SI scrive MOO, si legge "FANTASTICO”!
“Arriva in Italia il MOO. Il panino cinese tradizionale”. L’ho letto un (bel) po’ di tempo fa su qualche pannello pubblicitario in metropolitana. Ricordo di essere passato davanti al pannello e di aver scorto appena, con la vista laterale, la scritta. E’ passato qualche decimo di secondo e poi le sinapsi sono esplose come nemmeno Il Castello delle Cerimonie quando partono i fuochi d’artificio.
Sono tornato indietro, ho letto. Ho riletto. Tutto, fino alle
lettere in piccolo ed al codice dell’istanza di autorizzazione. Se il pubblicitario
che ha inventato quell’annuncio fosse stato nei pressi, avrebbe telefonato all’ufficio
del personale della ditta, tutto compiaciuto. Molto più probabile che qualche
commento sia scappato agli altri frequentatori della metropolitana perché: 1. Ero
proprio in mezzo ad un passaggio 2. “pensa un po’ ‘sti cretini che restano a
bocca aperta davanti alle pubblicità”.
In realtà non so nemmeno dove si trovino questi panini. So
solo che almeno per me, ed è solo la mia modesta opinione (My Opinion Only,
cioè MOO), ma forse anche per altri frequentatori del blog o delle strade di
Milano o della cerchia di Remo Madella, “MOO” non sarà mai e poi mai solo un
panino. Questione di opinioni, no? (Matter of Opinion, ed è sempre MOO).
MOO significa che il Madella Operation Office ha aperto
ancora una volta i battenti. E che siamo invitati, ancora una volta, ad una
avventura oltre i confini dello spazio, del tempo, delle contraddizioni di una
città che agli occhi dei comuni passanti può sembrare priva di interruzioni, un corpo unico fatto di affari, di moda, di finanza, di apericene, di modernità e
di vicinanza all’Europa. Ma è soprattutto grazie alle cosiddette “contraddizioni”,
parole di cui Remo infarcisce la presentazione del MOO quando sale su un
palchetto improvvisato in perfetto stile Speaker’s Corner ad Hyde Park, che
tanti di noi hanno imparato che il tessuto della città è pieno di cicatrici, di
punti nei quali la giunzione tra il quartiere delle archistar e quello della
fashion week ha lasciato un buco colmato da pezzi di umanità a cavallo tra una
pagina di Borges ed un fotogramma di Gotham City.
Il MOO non è mai una gara fine a se stessa, ma un nuovo
cassetto di ricordi che si apre ogni volta che capita di passare in certi posti
e di non ricordare altro che la mappa, le domande, la fatica, le parole con il
compagno di squadra. Anche nel 2023 il MOO è stato tutto questo e molto di più.
Solo una raccomandazione, Remo: ok le “contraddizioni”, ma
non troppe!
Il MOO 2023 va in scena il 19 febbraio. Ci si trova al Palazzo
Arca di Milano che offre un tetto, un bar, servizi igienici. Lì convengono habitués
del MOO, senatori e senatrici, esordienti totali, orientisti ed orientiste di
livello nazionale ed oltre. Arrivano da Milano e zone limitrofe, da altre parti
della Lombardia, dal Veneto, dal Trentino, dall’Emilia Romagna, dal Piemonte,
dal Lazio!!! Siamo tutti richiamati al MOO dal pifferaio di Hamelin, e mentre
si ascolta Remo che comincia a raccontare le particolarità della scelta di
questa o quella zona per la gara capita di trovarsi a fianco a chi poi ad
ottobre ai Piani di Praglia prenderà la medaglia di bronzo nella staffetta
nazionale.
La squadra di cui faccio parte è sempre la stessa: il giovane,
snello ed atletico Marco Giovannini ed il vecchio ciccione demente Stegal.
Pronti a dimostrare che “Quelli del ‘67” sono in grado di performare al MOO
meglio di come faranno durante l’anno nelle classiche gare di orienteering.
Pronti a sfoderare acume tattico, sagacia, neuroni, conigli dal cappello e
cappelli dai conigli quando ci si troverà a risolvere quesiti che anche quest’anno
“Remo te possino!!!”. Marco è pronto, Marco è scattante, Marco è in grado di
partire con gambe e cervello da zero a cento in meno del tempo che una notizia
di cronaca resta in homepage. Stegal… meno. Stegal nello stesso tempo che
impiega Marco per partire, acchiappare le mappe, orientarsi e fiondarsi verso
il primo punto di controllo ha già “il fiatone e le pulsazioni a 180! Attorno a
me vedo orientisti famosi che mi superano, vedo concorrenti (alcune famose,
altri famosissimi, mancano solo quelli con la tuta della nazionale) in tenuta
da corsa che mi superano, vedo altre persone in tenuta da domenica a spasso per
vetrine... che mi superano! Vedo bambini e infanti e anche una famiglia con il
passeggino… e mi superano tutti!!!”.
La prima mappa da domare è quella della zona di partenza. Una
mappa che praticamente io manco vedo essendo impegnato a stare dietro a Marco
che fila come un ossesso da un punto all’altro. Sono l’unico a sperare che i
quesiti siano così complicati da costringere il mio compagno di squadra a
fermarsi un po’ per trovare la soluzione, prima di ripartire?
Quando completiamo il primo giro (in centordicesima posizione, a giudicare da tutti coloro che attorno a me corrono in direzione di qualunque quartiere di Milano) sfoderiamo la mappa generale e decidiamo come affrontare il giro completo. Giro completo che per noi, da qualche anno, vuol dire sempre “facciamo tutte le mappe, che ci piacciono, e chissenefrega dei singoli punti sparsi qua e là a casaccio e sempre troppo lontano dalle percorrenze che faremo noi”. Non andrà così, nel 2023.
Io non so che tipo di supercomputer quantistico abbiano gli altri in testa, ma a noi il giro è venuto fuori così:
Prima tappa: quartiere Stadera. Fin qui è facile: basta
riprendere la metropolitana verde a Romolo e sperare di beccare il treno per
Abbiategrasso prima che ne passino due per Assago.
Come può vedere chiunque e suo cugggino, la mappa non è proprio quella che abbiamo in mano alla partenza di una gara di orienteering classica. Aiuta molto, nel mio caso specifico, capire che il terzo di cerchio in basso a destra è Piazza Agrippa, sapere già che il retinato magenta in basso è l’area di cantiere che sta proprio davanti a casa di Remo e che quindi l’uscita della fermata di Abbiategrasso è fuori mappa. Dopodiché bisogna capire quale foto corrisponde a quale cerchietto in mappa, SAPENDO che le foto non sono state scattate di recente! E quindi via di analisi dell’intonaco dei palazzi!!!
Infine, bisogna confrontarsi con il più diabolico, ipnotico,
strampalato e immaginifico quesito dell’anno: bisogna trovare una vaga traccia
di vernice viola che parte più o meno nei pressi di un qualsiasi civico numero
61 di una qualunque delle vie presenti in mappa, seguire per 350 metri la
traccia lasciata probabilmente da un secchio di vernice bucato tenuto da un imbianchino
sbadato e farsi un selfie dove finisce la traccia.
La ricerca della traccia, mentre corriamo insieme ai ragazzi
dell’Orma per le vie del quartiere, è vana. Tuttavia, Marco ha una idea:
possiamo cercare, su Google Maps, dove si trovano i civici 61 di tutte le vie
della mappa? Magari cominciando dalle vie vicno a dove abita Remo? Detto,
fatto. Via Isimbardi 61. Lì comincia la traccia, evanescente, da non confondere
lungo la strada con scritte sul marciapiede, lavori in corso, deiezioni canine
pestate e trascinate… plaudo al colpo di genio di Marco e, dove finisce la
traccia? Davanti al portone del mio amministratore di condominio!!!
A questo punto si torna di corsa alla metro di Abbiategrasso
(mai che passi un 15 quando ne hai bisogno!) per dirigersi verso una delle zone
meno conosciute di Milano dallo Stegal me medesimo: Lancetti. Posto che non
credo di aver mai visto prima (o dopo), e neppure ci tengo così tanto io che
vengo dal bellissimo quartiere tutto rose, fiori e paillettes di Gratosoglio. La
mappa di Farini è quella delle “contraddizioni” del 2023: pare sembra si
mormora che si possa accedere ad alcuni punti del percorso solo percorrendo
(senza dare nell’occhio, per carità!) la zona della stazione sotterranea del
passante, accedere ad un’area dove ci sono delle porte tagliafuoco che non
dovrebbero essere oltrepassate se non da personale debitamente autorizzato (noi
del MOO non siamo autorizzati) e che siamo invitati a lasciare
aperta per le squadre che arriveranno dopo di noi. Il tutto per accedere ad una
specie “terra di nessuno”, una zona che al confronto la Schutzstreifen situata
appena ad est del muro di Berlino (la “"striscia di sicurezza" per
chi del muro di Berlino conosce solo il file “Il ponte delle spie” con Tom
Hanks) appare come un giardino fiorito e dalla quale potremo uscire solo
utilizzando una scala rudimentale posata lì da chissà quando e chissà chi e
chissàselatroveremo. Richiamo l’attenzione sulla scritta in mappa secondo cui l’uscita
su Via Valtellina è “ultima spiaggia ma il portiere si potrebbe inca**are”.
Quello che succede, nell’ordine in cui lo affrontiamo noi, è invece: 1. I primi che si inca**ano sono quelli delle forze dell’ordine schierati in stazione, che già hanno a che fare comunemente con balord* e affini e che gli sale subito la pressione quando vedono gente che corre in giro senza meta e senza cervello (chi sono? Cosa fanno? E soprattutto: da chi o cosa stanno scappando?). Marco, più veloce di me e dotato di faccia più bronzea, è sempre pronto a gestire l’eventuale fermo di polizia con un “non sto facendo niente di male, che volete da me?” (si, ok, ci sarebbe quella questioncella delle porte di sicurezza e dell’ingresso nella terra di nessuno, ma vallo a scovare l’articolo del codice). Io, che sono un tranquillo cittadino al di sopra di ogni sospetto e timorato delle leggi, cerco di fare finta di niente rallentando il passo e fischiettando, riuscendo così nell’intento di alzare ulteriormente il livello di allarme!
Ma mentre cerchiamo di aprire (“forzare” è la parola magica)
le porte tagliafuoco, sul gruppo whattsapp arriva un messaggio che dice… non me
lo ricordo più! Forse la scala per uscire è sparita, o una delle porte è stata
sprangata, o hanno arrestato tutti quelli che sono passati prima di noi! In
pratica, i punti non s’hanno da fare. E io tiro un sospiro di sollievo, perché
il vedermi sulla scala a saltare già dal muro già mi faceva venire male a tutto:
“Ed ora una notizia appena giunta in redazione: uno sconsiderato non più giovane
e non più agile si sfracella cadendo da un muro in zona Farini, a Milano. Le
forze dell’ordine indagano sui motivi del folle gesto. Tutti i particolari in
cronaca”.
Si torna in stazione a Lancetti, dopo aver fatto i punti
fuori stazione, sotto lo sguardo perplesso della varia umanità che frequenta le
zone ferroviarie di Milano, ed è il momento di prendere un’altra volta una
suburbana per arrivare in Piazzale Dateo. La mappa “Argonne-Dateo” sarebbe da
percorrere due volte: una in superficie per rispondere ad alcuni quesiti (tra i
quali uno diabolico e spaccacervello) ed una in sotterranea per l’ormai
quasi-classico (e da me poco digeribile, per questioni di diottrie) quesito da
risolvere in metropolitana. Decidiamo di rinunciare alla parte sotterranea per
concentrarci sui quesiti in superficie, perché poi dopo ci sarà da mettere le
gambe in spalla (ed io tremo).
Quando arriviamo davanti alla Basilica di non so quali santi, in fondo a Viale Argonne, è il momento di dirigersi verso la stazione di Lambrate. A piedi. Perché non ci sono autobus che fanno lo stesso percorso (o, se ci sono, hanno tempi di attesa paragonabili a quelli di Daredevil: Born Again) e perché c’è la possibilità di guadagnare qualche punto passando da Largo Murani per uno dei punti isolati. Ma non avevamo detto all’inizio che…? Lasciamo perdere. Da Viale Argonne alla Stazione di Lambrate sono 2,7 km. Con lo zainetto. Cercando di seguire il passo da arrembaggio di Marco. Mentre le pulsazioni vanno oltre due elevato alla ottava. E si mettono a posto le cartine. E occorre capire se abbiamo risposto a tutte le domande sulla maledetta app che Remo mette a disposizione dei partecipanti. E se abbiamo mandato tutti i selfie. E… SI SVAMPA LO SMARTPHONE.
Saranno stati i colpi subìti, le vibrazioni, sarà che l’ho
stretto troppo. Lo smartphone si svampa. La reazione di Marco all’accadimento è
composta e diplomatica
(Marco è quello in verde)
Come tutto l’orbe terracqueo sa, io padroneggio la tecnologia
dei cellulari come Paolino Paperino sa di prodotti derivati complessi. Davanti
a me ci sono due alternative: la prima è alzare bandiera bianca, e mi vedo già
sulla prima metro che torna verso Romolo a prendere la macchina per tornare a
casa anzitempo. Solo che è una alternativa non percorribile perché: 1-sub-a)
Marco mi toglie definitivamente il saluto oppure 1-sub-b) Marco mi uccide.
Passo quindi all’alternativa 2: comincio a spegnere e riaccendere, più volte,
poi stacco la batteria, poi resetto, riassetto, resetto di nuovo, faccio off on
spegn riaccend prego tutti i santi del Paradiso come faccio solo nei momenti
difficili delle gare in bosco “Signore, aiutami a trovare questa che alle altre
ci penso io e prometto che diventerò più buono”.
Il cellulare, grazie alle mie sapienti arti tecnologiche,
riparte. Non chiedetemi di rifarlo, grazie.
Della prima mappa di Lambrate… non c’è supporto cartaceo. La
mappa è infatti un video di youtube nel quale Remo percorre a piedi (e con un
passo, sia ringraziato il Cielo, tranquillo!) un pezzo di quartiere adiacente a
via Rombon. Ogni tanto, soprattutto all’inizio, ci sono dei salti quantici nei
quali Remo nel video passa da un livello all’altro della stazione di Lambrate,
ma in un modo o nell’altro (non posso specificare “l’altro” perché la
Cassazione potrebbe ancora intervenire sulla classifica) possiamo cominciare il
giro, e la velocità che teniamo coincide (DEVE coincidere) con quella del video
e posso tirare il fiato. Alla fine del video si passa alla mappa sopra (e
sotto) lo svincolo della tangenziale di Lambrate.
Ri-porto l’attenzione di chi legge sulla scritta in basso “Recinto (eventualmente) da scavalcare”. E questa volta il recinto c’è. E non c’è nessuna scala per aiutarmi!!! Marco scavalca il recinto con l’agilità di un gatto o di Armand Duplantis. Io no! Io per salire devo farmi aiutare da Marco (che tiene il recinto per evitare che balli sotto il mio peso e mi dice dove mettere i piedi) e quando sono dall’altra parte e devo scendere farei meglio a lasciarmi cadere di mia iniziativa anziché rischiare di precipitare di testa: “Ma ora una nuova notizia: ennesimo episodio di inciviltà a Gotham City, altrimenti detta Milano: un anziano sconsiderato precipita da un cancello nello Slum sotto i piloni della tangenziale Est di Milano. Le forze dell’ordine indagano sui motivi dell’accaduto. Non si esclude alcuna pista. Tutti i particolari in cronaca”.
Sarà la strizza, sarà quel particolare momento in cui mi è passata
tutta la vita davanti, ma dall’uscita della mappa al ritorno alla stazione di
Lambrate saranno trascorsi solo pochi istanti. Da Lambrate si riprende la metro
verde per andare in Stazione Centrale, per una nuova divertentissima mappa
multi-livello che metterà (e ci metterà) in difficoltà squadre ben più
blasonate di noi
A questo punto manca solo la strada per tornare a Romolo, e ci arriveremmo comodamente con la metro verde. Ma c’è ancora tempo per raggranellare qualche punto. Metro gialla, sbarchiamo in Monte Napoleone e ci produciamo ancora una volta nella traversata trafelata (noi), puzzolente (sempre noi) e altoborghese (Loro) della via dello “shopping a carissimo prezzo” milanese. In San Babila qualche momento di incertezza per identificare dove cavolo siano le zucche di Louis Vuitton, un selfie e via sempre di corsa a prendere il tram numero 15 dove troviamo la squadra della famiglia Fellin, giunta direttamente dall’Altopiano di Piné. Qualche battuta, qualche commento, una finta a Porta Lodovica e poi giù tutti di corsa per correre con il fiato rimasto (a me, poco) via Sarfatti ed il Parco Ravizza, per un ultimissimo selfie.
Poi è davvero ora di riprendere la strada dell’arrivo. Alla
fermata del filobus numero 91 di Viale Toscana ci sono alcune tra le squadre
più forti, e molti sono meravigliati che io (non Marco, ma io!!!) sia ancora in
gara con tutte le mappe messe in saccoccia. Chiaro che non potrò competere per
lo sprint finale una volta arrivati a Romolo, ed il Palazzo Arca non mi è mai
sembrato così lontano da Piazza Ascari (dove scendiamo dalla 91) come questa
volta.
Ma anche questa volta ce l’abbiamo fatta. E mentre su Milano
calano le prime ombre della sera e qualche energia ritorna in circolo ed è il
momento di salutare tutti, il pensiero va alle stesse due cose che tornano ogni
volta che finisco un MOO: cosa potrò scrivere questa volta, per descrivere un
nuovo capolavoro di Remo? E, soprattutto: a quando il prossimo MOO?