Stegal67 Blog

Saturday, July 29, 2017

Ritorno alla Orienteering Marathon


Ci sono coloro che affermano che ormai se si corre meno di due ore non va la pena fare lo sforzo nemmeno di allacciare le scarpe. E poi ci sono quelli che se si corre più di due ore hanno già finito la benzina alla prima ora. E’ ovvio che in un mondo normale i primi non parlerebbero mai ai secondi, e nello stesso mondo normale i secondi invidierebbero da morire i primi. Ma c’è una gara, una sola nel calendario orientistico, che fa sentire gli uni e gli altri come appartenenti ad un solo unico gruppo: quelli della Orienteering Marathon degli Altipiani.
Andrea Segatta nel suo blog lo ha scritto come meglio non si potrebbe, e vito che il plagio è una forma d’arte ma non è molto sportiva, oltre al link mi permetto anche di riportare qui le due frasi che mi hanno davvero fatto tornare con la mente sul pratone di Forte Cherle, dove era posta la partenza della edizione 2017: “La O-Marathon è davvero una gara diversa da tutte le altre, altrimenti non mi spiegherei come si possa provare addirittura soddisfazione nel cimentarsi in una competizione che già in partenza sai che può durare dalle 3 alle 4 ore (…) L'atmosfera che si respira prima della partenza della O-Marathon è comunque particolare. Si respira un clima di quasi solidarietà generale, sapendo già la sofferenza che ti sta per aspettare, e quindi è più naturale che il clima competitivo lasci spazio alla goliardia e al reciproco incoraggiamento”.
Parole sante Andrea! Per parte mia devo solo rettificare uno zinzinello la stima “dalle 3 alle 4 ore”: la mia Orienteering Marathon, e di edizioni ne ho fatte parecchie, ha sempre abbattuto la barriera delle 4 ore, spesso delle 5 ore. In questa occasione avrebbero potuto diventare anche 6 se non avessi avuto la fortuna di trovare fin da subito un compagno di viaggio. Ma come in tutte le altre occasioni, la fatica è valsa davvero la pena! Credo che la Orienteering Marathon sia una di quelle gare in grado di esaltare allo stesso modo sia le doti di chi si allena tutti i giorni, i campioni e tutti quelli veramente bravi che impiegheranno meno di 3 ore per fare un percorso assurdo, sia le doti di chi magari è appena meno preparato e deve mettere in conto le 4 ore, sapendo che come nella maratona vera ogni piccolo miglioramento può essere fatto solo al prezzo di sforzi inimmaginabili in allenamento.
Ma vorrei anche spendere qualche parola per coloro che arrivano al traguardo dopo 5 o 6 ore. Questi sono (siamo…) i tapascioni della domenica, quelli che non si allenano, quelli che si iscrivono alla Orienteering Marathon mentre un brivido scorre tra le dita che digitano sulla tastiera il proprio nome e cognome: siamo noi, quelli delle 5 o 6 ore, che diamo il senso maggiore alla “avventura lunga un giorno” nata nella mente di Luigi Girardi e che il Gronlait Orienteering Team mette in scena ogni anno.
Diciamo subito che l’edizione 2017 non poteva che celebrarsi sotto i migliori auspici. Innanzitutto, nonostante l’anno in corso, ci arrivo a distanza di 10 giorni dalle gare long in Primiero; di conseguenza sono abituato, o meglio so come ho reagito solo pochi giorni prima, a uscite di quasi 3 ore in bosco (la follia è nel fatto che so già che la Orienteering Marathon durerà il doppio…). La carta di gara ideale per la O-Marathon è da sempre quella di Forte Cherle, appena davanti nelle mie preferenze a Millegrobbe: dove si gareggia nel 2017? A Forte Cherle. E poi c’è il sole: si parte con il fresco alle 9 e si arriva dopo le 14 ma non si dovrebbe patire né il caldo né la bufera. Infine quest’anno si parte e si arriva nello stesso posto, il che magari fa perdere un po’ di fascino a quel tipo di gara che prevedeva trasferimenti dai monti alle valli e poi ancora ai monti fino ai paesi, ma consente (a chi non ha la fortuna di avere dalla propria parte una “auto ammiraglia”) di poter lasciare gli indumenti in auto e di ritrovarli appena tagliato il traguardo, cosa che a me avverrà dopo 5 ore e 35 minuti di gara in ottava posizione nella categoria over-35 maschile.
Due parole a parte per le sante parole di Dario Pedrotti, vincitore nella stessa categoria: “Il fatto che il manipolo non aumenti vuole probabilmente dire che qualcosa nella formula non ha funzionato, ma chi c'è si diverte sempre molto”. Io non sono così egocentrico da credere che ciò che piace a me debba piacere per forza a tutti gli altri; assicuro però che io alla O-Marathon mi sono sempre divertito un sacco: ci ho sempre scoperto qualcosa di me, ci ho sempre riversato un sacco di energie (anche quelle che non sapevo di avere) e che il mio consiglio è che tutti devono provare almeno una volta questa gara. Il fatto che io riesca a finirla dovrebbe da sempre essere un indizio del fatto che chiunque, davvero chiunque, la può finire!!! Non cambierei mai nemmeno la collocazione temporale durante l’anno: è una gara estiva, è una avventura tra le montagne da fare quando le possibilità di bel tempo sono più elevate. E’ una avventura e va presa come tale, e sono davvero felice quest’anno di aver visto la partecipazione di Gianni Guglielmetti, che non è allenatore della nazionale svizzera per caso! Ovviamente è una gara nella quale quelli come me salutano gli amici presenti al via PRIMA della partenza. Perché, come si è dimostrato anche quest’anno, la stragrande maggioranza di coloro che sono schierati alla partenza hanno preso la strada di casa, o hanno già le gambe sotto il tavolo, prima del mio arrivo.
 La gara, un paio di parentesi a parte, è stata davvero bella. Sui pratoni per andare al triangolo di partenza mi sono trovato già in coda al gruppo, ma il primo punto era posizionato esattamente dove sapevo che fosse. I punti 2 e 3 li ho trovati un po’ per caso (con il senno di poi devo dire che avevo proprio mirato giusto, ma nelle zone di rocce basta girare attorno al sasso giusto nella direzione sbagliata per perdersi). In uscita dalla 3 ho visto arrivare dall’alto anche Attilio e Roberta, e così da quel momento abbiamo deciso di viaggiare “in trenino”. Per andare al punto 4 siamo scesi lungo il sentiero fino al recinto, per poi prendere la “tangenziale” fino al ristoro e poi risalire il costone fino al sentiero che ci ha portato alla 4. Nuovo trasferimento aggirando il costone e le rocce fino al punto 8, dove siamo arrivati un po’ troppo a sinistra ma ci siamo riposizionati subito, e poi nessun problema fino alla 18.
Dalla 18 alla 22, ma direi in particolare sulla 20 e sulla 21, sono stati problemi grossi, di dimensioni paragonabili a quelli dei massi che popolano “la Norvegia del Kerle”. I primi due punti sono andati via ancora ancora abbastanza lisci, ma per arrivare alla 20 abbiamo dovuto attraversare una zona allucinante di sassi, scalate e discese in corda doppia nelle spaccature tra un sasso e l’altro, ed il punto lo abbiamo trovato veramente per caso. Alla 21 la frase “c’era il sentiero” non me la può dire nemmeno chi guarda la carta dal divano di casa: semplicemente il punto era irraggiungibile e lo abbiamo trovato solo gettando uno sguardo nel vuoto (per chi non soffre di vertigini) da tutti i sassoni soprastanti. Dopo che abbiamo trovato a 21 e tirato un sospiro di sollievo (soprattutto per la nostra incolumità… in fondo eravamo già a 3 ore di gara e quindi con una lucidità limitata), la 22 è andata via quasi liscia.
Al cambio carta Roberta si ferma, mentre Attilio ed io proseguiamo dopo esserci assicurati l’un l’altro che non avremmo forzato troppo con il rischio di ritrovarci esausti a tre quarti di gara. Sostenuti dal tifo di alcuni amici che avevano già finito la gara, ritorniamo sul pratone della malga e poi nel bosco. Tra la 3 e la 4, dopo aver passato la borraccia a Fabio Daves che stava completando la sua gara in Elite, riprendiamo la “tangenziale” e la 4 va via liscia. Capisco che sto avendo problemi mentre vado alla 5 perché sento distintamente che il cervello si sta spegnendo, cosa che diventa palese alla 6 che trovo solo grazie ad Attilio. La 7 per fortuna è sopra il sentiero, ma il cervello si spegne del tutto mentre vado alla 8 (che è il punto 4 fatto prima!): il bosco improvvisamente diventa buio e alieno, e mi prende una crisi di panico che riesco a placare soltanto con una decisione drastica: tornare al rifornimento posizionato a nord.
Ritornare alla luce, fuori dal bosco e in una zona “facile” mi calma e mi fa tornare quel poco di lucidità per ritornare nel bosco e tornare alla 8 rifacendo la stessa strada fatta prima. Alla 9 trovo Attilio che, visibilmente preoccupato, mi sta aspettando; da lì in poi procediamo di conserva lungo i chilometri che ci separano dal traguardo, evitando a malincuore di saccheggiare i barbecue dei gitanti che troviamo nei pratoni a sud della strada: il profumo di quelle costine, di quelle salsicce e di quella verdura grigliata avrebbe potuto far fermare persino un maratoneta lanciato alla conquista della medaglia d’oro olimpica!
Sbuchiamo insieme dal bosco prima del traguardo proprio durante le premiazioni (e non è la prima volta nelle mie O-Marathon!), in tempo per sentire Roberto Sartori che annuncia al microfono il mio arrivo, poi quello di “Stefano Galletti e un altro!” e poi quello di “Stefano Galletti con un suo amico!”. Da quel momento abbiamo deciso che candidiamo Attilio per il posto di Milite Ignoto!
E così mi sono messo in saccoccia un’altra O-Marathon. Dall’anno prossimo potrei persino pensare di iscrivermi in over-50… ma poi che ne sarebbe della mia (e non solo mia) “Avventura lunga un giorno”? 

Saturday, July 22, 2017

Una storia molto complicata…

“... Ma se è come dice lei, e questo sentiero non porta da nessuna parte, lei da dove sta arrivando???”
“Signora… è una storia molto complicata…”


Per la serie: drammi in due battute, ecco la cronaca di un breve incontro su un anonimo sentiero carrabile nel bosco. Sul lato sinistro del ring, tre viandanti con accento romano e con le loro brave bacchette da Nordic Walking; sul lato destro, una specie di zombi vestito con più colori di una maschera di carnevale. Lo zombi ovviamente sono io, e in quel momento sono in una situazione un po’ particolare: sto svenendo. Lo scenario è quello del lunedì che precede il martedì il quale a sua volta segna l’inizio della Primiero Orienteering Week; ed attorno a noi c’è il bosco di San Martino di Castrozza, ed io ho da poco trovato il mio undicesimo punto di controllo, gareggiando contro i miei evidenti limiti fisici sul percorso Elite che si disputerà di lì a 5 giorni nel sabato conclusivo della Primiero Orienteering Week. Avevo detto fin da subito che questa era una storia molto complicata…
Una storia che comincia l’estate scorsa, quando comincio a vedere in giro i volantini della gara, e che prosegue poi ad inizio autunno con uno scambio di mail tra Roberto Pradel ed il sottoscritto: io sono nelle vesti dello spiritosone di turno che dice che sono ancora disponibili le iscrizioni tramite il sito della gara, e Roberto che mi dice che devo portare pazienza prima di iscrivermi in Elite, ma che comunque potrei pensare di salire a Fiera di Primiero a fare lo speaker. Quando le iscrizioni finalmente si aprono, sono ancora “caldo” dei campionati italiani di Sgonico e, memore delle parole di Roberto, mi iscrivo repentinamente nella categoria Elite, senza neppure fermarmi un attimo a riflettere sul fatto che le gare di San Martino di Castrozza e Passo Rolle sarebbero state veramente molto dure su due dei terreni più temibili delle nostre montagne (e che avrei avuto un altro anno in più sul groppone...). Soprattutto non potevo sapere in quel momento che il 2017 sarebbe stato un anno veramente difficile.


Passa solo qualche giorno dalla mia iscrizione e mi arriva una mail dal Primiero: Pierpaolo Corona ha visto la mia iscrizione e mi dice che stanno pensando di accorciare i percorsi dell’Elite per consentirmi di arrivare al traguardo in giornata. Ovviamente questa cosa, anziché ridurmi alla ragionevolezza (in fondo potrei cambiare categoria fino all’ultimo giorno ed iscrivermi in M35, M40, M45… persino M50!), mi spinge a pensare che ce la potrei fare anche questa volta. Solo “a pensare”, eh?, mai per un minuto mi è passato per la testa di allenarmi di più! Pensa che ti ripensa, ogni tanto fa capolino nella mia testa anche l’immagine della gara di Passo Rolle ai JWOC nella bufera di neve (in luglio), o quelle di San Martino d Castrozza all’Alpe Adria sotto il diluvio, sempre all’Arge Alp sotto la neve (terzo posto a staffetta con Claudia e Roberta) o ancora ai JWOC sotto il diluvio + sotto la neve. Sono immagini che fanno parte dell’epica dell’orienteering di questo secolo… e insomma! Non è che ogni volta che vado in Primiero devo trovare la furia degli elementi. O no?
Breve salto di scena ed è il momento di spiegare perché, nel pomeriggio del lunedì 3 luglio, a Primiero Orienteering Week non ancora cominciata, io sto svenendo nel bosco di San Martino di Castrozza sul sentiero che esce dal punto 11…


Arrivo a Fiera di Primiero da Coredo. E’ lunedì e sono il primo ad affacciarmi nella sede dell’US Primiero all’apertura del centro gare. Ritiro la busta, scappo a San Martino di Castrozza, scarico i bagagli di tutto il gruppo GOK, mi cambio al volo, afferro la cartina con il percorso Elite che è già stato predisposto e mi precipito nel bosco. Attraversando San Martino, incrocio qualche orientista curioso, ma mi affretto a prendere la strada della partenza: so che il mio percorso sarà molto lungo e che le ombre della sera calano in fretta, allo stesso ritmo con il quale aumenta la probabilità di incorrere in qualche temporale serale. C’è solo un piccolo problema: non solo non ho fatto colazione e non ho nemmeno pranzato, ma per dimenticanza o euforia dimentico di prendere con me il camelbak con la riserva di acqua: l’intelligenza ed il senso di responsabilità devono averle distribuite mentre io facevo la coda altrove.
(il padrone di casa del tratto di prato sopra Malga Ces)

Il primo punto della gara è facile: mi chiedo addirittura perché non posso avere qualche punto anche nella sassaia tra la partenza ed il laghetto. Il secondo punto è banale. Ma Prima di arrivare al terzo punto ho esaurito dalla mia sacca delle parole il numero di volte in cui mi sono dato del pirla da solo; intanto parecchie energie che mi dovevano bastare per tutta la gara se ne sono già andate. Alla 4 mi appoggio al piccolo corso d’acqua (anche se la sponda è molto più selvaggia di quanto mi aspettavo), ed è già il momento della tratta lunga 4-5 che mi sembra un incubo ad occhi aperti; per dirla con le parole di Max Peter Bejmer (che sarà vincitore a Tonadico) “I don’t like nightmares” e la mia scelta è quella di affrontare la montagna facendo il giro lungo da destra, andando a prendere la strada e poi il sentiero a bordo prato. Da lì è una sofferenza continua, con il tentativo di andare a fare scelte sicure - appoggiandomi ai sentieri - che cozzano con le curve di livello e gli inevitabili errori per via della fatica. Finché, sul sentiero in uscita dal punto 11, incrocio i viandanti persi che stanno cercando di arrivare a San Martino di Castrozza ma si sono persi già all’altezza di Malga Ces. Io invece ho un coccolone per la fatica ed il caldo…


Da lì l’assenza di acqua e di benzina nel motore fa diventare il tutto un piccolo calvario: faccio tante scelte il più possibile sicure, andando a fare dislivello inutile per potermi riportare sulle strade forestali appena possibile (ad esempio per andare alla 16), usando molta circospezione e dicendo tante preghiere in zona punto in tutti i 30 minuti che impiego per fare il loop dalla 17 alla 20 dove praticamente butto l’occhio dietro ad ogni pietra del bosco. Per mia fortuna l’incubo alla fine finisce, anche se la mia velocità è tale che sui punti dal 21 alla 23 vengo superato anche dalle famiglie con i passeggini. Quando schiaccio lo stop del cronometro sono passati 178 minuti dalla mia partenza, sta venendo sera, sono sfinito e non posso che augurarmi che tra coloro che frequentano il parchetto del centro sportivo a bordo strada non ci siano orientisti che mi vedono arrivare in condizioni pietose. Mi tolgo però lo sfizio di fare una telefonata al buon Sergio Nicolao:
“Sergio! Ho appena finito il percorso elite di San Martino. Maaaaaa… siete sicuri sicuri di lasciare come tempo massimo le due ore di gara?”
“No Stefano, è davvero lungo e quindi abbiamo deciso che il tempo massimo sarà di tre ore…”
“Bene! Allora sono ancora in gara!!!


Dopo una cena abbondante durante la quale avrei addentato anche le gambe del tavolo, ed una notte abbastanza tranquilla, arriva martedì mattina. Nella pianificazione ufficiale della Primiero Orienteering Week è in programma la prima tappa sprint a Transacqua. Nei miei piani, quelli che ho ipotizzato per cercare di completare tutte le tappe del percorso, bisogna alzarsi presto, puntare verso nord ed andare a fare la long di Passo Rolle. Qui mi aspetta una giornata con un sole fantastico, una partenza in discesa ed una risalita “tranquilla” (come no?) sulla malga verso il secondo punto che sarà quello ad altitudine più alta in questa settimana.


Un errore terrificante alla 3 (ancora!!!) quando praticamente scendo lungo i prati fino all’altezza del settimo punto, e poi un’altra gag al telefono con Sergio Nicolao quando arrivo davvero al punto 7 dopo un bel loop nel bosco, nonostante abbia dovuto attraversare una zona terrificante con gli alberi abbattuti tra la 3 e la 4: “Sergio scusa… ma perché al punto 47 c’è il paletto della 52 e, soprattutto, non c’è uno straccio di canaletta qui attorno?”. Sergio è una persona di gran buon cuore, ascolta la mia telefonata ansimante dal bosco con la rassegnazione di quello che si è portato a casa un matto… ed in effetti tale devo sembrare quando telefono durante la MIA gara e dico che c’è un paletto posato nel punto sbagliato (cosa che in effetti non è: quel paletto era rimasto da un allenamento nel bosco, a una decina di metri dalla canaletta e dal punto vero che troverò pochi secondi dopo!).
La 52 fa davvero parte del mio percorso (punto 8) e ci arrivo percorrendo il Sentiero dei Cacciatori. Dopo la scalata terrificante numero 1 verso la malga per andare a prendere il punto 9 dall’alto, arriva la scalata terrificante numero 2 per evitare i valloni e raggiungere il bellissimo cocuzzolo del punto 10 ancora dall’alto. Fino alla 16 vado via molto più preciso, passando al punto spettacolo della lanterna numero 15 in un’ora e 55 minuti: non posso saperlo, ma sarei soli 90 secondi dietro ad Andrea Brandolini. Dalla 16 alla 17 faccio il “giro del fullo” andando a prendere il sentiero che porta ai bellissimi laghetti di Col Bricon: il sentiero è molto frequentato e sono costretto a “darmi un tono” ogni volta che incontro qualche comitiva. Per arrivare alla 18 per fortuna c’è un sentiero che si interrompe provvidenzialmente in una palude, consentendomi di capire quando è il momento di lasciarlo, sentiero che vado a riprendere per arrivare al taglio di bosco che mi porta alla 19. Dalla 19 alla 20 vado verso sud per la linea di massima pendenza, per andare a cercare un altro sentiero, e quando (sempre “dandomi un tono” perché ci sono in giro un sacco di turisti) mi butto giù di un paio di curve di livello per arrivare ai sassoni, penso che la gara sia finalmente finita perché per trovare la 21 “basta arrivare al fiume”.


Ma non è così: il fiume non è mancabile, ma come scelta orientistica è un autentico suicidio perché nel disastro di enormi sassi che si trovano sulla sponda sud devo perdere un paio di minuti per capire dove sta la mia lanterna. Erano le ultime energie, e se ne vanno: la risalita alla 22 è penosa, e solo la forza di volontà mi fa muovere i piedi attraverso la malga verso il punto 23, il 24 e l’arrivo. Qui fermo il cronometro sui 170 minuti di gara: 8 in meno rispetto alla gara di San Martino di Castrozza, e solo 1 in più rispetto al tempo che farà tre giorni più tardi Andrea. Ma sono felice per aver finalmente domato una gara al Passo Rolle, e quando arriva il mezzogiorno di fuoco è il momento di scendere a Transacqua per affrontare la gara sprint e la prima uscita come speaker: in entrambi le situazioni mi devo limitare a fare del mio “meno peggio”, con le gambe imballatissime, le energie al lumicino ed il cervello abbastanza in panne che ancora crede di rimbalzare tra un masso e l’altro sulla carta del Rolle.


Mercoledì 5 luglio si inverte il piano di volo. Al mattino presto arrivo a Tonadico e, dopo la gara disputata tra i villaggi di Tonadico e Siror e le relative premiazioni, annuncio al pubblico la mia intenzione di spostarmi nel pomeriggio in Val Venegia per affrontare la terza ed ultima tappa (mia), quella che l’indomani mattina per tutti gli altri sarà la prima tappa middle della parte boschiva della Primiero Orienteering Week. Lo scenario che mi trovo davanti quando scendo dalla macchina in Val Venegia è questo:
Ce ne sarebbe di che stare lì a bearsi del panorama e chissenefrega dell’orienteering, ma il dovere chiama… e per fortuna! La prima parte del percorso è davvero molto scorrevole, e non sento nemmeno la salita al cocuzzolo del primo punto; le successive lanterne lungo il fiume fino al punto 6 sono in uno scenario cinematografico, con tutti gli attraversamenti del corso d’acqua gelido in punti molto facili da guadare. Nel loop tra la lanterna 8 e la 11 mi fanno compagnia una quantità di caprioli e cervi che scappano da tutte le parti, e nonostante un errore alla 9 ed un altro alla 11 mi sento perfettamente a mio agio con la carta di gara. Dopo il punto 12, ultimo attraversamento del fiume in un punto davvero profondo e con la corrente molto forte (ne esco con i piedi ghiacciati, e non solo i piedi!) ma poi continua il festival dei punti che piacciono proprio a me: mi appoggio spesso al sentiero che attraversa quella parte di bosco ma faccio anche tanto orientamento fine in zona punto. Dal cielo cominciano a rombare i tuoni, ma il rumore che sento più spesso è il tràppete tràppete dei miei piedi nel bosco: i sassi grandi come villette multifamigliari mi fanno da riferimento preciso per arrivare dritto ai punti, e l’unica cosa davvero impegnativa di tutta questa parte di percorso è la salita che porta al punto 21 e 22, e poi fino al traguardo dove arrivo in 87 minuti circa
Terminato anche il percorso in Val Venegia, il sollievo per avercela fatta si mischia al rimpianto: la mia Primiero O-Week da atleta è finita e sono riuscito a completare tutte le 5 gare in soli tre giorni. E’ stato faticoso, ma è il prezzo da pagare per poter pensare di dedicarmi con una certa tranquillità al compito di speaker, che voglio fare al mio meglio per “vendicare” le tensioni che si erano verificate ai Mondiali 2009 quando, di fatto, avevo abdicato al mio ruolo per i litigi con gli altri speaker (eravamo in troppi… non si sono mai visti 4 speaker internazionali ad una unica gara).


Sollievo quindi ma anche un po’ di invidia per coloro che nei giorni successivi avrebbero preso la strada per il bosco. Io dovrò aspettare altri due anni per tornarci; credo che nel 2019 l’US Primiero dovrà davvero mandare indietro gli iscritti con le ruspe: se riuscirà a trovare la settimana giusta, e se gli orientisti che hanno gareggiato nel 2017 racconteranno nelle lunghe notti invernali della Scandinavia cosa hanno trovato alla Primiero Orienteering Week, allora vi garantisco che tra due anni avremo un autentico pienone.
"Matthias, il tempo da battere a Passo Rolle è quello dello speaker: 2 ore e 50. Pensi di farcela con le tue due medaglie d'oro mondiali?"
"... are you kidding me?..." 


 "Samantha! Sei la storia dell'orienteering a stelle e strisce! Cosa ci fai qui a gareggiare nella categoria Open CortoooooOOOOPSSSS!!!"

Sunday, July 02, 2017

I’m not Superman… (con sorpresa finale)


Io non sono Superman, anzi: negli ultimi tempi mi sono scoperto vulnerabile come mai prima. Ma ho una cosa in comune con Superman: così come l’uomo d’acciaio aveva la sua Fortezza della Solitudine dove riposarsi e dove custodire gli oggetti a lui più cari, anche io ho una mia Fortezza nella quale riesco a rimettere insieme ricordi e pensieri, scacciare le ansie e riprendere slancio per proseguire il cammino. Superman, con un certo qual snobismo, non si accontenta di un luogo meno peculiare del Polo Nord per ubicare la sua fortezza. Io, più modestamente, mi accontento di un piccolo paesino della Val di Non al quale si arriva percorrendo una unica strada senza altre uscite: Tavon.

Casa.

Qui ci sono i ricordi, ci sono alcuni “what if…” della mia vita passata, ci sono cose belle di quando ero bambino e cose molto meno belle di quando ero ugualmente bambino. Non c’è un solo mattone, metro di strada, finestra che non mi ricordi qualcosa, anche se l’urbanizzazione della provinciale tra Coredo e Tavon non me la sarei mai immaginata quando, da bambino, andavo a giocare nei campi di papaveri a bordo strada con le mie amiche Claudia e Luciana.

Non c’è un altro posto nel quale preferirei trovarmi quando ho bisogno di tornare a sentirmi me stesso. Mentre torno a scrivere il blog, posso guardare fuori dalla finestra e vedere il campanile, vedere la Forcola e la Val di Non che digrada lentamente verso la Rocchetta e, in fondo, la Paganella e il Bondone se la giornata è particolarmente tersa, o guardare dall’altra parte e guardare la conca del Monte Peller che mi accompagna da quando ero bambino. Per questo motivo sono tornato qui appena possibile, con mia madre, a tre settimane dalla scomparsa di papà: perché volevo ritrovare me stesso e perché sapevo che l’orienteering avrebbe potuto aiutarmi, e con il mio sport anche tutta la famiglia allargata di amiche e amici che da lontano avevano saputo degli ultimi eventi e che mi hanno sostenuto con messaggi, telefonate, l’affetto mostrato in mille modi diversi e sempre con un unico obiettivo: essermi vicino. Volevo ritrovare tutti quanti e, insieme a loro, ritrovare anche me stesso.

L’occasione propizia è venuta con il fine settimana di Campionati italiani Sprint e Middle, e con essi la gara del venerdì sera disputata a Mezzolombardo per il Trofeo “Carlo e Franco”, ovvero Carlo Dorigati e Franco Casatta cui l’Orienteering Mezzocorona dedica ogni due anni un trofeo alla loro memoria. Per me è stato un privilegio poter essere chiamato ancora una volta a coprire il ruolo di speaker; immaginavo che non sarebbe stata “una volta come tutte le altre” perché la mia mente ed il mio cuore ancora adesso reagiscono in modo imprevisto ai ricordi ed alle emozioni. Mi sono preparato mentalmente venerdì mattina, girando per conto mio per Tavon e Coredo e per i boschi della mia infanzia, andando a cercare con la memoria i ricordi di mio papà ed i miei personali.

Casa. La mia Fortezza della Solitudine.

Quando mi sono sentito pronto, ho imbarcato a bordo dell’auto mia madre e sono sceso a Mezzolombardo. Era il momento di ricominciare a far girare anche questo ingranaggio della ruota (un ingranaggio che gira da 25 anni). Ingranaggio della ruota… la ruota della vita che ricomincia a girare… mi sentivo tutto imbottito di una certa “retorica dell’assimilazione del lutto”.


Poi è arrivato papà Pezzé. A lui devo ancora una birra per aver reso possibile, con una sola frase di incitamento alcuni anni fa, il completamento dell’ultima Orienteering Marathon cui ho partecipato. E’ andata più o meno così: dal momento che sono lo speaker, non posso partecipare ad una gara a staffetta che prevede due soli frazionisti per squadra e tre cambi di testimone per quattro frazioni in tutto; ma dato che sono lo speaker e che faccio sempre le gare prima degli altri (talvolta anche il giorno prima…), ho proposto di correre da solo tutte e quattro le frazioni della gara di Mezzolombardo (nella classifica la mia squadra vede come componente femminile una certa SHAron D. OWen, ovvero la mia ombra femminile che per una volta è scesa dall’Aventino ed è venuta a darmi una mano). Primo giro: mi sentivo bello vispo e pimpante, d’altronde corro quasi in casa; le gambe girano bene e mi sento persino atletico e ginnico!
Primo cambio per il secondo giro: quando affronto la prima salita, le gambe mandano un messaggio chiaro “Pistola! Devi fare tutti i quattro giri da solo! Gli altri partiranno più freschi o si riposeranno tra un giro e l’altro… rallenta!” e ho rallentato. Secondo cambio e inizio del terzo giro: sfiga. Rispetto al changeover precedente, sono arrivati un bel po’ di concorrenti che mi vedono passare ansante e paonazzo come una barbabietola o una cipolla di Tropea. Tra questi papà Pezzé. Vorrei cercare di fare bella figura ma… insomma… faccio quello che posso! Terzo cambio e inizio del quarto giro: passo di fianco al gruppo del Gronlait e sento distintamente la voce di papà Pezzé “Ma pensi di essere sulla ruota del criceto?!?”. Il concetto di ruota non è mai stato esposto più chiaramente e più efficacemente come da Roberto in un caldo pomeriggio di Mezzolombardo: ho affrontato i gradini all’inizio del quarto giro ridendo di gusto come un matto, come non facevo da tanto tempo, e ho smesso di ridere soltanto quando la scelta era se continuare a ridere o trovare l’aria per finire la mia staffetta individuale.

Grazie Roberto!

La gara “vera” ha visto andare in scena una kermesse di livello eccezionalmente alto, con le squadre che si sono date battaglia dal primo all’ultimo metro, tutti incuranti del fatto che nei due giorni successivi sarebbero state assegnati i titoli italiani e che qualche tossina avrebbe potuto rimanere nelle gambe. Sono stra-sicuro che Carlo e Franco, dall’alto, abbiano approvato.

Sabato mattina spostamento a Vigolo Vattaro per i Campionati Italiani Sprint. Una gara sotto il solleone, prima dell’arrivo dei circa 800 concorrenti, nella quale sono andato a cercare i passaggi all’ombra per evitare di mandare il motore (già abbondantemente sfiatato di suo) in ebollizione! Dalla 7 alla 8 vivo un autentico “Tenani-moment” in quanto capisco che le due tratte che mi portano al cambio carta sono talmente lunghe, ma a tratti talmente dritte, da consentirmi di studiare in corsa la seconda parte di gara; mi sento talmente reattivo che riesco a studiare (non a mandare a memoria, ma quasi) le tratte fino al punto 12: ovviamente poi sbaglio la 13! Ma si tratta proprio del finale di gara, talmente veloce che mi ritrovo proiettato al traguardo in un battibaleno. Il mio Campionato Italiano Sprint è finito e sono pronto a dare il calcio d’inizio a quello degli altri: il commento al microfono, a tratti fantasioso, è evidentemente condizionato dalle tre birre che mi vengono offerte dagli organizzatori per compensare la caldazza del pomeriggio di Vigolo Vattaro.
Premiazioni e tutti a nanna. Tutti compreso lo speaker, che all’alba di domenica è atteso dal percorso Elite del Campionato Italiano Middle. E finalmente posso dire di essere tornato a fare una bella gara in un Campionato a Media Distanza! Il mio tempo è valido per una delle ultime posizioni, ok, ma sono decisamente contento del fatto mio e, soprattutto, di aver fatto volare tutte le lanterne della parte alta della carta, quelle che mi hanno fatto pensare per una mezz’ora abbondante “ma posso avere tutte le lanterne messe in questa parte di bosco?”. In una descrizione della mia gara lanterna per lanterna “comme un Dariò Pedrottì” dovrei dire:

pusillanime alla 1 = strada, sentiero verso nord-est, al bivio a sinistra e poi dritto al punto (detto anche “giro del fullo”)

imbarazzante alla 2: l’avvallamento alla fine l’ho trovato, ed ero 4 curve di livello più in alto

lentissimo alla 3, cauto alla 4 e poi improvvisamente mi sento pervaso dallo spirito di Daniel Hubmann alla 5, alla 6 (era un avvallamento?), alla 7 in un bosco scuro ma bellissimo, alla 8 in un bosco ancora più bello. La 9 ha il suo bel rudere a fare da sentinella, alla 10 sono Robin, alla 11 sono Batman e quando percorro le tratte dalla 12 alla 14 sono immerso nel bosco delle fiabe e non ho un solo pensiero negativo in circolo.

Dicono le leggende del nord che nel bosco dimorano delle creature fantastiche che ogni tanto giocano qualche piccolo scherzo innocente all’occasionale viandante. Qualcuno chiama queste creature folletti o elfi o gnomi. Ma tutti quanti sappiamo che si tratta solo di leggende, no? Ecco: non proprio. Ci sono occasioni nelle quali la spiegazione più razionale alle mie peregrinazioni nel bosco è che ci sia in giro qualche folletto che sta cercando di farmi fesso: sono lì con la mappa in mano, una mappa che dovrebbe spiegarmi tutto per filo e per segno… “lì c’è il verde, lì c’è la salita, lì spiana…” e l’unica spiegazione davvero razionale che mi passa per la testa è che ci sono in giro i folletti. Probabilmente è anche una questione di concentrazione! Nella domenica di Sabbionare, i folletti e gli elfi sono in giro davvero, ma sono tutti lì per darmi indicazioni di dove troverò la prossima lanterna!

Sono in gara da ormai un’ora e mi sembra impossibile riuscire ad identificare così bene i particolari del terreno che trovo disegnati in mappa. Leggo tutti gli avvallamenti e le canalette ed i cambi di vegetazione, e quando infine trovo il paletto del punto 18 più per culo che per anima (ero salito tra le due collinette più per dare una occhiata intorno che sicuro del fatto mio) mi dico che se avessi abbastanza tempo mi farei dare una seconda cartina (magari la W Elite) per poter tornare nel bosco. La 19, se presa dalla curva della strada a nord est, non è sbagliabile nemmeno bendato perché c’è un “imbuto” (definizione by Andrea Rinaldi) che mi porta dritta al punto. Per la 20 c’è un avvallamento\fossato che parte dalla strada e che va giù dritto al punto come la canna di un fucile. Per la 21 si tratta “solo” di scendere e risalire dalle voragini che si frappongono tra me e l’area di semiaperto, ed alla fine di quell’area mi appare lo zio di tutti i cocuzzoli e so che la mia gara è finita. Persino lo schuss finale è in leggera discesa!

Si. Ok. Le 4 ore successive di commento al microfono saranno a tratti leggermente enfatiche e con un tono che avrebbe fatto passare Giampiero Galeazzi per il conduttore del TG1 degli anni ’70. Ma ormai si sarà capito il motivo per il quale lo speaker va nel bosco prima degli altri: per tutte quelle quattro ore di commento ero ancora pervaso dalla bellezza del bosco nel quale ho gareggiato dalla quarta alla quattordicesima lanterna. E anche dallo spirito sportivo e di amicizia delle squadre che sono venute a Mezzolombardo a ricordare Carlo e Franco.

E, si, dal fatto di essere tornato a casa. Domani mattina si parte per un’altra avventura: Primiero Orienteering Week. Stasera sono a casa, nella mia Fortezza della Solitudine, e mia madre legge qui seduta al tavolo di cucina le parole che senza alcuno sforzo e senza bisogno di alcuna correzione fuoriescono dalla tastiera. Guardo a sinistra, vedo l’orologio del campanile all’altezza della mia finestra. Tres è sullo sfondo, la Forcola non ha il cappello di nuvole e quindi c’è da sperare nel bel tempo.

Sono a casa. Finalmente.

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Post scriptum: oggi al Lago di Coredo ho assistito alla quarta edizione del “Predaia Boat”, una gara sprint per i dragon boat. Ecco la foto dello speaker e della aiutante speaker:

Non sperate di vedermi conciato così alla prossima edizione dei Campionati Italiani Long e Staffetta al Cansiglio! Non ci sperate proprio!!! (ma dove l’hanno trovata una co-speaker come lei?)