Stegal67 Blog

Thursday, September 10, 2015

Garette estive. Capitolo 8: Gei-Ti-Ti

E il capitolo 7, dirà qualcuno? Il capitolo 7 deve aspettare, perché l’attualità freme e bisogna stare sul pezzo, come disse Jenna (che non è né l’orientista piemontese né quell’altra che conoscono tutti…). Parlo di “qualcuno” e non dei soliti due lettori che cito sempre, perché mai come questa volta, salendo al ritrovo alla colonia di Passo Vezzena, così tanti orientisti mi hanno detto di aver sbirciato le cartine dell’O-Ringen pubblicate sul blog! Aaaahhh… allora qualcuno che legge c’è ancora! Fatevi vivi ogni tanto! Che poi… basta pubblicare roba sulla Svezia, ed ecco che gli orientisti compaiono a frotte. Manco avessi pubblicato la foto di qualche stangona bionda del posto. Ma si sa che gli orientisti, almeno quelli della categoria maschile, aprirebbero la paginona centrale di Playboy solo per vedere se per qualche errore tipografico è stata stampata la carta di Millegrobbe in formato A3.

Per la precisione, tutti gli amici che mi hanno detto di aver letto il blog li ho incontrati mentre io scendevo dalla colonia di Passo Vezzena, verso il parcheggio del passo. Perché sono stato il primo a ritirare la busta in segreteria, e perché non volevo perdere l’occasione di fare una foto come questa:


(brutta giornata, isn’t it?)

E’ proprio vero che non ci sono più i JTT di una volta. Qualcuno un giorno dovrebbe raccontare ai ragazzini ed alle ragazzine delle categorie under-12, under-14 e … ma si dai!... a tutti gli under-20, che tredici edizioni fa, e poi anche 12, 11, 10 e 9 edizioni fa, il JTT era una gara per autentici masochisti. Per la serie “la fortuna è cieca ma la sfiga il JTT lo vede benissimo”, tutte le prime edizioni del JTT si sono disputate in condizioni climatiche praticamente da inverno finlandese (citazione inserita al solo scopo di far alzare la pressione a Zonori): il JTT poteva essere a luglio, ad ottobre, il 15 di agosto… ma c’era da scommettere che l’antici-coso, la Corrente del Golfo, le isobare, le isocore e El Nino avrebbero complottato per scaraventare sul JTT tonnellate di acqua, di nevischio, di grandine! “JTT” per anni ha significato innanzitutto prendersi una botta di freddo mai vista. Poi deve essere intervenuto il mio vecchio amico Roberto Barbiero, che fa le previsioni del tempo sul TG3 regionale trentino, e le cose si sono sistemate. Ed anche la tredicesima edizione del JTT è andata in scena con un meteo azzeccatissimo: nubifragio alla partenza da Milano sabato mattina, pioggia e nuvole basse all’arrivo a Folgaria sabato pomeriggio, nemmeno una nuvola nel cielo color blu pantone al mattino della domenica. Così si fa, Roberto!

Viste le premesse meteo, c’era da scommettere che sarebbe venuta fuori una bella gara, e così (almeno per me) è stato: faticosa ma divertente, da ultime posizioni in classifica ma “sempre meglio che stare sul divano a vegetare”. Dopo aver letto che la partenza era a 30 minuti al passo con un centinaio di metri di dislivello da fare, avevo anticipato agli amici che saremo partiti dalla zona della Baita del Neff (ristorante da visitare sia per la qualità del cibo, canederli sul letto di verze in primis, che per il panorama con vista su Marzola, Bondone, Brenta, eccetera). Così è stato: siamo partiti proprio dietro la baita, sulla salitella del sentiero “sulle tracce dell’orso” che ormai conosco quasi come le mie tasche fino a Luserna…


(due settimane prima, sullo stesso sentiero avevo trovato questa lanterna sperduta da chissà quale allenamento del Comitato Trentino…)

Le gambe, incredibilmente, non sembrano risentire della pendenza fatta per arrivare in partenza, e quindi riesco a trotterellare in salita quel poco che basta per finire drammaticamente lungo già al primo punto. A quel punto l’amico Andrea Fedel mi raccatta, nel senso che io raccatto lui che era partito due minuti prima ma lui raccatta me che sennò sono ancora là a cercare, e bene o male arrivo a capo delle prime lanterne nella zona delle malghe piene di marmotte, di mucche e di boàsse (per chi non sapesse cosa sono, non state a chiedere: sappiate che sono marroni, larghe come una pizza e portano fortuna… ed io di fortuna ne ho portata a casa tanta!). Seconda cappellata di giornata alla 5: confondo la canaletta a forma di “M” con quella a forma di “W”, vado in confusione con il doppio WM dell’Arsenal, il “modulo di Beckenbauer” della Germania Ovest del ’74 ed e alla fine la trovo perché vedo gli Elite (Daves e Miori) che la trovano e scappano via come lepri.


Da lì fino alla otto alla sette e mezzo è corsa pura, ma a metà strada tra la 7 e la 8 l’erta delle malghe richiede il suo prezzo ed i miei polmoni non riescono a reperire l’ossigeno di cui avrebbero bisogno, nemmeno andandolo a cercare a Caldonazzo! Nel loop 8-11 al torpedone-Stegal si uniscono Attilio e Corrado Arduini, che non mi seminano nemmeno troppo nella lunga strada verso la 12 (anzi, ci arrivo prima io tagliando per i pratoni). A questo punto le energie cominciano ad essere al lumicino e la mia gara diventa una specie di esposizione museale “guarda un po’ chi mi sta superando adesso: alla 13 Padovan e Isma, alla 14 Casagrande, Arduini e Segatta…

Alla 15 qualcuno vive il “Raus moment” di giornata: il gruppone va verso il punto passando attorno al verde privato in senso orario. Io, che mi sto staccando perché non corro, giro in senso antiorario perché vedo un nastro arancione (recinto?) sul bordo della linea continua nera che dalla strada porta al verde privato e non voglio mettermi a scavalcare recinti in prossimità di una casa. Giro l’angolo della casa e vedo i sassi ed il mio punto, e poi a sinistra una massa di concorrenti che punzonano un altro punto… (l’avvallamento con linea ausiliaria, ad Ovest-sud-ovest del mio punto). Nel giro di qualche secondo arriva anche the-original-blond-princess of Primiero, al secolo Cristina Grabar, che aveva un altro punto ancora in uno degli avvallamenti più a Nord. 

Passata la Rause-falle (questa la capisce solo chi conosce la Streif … vabbé, ok, è la Mausefalle, la trappola per topi della discesa libera di Kitzbuehl), basta trascinare la carcassa verso l’arrivo, correndo dietro a Cristina.

So che quello che sto per dire farà saltare sulla sedia più di qualcuno, soprattutto coloro che lo scherzetto della 15 lo hanno vissuto sulla propria pelle: io a questo JTT mi sono divertito! Potrei persino azzardarmi a scrivere su Facebook (ma non lo farò) ad un amico ex orientista italiano che adesso fa solo il trail-O per la Slovenia “ti ho mai detto di quella volta che ho battuto Casagrande e Arduini al JTT?”. Non lo farò perché non è la stessa cosa che dire “ti ho raccontato di quella volta che ho battuto Carbone e Etter all’O-Ringen?”, sia perché sono orgoglioso della mia gara all’O-Ringen nella quale ho battuto due simili mostri sacri, sia perchè la classifica del JTT resterà nella mia testa sempre quella dei tempi, non delle Punzonature Errate… ed io i vari Enric-hi (Casagrande ed Isma), Fabio (Padovan) e Massimo (Lazzeri) non li vedo nemmeno con il binocolo.


Però tutto sommato a me la gara è piaciuta. Il contorno della compagnia, del meteo e del panorama tutto attorno, il terreno di gara ed il percorso sono valsi il prezzo e la fatica del viaggio. Niente male questa idea del JTT che, un giorno, germogliò nella testa di qualche illuminato (posso azzardarmi a dire Andrea Rinaldi?) come scommessa per coinvolgere i suoi ragazzi e le sue ragazze in una organizzazione ruolo-by-ruolo. E che dopo 13 anni, un periodo di tempi nel quale saranno caduti 5 governi, può dirsi un esperimento perfettamente portato a conclusione e che continua a sfornare gare che vale la pena di andare a fare, anche nel ruolo di impiegato panzottello da ultime posizioni della classifica.

Tuesday, September 01, 2015

Garette Estive. Capitolo 6: Mondiali Master (finale long)

Prima del gran finale dei WMOC, arriva il turno della seconda gara di qualificazione Long, che si disputa ancora sulle sponde del lago Delsjon. Rispetto al giorno precedente, ci sono alcune novità sostanziali: innanzitutto la giornata è asciutta e non si vede una nuvola in cielo; in secondo luogo non viene riproposto lo stesso arrivo nell’oceano di fango del giorno prima, perché si arriva sempre nella solita arena stenterella ma da un’altra direzione; infine il tipo di terreno viene descritto come veloce, privo di paludi, molto dettagliato. Proprio quello che piace a me!

Peccato, sono incontentabile lo so, che io abbia finito stremato la gara del giorno prima alle 16.30 e mi tocca ricominciare alle 9 del mattino dopo… la notte non basta a riportare nelle gambe le energie con le quali vorrei affrontare la gara, e non è nemmeno sufficiente a ripulire la testa dalle tossìne del giorno prima. Eppure la partenza è proprio facile: la prima lanterna si vede dal sentiero che fa da linea di arresto, e da quel punto è abbastanza facile arrivare a prendere anche la 2 (che è la prima lanterna di Attilio, per dire…). I guai cominciano per andare alla 3, quando confondo la riga nera perfettamente dritta della pista da sci di fondo con la piega della carta: risultato prevedibile, mi butto a destra a prendere il sentiero (unico di tutto il Mondiale, penso) e allungo la strada. La 4 è banalmente un punto di “rimbalzo” e per arrivare alla 5 posso giovarmi della compagnia, alla mia destra, del mitico antennone di Skatos.


La tratta 4-5 è l’emblema delle capacità dell’impiegato panzottello: innanzitutto mi faccio un bel tuffo nel fiume che incontro appena uscito dalla 4 (tuffo ben visibile nel video), perché ad attraversare il fiume facendo equilibrismo su un tronco fradicio e scivolosissimo era capace solo quello del Cirque du Soleil con l’imbragatura! Per scollinare di fianco al recinto dell’antennone, i casi sono due: o si avanza a fatica nell’erba alta, ma ci vuole la forza di Hulk, oppure si rimane sui lastroni di pietra in costa, scivolosi e precedentemente trattati con il sapone di Marsiglia. Il numero di scivolate e di mosse che farebbero la felicità di un programma come “Torta di riso” è paragonabile a quello di un intero campionato mondiale di calcio saponato! Ovviamente la 5 la sbaglio perché finisco sul sasso sbagliato (ce ne sono mille in zona) e mi tocca scendere sul sentiero e risalire dal bivio per arrivare al punto. Dopo la 6, trovata più per culo che per anima, vado a giocare sull’isolotto che separa il piccolo Delsjon dal grande Delsjon. Il terreno è compatto, bellissimo, le paludi quasi invisibili, è un festival di piccoli movimenti del terreno… ma in tutto questo Paradiso, la mia lanterna sta da un’altra parte rispetto a dove la cerco! Arrivo alla X nera tra la 7 e la 9 prima di capire che qualcosa non va.

Da lì in poi nulla di eclatante ma tanto “divertiLento”, anche se la lanterna 12 affrontata in modo assolutamente pusillanime dal sentiero a sud, giusto per vedere da dove escono gli altri concorrenti. Per la 14 si corre sul sentiero grande fino ad arrivare nella zona della 16, poi sul sentiero piccolo verso sud finché le gambe dicono di avere ancora forze sufficienti per affrontare le curve di livello e le rocce. L’ultima insidia è alla 16, che è la buchetta più infida del mondo, fino al finale nel quale le gambe non ce la fanno proprio più a spingere perché la benzina è finita. In generale, una gara in un posto fantastico e velocissimo nel quale tutti fanno segnare tempi più alti rispetto al giorno prima… perché le lanterne sono in numero doppio e oltre a correre bisogna anche trovarle! It’s orienteering, honey!


Venerdì è il giorno di riposo, ma noi ne approfittiamo per un piccolo allenamento nella enorme carta di Botaniska, quella che inizia al meraviglioso giardino botanico di Goteborg: in pratica è la carta che separa i quartieri di Goteborg Majorna da Goteborg Frolunda, e se per caso avete sentito parlare delle squadre di orienteering di Majorna e di Frolunda, no: non è un errore! Se una ragazza di Majorna telefona al fidanzato di Frolunda e gli dice che i genitori ono fuori a cena e la casa è libera, ecco… il fidanzato fa prima ad armarsi di carta, farsi un attraversamento del bosco tipo Mondiale Long Distance per difficoltà tecnica e arrivare a Majorna. Poi dicono che gli svedesi di orienteering ci capiscono


Sabato 1° agosto è l’ultimo giorno di questa campagna svedese. Sarebbe anche tanta altra roba: è il giorno del mio compleanno, è il giorno della finale Long Distance dei Mondiali Master, è il giorno nel quale si corre proprio sulla carta di Skatos ed io sto aspettando da 11 anni di tornarci! Ma è anche il giorno nel quale dobbiamo fare valigie, check-out, gara, trasferimento in aeroporto e prendere l’aereo. E infine è un’ultima cosa: è il giorno nel quale io sono completamente sfinito, a pezzi, distrutto. Faccio fatica già ad arrivare alla partenza, e le sensazioni che ho mentre affronto la salitella per uscire dalla zona di partenza sono tutt’altro che positive.


Ma, incredibile almeno per me, la prima lanterna è anche forse la migliore di tutta la mia 10 giorni: dritto come un fuso fino al punto senza sgarrare di una virgola dalla linea rossa; infatti raggiungo un paio di svedesi, uno svizzero ed un giapponese che erano partiti prima di me, e tutti quanti si accodano a questa locomotiva italiana per andare alla 2, visto che l’italiano è panzottello e pure un po’ impiegatizio ma dimostra di sapere il fatto suo. Da lì, il buio! Un buio nel quale i vagoncini dichiarano la loro fiera indipendenza molto presto: per arrivare al punto 2 devo scendere due volte al ristoro, la seconda volta con il dubbio di essere sceso ad un ALTRO ristoro… ma anche quando trovo il punto per caso, visto che in pratica sto rimappando la zona (25 minuti di ricerca), tutta l’orografia attorno a me mi torna come un boomerang lanciato da uno che uno è capace di farlo rientrare alla base! Trovo al 3 perché mi accodo ad un danese che mi ha già rimontato 15 minuti, ma sulla 4 che sarebbe anche facile impiego 27 minuti nonostante il sentiero e la canaletta. Sono cotto, bollito, non ce la faccio più e sono molto demoralizzato; soprattutto, non c’è modo di far salire l’indicatore della benzina dal livello zero che più zero non si può. Impiego un’altra quarantina di minuti abbondante per trovare 5 e 6, ed alla 6 non sono più in grado di pensare razionalmente: sono in gara da 1 ora e 40 minuti e non ho energie per finire la gara; arriverei, forse, in tre ore… ed il “forse” non è legato al fatto che potrei impiegarci di meno, ma al fatto che forse mi ritroverebbero stecchito nel bosco.

I miei compagni di squadra mi aspettano per andare in aeroporto, e decido di mollare. Una vocina del cervello mi dice che non è da questi particolari (un ritiro nella gara che stavo aspettando da tanto tempo) che si giudica un orientista. Un’altra mi dice che è da questi particolari (la decisione di ritirarsi in tempo) che si giudica una persona razionale e dotata di senno. Con lo sconforto nel cuore, casco dritto sulla 10!, ma il fatto che il ritiro sia l’opzione migliore lo capisco al ristoro: la persona che è lì mi viene letteralmente incontro per aiutarmi, poi io passo 5 minuti a cercare a terra la sicard che credo di aver perso, finché la stessa persona (scuotendo la testa) mi avvisa che ce l’ho al dito! Credo che sia stata una gara molto divertente… per chi ce l’ha fatta!

Sono stato respinto da Skatos, proprio alla decima gara, e impiego un paio di giorno per recuperare dalla delusione. Una delusione che, per mia fortuna, viene sopraffatta da un desiderio più forte di rivincita: una settimana dopo Skatos, infatti, è in programma LA GARA! La O-Marathon degli Altipiani! Ed io sono molto combattuto ascoltando la vocina prudente che mi dice che non ho più l’età e le forze per farla in Elite, e quindi non otterrò altro risultato che un nuovo ritiro e una nuova delusione, e la vocina intrepida che mi dice che, usando la testa, ce la posso fare ed uscire orgoglioso dalla mia estate di gare.

Alla fine, la decisione è presa: si va alla O-Marathon degli Altipiani. In Elite! ‘Co can!!!