Stegal67 Blog

Monday, January 28, 2019

Piovono Mazzate

Ogni tanto mi capita di raccontare, in mezzo a qualche cronaca dal vivo o più spesso durante le premiazioni nelle occasioni in cui ci sono un sacco di scandinavi, il vecchio adagio relativo agli orientisti che si ritrovano davanti al caminetto nelle lunghe e buie serate invernali a raccontarsi aneddoti risalenti a competizioni vecchie di settimane o mesi, ma più spesso vecchie di anni se non di decenni. Sono sicuro di averlo detto in più di una occasione (si, lo so, invecchio e tendo ad essere ripetitivo). Recentemente mi è capitato di partecipare a due serate a tema orientistico: prima la celebrazione dei 30 anni del Trofeo Lombardia, poi l'annuale ritrovo dell'Unione Lombarda. In entrambe le situazioni, nonostante l'assenza di caminetti accesi, di scandinavi e di metri di neve all'esterno, mi sono accorto di aver raccontato a qualcuno che mi stava a sentire lo stesso identico episodio, capitatomi proprio agli inizi della mia carriera orientistica (si, lo so, invecchio e tendo ad essere ripetitivo... l'ho scritto appena sopra!).


L'episodio è legato a quella volta che mio padre mi ha accompagnato a due gare in Brianza che si disputavano a poche ore di distanza l'una dall'altra: la prima, il sabato sera a Carate Brianza (quando la Valassina era ancora una strada con i semafori e non arrivava al bivio di Giussano), la seconda poche ore dopo, domenica mattina a Monza. La prima gara a formula score è rimasta celebre nella memoria di chi c'era per le 5 lanterne (su 25) che vennero incendiate da una banda di simpatici ragazzotti locali che volevano divertirsi a spese degli almeno 200 concorrenti al via; il conseguente caos all'arrivo, con la gente in coda che sentiva quali lanterne non avevano potuto punzonare quelli davanti, e le aggiungevano all'elenco delle lanterne che essi stessi non avevano trovato, è rimasto parimenti impresso nella memoria.


Nella seconda gara ho incocciato per la prima volta in una squalifica per punzonatura mancante, dopo che al termine del percorso in H21 avevo portato come "coriandolo", e testimonianza del passaggio da una lanterna che era stata spostata, un lembo del classico foglio "Non toccare la lanterna - gara di orienteering in corso". Il direttore gara stabilì che il lembo che avevo consegnato all'arrivo "fittava combaciava" con il foglio di carta rimasto a terra, ma che il foglio, il telo ed il paletto (senza punzone, portato via) erano stati gettati ad una decina di metri di distanza dal punto esatto; di conseguenza, essendomi io fermato all'altezza del telo buttato per terra, non ero arrivato al punto e quindi non avevo completato il percorso. Sono ancora convinto che, nella cervelloticità della decisione, la mia squalifica sia più o meno allo stesso livello del mancato rigore sul contatto Iuliano-Ronaldo in Inter-Juventus di qualche anno fa. Parlo di squalifica perché io venni inserito in classifica come SQ, e non come PM. Mio padre, seppur abituato negli anni precedenti alle squalifiche comminate dalla commissione giudicante della Federazione Italiana Pallacanestro allo scapestrato figliolo (perché in fondo Ron Artest è solo un simpatico imitatore...), era rimasto perplesso davanti ad una squalifica comminata durante una gara di corsa (di orientamento, ok, ma sostanzialmente di corsa...). Corsa che, per di più, avevo concluso con il viso coperto di sangue in quanto l'ultima lanterna era posizionata proprio sotto un segnale stradale, di cui non mi ero accorto e che quindi avevo colpito in pieno nel tentativo di punzonare il cartellino cartaceo velocemente. Facendo 2+2, il suo ragionamento era stato pressappoco il seguente: "intanto io ti accompagno alle gare con la mia auto, visto che tu non ce l'hai, rubando tempo al mio sacrosanto riposo... che io lavoro ancora e tu studi ancora. Poi ad una gara sento parlare di lanterne incendiate. Infine ti fai squalificare. Sei sicuro che questo sia lo sport per te?".


Chissà... forse la risposta giusta sarebbe stata che l'orienteering non era lo sport per me.


Racconto questo perché, dopo quella prima volta a Monza, mi è capitato altre volte in carriera di concludere la gara con una PM: assimilabile in alcune situazioni ad un "mi ritiro consapevolmente e passo dall'arrivo ad avvisare di non far uscire il soccorso alpino", in altre ad un "ehhhhh??!?!? ma no!!! ma io da lì ci sono passato!!! aspetta... come mai non mi ricordo di aver fatto questa tratta??? ... scusate, non vi faccio perdere altro tempo". Tuttavia non mi era mai capitato di iniziare una stagione sportiva con due gare già nel mese di gennaio e terminare PM in entrambe le occasioni. Come dire che il buongiorno si vede sicuramente dal mattino, ma la sveglia è suonata mentre io sono alla base scientifica Outpost31 e fuori dalla porta c'è un cane siberian husky incaxxato. E se non avete riconosciuto la citazione, chiudete il blog perché non vi voglio nemmeno conoscere... e si! Anche la frase "non vi voglio nemmeno conoscere" viene spesso citata nei miei commenti dal vivo, ma se ancora non l'avessi detto, invecchio e tendo ad essere ripetitivo.


PM numero 1 - MOO notturno
"Quel gran genio del mio amico (Remo), lui saprebbe cosa fare..." con una mappa a disposizione fa miracoli! Il miracolo del MOO notturno si ripete il 9 gennaio alle Tre Torri di Milano, luogo ameno adatto alla vita notturna, nel bel mezzo del progetto CityLife di riqualificazione della vecchia Fiera Campionaria. L'appuntamento con i mai banali percorsi in notturna, con una gara raggiungibilissima in metropolitana e con la novità tecnologica della punzonatura via lettore QRcode o via tecnologia NFC comincia ad essere sentito da una platea orientistica sempre più numerosa; di conseguenza sale anche l'adrenalina all'approssimarsi della serata. Io esco dal 2018 con il bel responso cronometrico della gara di Moncucco, sono gasato, sono lanciato, sono incattivito e ho proprio voglia di iniziare la stagione 2019 con una bella prestazione. Inoltre, per la prima volta disporrò di una luce frontale degna di questo nome, in grado di darmi visibilità su quello che succede attorno a me e a cui vado incontro. Sono caldo, sono convinto del fatto mio, sono sicuro che farò bene. Carico le pile della frontale una, due, tre volte per essere sicuro che non mi pianti al buio a metà percorso, e per ulteriore stimolo attivo sul mio Ipod di primissima generazione una playlist da paura che Rambo si va a nascondere (no... non dirò cosa c'è sulla playlist perché in fondo le canzoni che ci danno stimolo sono diversissime da persona a persona, e magari nella scala di apprezzamento di quei tamarri che trovo sulla linea tram del 15 Linda Valori è meno apprezzata di Josh MCK).


Sfiga. La giornata del 9 gennaio, che nelle ipotesi era del tipo "esco dall'ufficio alle 17.30, metto la playlist, mi carico ben bene, arrivo a Tre Torri, mi cambio, parto e spiano tutti quelli che incontro" si trasforma in una di quelle giornate nelle quali sento tanto la mancanza dell'ippopotamo di ghisa che stava sulla mia scrivania a perenne ricordo (per i colleghi) del fatto che l'ippopotamo poteva anche mettere le ali ed atterrare violentemente sulla tempia di disturbatori ed affini. Alle 18,40 sono ancora in ufficio a litigare su alcuni contratti. Decido che ne ho abbastanza, mi cambio alla scrivania, pianto lì le discussioni sterili e perditempo ed esco come una furia dallo storico palazzo di Piazza Scala, diretto alla metro gialla che, con cambio alla metro lilla, mi porterà alle Tre Torri. Ho dimenticato qualcosa? Si: l'Ipod. L'errore è stato quello di mettermi ugualmente le cuffie... ero già abbastanza carico, e "Il caffé della peppina" avrebbe potuto contribuire a calmarmi un po'. Invece la musica è stata l'equivalente di assumere tutto il blister di integratore di caffeina in capsule per uno che aveva già bevuto dieci caffé doppi. Il risultato è che sono arrivato alle Tre Torri con le pulsazioni e la pressione minima a 3 cifre, condizioni per nulla adatte ad iniziare una corsa. Al freddo della sera del 9 gennaio si è aggiunto il vento gelido che ha agitato i cartoncini sui quali avrei dovuto leggere con lo smartphone il QRcode e registrare la punzonatura. Smartphone che, come nella precedente esperienza a San Donato, si è dimostrato lento ed inaffidabile (ehi! ma sto descrivendo proprio il sottoscritto! Evidentemente lo smartphone ha preso proprio da me): lento al punto da costringermi a stazionare anche 30 o 40 secondi su parecchie lanterne (che hai voglia ad inseguire e cercare di tenere il passo di Luigi Giuiani o Federica Negri se poi sto fermo 30 secondi per punzonare) ed inaffidabile per avermi abbandonato attorno al decimo o undicesimo punto, quando l'app ha continuato a dare ok ai miei passaggi dalle lanterne, senza però registrare alcunché. Ovvio risultato finale di PM, il che non mi impedirà di prendere parte alle prossime edizioni del MOO in notturna, ma probabilmente in modalità "allenamento puro": i tempi parziali e finale me li registro con il vecchio Casio Lap Memory 30, e le app le lascio a chi è più giovane di me di qualche generazione.


PM numero 2 - Abbadia Lariana
Ogni tanto mi capita di citare anche il detto "Nirvana a destra - io a sinistra". Ovviamente scherzo, perché di società che organizzano gare ed allenamenti come i nirvanici "Inscì a vèghen". Il riferimento è ad alcune gare organizzate dal Nirvana Verde nelle quali uno come me deve cercare l'iscrizione in una categoria "precauzionale" (di partecipare ai loro raid, invece, non se ne parla proprio): sono tutti cari amici ed amiche, tutti ragazzi e ragazze in gamba, ma sono davvero i più tosti del reame, e da sempre le loro gare sono le più dure, le più massacranti, le più sofferte del territorio di Lombardonia e non solo. Ovviamente tra i ricordi citati dai più, in occasione della festa per il trentennale del Trofeo Lombardia, c'erano le terrificanti mazzate ai Piani Resinelli... ma perché la Coppa Italia a San Primo che cosa vi ha fatto? O la notturna di Magreglio? Comunque il Nirvana ha messo in piedi da qualche tempo il "CLOM" che ho spacciato a destra e sinistra come "Circuito Lariano Orientamento e Mazzate" e invece sta per "Como Lake Orienteering Meeting". Il primo appuntamento è stato per l'appunto ad Abbadia Lariana, su un percorso ("nero" per me) pieno di cambi di direzione e lanterne vicinissime, inframmezzate da tratte lunghissime e per nulla banali di spostamento tra un nucleo di case e l'altro.


E' venuta fuori una gara divertente, con i fiocchi di neve caduti proprio nel finale, con una analisi post-mortem con il tracciatore Maurizio Todeschini che ha evidenziato che le scelte lunghe le ho fatte proprio tutte bene. Quello che non ho fatto bene deve essere stato il passaggio dalla lanterna 20, perché Andrea G. al traguardo mi ha detto "eh... manca la punzonatura della lanterna 20...".
Ovvio risultato finale di PM, il che non mi impedirà di prendere parte alle prossime edizioni del... CLOM!

Perchè è vero che io mi ripeto, mi ripeto, mi ripeto sempre... ma quando le cose si fanno dure, i duri continuano a giocare. Anche a costo di mettere insieme altre PM.





Friday, January 04, 2019

Nelle nebbie del tempo: 21 maggio 2004, il primissimo "MOO"


Milano. Una di quelle sere nelle quali tornano in mente le parole di Alberto Fortis “Mi piacciono i tuoi quadri grigi, le luci gialle e i tuoi cortei. Oh Milano sono contento che ci sei”. In sere come queste uscire dall’ufficio è lieve e dolce come l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze, ho voglia di fare tutto, di sentirmi vivo fuori e di sentirmi vivo dentro...
Mi hanno detto che l’appuntamento è a Porta Ticinese, proprio in mezzo al piazzale. Ma poiché è una di queste sere strane, io parcheggio l’auto un po’ lontano e poi continuo a piedi lungo Via Col di Lana, tra i negozi che chiudono lentamente le saracinesche e i tram che passano portando a casa i lavoratori usciti tardi e che ancora non trasportano i lupi della notte verso i locali. Infatti sono il primo ad arrivare al ritrovo.
Ma ecco i miei amici, Remo e Tatiana. Probabilmente hanno appena finito di fare il giro e di controllare che tutto sia a posto. Arrivano Oscar, Luca ed Alberto, i vari Stefani, Emanuela, Paola, Farah con le sue amiche, altri ragazzi che non conosco, il microcosmo degli Stankanov quasi al completo: ragazze e ragazzi che riescono a trovare una idea comune del divertirsi e dello stare insieme che va al di là delle età e della provenienza di ognuno di loro, per questo li invidio molto. Spiegazioni rapide delle caratteristiche della gara, poi mi ritrovo in mano la cartina: è un gesto che faccio 60 o 70 volte all’anno, ormai dovrei esserci abituato.

Non questa volta, però. La cartina sembra un oggetto strano, che mi lancia strane sensazioni ... come delle onde ... i rumori li sento attutiti e cambia la prospettiva di ciò che vedo intorno a me. Non vedo più nessuno, ma ovunque poso lo sguardo, colgo lampi in bianco e nero, fuori fuoco e sgranati dal tempo. So che devo andare... devo andare da quella parte, attraverso la strada che non è più una strada; è come se passassi in un tunnel, in un caleidoscopio, nel mio “stargate”. Non ho ancora raggiunto il marciapiede opposto ma so che sto puntando verso il piazzale della chiesa di Sant’Eustorgio, dove ci sono i bambini che giocano a pallone nell’unico spazio aperto disponibile; non importa se io sono quello che non è capace di colpire bene la palla, perché la darsena è lontana e non c’è pericolo che i miei tiri a banana facciano finire la palla in acqua… non importa se c’è Don Nino che viene fuori a mandarci lontano perché al posto della porticina usiamo l’ingresso piccolo nella cancellata e ogni tanto la palla finisce contro il portone della chiesa.
Poi esco dal piazzale ed entro in un altro quadro, mi sto infilando in una stretta viuzza del Ticinese e sto andando in giro con i sacchetti di riso e di pasta, a fare il fattorino della drogheria per le signore che si facevano portare la roba a casa... mi sembra di sentire in tasca il fruscio della prima banconota da 500 lire di mancia, che sono tornato al negozio come se avessi in tasca i diamanti, ma vergognandomi perché le 500 lire le avevo avute io e non Pinuccio, l’altro fattorino. I giardinetti in fondo alla via non c’erano ancora...
Vado avanti e di colpo è il 1984, sono in Via Correnti e c’è la sala giochi dove andare quando il prof di ginnastica all’ultima ora ci faceva uscire prima, una partita veloce a “time pilot” e poi via a pigiarsi sulla 97 per tornare a casa puntuali. Al di là del portico, all’angolo della strada, c’è ancora il vecchio baretto tre metri per sei... siamo lì il 12 giugno 1985, seduto attorno ad un tavolino in cinque: solo in cinque, pochi e maledetti, e stiamo per andare alla palestra dell’Ariberto a giocare la finale dei campionati studenteschi, senza cambi perché Andrea e Sergio si sono sbragati in malo modo facendo i cretini in moto per la strada, e sulla balconata dell’Ariberto non abbiamo nessuno che tifa per noi, perché nessuno crede che possiamo vincere... l’altro Andrea arriva all’Ariberto con lo Zundapp, è l’unico motorizzato, è quello ricco col Monclair e le Timberland ma almeno sa giocare. Noi altri andiamo all’Ariberto a piedi, guardiamo malissimo l’altra squadra che si è portata pure le cheerleaders, lottiamo per tutta la partita e alla fine vinciamo di un punto dopo due supplementari ed andiamo a fare festa da soli sulle note di Don’t You Forget About Me. Ma quando giro in Via Lanzone sono passati solo pochi mesi, e chi si ricorda più del trofeo? Ci sono i ragazzi dell’85 per le strade a protestare per lo stato delle scuole italiane, 17 giorni di fila di scuola occupata, e per la prima volta abbiamo dovuto organizzarci le lezioni da soli perché ci sono gli esami di maturità e i commissari se ne fregano se abbiamo saltato la scuola per un buon terzo dell’anno scolastico, nonostante i gran premi di Formula 1 in tv siano annunciati dalla sigla “i ragazzi dell’85 e i ragazzi dell’86 – tutti insieme sulla strada del 2000”.
Non devo aspettare il 2000 per girare attorno al Corso, perché adesso è il ’93: sono già grande e mi tocca studiare sul serio per laurearmi, anche di sera in osservatorio a Brera che è il posto più silenzioso e lugubre dove si può stare il sabato sera mentre fuori c’è la vita; qui invece al posto delle finestre abbiamo i tendoni di plastica che fanno ululare di più il vento, e se c’è corrente le porte sbattono come in un film di Dario Argento, e se all’improvviso suona il telefono in laboratorio si salta sulla sedia con i capelli dritti e la pelle d’oca spessa... meglio tornare verso casa, passando da Piazza Fontana, che è un luogo che qualcosa rappresenterà pure nel modo in cui ognuno di noi è cresciuto, nel bene e nel male, anche se siamo ancora qui adesso a capire cosa è successo veramente e forse nessuno ce lo dirà mai; meglio tornare verso casa, passando giù per Via Olmetto dove andavo a portare le buste con i biglietti del Milan e dell’Inter, e questo succedeva prima che passasse il ciclone di Tangentopoli... e chissà quante persone sono passate di qua a consegnare qualcosa, senza immaginare che stavano entrando in una storia brutta, solo perché era il loro turno nel tabellone delle consegne.
E’ il momento di tornare verso casa passando per i giardini di Piazza Vetra, la ex casa dello spaccio, adesso Parco delle Basiliche ma quante volte da ragazzo ho visto arrivare le ambulanze per portare via i ragazzi per via delle dosi tagliate male, e magari io avevo in borsa “I ragazzi dello zoo di Berlino” che a scuola ci hanno fatto leggere nella speranza che qualcuno capisse e non ci cascasse dentro, ma Andrea Antonio e Pinuccio non ci sono più ... loro quel libro non hanno fatto in tempo a leggerlo e la lurida maledetta fottutissima neve se li è portati via da ragazzi, che non è la neve dell’85, quella caduta copiosa che ci faceva dire “torno a casa a piedi da scuola e speriamo di arrivare”... Voglio andare via da questo giardino che non mi piace perché è un buco nero nei miei paesaggi, è un quadro offuscato in cui il mio sguardo si perde in lontananza e non riesce a fissarsi su nulla, perché da quando Pinuccio se n’è andato dentro lì per me non c’è davvero nulla che valga la pena di ricordare...
A pochi passi da lì ci sono le colonne di San Lorenzo, un tram numero 15 che passa per portarmi a casa e chissà quante volte l’ho preso di corsa, ma questa volta lo lascio passare perché non ho fretta, non devo andare a casa a studiare, c’è il sole e voglio sentire il tempo che passa sulla mia pelle e risentire tutti i momenti di questa giornata, perché ho appena visto il tabellone con i voti della maturità e per questa volta posso andare a casa orgoglioso del lavoro che ho fatto. E poi a vedere i risultati c’era anche Alessandra, che è venuta a salutare me anche se lei la maturità l’ha fatta l’anno scorso, è fidanzata con Andrea e aspetta un bambino da lui, ma io l’avevo aiutata a preparare greco quando la maturità toccava a lei, e se ne è ricordata ed è venuta a salutarmi ed è stata l’ultima volta che l’ho vista, sono convinto che lei non si ricorda più di me, ma io si perché di quel giorno in cui ho vinto la mia prima battaglia non dimentico nulla.

Adesso il tunnel si restringe e in fondo vedo quasi le luci, non è più il bianco e nero di prima, sono in Corso di Porta Ticinese e là in fondo c’è il mio presente, quello per il quale vale la pena di vivere tutti i giorni, sento che ho in mano una cartina e sono felice come un bambino. Intorno a me la gente guarda e non capisce ma forse percepisce anche solo per un istante che sono felice. Ecco. Sono tornato dal mio viaggio. Vedo Porta Ticinese e lì ci sono Remo e Tatiana. Ci metto un po’ a rientrare nel presente perché qualcosa di me è rimasto agganciato al passato: è il fardello e la piuma che mi porto dietro tutti i giorni in tutte le cose che faccio. Nel bene e nel male sono passato attraverso tanti stargate ed ognuno mi ha lasciato una cicatrice, un segno, un capello bianco ed un sorriso, e stasera ne ho rivissuti tanti... avrei dovuto essere qui a festeggiare un compleanno (un altro stargate per un amico ed un compagno di squadra), invece resto sovraeccitato a pensare al regalo che proprio io ho ricevuto questa sera. Tornare a casa lungo la Col di Lana non mi sembra nemmeno vero, alcuni negozi sono ancora aperti per il popolo della notte ed i tram continuano a passare semivuoti perché i lupi si muovono per i fatti loro... per il mondo sono passate due ore, per me è passato molto di più.