Stegal67 Blog

Wednesday, January 28, 2009

Li chiamavano... “er più” e “er meno” di Rue du laboratoire!

+ i colleghi e le colleghe di Lussemburgo che mi hanno adottato; a parte il fatto che sono l’unico al mondo che torna dalle trasferte di lavoro con uno zero alla voce “nota spese”. Grazie per tutto!
- i “colleghi” di Milano che non aspettano altro che il cane da guardia brutto e ringhioso si allontani, per andare a fare il bello e il cattivo tempo coi miei ragazzi. Occhio che il cane da guardia poi torna! E si sa come va a finire...

+ gli alberghi di Luxembourg Ville, la pulizia ma soprattutto il silenzio
- chi ha disegnato gli accessori del bagno del Novotel Centre. Passi che per lavarsi i denti bisogna frantumarsi la faccia contro il bordo del lavandino e tracheotomizzarsi con il miscelatore del rubinetto. Ma nascondere il miscelatore della doccia, che al confronto trovare il tesoro di Oak Island è più facile? L’altra sera stavo per andare a lamentarmi alla reception nudo come un verme!!!

+ Cristian Giacomuzzi. L’ho conosciuto il giorno dopo Lome e forse non ero tanto in forma, ma ho capito subito di avere incontrato una persona fuori del comune.
- quelli che scrivono che si sono stufati di me e di Cristian. Di me possono senz’altro fare a meno, ma quando avranno fatto pulita delle persone come Cristian si ritroveranno a fare orienteering in 10 nel salotto di casa...

+ si può passare tutto il volo discutendo di rugby col vicino del posto 12D? Si può, si può...
- la modella\escort\mannequin il cui cellulare ha squillato sonoramente nel momento stesso in cui le ruote dell’aereo hanno toccato terra, per poi partire con tutto un cinguettio di “honey” e “darling”
--- i lumaconi che in dal check-in hanno bavato lungo tutto il tragitto e lungo il corridoio dell’aereo.

+ 9 ore al giorno in un misto frutta di italiano inglese francese spagnolo ma almeno i miei alunni sembrano capire l’antifona
- il telecronista RAI:
“Abbiamo chiesto al vincitore cosa ne pensa della sua gara...”
“I’m very happy because this race is the most important of the world after...” (non dico sennò si capisce subito)
“ehmmmm... adesso però abbiamo bisogno di qualcuno che traduce...”

+ Bojan il bosniaco “Quando vieni a trovarci a Sarajevo ti porto a giocare a basket con la mia squadra!”
- Mario il milanes-lussemburghese che mi interrompe sempre e non mi fa mai finire una frase, e ogni volta canna!!!

+ perchè i pomodori in Lussemburgo sono più rossi e più buoni di quelli che mangio in Italia?
- la zuppa di tomatoes calda e con gli aromi che esce dalle macchinette dell’ufficio stile “Camera Café”

- i progetti di fusione che cambiano obiettivi ogni settimana costringendoti a rivedere ogni volta il calendario 2009 delle gare
+ i progetti di fusione che cambiano gli acronimi dei progetti:
(boss) “Abbiamo cambiato il tuo progetto, non si chiama più T7 ma MK”
(collega) “Che cacchio di nome, come faccio a ricordarmelo...”
(io) “... Minna Kauppi !!! ...”

Oh Luxembourg, sono qui per aiutarti!

Tuesday, January 20, 2009

Lome – 10 anni fa (prima parte...)

Ci pensavo questa mattina. Nel 2008 ricorre il decennale della gara di Lome (porc... non ho fatto in tempo a finire di scriverlo che già mi è sceso un brivido dal collo lungo la schiena!).
In genere le persone non credono che ogni volta che pronuncio la parola “Lome” (o la scrivo , porc...) mi arriva un brivido lungo la schiena ed una sensazione di autentico disagio. Magari, pensano, faccio apposta. Magari! penso io...

Forse, quando nella vita capitano delle avventure così al limite, così assurde, così grottesche e così incredibili, la mente ed il corpo registrano una sorta di riflesso condizionato, tipo “galline di Pavlov”. Ed il riflesso condizionato che mi ha lasciato Lome (porc... son qui a dimenarmi sulla sedia!) è quel brivido.

Forse non è stata la gara più faticosa di 15 anni di orienteering (quel premio lo vince di sicuro il Trofeo Lantscher – Steinegg 1999), sicuramente non è stata la più lunga (O-Marathon – 2008), non è stata la più pericolosa (Capriasca – 2007) o la più bollente (Raskovec – 2001). Non è stata nemmeno la più bella gara che ho fatto (potrei scegliere tra Torlanda, all’O-Ringen, o Val di Nos agli Highlands Open, o altre gare ancora che ho concluso diventando più alto di 30 centimetri). No, è solo Lome (porc...!).

1998, allora. Dopo la 5 giorni della Val di Non in luglio, in agosto che si fa? Non ero mai stato in Slovenia, la Cerkno Cup non era poi così lontana, il periodo di ferragosto, la lacation facile con l’albergo di Cerkno colonizzato dagli orientisti... Massì! Proviamo questa nuova esperienza oltre confine. Ricordo la partenza, in una buia notte milanese, Brambi, Bibi, PLab ed io sulla macchina che partì direttamente da Via Sile (Milano) dove io e Sbrambi lavoravamo (ricordo lo spogliarello di Sbrambi che si cavò i vestiti dell’ufficio in strada per mettersi i vestiti da viaggio). Viaggio tranquillo, unico intoppo alla frontiera con la Slovenia dove lo Sbrambi mise in scena una sua personale versione della nota pièce “Come affrontare le guardie di confine: cose da fare e cose da NON fare”. Poi le strade slovene, il passo per Crni Vrh, la salita a Cerkno ed il meritato riposo.

1998. Cerkno Cup. Prima tappa a Crni Vrh. Tanto per spiegare lo schieramento: quel buffone di Stegal iscritto in HA, Sbrambi futuro campione italiano iscritto in HB. La categoria sbagliata era la mia. Ma nel venerdì di Crni Vrh, sotto il caldone sloveno, quella HA non si dimostrò poi così terribile. Partenza ed arrivo molto vicini, una carta con la zona di bosco fatta a goccia rovesciata: partiamo proprio dalla “punta” della goccia e nel tragitto partenza-1-2 incrocio le ultime due lanterne 16 e 17. Gara faticosa ma tranquilla, fa caldo ma non sembra un fattore determinante. La montagna slovena non sembra così diversa da quelle a cui sono abituato. I tempi di gara indicati dall’organizzazione sono rispettati in pieno, tutto sembra filare liscio. Tutto molto bello...

Troppo. Troppo bello. Per durare.
Sabato. Seconda tappa. Lome (porc...!). Innanzitutto una precisazione: per me Lome non esiste! Non è un posto. Non è nulla. Lo cerco ancora, ogni tanto, su ViaMichelin. Non c’è. Ricordo il ritrovo: un caldo asfissiante. Ricordo un cartello giallo, arrugginito, male in arnese, che indicava a destra, lontano “Lome, 4 km”.Quel cartello sembrava uscito da uno di quegli spaghetti western con le città fantasma, le ghost town: anche quel cartello sembrava un “ghost sign”! Ho provato ad allungare lo sguardo in quella direzione, senza vedere nulla; sullo sfondo delle colline indistinte sotto il sole cocente: il caldo di quel giorno sembrava voler liquefare l’asfalto, la strada sterrata indicata dal cartello non portava proprio da nessuna parte, in nessun posto!

Vado in partenza tranquillo. Non so ancora che sta per cominciare la mia avventura più incredibile!

Partenza. E primo piccolo choc. E’ la prima volta che mi trovo a che fare con la tipica carta slovena fatta tutta di depressioni. E sembra anche abbastanza verde. Ma sono fiducioso e mi butto a sinistra aggirando il primo ciotolone che si frappone sul mio cammino.

Primo punto: tutto ok! Per il secondo punto affronto una zona tutta rocce che è molto più ardua di quanto sembra sulla carta; sbarco su un sentiero che degrada rapidamente verso una ampia depressione: dovrei avere attorno a me un bosco bianco, invece è una vegetazione impenetrabile stile delta del Mekong vietnamita. Attacco il secondo punto lungo il sentiero, non tanto per pavidità quanto perchè non riesco nemmeno a trovare un pertugio per uscire dal sentiero e buttarmi nel bosco. Il verde che avviluppa il secondo punto, quella minuscola zona verde ... non riesco nemmeno a descriverla! Vengo respinto una prima volta, poi una seconda. Cambio strategia e ritorno sul sentiero facendo un largo giro per prendere il punto dall’altra parte; incrocio il concorrente partito prima di me che sta andando al terzo punto e che mi dice qualcosa in ... ungherese, credo. Non capisco una cippa ma la faccia è molto esplicativa!

Terzo punto: tutto su sentiero. Ormai l’antifona è chiara: abbandonare la linea nera equivale ad andare incontro all’ignoto. Il punto 4 è ancora abbordabile: le file di rocce spezzano già i muscoli, lo sbarco sui sentieri equivale ad un soffio di aria fresca in una giornata rovente. Il quinto punto è ancora un tragitto su sentiero e poi un duro scontro con un verde intenso. Sul sentiero mi corre incontro Sbrambi: “Gallus! Dove ca$$o siamo? Non ci capisco un ca$$o qui dentro...!!!”. Benedetto Sbrambi, mi chiede una mano in quello che forse è stato l’ultimo momento di lucidità di quel lungo pomeriggio.













Sesto punto: la paura. Nonostante quello che ho visto finora, opto per una scelta nel bosco, a prendere una traccia che dovrebbe farmi aggirare l’ennesima zona di verde pesante. E’ la mia scelta perdente, è la scelta che cambia (in peggio) tutta la giornata. Vago tra le depressioni in un verde pesantissimo nel quale riesco raramente a fare 3 passi in una unica direzione. E’ uno sforzo terribile in una zona di bosco nel quale il caldo si mescola all’umidità soffocante. Non riesco a trovare un solo punto di riferimento congruente con la mappa e ... prendo paura! Non capisco veramente dove mi trovo e non riesco nemmeno a ritornare sui miei passi; passano i minuti ed io non riesco nemmeno a sbarcare su un qualunque sentiero (solo dopo, a mente molto fredda, mi accorgerò di averne mancati un paio veramente di poco, e probabilmente di aver attraversato una traccia senza nemmeno accorgermene).

Finalmente un barlume di lucidità: torno indietro e sbarco su un sentiero. Non sono sicuro del punto in cui mi trovo e provo a chiedere ad una ragazza slovena che passa sul sentiero: la risposta è abbastanza agghiacciante (come ho fatto a finire là in fondo?) ma almeno ho un punto di riferimento per andare al punto. Comincia a far capolino un pensiero sullo sfondo: forse dovrei ritirarmi!












Settimo punto. Cerco i sentieri e l’esperienza del punto 6 mi è bastata per non mollarli fino all’ultimo metro possibile. L’ottavo punto dovrebbe essere in una depressione ai margini del verde: errore. Peccato che il verde si è mangiato tutta quella parte di bosco: la depressione sembra una enorme ciotola piena di insalata, il fondo è invisibile; trovo il punto perchè una concorrente delle DE ci va a sbattere letteralmente addosso senza volerlo ed inciampa a gambe all’aria (il percorso delle DE è lo stesso degli HA).

Nono punto, decimo punto, undicesimo punto. Avanzo come uno zombi nella vegetazione più opprimente che abbia mai visto. Il terreno è roccioso. Le gambe esplodono, i muscoli non ne vogliono più sapere di andare avanti. La testa è asciutta per il caldo.
Fin qui, è stata una passeggiata di salute. Fin qui non c’è nulla di diverso da altre gare “svarionate” che ho fatto prima e che farò in seguito. Fin qui non c’è ancora stato nulla di speciale. Fin qui “Lome” è una parola di quattro lettere. Sta per arrivare la seconda parte di gara.


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Lome – 10 anni fa (l’epopea...)

Per il punto 12 non ho dubbi. Il bicchierino color magenta è troppo invitante, come pure il sentiero che mi accompagna al ristoro. Trovo alcune bottiglie buttate tra i cespugli (pure il recupero del ristoro è un’impresa) e bevo abbastanza da abbassare un po’ la temperatura. La scalata al punto 12 è devastante anche se sono solo pochi passi tra le mille roccette. Così per il punto 13 preferisco.... ripassare dal ristoro!





















La strada per il punto 13 è, appunto, una strada. A metà tratta sento arrivare da dietro i tacchetti di qualche atleta che mi sta raggiungendo... vedo passare una ragazza che mi sfila come se fossi un paracarro: è visibilmente stravolta ma, lei almeno, riesce a mantenere una buona andatura. Da buon genio italiota, cerco di starle dietro fino al punto ma pago lo sforzo in uscita: la vedo allontanarsi di qualche metro...

... e la ritrovo poco più in là. Sul sentiero che si frappone tra noi e la 14. E’ una decina di metri alla mia sinistra, mani appoggiate alle ginocchia, e singhiozza. In vita mia mi capiterà altre due volte: alla terza tappa della 5 giorni della Val di Non quando Anne Karin Bondesson - la fidanzata di Cristian Nielsen - praticamente mi sverrà tra le braccia a 200 metri dall’arrivo dopo una bruttissima gara, ed all’arrivo della seconda tappa della 5 giorni dei Forti al Cherle, quando Greet Oeyen piangendo mi disse “Oggi sono arrivata, oggi non dovrò più correre”). Mi avvicino cautamente e cerco, con il poco fiato che ho, di chiedere se c’è qualche problema...

Il problema c’è; in un inglese raffazzonato (devo dire più il suo che il mio, tra pochi secondi scoprirò che è russa) capisco che quella ragazza, che peraltro è partita almeno 40 minuti dopo di me “non ce la fa più”. Non riesce più ad andare avanti, ha dato tutto: le due curve di livello prima del punto 14 non sono nulla, ma la visione delle colline rocciose sulle quali bisogna letteralmente passare da un sasso all’altro le ha dato il colpo di grazia. E’ lì, e non vuole più andare avanti.
Mi cade l’occhio sulle lacrime che le rigano il viso, e poi mi cade l’occhio sul pettorale. Non tanto per una questione estetica, quanto perchè il pettorale che indossa non è comune. Dice “D E 1”. E’ la leader della classifica Elite femminile, e si sta ritirando davanti ai miei occhi perchè quella gara è diventata troppo dura per lei.

Ed io, cosa dovrei dire io? Non lo so, ma la prima cosa che mi viene in mente è: “I’m doing the same course. I wanna go to the finish, so you will come with me. I don’t leave you here alone!”. Passa qualche secondo, i piedi ricominciano a muoversi. Quei 100 metri sui sassi li ricordo come un incubo ad occhi aperti anche se attaccare il punto con la russa che guida l’Elite è ben diverso che dovermelo cercare da solo. E poi ancora avanti, lentamente, lentissimamente, un altro punto simile al 14, un’altra pietraia infinita, ad incitarci a vicenda col poco fiato che ho (io) e con la poca convinzione che ha (lei). E ancora un altro punto ancora, addirittura riesco a recuperare un paio di concorrenti dell’MA che mi avevano superato prima: uno di questi, un italiano moooolto famoso, si stupisce di vedermi passare fianco a fianco con “D E 1” ma forse si stupisce ancora di più per il fatto che la russa ed io stiamo praticamente dialogando e mandando accidenti in tutte le lingue che conosciamo a questo percorso.

Sul punto 17 che dire? Qualcuno può credere che la scelta sia stata mia? Il modo in cui ‘sta ragazza attacca i punti è addirittura irritante... alle sue spalle si è formato un gruppetto; la cosa incredibile è che io, che sono in coda al gruppetto (come mio solito) ogni tanto mi devo staccare di qualche metro per stanchezza. A quel punto lei si gira, non mi vede, mi aspetta e tutto il gruppetto si ferma! L’italiano sopra citato mi fa presente che se solo riuscissi ad avere una andatura più decente non dovrebbero fermarsi ad aspettarmi... (lì mi è partito un vaffa!).

Il dramma si consuma al 18esimo punto. Dopo un tragitto che non potrei descrivere nemmeno sotto tortura (mi basta il ricordo di quell’attraversamento del verde) il gruppetto sbarca sulla strada e accelera. Non ho nessuna possibilità di seguire la mia “virgilia” e le faccio segno di andare. Quando lascio la strada per ributtarmi in un ennesimo inferno di verde so che non avrò nessuna possibilità di trovare il punto... errore!!! Errore nel senso che ci casco sopra senza volerlo!!! E’ una visione troppo bella. Arrivo alla lanterna, sto per punzonare e... mi accorgo di aver perso il cartellino! Non ci posso credere. Mi giro su me stesso, ma mi accorgo subito che in quell’autentica giungla potrei averlo perso ad ogni metro della tratta 17-18, tratta che non sarei in grado di ripetere a ritroso nemmeno volendo.

Le forze mi abbandonano. Sono io, adesso, che mi lascio andare allo sconforto. Mi scappa una lacrima e, capendo di aver perso tempo ed energie inutilmente, mi trascino a bordo foresta per raggiungere mestamente il ritrovo. Sbarco sul prato e lemme lemme affronto il sentiero che mi porta al traguardo. Penso al fatto che avrei dovuto assicurare meglio il testimone, penso a quando sono stato sbadato a non avere cura di quel particolare, penso che forse avrei potuto cercarlo... ma no, dove e come avrei potuto ritrovarlo? Vado camminando a capo chino, triste. Mi fermo ogni tanto ad osservare i paraggi per far si che la mente pensi ad altro... comincio a vedere la zona arrivo, mi sembra quasi di vedere da lontano i miei compagni di squadra nella zona in cui avevamo messo il telo. E’ passata mezz’ora almeno dal mio ritiro. Taglio l’ultimo pezzo di bosco per non arrivare proprio dalla strada. Ecco, sono nel prato, tra poco i miei amici mi vedranno ritirato e...

... ehi! Ma chi è che si sbraccia nel prato? E’ lei! E’ la ragazza russa! Faccio qualche passo di corsa per accostarmi alla sua corsa e lei devia di qualche metro per venirmi incontro. “Ho perso il testimone..:” le faccio segno. “Yes! You lost it, and I found it for you!!!”.

Insomma, il gruppetto che mi aveva staccato si era perso nel verdone! La mia scelta “a fortuna” mi ha portato sul punto prima di loro, il testimone era nelle vicinanze e lei ci era passata sopra e l’aveva raccolto. Si era accorta che ero io (forse si era anche chiesta come diavolo fossi finito davanti a loro) ed aveva appoggiato il testimone sul punto 18!!!




















Il mio primo pensiero è quello di dire “Ok, grazie, ma non ho la forza di tornare là dentro”. Ma lei insiste: posso farcela, posso finire la gara, non mi devo ritirare perchè nemmeno lei si è ritirata!
Guardo verso il ritrovo, lei continua a correre verso il traguardo anche se si gira un paio di volte per vedere cosa faccio... forse i miei amici non mi hanno visto, forse ho ancora tempo. Forse ce la faccio. Mi giro e ritorno nel bosco! Affronto tutto il sentiero verso il punto 18: ad ogni metro una parte del mio cervello mi dice quanto sono scemo e che avrei dovuto ritirarmi alcune mezze ore prima. L’altra parte combatte quel pensiero, continua a ripetermi quanto sono eroico, stoico ed impavido in quella mia scelta suicida.

Con la fortuna a favore, rientro nella giungla e ritrovo il punto. E ai piedi del paletto... il mio testimone! Punzono e mi metto a studiare la tratta per il punto successivo, metto la bussola in posizione... e SBAGLIO!!!

Ho dovuto farmi un bell’esame interno per capire perchè ho sbagliato. E sono giunto a questa conclusione: poiché io avevo GIA’ trovato il punto 18, quando ci sono ritornato sopra era come se avessi trovato “un diciannovesimo punto”. Infatti l’azimut che ho cercato di fare era quello della tratta 19-20.
Dopo aver girovagato nel verdone come un cretino, ho finito per ritrovarmi (e lì la mia faccia ha assunto la forma di un autentico punto interrogativo) ancora ai bordi del pratone (percorso blu sulla carta). Nessun problema. Oggi sono Stefano l’inarrestabile. Mi ributto dentro (uso dei verbi molto forti ma, giuro, ormai mi sto trascinando), poi il punto 20: sto viaggiando a ritmo di una lumaca lessa ed i movimenti del terreno vengono incontro ai miei pensieri, consentendomi di fare delle buone scelte. Punto 21: trovato! Sono arrivato, sono arrivato, sono arrivat....

Buio totale. Buio pesto. Esco dal punto in una direzione sbagliata che più sbagliata non si può. Arrivo ad un enorme masso e lo scambio per quello che doveva trovarsi una cinquantina di metri a sud-ovest del punto 21. Arrivo al prato e lo scambio con quello che dovrebbe portarmi all’arrivo. Dovrebbe esserci un sentiero a bordo prato... e tra l’altro è lo stesso sentiero che ho fatto la prima volta per tornare nel bosco! Niente. Vedo un sentiero davanti a me e lo prendo anche se non ci azzecca nulla, non ci sono case attorno, non c’è il tipico trambusto delle lanterne 100... sono finito in un buco spazio temporale???

Niente di tutto questo. Come nella mia prima gara a Ronzone, sono ritornato alla partenza!!! Trovo ancora le cassette ed i paletti dei vari cancelli. Ma non ho la forza per tornare indietro, ancora una volta. La strada mi sembra un miraggio ma anche una salvezza. Arrivo alla striscia di asfalto e con un passo da cui hanno ricavato il film “Dead man walking” affronto il traguardo dalla parte opposta. Vedo i miei amici rivolti, tutti, verso la 100 e poi le loro facce quando compaio dalla parte opposta. Bibi fa in tempo a prendere la macchina fotografica, andare (camminando alla 100) ed aspettarmi, che io sono ancora a metà strada tra l’arrivo e la 100. Punzono e questa volta è veramente finita!

Penso che la frase che ho appena scritto “punzono e questa volta è veramente finita” sia l’unica falsità del racconto di quella giornata. La gara di Lome, nella mia testa, non è mai finita. Non è finita perchè se lo fosse non sentirei quel brivido lungo la schiena ogni volta che pronuncio la parola “Lome”.

Non ho più corso su quella carta, ma forse un giorno ci tornerò. E magari pareggerò i conti. In ogni caso quella gara non appare neanche tra le 100 peggiori della mia vita. Non è stata una gara: è stata una avventura, un incubo, una Odissea ed una prova di orgoglio.E’ stata Lome. Da quel giorno per me è una nuova parola del dizionario. Significa “impresa impossibile”.

Post scriptum: tempo di gara stimato dagli organizzatori - 50 minuti. Tempo di gara del vincitore (ungherese, Elite): 85 minuti. Tempo di Stegal: 198 minuti.

Monday, January 19, 2009

Neurodeliri in libertà...

(primo paragrafo)

Con la partenza della stagione 2009 e la pubblicazione dei primi pezzi sulle news del sito Fiso si ripropongono ancora una volta alcune eterne questioni che, preferisco subito anticiparlo, non trovano in me o nel mio modo di “fare news” alcuna risposta concreta.
Le e-mail che mi arrivano in questi giorni evidenziano, a seconda ritengo della propensione del singolo che mi scrive, i malumori, le speranze e le convinzioni che ciascuno ha più in generale sul modo di intendere lo sport ed il modo in cui questo vada raccontato.

Perchè dare tutto questa importanza allo Sci-O che avrà, si e no, 100 atleti in tutta Italia? (mia risposta: perchè questi 100 atleti esistono, si fanno un mazzo così anche solo per andare da una gara all’altra, rappresentano una disciplina che grazie ai loro dirigenti di società ed ai dirigenti nazionali fa parte del CONI... mi sembra di aver letto che i pattinatori “pista lunga” in Italia sono circa una sessantina: ma il - limitatissimo ma esistente - sostegno che hanno avuto negli anni ’70 e ’80 e poi da Roberto Sighel in poi avrà aiutato un minimo ad avere un Enrico Fabris bi-medagliato d’oro a Torino 2006).

A che cosa servono queste notizie quando la nazionale italiana non piazza nemmeno un atleta tra i primi 25 di una gara internazionale? (mia risposta: se io non arrivassi mai nei primi 25 della gara di orienteering condominiale, dubito che qualcuno userebbe parole enfatiche per descrivere la mia gara; ma questi sono i migliori atleti italiani della specialità e si confrontano con atleti che sono praticamente professionisti da quando avevano 17 anni... pensare che il risultato possa essere, oggi, migliore mi sembra abbastanza utopistico, ma se l’impegno di questi atleti viene valutato al minimo per una prestazione fuori dai primi 25, prepariamoci ad avere un futuro nel quale avremo prestazioni fuori dai 50, fuori dai 75, fuori da tutto...).

Perchè tutta questa enfasi per dei risultati che non passeranno mai alla storia dello sport nostrano? (chi lo dice che non passeranno alla storia? Forse non oggi. Mi ricordo di un ragazzo francese che ha partecipato, tra i pochi, a quattro edizioni dei JWOC prendendo anche delle belle scoppole... chi conosce il nome di queste ragazzetto?)

Queste sono solo alcune delle domande a cui ho cercato di rispondere in questi ultimi giorni; sono state delle belle discussioni, dalle quali esco sicuramente io per primo con una idea più formata e più completa del modo di intendere lo sport da parte di chi lo vive sui campi di gara e contemporaneamente da osservatore esterno.


(secondo paragrafo)

Le perplessità e le domande che mi vengono periodicamente esposte mi danno la possibilità di dare un mio modestissimo parere su un modo di fare tutto italiano, ben radicato, un modo tutto nostro di interpretare e di definire le regole attraverso le quali lo sport dovrebbe essere raccontato, le parole attraverso le quali lo si vorrebbe portato all’attenzione del’pubblico e soprattutto c’è dietro una secolare storia di “come” certi racconti ci sono arrivati agli occhi ed alle orecchie. Un “come” che sembrerebbe talvolta dover diventare un cliché anche per chi, come il sottoscritto o come Cristian Giacomuzzi (nel caso specifico), racconta in modo non professionale le vicende di uno sport minore.

Voglio provare a spiegarmi, precisando che da tutto quanto scriverò qua sotto resta escluso il calcio nostrano, ovvero un universo che sembra essersi fatto le sue proprie regole ed essersi autodefinito dei confini di buonsenso, di legalità e di sportività stessa che stridono parecchio con il mio modo di intendere i concetti di “regola”, di “legalità”, di “buonsenso” e di “sportività”.

I racconti che la maggior parte degli sportivi vogliono leggere sembrano avere delle caratteristiche comuni: ci deve essere un eroe, vincente se possibile, ma non deve essere mica uno predestinato fin dall’inizio. Deve essere un po’ un derelitto (o una), uno o una che ha attraversato mille e mille difficoltà prima di vedere la luce del sole, uno o una che possa rappresentare l’esempio della rivincita di fronte al rio destino ma... attenzione! Deve essere anche uno o una che non appena raggiunge la luce del sole non acquisisce anche quel rango di “primus” che lo\la stacca dal resto del gruppo; deve invece mantenere quel tipo di basso profilo che ci aiuta non tanto a pensare “quello è come noi”, il che implicitamente renderebbe l’idea che anche noi avremmo potuto raggiungere certi risultati, se solo ci fossimo sforzati, bensì “noi siamo come lui\lei” il che ci autorizza a dire che siamo anche noi dei campioni...

Così le storie sportive italiane si popolano di fornai che inseguono sullo Stelvio, di ragionieri che si mettono in canotta e vincono le Olimpiadi, di disoccupati che si mettono in due a remare e diventano icone nazionali. Salvo che poi alla prima comparsata in televisione il popolo del divano si mette a mugugnare “ma quelli lì chi si credono di essere?”.


(terzo paragrafo)

Come popolo, proprio come popolo italiano, non c’è dubbio che la nostra storia, da quella nemmeno tanto recente a tempi più moderni, sia passata attraverso una serie di svarioni e di sconfitte non indifferenti. Già l’epica, quella che ci viene fatta studiare a scuola, si schiera apertamente a favore dei “deboli ed oppressi che rialzano la testa”, come se fin da piccoli dobbiamo imparare a farci il callo sul fatto che siamo noi quelli deboli che ogni tanto devono osare rialzare la testa.

Non ho dubbi sul fatto che fin dalla lettura dell’Iliade si impari a fare un po’ il tifo per i poveri troiani assediati da millanta navi ed eroi achei, a simpatizzare per quel povero Ettore che nel sesto canto dell’opera Omerica “eute pulas ikane dierkomenos mega astu te ar emelle pedionde” per andare a salutare per l’ultima volta Andromaca ed il primogenito... Un eroe per il quale si fa il tifo ma... prima o poi l’eroe deve anche crepare, no? Nel modo più eroico possibile ma deve crepare! Il tifo per il più debole non ci va mai dimenticare che se Ettore, attaccate le navi, avesse rimandato indietro i greci con la coda tra le gambe, ci saremmo ritrovati a simpatizzare per un energumeno anabolizzato e pure cafone... ed avremmo immediatamente cambiato bandiera al grido di “Ma ‘sti poveri greci!”.

Poveri greci. I 300 delle Termopili, ad esempio. Non sono mica passati alla storia perchè erano forti! Ci sono passati perchè erano pochi! E perchè sono morti... Se gli alleati di Leonida, anziché subire la diversione dei persiani ed allontanarsi dalle posizioni prestabilite, fossero rimasti in cima al passo... forse Leonida non sarebbe diventato quel personaggio studiato sui libri di storia, forse avrebbe guidato Sparta alla conquista di Atene, forse oggi chiameremo “leonidi” i caselli autostradali sui quali si infrangono ad ogni esodo milioni di macchine ferme sotto il sole e quel tal generale spartano ci sembrerebbe un po’ meno simpatico.

“Dagli atri muscosi\dai fori cadenti\dai boschi dall’arse fucine stridenti\dai solchi bagnati di servo sudor\un popolo intento repente si desta...”. A pura memoria dal mio liceo classico, qualche parola potrebbe essere sbagliata. E’ Manzoni. Il coro dei Lombardi. O sembra la locandina del film “la rivincita dei nerds”?

E la storia del Piave, fiume caro alla patria? “Il Piave mormorò\Non passa lo straniero! (zumzum)” Ah la canzone del Piave... si, peccato che il fronte stava a Caporetto! Pregasi cercare Caporetto sulle cartine; non c’è? Eh già. Sta in Slovenia! Zona Cerkno (un po’ più a nord, in realtà). Pregasi allora valutare ad occhio la distanza tra Cerkno ed il Piave... altro che “non passa lo straniero! (zumzum)”: quelli erano già passati come i tedeschi sulle autostrade verso la riviera romagnola!

Gli eroi a tutti i livelli piacciono o divertono se partono da una situazione disastrata, se sono pochi, se partono battuti, se non sono bellocci... soprattutto se alla fine vincono! Ma, una volta che hanno vinto, una volta che siamo saliti tutti quanti sul carro dei vincitori, è meglio per tutti se tornano a fare gli sfigati: giù dal carro i vincitori, ci siamo già noi ad occupare tutti i posti!


(quarto paragrafo)

Sul fatto che alcune tra le pagine più belle dello sport italiano siano passate dal brivido assoluto della sconfitta certa certissima, dalle stalle alle stelle, dal momento nel quale lo sportivo da divano ha lanciato il telecomando al grido di “quei buffoni strapagati!” fino al momento in cui (richiamato dalle urla dei vicini) ha ripreso in mano il telecomando gridando “l’ho sempre detto che non era finita!” (perchè, come dice John Belushi, è finita solo quando lo diciamo noi...)... dicevo, su questo fatto non ci piove.

Mennea non sarebbe stato Mennea se avesse volato 200 metri alla Usain Bolt lasciando alle spalle il resto del mondo. No. Mennea ha dovuto essere brutto e stortignaccolo, e lasciare pure 6 o 7 metri di vantaggio a Alan Wells prima di accorgersi “che quello scozzese gli stava portando via tutto, e a quel punto come un condannato a morte si riscosse con un rantolo e andò a riprendersi la glori e la vita” (Prof. Vittori).

E se Gelindo Bordin se ne fosse andato via al 30esimo chilometro? Una bella accelerazione e via! Invece no. Bordin ha dovuto aspettare l’attacco di Saleh, il rientro di Wakihuri... e poi, solo poi, quando ormai anche il telecronista si era rassegnato ad un “chiudere per un comunque prestigiosissimo secondo posto” (notare l’arte del telecronista che già mette le mani avanti...), venire fuori con un chilometro pazzesco ed andare a riprendere gli africani “che si riposano correndo” (sempre il telecronista, mentre il nostro eroe evidentemente chissà come fa a stargli davanti).

La vittoria, poi, è tanto più bella quanto più possiamo metterci a ballare davanti non sono agli avversari sconfitti, ma anche quanto più sono i tifosi avversari che rimangono a bocca aperta ma senza parole. Staffetta 4x10 chilometri di sci di fondo! Quella recente con i vari Piller, Zorzi, Valbusa e compagnia? Ma va là... Lillehammer! 4 italiani con età media da M35 contro centomila e 4 norvegesi che schierano Bjorn Daehlie in ultima frazione. Come è andata a finire?

Persino Cova non sarebbe diventato quello che è senza la telecronaca di Paolo Rosi e se avesse messo il turbo a 500 metri dall’arrivo come Lasse Viren, avesse staccato Emiel Puttemans e fosse arrivato al traguardo da solo. No, on sarebbe stata a stessa cosa... invece anche lui ha dovuto essere lì a 40 metri dall’arrivo praticamente battuto, praticamente sconfitto, praticamente nemmeno sul podio, prima di piazzare i 40 metri più brutali del fondo degli anni ’80

Perchè, e ritiro dentro il calcio, persino in Spagna ’82... comprare un pareggio con i camerunesi per passare il turno e poi, questa si che è epica, andare a battere Argentina, Brasile (ma un monumento all’arbitro Klein ancora non l’hanno fatto?), Polonia e Germania! Ricordo un commento dell’epoca: “Ancora una volta si ripete la storia: i nostri ragazzi contro la panzerdivisionen!”...

E che dire di quei campioni osannati all’inizio, poi praticamente ridotti a personaggi da operetta con i quali gioire per qualunque loro sconfitta, per poi ancora essere “riscoperti” da vecchi quando ci si rende conto che non avremo ancora avuto modo di vederli a lungo in gara? Un nome per tutti: Henri “Riton” Leconte... ah no, questo è francese... diciamo allora Alberto Tomba, che se fosse stato svizzero a quest’ora sarebbe forse ministro della Confederazione.

A fronte di una Federica Pellegrini che comincia già, nell’immaginario collettivo, a rompere i cocomeri (purtroppo non è brutta, non se ne sta schiscia) si salvano le donne.
Penso a Valentina Vezzali che è ancora sulla breccia ma ha avuto tre grandi vantaggi: la sua disciplina va sulla bocca di tutti ogni 4 anni, è riuscita a perdere da Granbassi (che poi ha fatto il calendario, AnnoZero, casini vari... e quindi è passata automaticamente dalla parte del torto) ed è mamma.
Penso a Deborah Compagnoni su cui nessun italiano avrebbe sparato a zero dopo averla vista urlare in diretta mondiale con un ginocchio spezzato nel momento in cui stava diventando grandissima (poi è diventata lo stesso la più grande di tutte).
Penso a Stefania Belmondo che ha sempre fatto la parte della piccolina di fronte alle russe e forse solo grazie a questo si è salvata dal gran tritacarne mediatico, lei che in effetti ha alzato la voce spesso e volentieri ogni volta che qualche cosa non andava (l’allenatore, la sciolina, la griglia di partenza, Manuela Di Centa...)

Che qualcuno (il cielo, forse) aiuti Alex Schwazer, che è bello forte e pure simpatico e sta con Carolina Kostner!


(ultimo paragrafo)

In mezzo a tutto questo tripudio di cavolate, mi sento di affermare 3 gradi di libertà per tutti coloro che scrivono sul sito Fiso:

1) le squadre nazionali, gli atleti ed i loro allenatori vanno sostenuti fino all’ultima virgola, perchè nessuno mi ha ancora mostrato un solo atleta italiano che è andato a fare una gara nazionale o internazionale “per passare il tempo”. Se il 25° posto è il massimo che in questo momento si può ottenere, VIVA quel 25° posto! Sta all’intelligenza di chi sta al vertice del nostro piccolo sport andare a stabilire i mezzi con i quali quel 25° posto potrà diventare un 20° domani, poi un 15° tra due anni e magari tra 4 o 5 anni una posizione stabile nelle prime 10... e poi chissà.

2) uomini e donne hanno la stessa dignità. Che in parole povere potrebbe già tradursi nel fatto che non si dovrà mai citare e parlare di una atleta come di “la tale”. Il giorno in cui i giornalisti e gli pseudo tali di tutti gli sport impareranno a non parlare di “la tale” e “la talatra” sarà una giornata radiosa. Se parlo della gara di sci di fondo femminile non serve dire “la Follis”: quello lo lascio dire ai giornalisti che escono dalle sedi di partito e si fanno largo al vertice a colpi di tessera. Altrimenti, par condicio, da domani si parla di “il Tenani”, “il Seppi” e via dicendo (Alessio e Marco presi assolutamente a caso). Solo io posso dire “la Varoli” a Giovanna, ma solo se è una mia avversaria alla staffetta del Parco della Pellerina e sto cercando di distrarla!

3) Il fatto che i ragazzi italiani e le ragazze italiane facciano fatica, oggi, a conquistare una posizione di eccellenza nel gotha mondiale dell’orienteering non mi toglierà mai la voglia di raccontare nel modo più positivo possibile ogni secondo ed ogni metro delle loro gare. Perchè ogni secondo ed ogni metro di ciascuna di quelle gare è qualcosa di più e di fatto meglio di ciò che io ed il 99% degli orientisti italiani sarebbero mai in grado di fare. Ho davanti agli occhi in paginone centrale di Orienteering Today, con l’ultima frazione della Jukola e le scelte di Valentin Novikov: potrei limitarmi a non sprecare una stilla di energia, un secondo del mio tempo ed una singola fibra di muscolo per gareggiare contro uno di questi fenomeni anche se me lo ordinasse il dottore! Ma se qualcuno lo fa, lo fa anche perchè tra una generazione o due (o ai JWOC 2009) un italiano o una italiana possano salire su quel maledettissimo podio nella C.O.

Quel giorno qualcuno dovrà raccontarlo.

Friday, January 02, 2009

Di solito in questo periodo dell’anno libero dalle gare rimane un po’ di spazio per pensare ai “desiderata” dell’anno successivo; con i calendari (non quelli delle starlette pettorute e ritoccate col photoshop) che cominciano a riempirsi, la mente vaga sul planisfero senza confini della fantasia.

Sul mio foglio excel delle gare + tutto un inserire di date, appuntamenti, verifiche... e soprattutto sogni; lo tengo sul desktop e ci do un’occhiata quando sono triste, perchè ci sono su persino le promozionali che si svolgono a 1000 km di distanza, tanto non si sa mai dove si può trovare l’hombre con valigia che sono io (lavorativamente parlando).

I sogni, si sa, viaggiano più veloce della velocità della luce (lo diceva anche Archimede Pitagorico, che “Einstein era solo un simpatico vecchietto faceto”), e con essi i relativi spostamenti sulle ali della fantasia diventano istantanei e privi di fatica code traffico caselli bretelleAffiPeschiera e tornanti... ed allora ecco anche il censimento dei primi appuntamenti internazionali: Austria, Slovenia, Germania, Francia, Scandinavia, Spagna, Lituania... no dai Lituania no! Sarebbe veramente troppo lontana anche per la mia fantasia!

Così, mentre si completa il calendario nazionale, si cominci a pensare già all’estate, o a qualche multidays primaverile o in periodi impensabili dell’anno. Tanto siamo sempre lì. Sul piano dei desideri. Poco importa che la parte logica del cervello mandi informazioni truculente sui fine settimana lavorativi che mi aspettano, sul fatto che ormai il fisico è quello che è e regge a stento tre trasferte di fila, sulla sempre più vituperata casetta che rimane per settimane senza che uno traccio della polvere arrivi a dare una parvenza di dignità al pavimento...
Per il momento è il tempo dei sogni, e allora quel foglio diventa il libero sfogo della fantasia al potere.

Quest’anno i calendari si sono fatti attendere un po’, almeno a mia impressione. Credo che sulla questione abbia pesato l’attesa per l’esito dell’assemblea elettiva, o meglio il fatto che le persone che nelle varie società si occupano di tirare le fila verso la federazione nell’ottica di arrivare ad un calendario condiviso erano impegnate contemporaneamente a gestire le aspettative e le aspirazioni di una delle assemblee più seguite e attese e turbolente degli ultimi lustri. Passata Bologna, riprese le fila del discorso quotidiano, vedo che il sito Fiso ha ora un calendario nazionale abbastanza polposo.

La prima cosa che ho fatto è stata integrarlo con quello regionale e quello ticinese... e già qui mi sono reso conto che qualche cosa non mi tornava molto. Ciò che mi ha deluso, in questo 2009, è che vedo un sacco di sovrapposizioni tra due realtà che dovrebbero cercare in qualche modo di comunicare meglio o di darsi un aiuto reciproco: parlo della Lombardia e del Canton Ticino.

Calendario alla mano, vedo che in Lombardia tra il 31 gennaio ed il 15 marzo ci sono ben 8 appuntamenti: 4 giornate di allenamento, 3 promozionali e 1 Trofeo Lombardia al Parco dei colli. E questo è bene, perchè quest’anno il calendario nazionale ci da un campionato italiano al 28 febbraio, quando se ho letto bene il sito Fiso saranno state disputate solo due gare almeno di livello regionale tra tutta Italia. 8 appuntamenti, dunque, che diventano 10 se proprio ci voglio mettere due tappe della “Milano nei parchi 2009” (ho fatto i percorsi della tappa 1 ieri mattina 1° gennaio!).

La promozionale ai boschi di Caccivio è lo stesso giorno del Trofeo Nazionale Centri Storici a Firenze ma ci può stare... il Parco dei Colli è lo stesso giorno di un TMO e ci può stare... poi si comincia però ad andare fuori regione: Trofeo Interregionale a Rosta, e ci può stare... poi il Trofeo Centri Storici a Sesto San Giovanni in contemporanea con un altro TMO ticinese, e ci può stare perchè la gara è nell’ambito delle manifestazioni cittadine e di tanto non si può sforare sulle date del mese.

Poi si torna fuori regione, al ligure Faiallo...in contemporanea con un TMO ticinese.
Poi i Campionati italiani di MBO che si disputano in Lombardia, che però sono in contemporanea con gli Highlands Open. E poi la gara della caldazza, ovvero Monza 14 giugno sperando che ci sia almeno un po’ di nuvolo. Il fatto è che a questo punto siamo al 14 giugno e per la gara successiva in Lombardia devo andare al 19 settembre a Lanzo! Insomma, se qualche società ha la fortuna di beccare nelle prime promozionali qualche esordiente che vuol fare un po’ di gare per provare, l’unico modo per proporre un minimo di continuità alle iniziative è quella di far sciroppare al suddetto 250 km di sola andata per le gare extraregionali: tra metà marzo e metà settembre ci sono 2 gare in regione... (dal cuore mi viene da pensare: dove sono finite le gare “à la Pippo Tealdo”, senza pretese ma con tanta simpatia e passione che provvedevano a rimpolpare questi calendari, magari persino al mercoledì o al venerdì sera???)

Riprendendo con il discorso “contemporaneità”, mi fa un po’ male vedere che la due giorni organizzata dal CRL a Lanzo d’Intelvi a metà settembre sia (almeno la gara della domenica) lo stesso giorno di un altro TMO! Lanzo è una località senz’altro più raggiungibile dai ticinesi tutti che da tanti lombardi... forse era una occasione per disputare una gara regionale che potesse avere almeno 400 iscritti tra locali e ticinesi.

E poi spero proprio che sia uno scherzo il fatto che il 5 e 6 settembre il Trofeo delle Regioni MBO a Bizzarone si disputi lo stesso giorno, anzi gli stessi due giorni, dei Campionati Svizzeri MTBO che si disputano a Stabio: prego prendere il sito di ViaMichelin e calcolare la distanza tra Bizzarone e Stabio. Io l’ho fatto e dice 8 km compresi i tornanti! Spero veramente che si tratti dello stesso appuntamento e che le gare siano in comune, indicate a Bizzarone come collocazione sul lato italiano e a Stabio come collocazione sul lato svizzero, perchè altrimenti c’è veramente il rischio che se un ciclista “va lungo” finisce per ritrovarsi agganciato ad un’altra gara di MTBO!

I campionati italiani al Monte Moria non fanno che allungare la lista delle gare che sarebbero da considerare regionali ma che in realtà si disputano fuori regione (come del resto i campionati regionali a staffetta che quest’anno si disputano in Liguria, in zona Santo Stefano d’Aveto, ovvero nemmeno in zona spiaggia per consentire un rapido andiriveni con la battigia visto che la gara si disputa il 30 agosto...) cui contribuiamo anche noi con un Trofeo Lombardia a Borgo Ticino, sponda piemontese.

Un’altra bella sovrapposizione, purtroppo per me che le avrei fatte tutte e due, al 17 ottobre: ed è persino un sabato... TMO in Ticino e Coppa Italia di trail-O a Milano.
Poi se il cielo vuole a novembre lombardi e ticinesi si sono “schivati”; complice anche il meeting di Venezia che obbliga a schivare la data del 15 dove si piazza un TMO, mentre la corazzata sempre più corazzata Pol. Besanese piazza nel mese due centri storici ed il campionato regionale sprint, sperando che la gara sprint e la gara di TCSL a Casatenovo siano due gare e non una sola valevole per i due concorsi.

A questo punto dovrei dire qualche commento a compendio. Ma ancora non ne ho maturati di sicuri e definitivi; la prima impressione è che quest’anno, come già nel 2008, il mio nome nelle classifiche regionali potrebbe comparire assai poco spesso. Ho cominciato a segnarmi alcuni appuntamenti extra regionali che mi piacerebbe frequentare, come le due giorni in Trentino, il fine settimana del Trofeo delle Regioni, dell’Alpe Adria e dell’Arge Alp.
So bene che sono gare, queste ultime, legate alla “convocazione” da parte dei vari comitati ma spero che come nel 2008 ci sia lo spazio o per una partecipazione esterna o per una convocazione “da ruota di scorta”. E poi ci sono gli Highlands Open e la Dolomiti Five Days, dove scommetto che mi ritroverò tra i piedi ancora il baffuto bavarese Peter Heim! Lo aspetto e intanto mi alleno per questa sfida...

Buon 2009 a tutti, spero che possiate continuare a coltivare i vostri sogni orientistici e no. Perchè sognare costa poco e perchè i sogni possono sempre avverarsi!