Stegal67 Blog

Friday, June 21, 2024

O-MMAMMAMMAMMAMARATHON 2024

Il web non dimentica nulla. Nemmeno i commenti. Oggi, mentre andavo a vedere se sul blog di Dario Pedrotti era già stato pubblicato qualcosa sulla gara di Millegrobbe 2024, il suo link a “Tre post a caso” mi ha portato alla O-Marathon 2018. Dove, tra i commenti, si legge questo:

Sono passati 6 anni da quando scrissi quel commento, e non mi sembra cambiato nulla, salvo il fatto che sono diventato più vecchio, più bolso, più grasso, più permaloso. A Millegrobbe è stata corsa di nuovo la O-Marathon degli Altipiani 2024. E, come alla prima edizione o sei anni fa o dieci anni fa o l’anno scorso, mi sono ritrovato al via nella categoria Elite. Io che di Elite ho solo l’appetito a tavola. E, come ogni volta, sono arrivato al traguardo ampiamente (abbastanza ampiamente) entro il tempo massimo dopo aver passato una giornata di “teambuilding” con Marco tra i boschi di Millegrobbe a cercare lanterne, fare scelte di percorso, chiacchierare di tutto e di tutti (soprattutto di tutte quelle e tutti quelli che vedevamo passare).

Chi ci ha visto in gara avrà potuto ascoltare, se avesse prestato attenzione a me e non al percorso, il commento “in stile Stegal” come se ci fossimo trovati tutti in una enorme arena di gara, con i droni che volteggiavano sulle nostre teste a seguire ora l’uno ora l’altra. E chi ci ha visto al traguardo, i pochi rimasti diciamo, avrà notato che a dispetto della distanza e del dislivello il sottoscritto non era moribondo.

Quante volte ho sentito dire “mi piacerebbe provare una volta nella vita l’Elite alla O-Marathon”? Tante volte. Io sono la dimostrazione che SI PUO’ FARE (cit.). Basta volerlo, basta essere pronti a soffrire un po’ più della solita distanza, basta non volersi ostinare a cercare il proprio nome in cima alla classifica, perché quella cima è fatta per i vari Dallavalle (chapeau!), Amadesi, Franco e compagnia.

Marco, eravamo forse nella quarta ora di gara, ha detto qualcosa sul modo in cui noi interpretiamo l’”avventura lunga un giorno” pensata da Luigi Girardi, realizzata da Roberto Sartori e dal Gronlait e tenuta in vita dal team di Fabrizio Boneccher (che se a posare mette Tait, Acler e Dal Follo… ok allora puoi coprire anche mezzo Trentino!). La frase di Marco è stata “ci sono due momenti all’anno nei quali il team Quelli del ’67 scende in campo con l’idea di godersi una avventura: il MOO e la O-Marathon!!!”.

Poi, chiaramente, ci sono i momenti di difficoltà come in ogni O-Marathon. C’è l’uscita dalla 10 o dalla 13 che mette un po’ paura anche se sono poche curve di livello. C’è la salita alla 7 lungo la linea di massima pendenza che “speriamo di arrivarci al primo colpo”. La tratta 24-25 che questa volta è andata via liscia come l’olio anche se Marco ha voluto affrontarla sulla linea di massima pendenza salvo poi “eh… potevamo anche farla di traverso”. Giusto in tempo per la vera grande difficoltà: la salita alla 30, che sono sempre poche curve ma lì la forza di volontà ed i cinque secondi di Zanardi hanno dovuto venirmi in aiuto. Ed il loop 31-34, in uno dei boschi più belli dell’universo.

Marco è stato davanti per il … diciamo il 99% del tempo, io gli sono rimasto accanto il 50% del tempo (stima per eccesso). Però il mondo deve sapere che 11 14 18 26 36 40 ce l’ho portato io! (si, è sempre la stessa lanterna). Anche alla 15 dai… e poi alla 20, che quando abbiamo visto la tratta ci siamo un po’ messi a ridere.

Ecco. Risate, chiacchiere, ricordi (non solo orientistici) e commenti su tutto e tutti. E tanta pazienza da parte del team Gronlait, che ci ha aspettato (ma eravamo nel tempo massimo!) e ci ha mandato incontro Samuele Tait per vedere se eravamo ancora vivi, e Samuele ha cercato di gabbarci con la scusa che era in giro a cercare un bambino che si era perso (salvo poi seguirci ed entrare nel circolo dei commenti per tutta l’ultima parte di gara) “scusate eh… ma mentre voi (Marco e Samuele n.d.r.) parlate, io mi porto avanti col lavoro!”.

Ma che bella O-Marathon è stata!!!!

 

Saturday, June 08, 2024

La mia World Cup

Non sarei stato in grado di fare un solo sforzo in più, non avrei voluto fare un solo sforzo in meno. Non  un solo chilometro in più o in meno. Non una lanterna in più o in meno. Non una parola detta in più o in meno.

Flashback: un inverno di un po' di tempo fa, poco dopo Capodanno. Sette di sera, sto guidando sul raccordo tra la fine della tangenziale ovest e l’inizio della tangenziale est di Milano. Suona in telefono. Numero sconosciuto. Rispondo: è Andrea Immovilli. “Stefano, abbiamo avuto il mondiale 2026”. Me lo dice così, a freddo, dal nulla. Io quasi sbando. Cosa Come Chi Dove Quando???

Poi furono sere e furono mattine, e come dice Bennato quando parla del tempo che passa “Va piano ma non lo si può fermare” (Rockcoccodrillo - dal bellissimo album "Sono solo canzonette"). Fast forward. Nell’ultima settimana di maggio, è chiaro che Andrea mi aspetta come speaker alla Tre giorni degli Appennini di contorno alla World Cup. E’ altrettanto chiaro che Gianluca mi aspetta come co-speaker alla World Cup di Voltri e di Nervi. Ed è evidente a tutti che ci sono delle sovrapposizioni. Ma come il mio mitico compagno di squadra Sandro Serra aveva dimostrato alla Milano dei Parchi del Monte Stella:

IO SONO UNO E TRINO !!!

Ultima sera e primo mattino: venerdì 31 maggio. Parto, direzione Praglia. L’autostrada è quella a me indigeribile che porta a Genova. La coda allucinante preventivata ed annunciata comincia per fortuna (solo mia, non degli altri in coda) 500 metri dopo l’uscita di Masone, che è quella che devo prendere per arrivare a Praglia. con lo stomaco in subbuglio ma senza attese epocali sull’asfalto. L’ospitalità ligure al ristorante del passo è quella messa in scena da Andrea Ceccon ed Enrique Balbontin negli sketch di Torta di Riso...

La prima gara che mi vede al via è quella di TrailO, arrivata quasi a tradimento sul groppone di Andrea. Partenza prevista ore 10.30, si parte alle 11.40 circa, senza aver visto l'ombra di una segreteria gara. Chiedo di essere mandato fuori per primo, visto che poi mi aspetta il percorso Elite della Tre Giorni. Ok da parte di tutti, anzi… “Stegal… vai tu per primo… se lungo il percorso vedi qualcosa che non ti quadra, torna indietro a dircelo!”. Vorrei rispondere con la voce di Carlo Verdone "In che sssenso???". In una gara di TrailO? Cos’è che dovrei fare io?

Cercherò comunque di tornare indietro, dopo aver visto che (a mio parere) il quinto punto non è proprio posato e che (per quel che posso aver visto) il sesto punto è caduto a terra dietro un cocuzzolo e quindi lo vedrò solo io dal mio 1.95 di altezza. Torno indietro, ma il resto dei concorrenti è già in gara ed è inutile fare casino. Finisco il percorso il più velocemente, in modalità sprint.

Mi cambio altrettanto velocemente e mi incammino dall’altra parte del passo. Praglia è una carta che o la ami o la odi. E di solito lei ed io ci stiamo amabilmente sui cogl…ni. Però questa volta Valter Pallaver in partenza mi gasa, le ragazze del team OriCuneo sono sul pezzissimo, il percorso di Michele Caraglio non è né così terribile né così incasinato. Certo, si sale e si scende sempre, in mezzo a quei semiaperti infidi, e si deve fare attenzione al fondo del terreno che è davvero ruvido e ti piazza la pietra nascosta dall’erba dove meno te l’aspetti. Ma si può fare! In lontananza tuona. Poi il cielo diventa scuro. Sui pendii il vento soffia come ad una regata nautica ed i lampi ed i tuoni si avvicinano.

Per venire fuori dal punto 9 dico parolacce forti, mi arrampico con le mani sulla linea di massima pendenza. Ao’ Michi! Ma chi te l’ha fatto fare di piazzare una lanterna proprio lì? Perché mi vuoi così male? Esco dal punto 9, sbarco sul pianoro, il cielo è nero seppia e mi investe la grandine! Piccola, fitta, una doccia gelata. La mappa, che già mi stava mostrando le prime sbavature sulle pieghe create dal modo in cui la tengo in mano, diventa presto una specie di bolo masticato dal cane. Dopo un altro paio di punti non posso procedere oltre, non vedo più interi pezzi di mappa. Prendo la direzione nord e so che prima o poi sbarcherò sulla strada. Mi scontro con le aree private e non so bene in che direzione aggirarle, e mi prende un po’ di panico, ma le gambe vanno ancora, l’ultima rampa mi porta sulla strada e sono in grado di tornare al parcheggio.

La mia mappa, ricostruita pezzetto per pezzetto

Dove, e mi prendo ogni responsabilità, mostro lo stato della carta (non il tracciato, comunque illeggibile). Temo per tutti quelli che partiranno dopo di me: che piova o non piova, la mappa si spappolerà nelle loro mani. Per fortuna Andrea (Immovilli), Andrea (Roberto) e Valter (Pallaver) hanno la soluzione: imbustare nella plastica in fretta e furia! Così la gara è regolare, e lo speakeraggio è appena decente. Quella stessa sera, all’arrivo nel posto dove dormo, prima ancora di aver mostrato la carta di identità il gestore dell’Albergo Turchino mi dice “sbaglio o la sua voce è quella che ho sentito ieri su RaiSport?”. Era la trasmissione delle gare in Val di Sella.

Sono diventato all’istante alto quattro metri e mezzo!

E fu sera e fu mattino.

Secondo giorno. Sveglia alle 5.15. L'ho deciso la sera prima. Se sono lo “speaker del popolo”, lo speaker deve provare almeno qualche tratta del percorso del Passo del Faiallo. Anche se odio questo posto, profondamente, inesorabilmente, ed è un odio ricambiato. L’ultimo volta che sono stato qui, l’Elite l’aveva vinta Marco “zaino protonico” Bezzi. Salgo sulla terribile strada del passo con il buio, il nebbione, nell’infuriare degli elementi. Alle sei meno cinque prendo il via (partenza a 3 minuti dall'arrivo, siano benedetti!) e cerco di venire a capo dei primi punti. Adriano Galliani avrebbe già chiesto la sospensione della partita: non si vede a 20 metri!!! Faccio arrivo in qualche modo fino alla 6, poi salto il loop nella parte più infida ed arrivo alla 14, e lì decido di mollare. Come tentativo che sapevo essere vano fin dall’inizio, ho fatto già abbastanza.

Alle sei e quarantacinque sono di nuovo in auto, scendo in hotel, rapido cambio di vestiti, colazione e discesa verso Genova Nervi. Lo squadrone Masi + tanti altri volontari capitanato da Alessio Tenani, luogotenenti Samuele e Lucia Curzio, è inquadrato e serio come poche altre volte ho visto le squadre dello staff. Ognuno sa cosa fare, non si scherza e non si gioca. Alessio mi passa la carta della World Cup Sprint indicandomi i punti in cui non dovrò farmi vedere da chi, potenzialmente, non è ancora andato in quarantena e potrebbe scorgermi nei varchi tra una casa e l’altra mentre corro lungo i caruggi.

Su dritto fino in cima, fino alla partenza gestita dal team IK Prato (io ci sono andato a piedi, cari i miei campioni e campionesse!!! Mica in pullmann). Primi punti nel bosco, una lanterna 3 che mi sembra invisibile sulla carta: capisco che c’è perché vedo il cerchio della 2 e della 4 e tiro una interpolazione fino alla posizione della 3. Poi comincio ad incrociare lo staff che sale a posizionare lanterne, cavalletti e postazioni di controllo. Questo vuol dire che da quel punto in poi incrocerò tante amiche ed amici che faranno il tifo per me e si “godranno” lo spettacolo del dell’OriBarbaPapà in gita a Voltri.

Il percorso prosegue con lo straordinario passaggio dietro la cascata, i gradini per uscire da Villa Duchessa: vado su? Vado giù? Vado a destra?... gli stessi dubbi che attanaglieranno Daniel Hubmann, ripreso in diretta a vagare all’uscita dai giardini come un esordiente alle prese con il labirinto di Rotondella.

Arrivo al traguardo e cerco di non dare troppo nell’occhio. Mi cambio e vado a fare compagnia a Per Forsberg alla postazione speaker. Che dire della gara della World Cup? Arriva tra i primi in griglia Runefors, sesto alla Coppa del Mondo della settimana prima. Forsberg si gasa ma si capisce subito dai tempi degli altri che non sarà festa per lui come ad Olten. Solo che… chi l’avrebbe detto che uno dei due speaker avrebbe potuto spaccare i timpani a mezza Genova per Mattia De Bertolis? E quando dico “mezza Genova” so quello che dico: la citazione della “discesa lungo l’intestino crasso” di Tove Alexandersson verrà sentita da metà della crew di controllori! (che si chiederanno "ma cosa sta dicendo quel matto?!?")

E poi arriva Mariani, il suo tempo sarebbe ancora una volta ex aequo con Tino Polsini, sarebbe quinto posto in Coppa del Mondo. Ma il nome scompare dalla prima schermata tenuta sotto controllo dagli speaker. Se ne accorge Forsberg ma devo andare io a frugare in fondo alla lista, sperando che sia solo un baco del programma. Punzonatura Mancante, una questione di centimetri. Passano sul maxischermo le immagini del passaggio di Mariani dal punto, con la mano distante… 10 centimetri?... dalla stazione che registra i passaggi. Non era una bolla di 60-70 centimetri quella che circonda il punto? Niente da fare. Reclami, proteste. "Se fosse successo ad  uno svedese…" poi la voce che comincia a circolare: “è stato troppo veloce a punzonare”. Signore e signori, se è così ABBIAMO UN PROBLEMA SERIO.

Sono così carico che non mi ricordo nemmeno chi vince. Fosser, mi pare, poi forse Regborn, poi Krivda. Mi tornano i ricordi. Ed è il momento di tornare al Faiallo, perché le ragazze ed i ragazzi della Coppa Italia mi aspettano. Mi metto sulle code della macchina di “una brutta persona” (no, è una persona meravigliosa!) e ci accingiamo a salire per la mulattiera etrusca non asfaltata che porta al Faiallo. Solo che c’è un blocco più avanti, alcune auto scendono in retromarcia. Davide De Nardis mi guarda attraverso il finestrino abbassato e dice “vieni dietro a me”. Ed io “sarò la tua coda”. Davide parte come la nazionale italiana al mondiale di Zolder: semafori, svolta a sinistra, inizia la salita, la strada è stretta ma Davide si fa largo attraverso le maglie di tutte le auto che scendono. Sembriamo Giovanni Lombardi e Mario Cipollini, e dietro le curve Davide si fa largo fino al parcheggio del Faiallo, dove lascio la macchina in una posizione “esplodibile” da parte della polizia stradale. Carico a pallettoni come sono, il commento che ne esce risulterà decisamente sopra le righe.

E fu un’altra sera, e fu l’ultimo mattino.

Campo Ligure, domenica mattina. Il primo problema è capire dove parcheggiare la macchina. Il secondo problema è capire che i vicoli del centro storico sono cartografati per essere letti sulla mappa ma sono talvolta così stretti che bisogna entrarci di traverso e il cielo ci aiuti se qualcuno risale il vicolo dall’altra parte. Il terzo problema è capire qualcosa delle lanterne nel castello di Campo Ligure: lasciamo stare il bernese che cerca di mangiare la mia mappa, ma che ne è della buona vecchia abitudine di fare un ingrandimento delle parti più incasinate e che davvero risultano agli occhi dei più come un frattale di Mandelbrot? (grazie per aver confermato la mia impressione, Yannick Michiels). Il quarto problema è il profumo di focaccia ligure che esce da varie botteghe del centro, e non è facile tenere la concentrazione sulla mappa!

Per i partecipanti alla Tre giorni, il quinto problema sarà la “arena di arrivo” cche obbliga a fare una gimkana tra i birilli per arrivare alla linea del traguardo come non la vedevo dalle ore di ginnastica alle elementari. Prima fa caldo, poi arrivano tuoni e lampi, che passano senza lasciare centimetri d’acqua sul terreno mentre arrivano le notizie che a Bolzaneto diluvia.

Le notizie che arrivano dopo sono ben più assurde: le mappe della gara Sprint Relay degli Europei sono state pubblicate sul sito della IOF e sono state scaricate da più di qualcuno. La notizia dovrebbe essere nota ai meno, ma alla postazione speaker arriva chiunque a chiedere se la gara degli Europei si farà, se è il caso di scendere a Genova Nervi, dove sono le premiazioni, quando ci saranno, chi sarà premiato? le gare singole o la somma dei tempi o la somma dei punti?

Lascio Campo Ligure quando mi rendo conto che non sono più in grado di dare una mano all’organizzazione della Tre giorni, e scendo a cannone verso i Parchi di Nervi. La polizia all’ingresso della zona di Nervi non lascia più passare nemmeno “hai un pass dell’organizzazione? Sei lo speaker? Circolare… da qui non facciamo più entrare nessuno”. Ma riesco ad arrivare in tempo per commentare (insomma… per entrare in velocità con una frase di senso compiuto di 10 parole nelle pause di Forsberg, ma non aspettatevi che lo rifaccio ai JWOC perché è una cosa che porta allo stremo) una delle gare di sprint relay più belle degli ultimi anni.

Natalia che vola in prima frazione, il gruppo che non riesce a recuperare Riccardo “un uomo solo contro tutto il mondo” Rancan (e scusate se io sono solo lo speaker italiano e posso parlare poco), Joey Hadorn che fa tanto casino e ributta l’oro della Svizzera nel pentolone della fonduta perché poi la Svezia in quarta frazione ha Tove. 

Poi succede che prima Venla Harju si perde tra i cespugli nei parchi, in diretta mondovisione, peggio che se fosse alla Milano nei Parchi. E quando tutto è apparecchiato in tavola per Tove Alexandersson, Tove si accorge che adesso odia l’Italia, odia la Liguria, odia il tracciatore Alessio Tenani, odia lo speaker locale, si perde in un altro “intestino” più domabile rispetto a quello di Voltri ma che le risulta ugualmente indigesto e la Svezia dopo centordici sprint relay internazionali non sale nemmeno sul podio.

E chi vince? Vince la Svizzera, Simona Aebersold non fa bruciare la fonduta e arriva al traguardo tutta bella pulita e sola ed allo speaker non resta da dire che stavolta i piatti li pulisce Kasper Fosser.

Il ritorno a casa è punteggiato di code, incidenti in autostrada, grandine, temporali sparsi.

E fu sera e fu di nuovo mattino. Lunedì. Suona la sveglia. Si va in ufficio. “Come è andato il fine settimana lungo, Stefano? Ti sei riposato? Questa sarà una settimana pesante e devi andare a Varsavia…”.

Non sarei stato in grado di fare una briciola di più, ma non ho voluto spendere una stilla di energia in meno.