Stegal67 Blog

Monday, September 17, 2018

Per chi non ha abbastanza tempo


Per venire incontro alle esigenze segnalate da numerosi fedeli lettori attraverso mail e commenti del tipo "vorrei avere il tempo di leggere il blog ma non mi sono rimasti abbastanza giorni di ferie..." nonché facilitare chi è interessato solo alle carte di gara e non gliene potrebbe fregare di meno del mio stato psico-fisico, presento una facile tabella riassuntiva che utilizzerò d'ora in avanti e mi risparmierà le classiche frasi a corredo del racconto delle mie prestazioni:

Magari avete anche voi la vostra tabella?

In questa foto sembra che io stia "pontificando" al termine di qualche gara. Cosa che qualcuno mi ha detto che sto facendo (peraltro "a vuoto") anche tramite il post precedente. A prescindere dal fatto che le mie condizioni mentali al termine di QUALUNQUE gara sono di due gradini peggiori rispetto a quelle che avevo al momento di partire, ribadisco il concetto che sembra non aver fatto del tutto breccia:
Finché avrò tempo \ forze \ salute \ giorni di ferie disponibili \ possibilità economiche \ attitudine, e finché gli orientisti avranno voglia di sentire il mio commento al traguardo, io farò da speaker a chiunque me ne farà richiesta. Non tiratemi dentro in questo o quello schieramento giudicando dalle gare a cui partecipo, please.

Sunday, September 16, 2018

Se non ci avessi provato...


Se non ci avessi provato, mi sarei rimproverato di aver avuto una occasione e di averla sprecata, e a 50 anni passati, le occasioni in campo orientistico non capitano tutti i giorni. Intendo le occasioni per lasciare il segno, per ottenere un risultato. I Campionati Italiani 2018 in Puglia sembravano essere l'occasione propizia: ci sarebbe stata meno partecipazione del solito, questo era scontato, e di conseguenza avrei avuto maggiori chance di raggiungere il mio obiettivo. Mi sono messo alla prova dei fatti. Ed ho fallito. Con il senno di poi, non poteva che andare così.

Senza essere un telepate, so cosa sta pensando il 50% dei lettori del blog che sono arrivati fino a qui: "ecco un altro che pensava di andare a fare man bassa di medaglie in un campionato italiano a partecipazione ridotta, per poi bullarsi per anni davanti a tutti!". In effetti, non è un caso se il mio unico podio in Coppa Italia (categoria H40, qualche anno fa) è stato nella gara di Porto Selvaggio del 2011. Sempre Puglia, sempre Salento, sempre caldo e sole che picchia sulla testa e terreno a macchia mediterranea (con qualche passaggio sugli scogli, quella volta): una gara di lunghezza epocale, perché al tracciatore era stata chiesta una long distance, ma definita “a media distanza” perché la carta di gara era 1: 10.000. Ah la regolamentite! Ai Campionati Italiani 2018 erano previste le due distanze Sprint e Long. Qualcuno può pensare che avessi velleità di medaglie? Iscrivendomi in Elite ed over-40?

No. Il risultato che volevo ottenere era di tipo diverso. Volevo approfittare dell’occasione per provare a parlare con alcune persone (prese da entrambi gli schieramenti contrapposti) che, presumibilmente da dicembre 2018, detteranno la rotta politica dell'orienteering italiano a seconda di come andranno le elezioni del prossimo Consiglio Federale. Avevo scritto un paio di pezzi fa: “lasciando da parte il microfono ed il ruolo di speaker e tornando a vestire i panni del semplice orientista quale sono, vorrei chiedere perché non è possibile andare d'accordo e trovare una sintesi tra le diverse posizioni ed i punti di vista? Per favore spiegatevi, parlatevi, non lanciate agli orientisti messaggi del tipo "un giorno saprete la verità..." "se soltanto sapeste cosa sta succedendo realmente...". Perché sta succedendo tutto questo?...
Speravo che qualcuno, leggendo, si sarebbe fatto vivo anche solo per eccepire, contestare, criticare, chiedermi chi diavolo mi credo di essere! Ma il risultato è stato zero, ma forse è proprio vero che i blog non li legge più nessuno, o non rappresentano lo strumento giusto. Più presumibilmente: chi sono io per poter sollevare una reazione, anche solo un minimo di confronto positivo, scrivendo parole su internet? Così ho provato a rivolgermi direttamente ai diretti interessati. Intendo proprio "in modo diretto", anche a muso duro: cosa pensate di ottenere? Perché non vi confrontate in modo aperto e costruttivo? Perché non riuscite a fare una sintesi tra le idee degli uni e le iniziative degli altri? Come pensate che ci potrà essere un futuro al nostro sport se non riuscite a lavorare in armonia?

Devo dare una cattiva notizia ai pochi orientisti arrivati fino a qui: le speranze stanno a zero. Diciamo a un epsilon piccolo a piacere (in fondo è stato proprio quell’epsilon a portarmi su quel podio a Porto Selvaggio). Ho sentito risposte che parlano di un ambiente ormai polarizzato, di “radicalizzazione dello scontro”, di guerra! Sono tutte parole che andrebbero usate con il bilancino: quando purtroppo le guerre scoppiano davvero, capita che le persone restino in silenzio perché mancano i termini di riferimento che sono già stati sprecati inutilmente altrove. Ascolto le accuse reciproche di organizzare gare farsa, di malversazione (uso questa complicata parola per non dire peggio), di "sovvertimento degli ordini democratici" (vedi mio commento alla voce "guerra"), oppure buon ultimo quando mi sono sentito rispondere "il tuo tentativo di farci dialogare è paragonabile ad avere allo stesso tavolo partigiani e fascisti. Si andrà avanti fino a che una parte non distruggerà l'altra".

Sono rimasto senza parole, quasi choccato. Non pensavo certo di essere un novello Kofi Annan, non ambivo certo al Premio Nobel per la pace orientistica, ma forse è davvero meglio che io mi limiti a scrivere di percorsi per i quali non sono preparato, di classifiche che mi vedono ben adeso all'ultimo posto, di tratte che palesano i miei evidenti limiti orientistici. D'altra parte mi diverto così: la mappa mi mette alla prova, la classifica non toglie nulla alle emozioni che mi offre lo sport che considero più bello al mondo. Se dicessi che mi interesso di politica orientistica, forse mentirei e forse no. Una persona migliore di me una volta ha scritto che “la politica in fondo è avere a che fare con le situazioni di tutti i giorni e cercare di cambiarle in meglio”. Ma forse siamo arrivati al punto in cui non abbiamo più mattoni su cui costruire una solida base comune.

*** ***

Sabato a Martina Franca mi sono iscritto in categoria Elite. Sprint e Middle riesco ancora a correrle così, mentre per la long credo che ci siano ormai pochissime speranze (la Foresta del Cansiglio 2017 potrebbe aver rappresentato davvero il mio addio alle armi e, per quanto sembri impossibile, questa cosa mi fa davvero sorridere e mi rende orgoglioso). Davanti a me avevo la gara e l'impegno come speaker, ma attorno a mezzogiorno le mie condizioni mentali non erano proprio tali da poter affrontare una lunga e calda giornata. Serve una buona oretta di riscaldamento, correndo tutto attorno con l'ipod a palla nelle orecchie, per rimettermi in forma e di buon umore. Entrambe le cose mi serviranno nei 23 minuti successivi alla partenza per mettere insieme la gara sprint che probabilmente ho corso meglio in questo 2018: sempre concentrato sulla mappa, sempre in anticipo sulle scelte (magari non le migliori ma quelle che mi hanno guidato con sicurezza su tutti i punti).
Un unico momento di difficoltà tecnica al cambio carta, per riposizionarmi sulla seconda parte del percorso, ed una sensazione stranissima quando nel primo giro sono stato inseguito dal fotografo d'eccezione Francesco Franz che mi ha immortalato per un paio di tratte lungo le quali una parte della mia mente ha "switchato" in modalità "non sbagliare, non sbagliare! Non fermarti! Nessuna indecisione! Staccalo! Staccalo! Staccalo!" finché non ho sentito i passi di Francesco rimanere indietro. Per qualche istante mi è apparsa chiarissima la sensazione che possono provare alcuni atleti agli Europei o ai Mondiali quando nel bosco vengono inseguiti dalla telecamera o sentono la voce dello speaker che parla di loro (o forse sono talmente bravi e concentrati che se ne sbattono...).

(qui Francesco Franz è riucito a prendermi quasi staccato da terra!)

(qui invece sono decisamente adeso al terreno...)

La gara "da duri" è quella di domenica, il campionato italiano long. Quando sul sito della gara era stata pubblicata una vecchia carta di esempio per illustrare come sarebbe stato il terreno, io (ma di sicuro non solo io) sono rimasto senza fiato: praticamente alcune zone sembravano delle pennellate di verde fitto con le rocce in mezzo! Poco dislivello, ma dove cavolo avrebbero potuto andare a mettere i punti in quell'insalata verde che sembrava tanto la famigerata carta di Carvico? Le ultime informazioni, che consigliavano l'uso di protezione alle braccia ed alle gambe, confermavano i timori più ansiosi e hanno sicuramente dato linfa ai commenti "dal divano" di tanti che, rimasti a casa, commentavano "mille chilometri per andare a correre in un posto simile?". Una informazione che non deve aver fatto molta paura a Matilde Pin, o a Vera Chiusole ed altri ancora, che hanno affrontato la gara con i soliti calzoncini corti e ne sono uscite senza un graffio!

Al solo scopo di provare a testare un percorso lungo ma con un minimo di sicurezza di poter essere al traguardo prima delle canoniche ore 10, mi sono iscritto al percorso over-40. A digiuno ed in una bellissima alba pitturata dal sole, alle 6.52 mi sono avventurato in partenza (distante poche centinaia di metri dalla mia camera) ed ho cominciato ad affrontare i primi appezzamenti di macchia mediterranea suddivisi dai famigerati muretti alti fino a un metro e mezzo o anche di più. La prima parte di gara mi ha ricordato molto la carta di Gropada, tanto cara a Larry: la vegetazione non è poi così opprimente, anche se bisogna fare lo slalom tra i cespugli, le macchie di pruno, i rami bassi. Spine non ce ne sono, ma chiaramente non ci si può tuffare a testa bassa contro la vegetazione, perché è talmente secca che i rametti sembrano fatti di acciaio.


I primi 5 punti vengono via abbastanza lisci: devo trovare i paletti metallici in un paesaggio molto simile a quello della luna, con i cespugli al posto dei crateri; quando mi muove verso est, e quindi in direzione del sole basso, non sempre riesco ad identificare il paletto al primo colpo: d'altra parte la vegetazione è davvero uniforme ed il fatto di riuscire ad arrivare su tutti i paletti (lascio un sasso sul piattello metallico che dovrà ospitare la lanterna, per testimoniare il mio passaggio) mi fa sentire un ottimo orientista anche se la velocità con la quale mi muovo in zona punto è necessariamente bassissima. Dopo le prime 5 lanterne di tipo Gropada, arriva il momento della prima galoppata lunga per spostarsi nella seconda zona di muretti fitti. Per arrivare al punto 6 e poi da qui fino alla 8, le mie scelte sono molto più in sicurezza, viaggiando avanti e indietro per i due grossi sentieri agricoli. Seconda tirata lunga verso la 9, attraversando un terreno che sembra essere stato incendiato da poco (e che lascerà evidenti tracce nere sulle divise, le braccia e persino i volti dei concorrenti... vero Noemi Inderst?). Su questa parte di percorso il vento secco che spira contrario alla mia direzione di marcia mi prosciuga, e istintivamente lancio un messaggio di auguri agli amici ed alle amiche che affronteranno quella parte di percorso a mezzogiorno con il sole a picco.

Il punto 9 lo vedo da lontano, perchè il sole ad un certo momento picchia dritto sul piattello metallico con il codice della lanterna: il luccichio mi permette di identificarlo perfettamente tra le rocce, come Henry Fonda riusciva ad identificare le bisacce piene di dinamite del "Wild bunch" dal riverbero del sole sulle borchie, in un perfetto remake di una delle scene più belle di "Il mio nome è nessuno". Dopo l'incrocio con il coach Bellotto nella tratta 9-10, riesco ancora ad avanzare con un minimo di efficacia sui punti 10, 11 e 12 (evitando qua e là mandrie di mucche, cani liberi e contadini sospettosi), ma dalla 12 alla 13 letteralmente scoppio.

Con il senno di poi, sarebbe stato meglio se mi fossi appoggiato alla ferrovia, anche senza correre sui binari, ma il pensiero del titolo di un giornale locale "Ennesimo viandante travolto dal treno sui binari delle ferrovie pugliesi" mi fa desistere. Non ho quasi più forze per scavalcare gli ultimi muretti in uscita dalla 12: mi tocca ogni volta arrampicarmi a fatica, appoggiare il sedere sui sassi, ruotare su me stesso e scivolare cautamente dall'altra parte. Arrivo alla 13 in pieno debito di forze fisiche ma, anche se la fatica orientistica è quasi finita, i muscoli devono ancora lavorare parecchio: prendo ancora a testate la vegetazione per uscire in un'area pelata, poi cerco di sfruttare tutti i sentieri agricoli possibili per arrivare al traguardo, e sono decisamente sfinito. 2 ore, 28 minuti e 52 secondi di fatica che mi aiuteranno, nei commenti al microfono che andranno avanti fino alle 14.30, a capire ed a descrivere le fatiche di tutti gli oltre 400 atleti che entreranno nella carta del Parco delle Querce dopo di me.

Se non ci avessi provato io stesso, forse non avrei saputo interpretare i crolli sul traguardo, l'incedere sfinito di alcuni Elite al punto ristoro in vista del traguardo e poi sulla corsia finale, i volti talvolta allucinati di chi ha dato veramente tutto lungo il percorso.
(allucinato e pitturato di nero)

A me resta un decimo, ultimo posto, nel campionato italiano long 2018 in categoria over-40. Non ero arrivato in Puglia con quell'obiettivo in mente, ma è tutto ciò che sono riuscito a portare a casa.

 

Friday, September 07, 2018

Una estate tutta Gronlait

Come resistere al richiamo della O-Marathon, la gara promozionale più "mittica!!!" del calendario orientistico? Beh… Sarebbe sufficiente dare ascolto alle gambe che, durante la 5 giorni di Campiglio, si sono mosse a velocità-bradipo; o al cervello che ha mostrato di essere in totale cortocircuito durante la medesima 5 giorni. Anche i polmoni, svuotati da una bronchite cronica con complicazioni di altro tipo, potrebbero facilmente mettere il veto su una mia eventuale partecipazione alla gara. La quale è posizionata in calendario a due settimana di distanza dalla 5 giorni, e quindi troppo presto per sperare in un rigurgito di energie in quantità sufficiente da poterle spalmare sui non meno di 20 chilometri con non meno di parecchie centinaia di metri di dislivello che mi aspettano anche nella categoria di contorno.


Quindi è deciso: quest'anno la O-Marathon si salta! Non ci si va! Punto. E' ufficiale. Lo dico anche agli amici. Mentre lo dico, anzi ogni volta che lo ripeto, scorrono davanti a me le immagini degli amici che si troveranno nel parcheggio dell'Hotel Vezzena: si troveranno da una parte i pratoni delle malghe che portano verso il bosco, dall'altra la strada che sale dolcemente verso Forte Kerle, dietro di loro i boschi di Spiazzo Alto o quelli che partono dalla Scala dell'Imperatore.


Ma se ho deciso che non ce la posso fare, non ce la posso proprio fare! Il volantino parla addirittura di "Traversata del Monte Durer"! Non riesco neppure a salire un piano di scale a piedi... cosa voglio attraversare? Il fatto è che gli amici arrivati al parcheggio dell'Hotel Vezzena si sarebbero trovati davanti anche Dario Pedrotti (uno spettacolo quando corre, anche se non paragonabile alle bellezze di Passo Vezzena). Il quale alcuni anni fa aveva scritto: È ad una ora imprecisata fra le 7.30 e le 8.30 che ha inizio la o-marathon 2012, e il momento esatto è quello in cui al ritrovo di forte Cherle scende dall'auto Stegal. Può essere che il cappellaccio sgualcito, gli speroni, il sigaro smozzicato e il giubbotto in velluto con le frange me li sia immaginati io, ma lo sguardo alla Clint Eastwood, quello no. Lo sguardo che dice "tranquilli ragazzi, ci sono, si può cominciare anche questa volta”


Mmmmm… E se invece ce la facessi? Ci provo, non ci provo, ce la posso fare, no non ce la posso fare... mi iscrivo! Mi iscrivo e poi vediamo che succede. Insomma. Parafrasando Andrea Castelli al cospetto delle stanghe del treno di Mattarello: "Prima mi iscrivo... e poi con la O-Marathon in qualche modo ci veniamo incontro!".
Alcuni anni fa nel parcheggio dell'Hotel Vezzena di era svolta una strana cerimonia: Matteo Sandri e Roberto Pezzé mi avevano consegnato il mio primo pettorale over-45 della carriera. Gli anni passano... quest'anno per la prima volta mi sono iscritto alla O-Marathon (mai fatto prima, mai fatto dopo... finora) in over-50: troppo dura la over-35 per il mio stato di forma, ed in over-50 avrei potuto fare la gara insieme ad Attilio. Credo che mai scelta fu più azzeccata! Lo dico giudicando dalla faccia di Fabio Hueller (lui si ancora over-35) che è 100 volte più forte di me e che negli ultimi km del percorso era davvero sfinito sia dal punto di vista fisico che da quello orientistico. Io di sicuro non avrei mai potuto farcela. Forse.


Iscrivendomi in over-50, tra l'altro, lancio una provocazione agli organizzatori del Gronlait: dopo aver partecipato a N edizioni in Elite e ad una edizione in over-35, sono il primo ed unico concorrente ad aver preso parte alla O-Marathon degli Altipiani in tre differenti categorie! Annuncio anzi con fervore che, per battermi, i ragazzini che in questi ultimi anni si sono iscritti in under-20 dovranno aspettare più di 30 anni per arrivare alla over-50 e fare meglio di me! Quindi per 30 anni il mio primato dovrebbe essere salvo. L'organizzazione del Gronlait, bonta sua, non chiama l'ambulanza con la camicia di forza ma si limita ad una risposta via email: "Hai ragione, abbiamo controllato, sei il primo che riesce in questa impresa". Impresa... è sufficiente invecchiare!

 



Forte del mio primato riconosciuto, arrivo al parcheggio dell'Hotel Vezzena intenzionato innanzitutto ad arrivare al traguardo in condizioni appena decenti. Attorno a me, in una splendida giornata di sole, ci sono tutte le bellezze naturali che conosco bene, c'è Dario Pedrotti ancora più magro del solito, e ci sono i ragazzi del Pavione che mi fanno diventare alto tre metri annunciando di fronte a tutti che, durante il viaggio tra Imer e Vezzena, avevano studiato sul mio blog le carte e le scelte di percorso e tutti i trucchi per venire a capo del percorso! Scusatemi se ancora adesso, al solo ripensare a quella frase, mi alzo di qualche decina di centimetri...



In partenza si respira la solita belissima atmosfera del tipo "si ok è una gara, ma diciamo che aspettiamo qualche chilometro prima di cominciare a scannarci... la partenza è sempre una festa".


E' una partenza già vista: si evita (grazie!) il pezzo di carta noto come "la Norvegia del Kerle", che reputo inutile in una gara come la O-Marathon, si sale subito sulle malghe e si entra nel bosco  che ha ospitano decine e decine di battaglie orientistiche, e purtroppo anche battaglie vere e proprie tra gli eserciti italiano e austroungarico durante la prima guerra mondiale. Attilio ed io restiamo fin da subito in fondo al gruppo, ma la zona di gara ci è famigliare e la presenza di una farfalla di punti già nella prima parte di gara mantiene attorno a noi parecchi concorrenti, il che crea sempre un effetto positivo del tipo "non sono solo in questa foresta".

Non sono solo, non lo resterò quasi mai perché Attilio ed io procediamo tenendoci sempre a vista: ad un certo momento, sul terreno accidentato che porta al punto 13, il terreno cede sotto i miei piedi, rivelando che stavo corricchiando su un enorme tronco cavo coperto di aghi di pino e terriccio. E' sufficiente però il primo momento nel quale ci separiamo per gettarmi in un pozzo nero di fatica e di ansia: io vedo passare Dario Pedrotti e decido di seguirlo in una autentica scalata da free climber su una parete rocciosa, Attilio fa un giro più largo ma poi non ci si ritrova più. Il risultato è prevedibile: quando la seconda tratta mi porta sulla cresta di Monte Durer tra il Kerle e Passo Coe, la mia testa decide di mollare il colpo: così faccio l'unica cosa che mi sembra plausibile in quel momento (e che si rivelerà ovviamente la meno plausibile a conti fatti): scendere per la linea di massima pendenza verso Passo Coe stando a fianco della linea della seggiovia.


(tratta "Rocco Siffredi")
Dovrei saperlo che le zone sotto le seggiovie sono sempre impervie, sconnesse, con il bosco ai bordi poco curato e ricco di detriti. Al prezzo di tante piccole cadute, rotolo (letteralmente!) fino a Passo Coe dove mi imbatto nelle lanterne posizionate in quella zona dai partecipanti ad un corso della protezione civile...


... praticamente a poche decine di metri dal laghetto delle Coe. Sono ovviamente rimasto indietrissimo rispetto al gruppetto di cui facevo parte, e mi tocca anche risalire un po' di dislivello per arrivare al Passo vero e proprio e infine al lungo sentiero che passa dalle rovine del Rifugio Camini, devastato qualche tempo fa da un incendio, e poi al Rifugio Stella d'Italia. Lungo il sentiero ritrovo Attilio, che mi ha aspettato per parecchi minuti, ed insieme procediamo con un buon ritmo fino al rifugio dove ci aspetta l'ultimo ristoro.


Ci gettiamo sul buffet di integratori, the, cioccolato, biscotti e uvetta senza pensarci due volte, anche se la parte finale di gara è molto più breve rispetto alla strada che ci siamo già lasciati alle spalle: l'unica vera difficoltà dell'ultima mappa (visto che siamo ancora abbastanza lucidi per trovare le lanterne al primo colpo) è costituita dalla terribile discesa di 35 curve di livello per andare al punto 15, che fa davvero esplodere le rotule.
Una volta usciti dal bosco, è soltanto corsa: il biotopo, i campi da golf, le solite suorine di Casa Santa Maria a passeggio ed infine la discesa fino al traguardo a fianco dell'Hotel Bucaneve. E così anche quest'anno ci siamo messi in saccoccia una bella e dura edizione della O-Marathon!


*** ***
Il racconto non sarebbe completo senza citare anche le due gare con le quali si è virtualmente conclusa l'estate orientistica: ancora made by Gronlait, la seconda edizione della Wolf-O, la notte del lupo. Rispetto alla prima edizione, di cui avevo lungamente scritto non è prevista la gara in notturna (che, sono convinto, sarebbe stata disputata su una distanza più consona e su un terreno più praticabile). Il tempo è perfetto, le condizioni fisiche sono ancora rivedibili, ma il numero di partecipanti in crescita e la presenza di qualche atleta estero rende l'arrivo al ritrovo di Francolini davvero piacevole. La prima tappa, disputata nel tardo pomeriggio, rende onore all'invenzione dello sport-ident ed alla possibilità di tracciare un percorso piacevole con continui cambi di direzione anche in un francobollo di cartina.

Si riesce per la maggior parte del tempo a correre sotto la linea rossa, ed al traguardo sono abbastanza soddisfatto della mia gara. Non altrettanto deve esserlo il mio stomaco, che passa i 30 minuti successivi a svuotarsi progressivamente costringendomi a continue corse dietro alla casetta dell'arrivo per evitare quanto più possibile ai presenti uno scenario davvero pietoso.


Domenica il ritrovo è a Fondo Grande per la partenza a caccia, con i distacchi accumulati il giorno prima, il che è sempre una bella scossa di adrenalina. Dopo la partenza in salita sulla pista da sci, le prime lanterne vanno via bene e riesco a recuperare il distacco che mi seprara dai due concorrenti partiti prima di me.

Poi però le energie finiscono proprio quando è il momento di affrontare la tratta 7-8, nella quale ancora una volta decido di staccare il cervello e procedere più o meno a caso allungando la strada a dismisura. Poche energie, stomaco vuoto e orientamento a casaccio sono proprio gli ingredienti giusti per farmi staccare dal gruppetto che avevo raggiunto e farmi prima raggiungere e poi superare da chi mi stava inseguendo. Ultimo colpo di grazia dallo spagnolo che mi supera in salita tra la 10 e la 11 e che poi riuscirò a ritrovare solo al traguardo. Ma anche in questo caso posso dire: un'altra Wolf-O messa in saccoccia!


Ora è tempo di partire: destinazione Martina Franca.

Saturday, September 01, 2018

La leggenda di papà Grassi



Questa mattina su whattsapp si è diffusa la notizia della scomparsa di Maurizio Grassi. Forse è un nome che non dice molto agli juniores di fuori Lombardia, o ai neofiti approdato all'orienteering in questi ultimi anni, ma si tratta di una delle persone più competenti e squisite che ho mai incontrato in 26 anni di cartine e bussole, ai cui sforzi dobbiamo la possibilità di poter praticare il nostro sport preferito ancora oggi.
Se chiudo gli occhi, mi sembra di vederlo o di sentire le sue parole: la sua presenza e la sua voce mi hanno accopagnato fin da quando ho cominciato a praticare l'orienteering. Una persona sempre gentile anche con chi, come me, nei primi anni si faceva vedere davvero di rado; un viso sempre solare e sorridente, sempre paziente, con una voce calma e pacata e soprattutto sempre positiva quando si trattava di dare un piccolo incitamento prima di andare in partenza, o persino nel bosco quando ci si incontrava lungo una tratta o in prossimità di una lanterna. Un Signore dei boschi.

Ricordo la sensazione all'arrivo nel prato alla "5 giorni del Portogallo" ad Aveiro. In mezzo ad un nugolo di stranieri arrivati fino a lì da ogni dove, la prima persona che ho incontrato, seduta all'ombra della veranda dell'onnipresente camper di famiglia, è stato proprio papà Grassi. Il solo vederlo, lì a 2000 km da casa come poi ad altre gare internazionali, mi dava immediatamente l'impressione di essere a casa; anche se quella volta, per sua stessa ammissione, le sue prime parole furono "di tutti i posti dove pensavo di incontrarti, questo è sicuramente l'ultimo". Ma erano bastate queste parole per farmi sentire protetto: dovunque io mi fossi perso nei boschi del Portogallo, papà Grassi sarebbe comparso da dietro un albero per indicarmi la strada per la prossima lanterna.

Non ci metto molto a trovare il pezzo del blog dove avevo citato un particolare episodio:
"... affronto il mio percorso W16 “à la papà Grassi”. Breve inciso: tutti gli orientisti lombardi che sono passati dalla categoria HC hanno una leggenda da raccontare su papà Grassi. La mia risale a metà anni ’90 in zona Sesto Calende: io, giovane ed inesperto, a correre a destra e a manca senza testa; papà Grassi a camminare da un punto all’altro sullo stesso percorso, arrivando sui punti ogni volta prima di me, o insieme a me, ma mai dopo. Questa leggenda l’ho sentita raccontare anche da PLab, da Alessio, da altri. Bene: la mia W16 è stata una gara “à la papà Grassi”, con le ragazzine scandinave che correvano attorno a me ed il sottoscritto, sulle rocce di Mala Lazna con le scarpe da passeggio, a fare spesso da punto di riferimento".

Avevo collocato questo episodio "in zona Sesto Calende", ma sono sicuro che la stessa cosa si è verificata anche a Meda (1993), o in qualche gara sulle carte della Brughiera Nord o Sud. Posso cambiare la località, ma non cambieranno mai le ultime tre parole del brano che ho citato: "Punto di riferimento". Papà Grassi (non sono mai riuscito a chiamarlo per nome, Maurizio, in nessuna occasione) è davvero un punto di riferimento per me e, penso, per tanti altri orientisti che hanno cominciato negli anni '90. Non scrivo "è stato" un punto di riferimento, perché continuerà ad esserlo: lo cercherò con gli occhi ai ritrovi delle gare regionali e nazionali, sono sicuro che il mio cuore mi farà vedere la sua immagine sorridente, ed io continuerò a sentirmi protetto come quella volta in Portogallo.  
Grazie papà Grassi per tutto quello che hai fatto per gli orientisti. Ai nostri comportamenti ed ai nostri sforzi sportivi affidiamo il compito di non disperdere tutto ciò che ci hai insegnato.