Lo confesso: quando mi esce dalle
corde vocali la frase “Non c’è countdown!”, lo faccio con tutto il fiato che ho
in corpo, come se dovessi svegliare una foresta addormentata. E ormai lo sanno
tutti. Persino i sassi ed i massi attorno a me, qualunque sia la differenza tra
le due cose in ISSOM o ISPROM (sigle e cose che non ho mai capito e che non
voglio capire, perché, come diceva Feynman, bisogna pure conservarsi delle oasi
di ignoranza). Lo sanno pure i piccioni della piazzetta di Rotonda. Quel grido,
per chi sa ascoltarlo, è il segnale che qualcosa di importante sta per
succedere. È il momento in cui le emozioni si condensano e diventano storia.
In ogni occasione, ho cercato di
fare del mio meglio. Come a fine aprile, a parecchie centinaia di chilometri di
distanza da casa. Tre giorni, tre gare, quasi dieci ore di commento live. Ho
cercato di dare voce a ogni arrivo, ho cercato di raccontare ogni emozione,
ogni risultato, ogni lacrima e ogni sorriso. Ho urlato troppo, sì – lo so, lo
so!!!!! – ma l’ho fatto con il cuore pieno, la voce rotta e la voglia matta di
rendere l’idea grande di un evento che grande avrebbe voluto esserlo davvero
anche senza la mia presenza.
Un microfono serve per rendere
mille emozioni
“Ho una buona notizia e una
meno buona…” – anche questa frase è diventata un piccolo rito. Un momento
che tanti genitori, quando arriva sul traguardo o compaiono là in fondo alla
run-in, attendono con un misto di ansia e speranza. Elena Margiore che corre
per Gabriele Giudici, Alexander Schuster che porta in trionfo Elisabeth,
Kathrin e Kilian, e il sorriso impagabile di mamma Manuela quando scopre che
anche papà Alexander ha portato a casa il titolo. E come dimenticare la
reazione di Pierdomenico, a cui frega di meno sapere di essere argento ai
campionati italiani master, perché vuole solo sapere qualcosa di suo figlio
Mattia, la cui medaglia di bronzo tra i giovani diventa in un battibaleno
l’ariete che sfonda la porta delle sue emozioni irrefrenabili. Helmuth Soelva
che si ferma a metà respiro quando sente che Jonas è podio in Elite. Nicola
Bonato che mentre sta là in cima, sopra il costone che sovrasta l‘arrivo dove arriva nitida la voce dello speaker,
sente il nome di Giada e poi le parole “campionessa italiana” e si dimentica di
correre la sua gara perché in quell’istante non conta più nulla tranne venire
giù nel più breve tempo possibile per il primo abbraccio.
E come dimenticare Damiano
Bettega, secondo al traguardo in Elite, che trasforma l’espressione da uno
sconsolato “vabbè” a “WHAT?!” quando realizza che anche suo fratello è
nei top five. O lo zio Adriano, impietrito alla stessa notizia come se avesse
appena letto il finale di un giallo con un doppio colpo di scena carpiato. O la
faccia di Sebastian quando realizza che in testa alla Elite ci sono lui e
Noemi: fratello e sorella, insieme.
Abbracci, sguardi, promesse
Gli arrivi raccontano molto più
delle classifiche. Abbracci tra chi ha vinto e chi è appena stato battuto.
Lacrime, di delusione o di incredulità. La voce spezzata dell’atleta Elite che
arriva al traguardo e ancora non ci crede di aver finito una gara impossibile.
Le voci dei ragazzi che ieri erano bambini e oggi ti guardano da pari. Le
ragazze che ieri giocavano a fare le “sottilette” e oggi sono spine nel fianco
in ogni categoria.
E poi c’è quella cosa bellissima:
chi taglia il traguardo, e prima ancora di prendere fiato, prende il microfono
e ti dice “come avevi detto tu… è stato bellissimo”. E tu ti dici: ok, almeno
questo me lo avete concesso…
L’amarezza. Dopo 513, 514, 515
gare come speaker. Dopo aver prestato voce a WOC, EOC, JWOC, WMOC e Coppe del
Mondo. Dopo aver fatto apripista più di 500 volte. Dopo la gara long (3 ore e
43), la middle (1 ora e 23), il labirinto di Rotonda, e ore e ore al microfono…
mi sono sentito dire che le mie parole hanno “mortificato la Calabria”, che
l’evento meritava di meglio. Eppure avevo detto solo: “Non è la Calabria che
scopre l’orienteering, ma è l’orienteering che scopre la Calabria”. L’ho detto
come complimento. L’ho detto con l’orgoglio di chi sa che Piani di Masistro,
Piano Pedarreto e Rotonda non sono solo località, ma diventano memoria
collettiva, diventano parte della geografia emotiva di questo sport.

Perché sì, io voterò il middle di
Cristian nel sondaggio di WorldofO. Sì, vedremo le foto di questi arrivi sulle
bacheche per mesi. Sì, gli atleti condivideranno le loro tracce per dire “Io
c’ero. Io ci sono riuscito.” Ma forse – ed è qui l’amara ironia – tutto questo
non basta. Resta quel rimprovero, e allora… anche basta così. Grazie, la prossima volta rimango nei paraggi di casa
Post scriptum:
Promemoria per me stesso:
Imparare a non urlare “Non c’è
countdown!” ogni cinque minuti.
Imparare a non urlare, punto
Imparare a lasciarsi scivolare
via le cose che non vanno
Limitare le gare all’alba
(forse).
Ma soprattutto: trovare le forze
per continuare ad esserci, perché questa voce, finché servirà, continuerà a
raccontare nello stesso identico modo in cui l’ho fatto fino a poche ore fa
NELLO
STESSO
IDENTICO
MODO
Non sperate che io cambi
registro. Non posso farlo. Sarebbe come chiedere ad un falco di volare
all’indietro, come insegnare a Thierry a perdersi nel bosco, come imporre ai
ragazzi ed alle ragazze di spegnere il loro sorriso.
Visto che sei arrivato fino a
qui, tanto vale che io vada avanti con alcune considerazioni personali, che non
contano niente (come me). Come è questo orienteering in salsa calabro\lucana? E
questa Coppa dei Paesi (non più tanto) Latini?
Località suggestive, panorami
mozzafiato, accoglienza calda (a tratti proprio calabrese, dove dopo 5 minuti
di chiacchiere sei uno di famiglia), ma… quanta fatica per farli quei 330
iscritti! Già, perché tra Coppa Italia, Campionato Italiano Middle e l'intramontabile
Latinum Certamen, di cui ormai si favoleggia come del Festivalbar, il parterre
era, come dire… selezionatissimo. In fondo, partecipare alla Coppa dei Paesi
Latini nel 2025 sembra un po’ come presentarsi a una cena di gala con lo
smoking pensando di essere sul red carpet quando gli altri sono già passati da
un pezzo al trancio di pizza sul divano di un loft meno dress code e più smart
casual. Dove sono finiti i tempi in cui i francesi si presentavano al via con
coloro che stavano appena alle spalle di Sua Maestà le Roi Gueorgiou? Gli
spagnoli che “eh ma quando mai gli spagnoli ci faranno un baffo (da
conquistadores) nell’orienteering…?” e oggi basta leggere le classifiche alla
voce “Ana Isabel Toledo” o “Maria Prieto del Campo” ed altri ancora. E poi i
belgi con la loro compostezza e quel fatto di essere latini un po’ tanto del
nord, ma per capire a che livello siamo, basta leggere sempre alla voce Yannick
Michiels degli ultimi anni, ma non solo. E gli svizzeri dell’Engadina che “Eh
si… poi invitiamo gli svizzeri e ti arrivano quelli crucchi dai cantoni
zurighesi a portarsi via il trofeo!” (come se non bastassero ticinesi o
engadinesi per farci a fettine?)
Eh, forse hanno confuso il
Latinum con un nuovo spin-off di Suburra. Oppure, più semplicemente,
ormai c’è un calendario così zeppo ma così zeppo che per trovare un buco per
una gara internazionale ci vuole più fortuna che per entrare alla facoltà di
medicina. E noi? Noi ce la cantiamo e ce la suoniamo. Ma lo facciamo bene, eh?
Spostando l’attenzione sulla
partecipazione, però, qui un piccolo mistero degno di Montalbano. Io non
è che sono molto bravo a fare i calcoli, ho solo la mia laurea in Fisica, ma ho
contato che su circa 330 atleti, appena otto provenivano dalle regioni del Sud.
Chiaro che molti atleti e molte atlete avranno dato una mano ad organizzare… ma
otto? Di cui solo tre in categorie che assegnavano titoli italiani. C’è più
gente in fila davanti a una pasticceria la domenica mattina.
Eppure, spesso si sente dire: "Eh,
al Sud non ci sono mai gare!" Bene, eccole. Fatto. Venite! Venite a
vedere se Sebastian Inderst e Anna Pradel di cui si favoleggia negli articoli di P.I. hanno una testa due gambe e due
braccia come tutti gli altri o se “Eh… cosa vuoi… hanno quattro gambe e corrono con il motore
incorporato!”. Scherzi a parte, la questione secondo me è seria. Dico ma non
dico, eh? Ma se si vuole davvero uno sviluppo omogeneo della disciplina
su tutto il territorio nazionale, forse bisognerebbe riflettere un po’ di più
su dove si mettono le gare chiave, oppure su come evitare che i 330 del centro
nord in coda in autostrada sulla via del ritorno pensino “ne è valsa la pena?”.
Soprattutto quando ci si trova in un momento di "nuova legislatura"
(messaggio anche per il precedente Consiglio Federale, che ha passato la
“peppa” al nuovo), dal quale tutti si aspettano scelte illuminanti, o almeno
accese. In fondo, non è che portando una Coppa Italia in Calabria si risolva il
problema della partecipazione delle centinaia di tesserati delle regioni del
sud come per magia. Se, come dicono certi benpensanti delle mie parti che il
sud l’hanno visto solo nelle serie Netflix “Lì non ci sono neanche i treni che
arrivano in orario…”, figuriamoci le classifiche.
Intendiamoci, le gare sono state
bellissime. Complimenti a chi ha scelto i terreni di gara. Complimenti a Cristian Bellotto e Simone Grassi. Tracciati
intelligenti, terreno stimolante, mappe benissimo fatte, location da cartolina
dentro e fuori dal bosco che a tratti a me sembrava il Cansiglio, a tratti il
carso, a tratti Millegrobbe, e da qualche settimana è solo ed esclusivamente il
Pollino. Ma se organizzi un bel concerto in cima al Monte Pollino, poi ti
stupisci che non arrivi tutto questo pubblico dal nord, e allo stesso tempo non
sei in grado di comprendere il motivo per il quale non è venuto quasi nessuno
dal sud, forse il problema non è nel volume dell’amplificatore.
In definitiva, applausi a chi ha
corso, ha organizzato (Sandro Passante e Maura Carluccio in primis) e ha
resistito. E un pensiero gentile a chi ancora crede che il Latinum Certamen sia
un evento di respiro internazionale. Lo è stato. Come Ritorno al Futuro.
Ma ora, magari, è tempo di aggiornare il DeLorean.