piatto della bilancia. Una grossa tara. 

Pronti? 

Relay of the Dolomites 2022. Metro per metro, pound for pound, una gara perfetta. 

Avete messo la tara? Brave. Bravi. Bella pesante spero. Adesso che mi avete confermato la vostra scarsa fiducia nel sottoscritto, devo rivelarvi un piccolo segreto: io ad Archeton, poche settimane prima, avevo bevuto la pozione magica. 

Una strana pozione, che non mi ha dato più forza, che non mi ha fatto correre più veloce, ma che ha alzato l’asticella della mia attenzione orientistica a livelli che non vedevo da anni. 

Quella domenica, sul percorso della quinta frazione della Relay non ho mancato un dettaglio, una piccola forma del terreno, un avvallamento, una roccetta. Il bosco di Steinegg ha avuto un modo tutto loro di far sembrare facili le tratte difficili, e di far sembrare ancora più facili quelli che facili lo erano davvero. Ancora oggi, non riesco a guardare alla mappa senza provare un senso di autocompiacimento.

Le paludine e le canalette bagnate sono diventate oceani e fiumi, attraversabili e impossibili da mancare. Gli avvallamenti minuscoli sono diventate voragini visibilissime e prive di curve di livello, che scorgevo anche al di là dei dossi come se la mia vista fosse a raggi X. Le roccette sono cresciute a dimensioni condominiali, visibili da lontano e scalabili come se io fossi King Kong. 

E le lanterne… beh, le lanterne posate sul terreno erano del tipo “enormi e luminose”, degli elettromagneti che mi hanno attirato lungo la linea diretta senza che io potessi fare alcuna opposizione. Ho avuto un unico momento di difficoltà, alla 5, e se penso alla gara nel suo complesso non mi capacito di come io abbia potuto mancarla! In 29 anni di orienteering ho provato raramente la stessa sensazione di essere completamente a mio agio e sicuro che avrei trovato il punto proprio là dove mi stavo dirigendo. Non alla mia destra, non alla mia sinistra. Proprio davanti a me, dove avrei pensato di vederlo.

Se siete arrivati fino a qua, sopportando la mia mielosa e sbrodolante prosa autoincensante, meritate di sapere di quella telefonata durante la gara. Stavolta non mi ha chiamato Ercole Pin, stavolta non mi ha chiamato Kristian Bosisio. Stavo correndo nella parte finale della tratta 8-9, e improvvisamente mi è venuto in mente il tracciatore Misha Mamleev che mi aveva detto “Quinta frazione, la più lunga e la più difficile”.

Ho staccato il cellulare dalla spalla sinistra, ho composto un numero già pronto… Klingeling! Klingeling! 

“Hallo?”

“Misha? Sono Stefano! Ma non avevi mi detto che era difficile? Sono già arrivato alla 9 e sto andando come un treno!”

Misha ha riso.

Stavo ridendo anche io.

Relay of the Dolomites 2022. Quella volta che mi sono sembrato Gueorgiou









Wednesday, December 22, 2021

Calendario dell'Avvento - giorno 22 - Campionato italiano Long Elite - Collepietra Steinegg

Ad inizio 2021 ho guardato il calendario delle gare regionali e nazionali, ed ho provato un moto di invidia per quegli orientisti che hanno iniziato a gareggiare nello sport con cartina e bussola dopo la pandemia. Maggio 2021: Archeton, poi Folgaria, poi Bellamonte, poi Collepietra-Steinegg. Spero che i miei due lettori ammetteranno che c’è di peggio. A mio modesto, modestissimo, inutile e dannoso parere, sono 4 località dove l’orienteering è sublimato in tutta la sua bellezza. Tutte in un anno. Anzi, che dico: tutte in un solo mese. Un mese che per me risulterà anche straordinariamente impegnativo dal momento che sarà speaker in tutte le gare. Però avviso fin d’ora i neofiti dell’orienteering post-pandemia: non abituatevi così bene, un mese così capita ogni 20 anni.

Oggi per il blog è il momento di Collepietra-Steinegg. Del sabato di Collepietra-Steinegg, per essere precisi. Il che vuol dire Campionato Italiano a lunga distanza. Categoria Elite, l’unica, inimitabile e forse troppo lunga per me.

Giusto per dare una idea della mia esperienza con la mappa di Steinegg: ci ho corso la mia prima gara Elite della mia vita. Forse era il 199… 1999? Comunque era un Campionato Regionale dell’Alto Adige-Südtirol. In un campionato regionale non c’è la categoria Elite, ma quel giorno tutti gli iscritti erano degli Elite veri e propri: gli ultimi due in griglia di partenza erano gli unici due NON Elite (quindi non in possesso dei famosi 60 punti in lista base per raggiungere i quali sono state qua e là compiute varie nefandezze… ma lasciamo stare che sono episodi sui quali non è ancora calata la prescrizione per legge): uno era Francesco Lari, del Cus Bologna, peraltro a quella data Campione Italiano a staffetta H35 con Murgia e Dissette. L’altro, ultimo a partire a tre minuti da Lari, ed ultimo di tutta quanta la griglia di gara, è il sottoscritto. Alla mia prima gara di quel livello fisico e tecnico.

Non poteva andare benissimo. Racconto solo due episodi di quella gara: a metà circa sono passato dal ristorante a Gschnegg dove si stava svolgendo un pranzo di matrimonio, e ho chiesto se potevano elargirmi un po’ d’acqua e un pezzo di pane. Arrivato al traguardo, il T.O.L. stava già terminando di sbaraccare tutto quanto, lasciando solo i paletti della 100 e del finish da punzonare. Una gara tramutatasi in uno shock ed una faticaccia incommensurabili. Ricordo che Ivana Zotta mi ha incrociato lungo la strada tra l’arrivo ed il ritrovo, lei già con in mano il premio per la vittoria della categoria perché le premiazioni erano già finite, e non riusciva a capacitarsi come io fossi arrivato solo in quel momento: eravamo ormai più vicini alle 15 che alle 14.

Non ho più corso a Steinegg dopo quel giorno. Sentivo che il Campionato Italiano Long 2021 avrebbe potuto essere l’occasione per rimettermi alla prova.

Chiaramente parto all’alba. E’ vero che alla gara vera sarà dato il via solo nel primo pomeriggio, ma il percorso è lunghissimo e vorrei avere il tempo di riprendermi un po’ prima di ricominciare come speaker. Parcheggio l’auto in un punto che, spero, non disturberà troppo i concorrenti e l’organizzazione (e dove la mia auto non verrà fatta brillare dalla polizia locale). In un ultimo barlume di intelligenza lascio sotto il cofano, tra il cruscotto ed il motore, un paio di carbogel che non si sa mai.

Il mio piano consiste nell’appoggiarmi a qualunque sentiero della mappa di gara per i trasferimenti, anche a costo di fare le ultime decine di metri prima del punto sulla linea di massima pendenza. Dopo una lanterna 1 che mi consente di prendere confidenza con il bellissimo bosco di Steinegg, alla 2 non devo fare altro che evitare di perdere troppa quota: devo però fare una fatica immonda in finale di tratta, perché il punto è posizionato sulla parte alta della roccia e non alla base, che è la direzione da dove arrivo io.

Prima traversata del bosco per andare alla 3, facendo tutta la forestale, e poi torno sui miei passi per la 4 (per fortuna quel sasso spicca in mezzo al “quasi nulla”) e poi per la 5. I punti 6 e la 7 sono il mio pane in una pineta bellissima, ma la 8 mi fa lo stesso effetto di un piatto di pesce (equivalente della kryptonite per SuperMan): trovo niente al primo attacco (diretto sotto la linea), trovo nulla al secondo attacco (dalle rocce a sud, perdo la direzione giusta nel verdino), la trovo al terzo attacco e sono già un po’ in riserva con tutta la gara ancora davanti a me.

Per fortuna mi rimetto in carreggiata alla 9 ed alla 10, il che mi consente (camminando in salita) di affrontare il loop 12-15 con fiducia, anche se il “bosco dei boschi” che mi aspettavo è appena un po’ più sporchetto di quanto immaginavo. Giunto alla 15 sarebbe il momento di fare “la scelta” per la mega traversata fino alla 16. Ma io già mi sono impostato mentalmente alla sofferenza: non avevo forse lasciato i carbogel alla macchina? Scendo sulla strada, arrivo alla macchina, prendo i carbogel e li trangugio di un fiato. Il sapore è abbastanza fetente e mi cade l’occhio sulla data di scadenza: sono scaduti da almeno 1 anno e mezzo, ma chissenefrega.

Poiché ora sono sulla strada, si va di strada! Passo sotto la zona di arrivo e incrocio Gertrud Unterhofer ed Elizabeth Gruber che mi chiedono come sta andando il giro, e fanno quattro occhi grandi come piattini del caffè quando dico loro che non sono ancora a metà del giro Elite. Strada fino a passare sotto al ritrovo del centro sportivo, dove incrocio Misha Mamleev con il furgoncino e cerco (inutilmente) di strappargli un passaggio. Al bivio, strada provinciale verso sud: e poi è strada, strada, strada, strada… come un autentico naufrago in mezzo ai pullman della SAT, alle macchine, ai trattori. Se non fosse che la giornata è soleggiata e molto bella, i prati brillano, le macchie di pini ed abeti attorno mi sono famigliari. E ad un certo punto, come di consueto, arriva la telefonata: questa volta è di Kristian. Lui si trova non so dove, io mi trovo a non so più quale altezza del mio pellegrinaggio, ma dalle parole di entrambi capiamo che siamo proprio dove vorremmo essere.

Il risultato è che dal momento in cui lascio la strada e prendo il sentierino che mi porta verso la 16 non ho più un solo cattivo pensiero per la testa. Sto facendo esattamente quello che voglio fare, sono precisamente nel posto dove vorrei essere. I piedi urlano un po’, la fatica si fa sentire, ma per una volta sono i punti di controllo a venirmi incontro. Sfido chiunque abbia fatto un po’ di trail-O a dirmi che non si è accorto che le lanterne dalla 24 alla 27 sarebbero state perfette! (alla 25, quel punto tra i due cocuzzoli, vorrei sdraiarmi per terra e stare lì per un po’ a godermi il silenzio ed il profumo di resina).

Dalla 27 alla 28 soffro. Soffro per portarmi sul sentiero che costeggia l’area inaccessibile, ma è una fatica “pulita”, quasi liberatoria e purificatrice (lo dico adesso, ma forse non è ciò che stavo pensando mentre scalavo il sentiero e le ultime due curve per arrivare alla 28 e soffro). Anche le curve di livello per arrivare al pianoro dove c’è la 29 mi sembrano ora ingentilite dal tempo trascorso, ma in diretta devo aver speso qualche brutta parola.

La 30 mi diranno che forse non è nel posto giusto, forse è un avvallamento più avanti o una curva più in alto, ma ci entro di traverso dal sentiero pieno di fango e devo solo andre avanti finché non ci sbatto contro.

Arrivo al traguardo e non c’è praticamente nessuno. Non so nemmeno fin dove devo correre o che linea devo fare nel prato per raggiungere l’immaginaria linea del finish. Quello che so è che, a distanza di oltre 20 anni, la carta di Steinegg non mi fa più paura. Non oso nemmeno dire che mi è stata servita fredda la vendetta sulla mia prima gara in Elite, perché si è trattato solo di rinnovare una vecchia amicizia. Ci ho messo 3 ore e 34 minuti per arrivare a quell’amicizia, e sarò anche messo fuori tempo massimo in classifica. Sono quasi sicuro che nel 1999 ci ho messo un tempo assai simile. Sono state comunque 3 ore e 34 minuti tra le meglio spese di tutto l’anno.

Così, la sera degli Italiani long, io e la carta di Steinegg ci lasciamo in letizia. Avrò bisogno di tutto l’aiuto che posso ricevere dalla carta, perché l’indomani mi aspetta la quinta frazione della Relay of the Dolomites da correre in solitaria. Dove ci sarà spazio per una nuova telefonata… solo che questa volta sarò io a chiamare, ed il destinatario sarà una persona insospettabile.

Tuesday, December 21, 2021

Calendario dell'Avvento - giorno 21 - MOO

Orientisti. Popolo di artisti, poeti e ribelli, allineati o ostili alle regole del buon senso, anarchici individualisti o animali sociali da branco, pensatori e navigatori e al tempo stesso smarriti e inebetiti. Un agglomerato umano i cui singoli elementi, pur di avere ragione e detenere un primato, pur di essere primi in qualcosa, restringono l’insieme dei contendenti dalla nazione alla regione, dalla regione alla categoria, dalla categoria al pianerottolo del condominio. Ma da qualche anno c’è un solo evento che ci unisce tutti. Si chiama MOO. Quest’anno declinato anche in modalità TOO (bellissimo, mi dicono!) e GOO (ri-bellissimo, mi ri-dicono). Ma il MOO is the only and original one.

Chi ha vinto, chi è arrivato secondo, forse persino chi è arrivato terzo… beh! Costoro sanno benissimo la classifica finale. Gli altri, posso parlare solo per me ma direi anche per parecchi altri concorrenti “Classifica? Quale classifica?”. Il MOO è oltre il concetto stesso di classifica (sento già quello che pensano “dice così perché tanto non lo vincerà mai!”). E’ una esperienza storiografica, psicologica, sociale, microsportiva e larger than life che una volta all’anno mi fa vivere per 5 ore una Milano diversa da quella di cui calpesto i marciapiedi e le strade ogni giorno. Dopo tanti anni, il MOO mantiene intatta la sua freschezza: sempre nuova, mai uguale a quella dell’anno prima, rende possibile l’attraversamento di nuovi quartieri ancora privi di qualunque parvenza di servizio o vecchi anfratti dove i requisiti di abitabilità sono scaduti ai tempi dei Lanzichenecchi, angoli della città dove ci si può orientare usando una mappa che ha solo i numeri civici e boschi (dimenticati da Dio ma non dall’essere umano) nei quali artisti sconosciuti espongono opere che non verranno mai osservate dai frequentatori dei salotti mainstream.

(se Remo fosse un genio del marketing, il MOO sarebbe in cima agli eventi sociali della città… ma, ripensandoci: forse Remo E’ un genio del marketing e distilla gocce di MOO con parsimonia per non inflazionare il prodotto?)

Il MOO 2021, organizzato ancora in piena situazione di pandemia, ci ha portato nel futuro vicino del nuovo quartiere di Merezzate (località di cui fino alla mattina del MOO ignoravo l’esistenza) e nel passato lontano del centro città sulla mappa Teresiana. Ha mischiato palazzoni un po’ da socialismo reale e boschi alla periferia della città, linee ferroviarie e metropolitane che cominciano a far sembrare Milano una piccola Londra.

Al vertice dell’organizzazione della “MOO SpA”, nel ruolo di CEO tuttofare, Remo ha dominato ancora una volta la scena, facendo nascere il sospetto che dietro alle speculazioni edilizie o alle mancate bonifiche di aree depresse o alle evoluzioni abitative più pittoresche ci sia lui, sempre lui, nient’altro che lui. Me lo immagino all’ultimo piano di un grattacielo dello skyline con vetrate a 360 gradi, o in una bettola scalcagnata e fumosa dove suona una band punk rock metal alternative con cantante irlandese e batterista uzbeko, ma in entrambi i casi me lo vedo con i piedi sul tavolo ad imporre le sue direttive alla commissione edilizia ed al sindaco: “In quel quadrante lì… buttare già tutto e costruire sette grattacieli di forma diversa con collegamenti multilivello e giardini botanici ad unire il tutto. In quell’altra zona… avanti la casbah mediorientale con effluvi di spezie e bancarelle in mezzo alla strada!”.

Sto divagando.

Marco ed io abbiamo fatto squadra anche questa volta. O, meglio, lui ha fatto squadra ed io ho fatto zavorra. Ci siamo insultati, complimentati, incitati, arrabbiati e commossi a punti e mappe alterne. Ed ogni volta “ah… ma il prossimo anno…!”

Aspetto solo una cosa: la data del prossimo MOO.

Grazie come sempre Remo, non volevo metterti pressione per il 2022

E grazie anche a te Marco, ma anche tu non mettermi pressione che l’anno prossimo è un anno in più










Monday, December 20, 2021

Calendario dell'Avvento - giorno 20 - 5 Days of Italy - Andalo e Fai della Paganella

Come posso scrivere un mini-blog che includa 5 gare? Potrebbe essere più difficile che correre le stesse cinque gare in Elite una di seguito all’altra per un impiegato panzottello che si presenta al via della 5 giorni d’Italia (anche ribattezzata “Orienteering Fat Camp”) e vorrebbe anche fare lo speaker. Ci provo.

Giorno 0. 27 giugno, domenica. Al mattino, giusto per non farmi mancare niente, allenamento tostissimo sulla carta del Rifugio Meriz che, mi dicono i bene informati, potrebbe tornare buona in futuro per altre gare “da classifica”. Trattasi di bosco con pendenze da “tosto” a “tostissimo”, mille radure e cambi di vegetazione da bosco a semi-aperto, zone intricatissime (ho detto lanterne 37 e 42?) ed altre dove la curva di livello e l’arte di navigare in costa la fanno da padrone. Non faccio il giro completo di tutte le lanterne perché ho un altro appuntamento orientistico in giornata, ma faccio vedere che quando sono in vena le curve di livello non hanno molti segreti nascosti.

Sempre Giorno 0. Sempre 27 giugno. L’altro appuntamento orientistico è con la prima tappa della 5 giorni, a Fai della Paganella. Io avevo capito che era una sprint! Corro nel primo pomeriggio in un caldo afoso DA SVENIRE! Soprattutto nella tratta 6-7, quel bel rettilineo dritto di 800 metri che porta all’attraversamento della provinciale. Lì ho visto la Madonna sulla traversa della porta, come Fantozzi.

Inutile dire che, arrivato vivo all’attraversamento obbligato, il capire se fosse meglio arrivare alla 7 facendo il giro orario o antiorario era l’ultimo dei miei problemi. Da lì in poi cominciano una serie di piccole disavventure che mi costeranno (a me ma anche a Giacomo Pezzé, che mi accompagnerà per vedere con i suoi occhi e tornare a riferire...) un secondo giro:

·       punto 9: le due aree di verde privato a lato del punto sono non recintate, non segnalate, calpestabilissime a costo di mettere i piedi nell’orto di qualcuno, cosa probabile perché il passaggio è largo forse 1 metro

·       punto 10: a saperlo, forse era meglio tornare indietro e fare il giro in senso orario fino al lungo schuess finale sul pratone. Scelgo invece di scendere verso la provinciale e risalire il prato da un varco poco sopra la 18 (ci torno dopo): qui lo spazio tra il giallo e il verde privato è delimitato ancora una volta da una linea che va immaginata. E il prato ha erba alta oltre le (mie) ginocchia. Inutile dire che lo devasto per arrivare al punto, attirandomi le ire del proprietario al punto tale che rifaccio la stessa strada all’indietro per andare alla 11, evitando altre devastazioni. Alla 11 incontro gli amici Mario e Monika Ammann che mi vedono entrare ed uscire di corsa dal piccolo cortile e si fanno quattro risate

·       punto 13: è nel bel mezzo del giardino della casa appena ad est del cerchietto. Un bel giardino, con li vasi e e statuette dei nani, che aspetta solo di essere devastato. Per fortuna il proprietario (ignaro fino a quel momento) accetta di buon grado la cosa, anzi annuncia che si metterà a fare il tifo per i concorrenti!

·       punto 14: in fondo al cortile c’è un box, ed il tizio che ha la macchina lì non è molto felice di vedermi entrare, “bussare” sull’angolo ed uscire di corsa. Per fortuna che è la stessa persona che reggerà il gonfalone di Fai della Paganella durante la sfilata, quindi tutto si chiarisce in fretta quando spiego che sono l'apripista della gara del giorno dopo

·       tratta 17-18: ho già capito che qualcosa non va, e quindi decido di farla tornando indietro e facendo lo slalom tra i muri non attraversabili: così passo attraverso il portico, dove ci sono fuori tavolini e sedie, ed il sentiero ad S che mi riporta verso sud alla 18 è delimitato da aree private da individuare con l’immaginazione

·       punto 18: è al di là di una catena e di una auto parcheggiata proprio davanti. In effetti è un posto auto dove ne potremmo vedere delle belle (oltre che una richiesta di saldo del conto del carrozziere)

·       punto 19: è proprio in mezzo ai tavolini del bar (dove ritrovo Mario e Monika… che non hanno ancora finito di ridere)

Al netto di tutto questo, impiegare 47.42 è da fenomeni. Certo, Giacomo Guarda mi tira addosso 16 minuti di distacco, ma per la prima (e ultima) volta in vita mia: Dieter Wolf 48.41. Lui sarebbe anche l’argento mondiale a staffetta dell’edizione di Jicin… si, ma nel 1972. E tutti i miei complimenti al vecchio lupo, a Dieter Wolf, che continua imperterrito a gareggiare in Elite ad una età nella quale le categorie supermaster sono già tutte accessibili. E che mi porterà i cioccolatini alla postazione speaker per ringraziare del commento live.

Giorno 1. 28 giugno. Mentre tutti aspettano di correre la middle urban di Fai della Paganella nel fresco del pomeriggio inoltrato, io al mattino corro la long distance di Andalo, su una delle mie carte preferite

E’ una delle mie mappe preferite, dove anni fa avevo raccolto i complimenti di Andrea Rinaldi ad una Arge Alp (e portato punti alla mia regione!), io mi sento in gran forma ed il percorso mi esalta. 1-2-3 con i sentieri, traversata fino alla 4 su sentiero. Loop 4-7-8 in piena esuberanza, Alla 9 sembro già un cugino di Gueorgiou, alla 10 sono suo fratello, alla 11 sono Gueorgiou e basta. Ne ho abbastanza per oggi, e da quel punto in poi mi appoggerò a tutti i sentieri, facendo parecchio dislivello ed il giro della circonvallazione in senso orario dalla 17 alla 18. Alle ultime lanterne non ne ho veramente quasi più, ma riesco ancora a correre fino all’immaginario traguardo, sotto l’immaginario arco gonfiabile, ricevendo gli applaudi di un immaginario pubblico. Il pubblico invero c’è, sono tutte le famigliole in gita turistica ad Andalo, che mi guardano crollare su una panchina come se fossi matto. Due ore trentanove minuti e qualche secondo di puro divertimento.

Giorno 2. 29 giugno. Appena tutti hanno finito la gara di Andalo, subendo più i frizzi e lazzi dello speaker, per l’occasione coadiuvato da Eleonora e Jotis Raptopoulos ed Emma Ghiggia from Canton Ticino, salto nei vestiti da orientista e vado a fare la terza tappa a Cavedago, un’altra delle mie mappe preferite.

Sono in piena esuberanza anche oggi, e dopo qualche incertezza alla 1 riesco a non sbagliare più niente fino alla 16. Purtroppo la tratta 16-17 consuma tutte le residue riserve di energie (sono in ballo da ore come speaker), ed arrivo agli ultimi punti in debito di forze e lucidità. Così, dalla 19 alla 20, scendo sul bel sentierone vista prato, ma mal me ne incoglie perché la risalita verso la 20 è penosa su un terreno che si sfalda sotto il mio peso. Anche stavolta faccio la volata, l’arco ed il traguardo ci sono (come pubblico le solite famigliole ormai abituate ai miei arrivi) ma quell’ora e trentotto minuto poteva essere decisamente migliore

Giorno 3. 30 giugno. Mentre i partecipanti corrono a Cavedago, io… niente, faccio lo speaker a Cavedago e basta, perché il giorno dopo…

Giorno 4. 1 luglio. A Chalet Forst si sale con la cabinovia. Io salgo con la prima cabila della giornata. Lascio lo zaino in mezzo al piazzale di arrivo (lo so che la mia fiducia nel genere umano un giorno non sarà ripagata) e vado ad affrontare la carta con le sue settemila curve di livello.

La condizione non è più quella delle tappe 2 e 3, fa freddo all’alba e mi muovo con estrema lentezza. Tuttavia riesco a trovare i paletti delle prime lanterne fino alla 6 con una buona precisione. Solo che le pietre oggi non mi parlano. Ho detto lanterna 7? Ho detto lanterna 7. Quattordici minuti per trovarla, Quattordici. Nel giorno in cui avrei bisogno di essere preciso e risparmiare tempo di gara, quattordici minuti in zona punto. Marco Bezzi mi dirà che c’era il trucco: entri in zona, vai lì, trovi il punto ed esci di là… si, ma lui è Marco Bezzi, mentre io non sono nemmeno più il lontano parente di uno che una volta ha incrociato Gueorgiou in metropolitana.

Mentre vado alla 10 arriva, immancabile, la telefonata di Ercole Pin. Non sarà né la prima né l’ultima quest’anno. Cerco di darmi un tono al passaggio al punto spettacolo, ma poi mi schianto nella vegetazione attorno alla 12, che cerco a lungo, e concludo la gara quasi camminando, esausto soprattutto per arrivare alla 16 ed alla 17. Due ore zerozerominuti. Giacomo Guarda ci mette un’ora e zerozerominuti, vedi un po’ te la differenza tra uno bravo e me.

Giorno 5. 2 luglio, Si torna a Fai ed io corro all’alba per avere il tempo di commentare l’ultima tappa. Ma sono stanco e si vede. Mi incarto drammaticamente già alla 2 e da lì in poi ci sarà molta sofferenza, complici anche le combinazioni “dentro-fuori-dentro” 6-7-8 e 12-13-14.

Mi salvo un po’ nei punti di puro bosco: 5-6, il loop 8-12 e dalla 14 alla 17, ma sono lento e stanco. Per arrivare alla 20 impiego una vita: Cristellon, il posatore, mi incrocia in auto e mi offre un passaggio (che rifiuto). Prima della 20 un signore mi offre la canna dell’acqua per abbeverarmi, e la accetto memore della scena vista a Dossena. Dalla 20 alla 21 passo in mezzo all’arena delle premiazioni, dove gli amici pensano con sollievo “è ancora vivo!” e gli altri pensano con rammarico “è ancora vivo”, due toni di pensiero sono decisamente diversi.

5 giorni d’Italia. Un appuntamento immancabile. Un altro successo organizzativo per una crew collaudata e che mi sopporta da qualche anno. Come direbbe Castelli “ad un’altra, ancora più bella”.

Sunday, December 19, 2021

Calendario dell'Avvento - giorno 19 - O-Marathon degli Altipiani

Dalla gara più lunga dell’anno alla gara più lunga dell’anno: O-Marathon degli Altipiani. Anche in questo caso, basta la parola. Torno sul terreno di Millegrobbe per un’altra edizione della Gara, e questa volta sono schierato al via in M50, dopo aver corso per tanti anni la categoria Elite e, in una occasione, la M35.

Questo fa di me un recordman assoluto: credo di essere stato il primo a correre la O-Marathon in tre categorie diverse. Per la quarta categoria, o il Gronlait inventa la supermaster (ma dovrò aspettare ancora qualche anno), o Robert Zemeckis mi regala da DeLorean per tornare a correre in M20. Tutto questo per dire che i record, se non mi vengono attribuiti formalmente, me li costruisco da solo (e se qualcun altro lo avesse fatto prima di me potrei sempre aggiungere la categoria “per orientisti sopra al metro e novanta”).

In una giornata clamorosamente soleggiata ma con temperatura mite, il percorso è impegnativo il giusto, lungo il giusto, tecnico il giusto. I trattoni lunghi lunghi della prima carta mettono ovviamente un sacco di paura, ma io mi metto in coda al trenino dell’Orienteering Piné pilotato da Marco Giovannini che fa il ritmo giusto ed arriva alle fermate in perfetto orario.

Fino alla tratta 4-5 nella quale, più o meno a metà, Marco impone di separarci: lui prende una strada diritta ed io farò la circonvallazione usando la strada che passa all’angolo nord-ovest della carta. Questo mi impone ovviamente di trovare i punti da solo, ma non è una impresa sovrumana. Le lanterne 5 e 6 vengono via abbastanza tranquille (la 6 è in una delle zone battute nel famoso campionato italiano long con il tempo da lupi), così che quando arrivo all’attraversamento della strada il più è fatto.

Sono così convinto che Marco nel frattempo è molto più avanti di me, che mi attardo per un primo passaggio dal ristoro prima ancora di andare verso la 7. Solo che, quando arrivo ai piedi della salita e vedo già il telo da sotto, vedo anche Marco che ha appena punzonato e sta scendendo. Proprio così: facendo la circonvallazione gli ero passato davanti. Non lo riprenderò più.

Il secondo giro è una bella middle abbordabilissima. Sempre memore della long distance 2019, per andare dalla 10 alla 11 mi appoggio al sentiero grande che sale verso nord-est fin quasi all’unica area privata presente in carta. Da lì, entro con grande circospezione nella zona della 11-12, perché fatte quelle la O-Marathon sarà praticamente finita. Lì trovo ancora Marco, davanti a me di una lanterna.

In realtà “Non finisce proprio niente se non l'abbiamo deciso noi” (chi riconosce la citazione è un Delta Tau Chi) perché la 13 è almeno di livello Riccardo Rancan in una scala da zero a Thierry Gueorgiou. Non la trovo al primo passaggio, esco sul sentiero, mi porto dove c’è la statua della Madonnina (è proprio vero che mi affido alla Madonna…) e rientro, trovandola subito. Da lì c’è solo da arrivare al traguardo.

Dove avvengono le premiazioni, dove cerco di fare da agente disturbatore offrendomi di parlare al microfono a favore dei premiati, dove un’altra O-Marathon è andata negli archivi e dove il sole continua a splendere ed il sorriso contagioso di Roberto Sartori continua a scaldare i cuori dei presenti. Non posso fare a meno di ricordare che quella sarà l’ultima volta in cui ho visto Roberto, che purtroppo verrà a mancare a distanza di nemmeno tre settimane, pochi giorni prima della fine di luglio.

Mi auguro che l’eredità orientistica di Roberto non venga dispersa, e tra i cimeli di questa eredità c’è sicuramente la O-Marathon degli Altipiani. Ancora un abbraccio a Roberto.

Saturday, December 18, 2021

Calendario dell'Avvento - giorno 18 - Coppa Italia long - Dossena

La gara più lunga dell’anno, dopo la notte più corta dell’anno. Dossena dopo Serina. E’ la notte più corta dell’anno perché sabato sera si fa tardi parlando di… di orienteering ovviamente! Ed è la più corta dell’anno perché da qualche ora, e poi per tutta la notte ininterrottamente, piovono e pioveranno messaggi ed inoltri di messaggi sulla mia performance di Serina, quella secondaria al mio piazzamento in gara, quella che mi ha consegnato ai posteri (o a Paperissima, lo scopriremo solo vivendo).

Nella cuccetta dove dormo fa un freddo cane, così decido di andare a dormire già vestito per la gara, già con la termica (pulita!) sopra e sotto, per risparmiare ogni secondo utile all’alba, visto che la sveglia suonerà alle 5.20.

5.20 suona la sveglia. 5.25 salto nelle scarpe. 5.30 sono fuori dalla struttura, andando a tentoni al buio fino a ritrovare la porta di uscita per non svegliare gli altri. Se ho dimenticato qualcosa, dovrò telefonare a qualcuno per rientrare… Per fortuna la struttura dove dormiamo con altri ragazzi dell’organizzazione è a 200 metri dal triangolo di partenza. Parto “solo con un cane” alle 5.35, perché sono accompagnato da un botolo ringhioso che mira ai miei polpacci e difende l’area privata in zona partenza.

Alle 5.50 circa, giusto per segnalare a tutti che non sono scomparso nella cuccia, mando nell’etere la seguente foto che mi ritrae in compagnia della prima mantellina

Il piano di tutta la prima parte di gara prevede di andare su e giù per i pratoni, usando i sentieri per tagliare l’unica fetta significativa di bosco. Ogni tanto mi fermo a rifiatare per un selfie, perché per la prima volta nel 2021 sento l’altitudine ed i polmoni vanno in fiamme.

Arrivato alla 8, devo capire come fare per arrivare alla zona della faggeta. Mi piacerebbe percorrere i sentierini che, più o meno stando in costa, aggirano il terribile vallone che separa in due la carta, ma mi accorgo presto che così facendo mi troverei ad attaccare la 9 da qualche decina di curve di livello sotto il punto. E quindi vado di “giro del fullo” sulla strada carrabile fino a prendere il sentierino che sta solo 8 curve di livello sotto il punto. Che non devo sbagliare, visto che lo attacco dalle rocce attaccate al sentiero, è una carbonaia ed il ho il potere di Grayskull sulle carbonaie.

Ovviamente, lo manco. Arrivo al sentiero più in alto. Torno giù e lo manco di nuovo. Quando torno su per la seconda volta, penso che sto facendo le stesse decinaia di curve di livello come se avessi deciso di percorrere il giro corto del vallone… per fortuna questa volta trovo la lanterna.

Il giro nella faggeta è ovviamente la parte più bella della gara, ed è un privilegio riservato ai pochi che affrontano o percorsi a lunga gittata. Mentre sto andando alla 10 accade un fatto decisamente inusuale. Non sono ancora le 8 del mattino e nella faggeta, su sentiero più in alto, si aggira un signore. Come due viandanti, ci salutiamo: “Piacere, Stefano” “Piacere, Mauro”, e lui mi chiede che cosa sto facendo. Io gli dico che da lì passerà una gara di orienteering, e lui mi dice che quella è la zona della sua classica passeggiata domenicale: di solito lascia la macchina a… (un posto sulla carrabile di cui sopra), prende i sentieri alti che passano sopra lo strapiombo ed arriva fino al punto panoramico, sta lì qualche minuto e torna indietro.

“Posso vedere la tua mappa? Bella. Questi sono i punti da dove devi passare? Posso provarci io?”. E fu così che, nella faggeta di Dossena, Stegal trova persino il viandante che si offre di dargli una mano. Lui usa la mappa e comincia a scendere, io mi guardo attorno perché non vorrei finire chissà dove, ma più o meno alla 12 ci arriviamo. “Bel passatempo, bravo. Avete trovato un bel posto per il vostro giro”. Giro, il mio, che continua nella bella faggeta, mentre lo vedo riguadagnare quota verso il punto più alto del bosco, ma ritroverò Mauro proprio dove aveva lasciato l’auto, qualche minuto dopo aver raggiunto la 18.

19-20-21 sono lanterne di pura fatica e dolore. Sono in giro da tanto di quel tempo che potrebbe persino essere cambiata la stagione. La 21 sembra fatta apposta (è fatta apposta?) per poter inserire la tratta “coast to coast” attraverso la mappa. Dopo essere tornato faticosamente sulla strada carrabile (i piedi ormai urlano), cerco di trovare un ristoro nel cascinale tra la 3 e la 8, ma alla mia richiesta se posso abbeverarmi alla canna dell’acqua il tizio che sta lì mi risponde di andare più avanti “dove c’è una cisterna”. Diciamo che in una scala da zero a buon samaritano siamo a livello Hannibal Lecter.

Ripasso sopra alla 4, ora baciata dal sole caldo del primo maggio…

e vedo che poco più avanti c’è Paolo Mario Grassi, il quale finge di controllare i punti ma, più probabilmente, era stato mandato in avanscoperta per scoprire dove si fosse perso lo speaker… E fu strada e fu lunga e fu salita. Nuovo passaggio alla 22 sul punto panoramico…

… e poi è ora di scendere a valle, finalmente verso il traguardo. Peccato che solo i primi 50 metri di discesa siano in un bel bosco pulito. Arrivo al traguardo in 3 ore e 41 minuti, praticamente una O-Marathon, scoprendo con un certo raccapriccio che:

1.     1. Lucia e Marco mi hanno procurato una sedia gestatoria tutta per me, evidenziando il fatto che dopo la caduta di Serina non ci si poteva permettere di rompere internet un’altra volta con una performance delle mie

2. Tutti quanti gli Elite, andranno come treni scendendo tutti sotto le tre ore.

Dossena. Un’altra gara long distance in Elite messa in saccoccia, ma fino a quando potrà succedere?

Friday, December 17, 2021

Calendario dell'Avvento - giorno 17 - Coppa Italia middle - Gravina Fantiano

Visto che ho parlato di “pozione magica di Archeton”, introduco rapidamente la gara middle di Grottaglie perché credo di avervi consumato lì le ultime gocce. Finale della Coppa Italia in ambientazione boschiva (? o “forest” ? o “bosco” ? “Urban va bene, ma lo speaker sulla definizione esatta della Coppa Italia si è trovato un po’ in difficoltà, almeno nella formulazione di una frase immediatamente comprensibile dal viandante occasionale che passa di lì per caso).

“Boschiva” è un po’ una parola forte, trattandosi di macchia mediterranea attorno alla Gravina Fantiano, quella parte di pineta sopravvissuta ad un incendio probabilmente doloso dell’ultima estate, andato a distruggere un polmone verde vicino a Taranto ed a cancellare tra le altre cose il lavoro già impostato dagli organizzatori: avevo visto alcuni francobolli della carta di gara originale, con la collocazione di alcune lanterne, ed avevo sorriso pensando alla bella gara tecnica che poteva venirne fuori.

Ciò che rimane dopo l’incendio è una area che ci fa percorrere un primo breve loop in una zona di bosco quasi piatta e con tanti dettagli. Dopo il trasferimento e l’attraversamento della strada, un terreno con dislivello non accentuato, il passaggio da quella che ribattezzerò “necropoli di Gravina” (loop 10-13). Ci si avvicina al traguardo con un altro loop 16-22 e infine si precipita al traguardo nell’arena naturale della cava di Gravina Fantiano.

Descritta la gara, qualche parola sulla mia performance. Apparentemente mi sento bene, tranquillizzato come sempre da coach Bellotto prima della partenza. Nel primo loop, che farà alcuni danni pazzeschi in classifica (soprattutto per la lanterna svedese, alla quale si arriva da una direzione strana e dalla quale si tende a ripartire in direzione errata), i dettagli che vedo in mappa sono esattamente quelli che io, se fossi stato il cartografo, avrei evidenziato. Le lanterne mi vengono incontro ed esco dal loop con 4 lanterne fatte in 5 minuti e 35 secondi. Il paletto della 5 è visibile dal palo della luce a nord-est e la 6… beh! Basta solo non dimenticarla (un saluto e un arrivederci a presto a Giacomo “Jack” Nisi).

Dopo aver attraversato la strada, occorre solo tenere la direzione giusta e la testa alta. Quest’ultima cosa è in realtà la più difficile, perché purtroppo il terreno è disseminato di cocci di vetro e resti di lavori edili, qualche pietra “naturale” ed altre cose che hanno trovato collocazione abusiva in quella piana. Di conseguenza è tutto un tenere d’occhio il terreno per evitare di incocciare qualche ostacolo indesiderato e guizzare con lo sguardo lontano per un solo istante a vedere l’oggetto o la lanterna. Cosa che mi riesce benissimo fino alla 9.

Alla 10 ci si arriva guardando le linee elettriche (anche se ho il sospetto che ce ne fosse una in più sul terreno), la 11 è oltremodo pittoresca in piena zona “necropoli”, la 12 la semplifico buttandomi fuori verso sud e poi aguzzando lo sguardo a nord, e la 13… questa la sbaglio ma sono di una ventina di secondi, andando ad un altro punto che aveva catturato i miei occhi.

Arrivo alla 14 mentre dall’altra parte corre Bellotto in persona in fase di controllo punti, e alla 15 capisco che bisogna tenere d’occhio dove compaiono i due alberelli isolati per infilarmi sulla discesa nel punto giusto. Giro in senso orario per andare alla 16, evitando l’attraversamento di una zona dichiarata come vietata per l’oggettiva pericolosità del terreno, e riesco persino a recuperare una lanterna (la mantellina) persa da un posatore, che porterò con me fino al traguardo.

Per andare alla 21 riesco anche a sorridere: dalla balconata della 20, guardando al di là dell’avvallamento, si vedono almeno tre lanterne “una delle tre sarà pure la mia! Sia mai che, una volta che vedo tre lanterne, ne hanno posata una quarta ed è la mia!”. Il giochino riesce facile perché battezzo quella giusta.

Finisco la gara in meno di un’ora, quando sarà successo l’ultima volta? Eoni fa, penso. Con un po’ più di cattiveria agonistica, i 55 minuti erano tranquillamente alla portata e chissà… magari anche i 53.

Ma va bene, va bene, va molto bene così