Genesi (2)
“Se non fosse per quella maledetta passionaccia…”… massì, dai! In fondo persino il rumore del silenzio più rivelarsi carico di tensione e di ricordi più di quanto possa raccontare una delle mie canzoni preferite by Simon & Garfunkel. Quei silenzi carichi di rumori e di colori e di gioie e di significati. C’è un silenzio in particolare che non posso dimenticare. Anche se, dal punto di vista prettamente sportivo, è intimamente collegato a quel particolare sport che nel nostro paese trova sempre il modo (ormai più spesso nel male che nel bene) di riempire le pagine dei giornali e le ore televisive; quella disciplina sportiva (che fa sempre più a pugni con la “disciplina”) che occupa un ruolo rilevante nelle giornate di tanti italiani: chi non ha molte altre passioni con le quali sfogarsi e chi crede ancora nel Dio-calcio-pallone, perché magari (mi piace pensarlo) lo pratica con passione ed altruismo come io pratico l’orienteering, oppure perchè ha un figlio o una figlia che giocano a pallone all’oratorio o in qualche sconquassato campetto di periferia… domandandosi talvolta se il calcio delle prime pagine, quello dei morti in campo ed in tribuna, quello delle scommesse e delle combines, quello dei puttanieri e dei cascatori, sia ancora lo stesso di quello giocato dai ragazzi con le magliette messe a mò di palo della porta (ogni riferimento a De Gregori e “La leva calcistica del ‘68” è puramente casuale). Chiedendosi infine se questo calcio del XXI° secolo abbia lo stesso significato che poteva avere 30 anni fa, e se possa ancora rappresentare un percorso di crescita personale ed un improbabile futuro roseo per un ragazzo più talentuoso di altri.
Se non fosse per quella maledetta passionaccia, io e la mia generazione vivremmo perennemente in mano ai ricordi del 1982, di “Zoff Gentile Cabrini … (pausa)… Oriali Collovati Scirea… (pausa reverente)…” di Rossi-Rossi-Rossi che spegne in un pomeriggio i sogni del Brasile a la cinco de la tarde dello stadio Sarrià, di Rossi-Rossi e poi di Rossi-Tardelli-Altobelli e di un Presidente che si sbraccia in tribuna d’onore al Santiago Bernabeu; tutti noi dimenticammo in fretta le polemiche dei gol non fatti con la Polonia, della pena del secondo tempo con il Perù e della paura negli occhi di tutti contro il Camerun. Ma il mio Mondiale del 1982, io che ho sulle spalle anni sufficienti per entrare in H45 proprio nell’anno di grazia 2012, rimane tuttavia un Mondiale fatto di rumori di sottofondo. I rumori stavano nelle città, nelle strade, non certo a Tavon dove le partite le guardavo sul televisore della sala comune dell’Albergo Pineta in mezzo ai vecchietti che si addormentavano a metà primo tempo cullati dalla voce quasi monocorde di Nando Martellini. I rumori erano quelli che poi si vedevano il giorno dopo sui giornali, con le foto della gente in piazza a scorrazzare avanti e indietro… quale piazza? A Tavon non c’è mai stata una piazza!
Se non fosse per quella maledetta passionaccia, avrei cercato di imbottigliare quei ricordi e tenerli per il 1986… ma solo una mente malata o particolarmente tifosa poteva pensare che lo sciuscià Nando De Napoli e Nanu Galderisi avrebbero potuto fare miracoli (e poi la finale sarebbe stata proprio la domenica sera prima del mio esame di maturità… che mi fregava a me dei Mondiali???). Avrei tenuto quei ricordi sempre più sbiaditi per il 1990. Ma quel Mondiale “notti magiche inseguendo un gol” per me voleva dire soprattutto avere la casa della mia ragazza libera una volta alla settimana (i suoi genitori andavano a vedere le partite dell’Italia a casa di amici) in quel di Via Soperga, ed una Panda 30 sotto il sedere per ritornare a casa mia durante l’intervallo tra i due tempi, per attraversare Milano a velocità da fucilazione della patente (i 130 km\h in Panda 30 sul cavalcavia Renato Serra quando non c’erano ancora gli autovelox…), per essere a casa prima della fine della partita e prima che il consueto gol di Toto Schillaci (che in quei giorni segnava da terra, da vicino e da lontano, da vivo e da morto) facesse scendere in strada mezza popolazione di Milano bloccandomi lungo il rientro.
Se non fosse per quella maledetta passionaccia… ricorderei qualcosa del Mondiale 1994, che si risolse alla fine con una nuova finale Brasile-Italia, ma è un periodo che io in realtà ho trascorso da “confinato” in Osservatorio a Loiano per le mie ultime imprese da studente. Per non parlare di quello del 1998, di cui non ricordo assolutamente nulla… O di quello del 2002, dell’arbitro Moreno che si prende tutte le colpe del fatto che, sì… magari c’era un rigore o magari due… ma se gli attaccanti italiani non la buttano dentro nemmeno quando la porta è larga un ettaro…!?!?!
E allora cosa centra il silenzio? Quello arriva in una sera del 2006. Perché nel 2006 festeggio i 7 anni di vita da solo e la mia casa risuona di una lunghezza d’onda ben precisa: quella di Jennifer Lopez e della sua “If you had my love”, la colonna sonora del giorno preciso in cui sono andato ad abitare nella “vituperata casetta”; Jennifer Lopez è stata la mia unica compagnìa nelle prime settimane in cui mi sono svegliato in una casa riempita solo da me, con la televisione (che poi ho restituito) lasciatami dai miei genitori e sintonizzata ogni mattina su “Pure morning” di MTV che trasmetteva sempre alla stessa ora, quella in cui mi svegliavo, quella canzone… e se qualcuno si ricorda il video, può benissimo capire perché mi sia rimasta impressa quella canzone che girava a nastro continuo proprio nei miei primi giorni da “Vado a vivere da solo”.
Ma perché adesso c’è una seconda colonna sonora, ed è proprio il silenzio di una sera del 2006? Perché quella sera sono stanco, non ho una televisione, non ho voglia di andare a casa di amici a vedere la partita. E poi è ancora “quella” partita, ancora Italia-Germania, ancora quella sfida eternamente uguale a se stessa tra i mediterranei ed i teutonici, i ragazzi con gli stivali di carta e la PanzerDivisionen, le cicale e le formiche d’Europa. Perché, escludendo forse il giorno in cui si gioca Italia-Germania, ha sempre ragione Gary Lineker quando dice “Il calcio è quella cosa che si gioca 11 contro 11 e alla fine vincono i tedeschi”. E poi i tedeschi nel 2006 giocano in casa… devono andare a fare la “loro” finale a Berlino e noi siamo solo quelli dell’ennesimo scandalo calcistico e di Moggiopoli e del povero Pessotto che si lancia nel vuoto preso dal vortice di quel male interno che non si può dire…
Se non fosse per quella maledetta passionaccia…. Ma forse è proprio per quella maledetta passionaccia! A me di quella partita importa davvero poco. Fa caldo, sono stanco, devo dormire con la finestra spalancata nella afosa estate milanese. Tanto, come ogni sera in cui gioca l’Italia, io capirò come va la partita a seconda delle urla del quartiere. Sento che la partita comincia… i ragazzi contro i panzer. Ed io mi addormento. E sogno. Ed alla fine mi sveglio, e mentre apro gli occhi percepisco attorno a me un silenzio irreale, come se il mondo fosse finito durante il mio sogno ed io fossi rimasto l’unico essere vivente per chilometri e chilometri. Guardo la radiosveglia e vedo che è tardissimo, è notte fonda ed il mondo è in silenzio. Non c’è un rumore in tutto il quartiere. “L’Italia ha perso” penso con un velo di tristezza; tristezza perché, in fondo, è vero che in uno sport come il calcio si può credere avidamente e ci si può credere meno, ma Germania (e Francia) sono sempre sulla linea di tiro quando si tratta di fare un po’ di tifo “contro”…. L’Italia ha perso ed io mi giro nel letto dall’altra parte. In fondo vuol dire che non mi sono perso niente, mi sono risparmiato una serata di sofferenze e di imprecazioni degli amici. E’ quasi mezzanotte e fa quasi fresco, c’è qualche refolo d’aria che rende meno avvampante l’afa milanese.
E poi succede qualcosa. Arriva un’onda. Un boato che arriva in un solo singolo istante ma fai in tempo a sentirlo crescere anche se raggiunge l’apice in un decimo di secondo, e improvvisamente il mondo comincia a tremare di un urlo che racchiude dentro di se tutte le vocali dell’alfabeto. Se non fosse per quella maledetta passionaccia… sarei corso ad accendere la radio per capire cosa stava succedendo, ed invece sono rimasto lì a guardare perplesso l’orario: non è più “oggi” ed è quasi “domani” e c’è questo urlo che non si spegne. E mentre mi chiedo cosa lo ha provocato… supplementari? Rigori?... Sento un’altra bomba sonora che arriva, più forte della prima, comincio a sentire i clacson per le strade, i miei vicini che urlano lungo le scale e si precipitano fuori… non sono i rigori, ma che sta succedendo?... e poi l’ultimo urlo, liberatorio. Per quella maledetta passionaccia, ho dovuto aspettare (io e pochissimi altri in tutta la penisola) fino al giorno dopo per scoprire che cosa era successo in una notte tedesca nell’anno di grazia 2006. Il resto della storia, la finale che consegna la quarta Coppa del Mondo alle bacheche italiane, è una favola che non possono a cancellare con uno schiocco di dita né i nostri scandali e o le partite comprate ed i presunti goleador gossippari: così, davvero, da buon vecchio H45 sono proprio contento che anche la generazione dei “quindicenni-nel-2006” possa raccontare il suo Mondiale da sfavoriti, che abbia il proprio Mondiale delle rivincite da tenere nella bacheca dei ricordi. E magari tra 30 anni qualche neo-H45 racconterà come ha vissuto la sera di Italia-Germania 2006, così come io potrei raccontare quella del 1982 ed i miei genitori mi raccontavano quella del 1970.
E magari sarà la voce di Fabio Caressa a fare da colonna sonora ai loro ricordi del 2006, quella voce che si trova su youtube (cercate “caressa show italia germania”) e che io avrei inserito tra i miei “link preferiti” per il calore e l’emozione che ha saputo trasmettermi nonostante quell’evento sportivo non sia tra i miei prediletti.
Se non fosse per quella maledetta passionaccia…