Faccia da bronzo (e foto by Gronlait Orienteering Team)
Vi piace lo sport? Vi piace leggere libri che parlano di sport? Vi piace il golf? Pensate che non sia solo una disciplina molto snob? Siete facili alla commozione? Se avete risposto di si alla maggior parte di queste domande, allora vi consiglio il libro di James Patterson e Peter De Jonge “Miracolo alla 17esima buca”. In una delle pagine più belle Lee Trevino (personaggio vero) dice al protagonista Travis McKinley, underdog che si trova improvvisamente al comando degli US Open “E’ tardi, ti lascio riposare. So che non dormirai bene stanotte, ma ricorda che c’è un motivo se sei in testa agli US Open. E non è la fortuna”.
Adesso gli amici avranno capito, questa è la battuta che si attacca a quanto accaduto nell’ultimo fine settimana a Cavalese, Campionati Italiani Assoluti di Trail-Orienteering: finisce la prima giornata di gara ed in testa c’è il Campione del Mondo Stig Gerdtman, e poi staccati a pari merito un altro nazionale svedese Emil Stalnacke e l’affezionatamente vostro Impiegato Panzottello. Il titolo del sito Fiso spara improvvisamente la notizia: “Galletti la sorpresa in una manche mondiale”!
Come sono arrivato ad essere “sparato” sul sito Fiso? Beh... intanto diciamo che la scena della cosiddetta “intervista” riportata sul sito Fiso merita un inciso a parte... Arrivo al ritrovo, dove Pietro I. mi chiede “Allora, come è andata?” E io: “Mah... penso di essere stato fortunato...” poi ho una visione degli orientisti che si sbellicano dalle risate nel sentire che il capofila della classifica (italiana) è il primo a pensare che al trail-O si vince con la fortuna, e subito ingrano una retromarcia alla Paolo Bonaiuti: “Un momento... è una domanda ufficiale?”. Al che quando Pietro mi dice, un po’ sorpreso, che sì... insomma... diciamo che... io proseguo balbettando “Ma... sai... ero lì... è stata una gara difficile... senz’altro superiore alle mie possibilità tecniche... però era difficile per tutti... insomma in qualche punto non ci si vedeva nemmeno bene... però mi è andata bene... ma non dire che ho parlato di fortuna sennò... ecco... cosa vuoi che ti dica... mi è andata bene...”.
Ed è uscita sul sito una frase virgolettata con una consecutio temporum ma soprattutto consecutio accadutorum un po’ rivedibile! (e con questo chiudiamo il capitolo intervista)
La gara. Come è stato possibile arrivare a quel punto, sabato sera, e come sono arrivato a riportare a Milano quella medaglia di bronzo che nel 2010 era stata vinta da Marco Giovannini? Ecco, qui le cose si fanno un po’ più nebulose...
Diciamo che io a Cavalese sono stato molto vicino a non andare neppure: ho scritto altrove che quest’anno gli appuntamenti del trail-O sono passati senza che quasi me ne accorgessi, con poco appeal per affrontare trasferte dedicate a questa disciplina. Tossine della gara 2010 al Parco Forlanini, preferenza per altri appuntamenti, un po’ di saturazione forse... Però PLab, che l’anno scorso non aveva potuto (ammalato) gareggiare a Monte Prat ci teneva a fare bella figura nell’edizione 2011, e non potevo lasciarlo da solo (l’Unione Lombarda Milano perde ogni anno i suoi pezzi più pregiati, terminando con l’amico Rusky e risalendo poi con l’ex Campione Italiano RemMaps, e poi risalendo ancora la coppia Sbrambi&Giuga e ancora nella notte dei tempi Krautrock...). Poi la gara si svolgeva davvero in un bellissimo posto, e la gara del JTT originariamente spostata a Barricata era stata poi cancellata. Infine volevo vedere all’opera Rusky nel Campionato Italiano, visto che era uno dei sicuri favoriti. Il sottoscritto, vista anche l’incolore prova al Parco della Pellerina (unica gara di trail-O fatta dai Campionati Italiani 2010) era lì solo per fare presenza... Solo che durante il lungo viaggio di andata, San Paolo-Rusky deve essere stato folgorato sulla via di Damasco-Cavalese e deve aver avuto qualche visione... sta di fatto che ad un certo punto ha cominciato a parlare del fatto che quest’anno IO sarei andato sul podio!
"Si, certo, come no, sicuramente, ahahahahahah... anzi già che ci siamo... scusa Marco mi ripeti qual è l’altezza minima per considerare i muretti? Un metro? Mi ricordavo mezzo metro...”. Questo giusto per dire con quale concentrazione e con quale preparazione e predisposizione affrontavo due gare che sarebbero state eterne (140 + 130 minuti + i punti a tempo) e di un livello mai raggiunto prima in Italia vista la presenza di un sacco di medaglie mondiali. Podio? Ahahahahahahah... Poi di arriva al ritrovo all’Alpe del Cermis. Parte Marco, parte PLab, in fondo parto io. Primo punto a tempo: quando il signore svedese mi mette in mano la carta ed il tempo parte, io comincio a girarla... e rigirarla... e rigirarla... non mi ricordo più come devo fare ad allineare la carta e la bussola, ad un certo momento penso “Ma cosa devo fare quando sono qui?” (in quel tempo Stig Gerdtman aveva già risposto ai primi due quesiti). Un barlume di lucidità... “Intanto vediamo un po’ queste lanterne... eccole là... quella mi sembra troppo vicino al sentiero, quella troppo lontana, quella non mi dice niente, quell’altra boh?!?... C !”. Credo sia stata anche la risposta esatta...
Non intendo farla così lunga descrivendo tutti i punti di controllo, ma solo dare una idea delle sensazioni provate durante la maggior parte della gara del sabato. Una sorta di inconsapevolezza leggera, di tranquillità interna che talvolta diventava guizzo di intuito e talvolta affondava nel pressapochismo. Fu Garry Kasparov a dire che Bobby Fisher non cercava mai di giocare la mossa del secolo ma si affidava alle mosse “buone anche se non ottime” per portare avanti le partite. Così è stato per me; con un aiuto dal cronometro: poiché sono sempre a corto di tempo (140 minuti possono passare molto in fretta), avere 31 lanterne mi ha obbligato a mantenere basso il livello di “pippa mentale” che scatta ogni volta che comincio a pensare “io so che il tracciatore sa che io so...”. Ho risposto, controllando bene le punzonature, ogni volta che in me si affacciava una ragionevole consapevolezza di aver capito il quesito.
Poi, ovviamente, le gag del tipo “Ma non ti sei accorto che il punto 7 doveva essere nel bianco?”. E io (che però lì ho risposto giusto): “No... a dire il vero non mi è nemmeno venuto in mente...”. E poi gli ultimi contorcimenti mentali sulle ultime due lanterne (molto stanco, a quel punto) valutate dapprima due Z e poi messe correttamente e in extremis come A quando il cervello ha voluto liberarsi dalla “pippa pura” e portarsi su un binario di minima razionalità.
Domenica pensavo di crollare. Insomma, non è che abbia dormito molto bene, come diceva Lee Trevino. Pensavo che mi si sarebbero intrecciate le dita, che mi sarei trovato a balbettare su ogni punto, che sarei entrato in paranoia da risultato fin dall’inizio. Invece, sorprendentemente (per me!), nulla di tutto questo: ho fatto la mia gara onesta, con un risultato da retrovie della classifica, senza pensare quasi mai che “mi stavo giocando il titolo”. In questo sono stato molto aiutato dal fatto che Guido Michelotti, il neo-campione italiano, ha un grande fairplay e quindi ogni volta che ci siamo incrociati sul percorso abbiamo sempre badato come prima cosa a “non pestarci i piedi”. Stalnacke, Fredholm e Gerdtman erano i pochissimi attorno a noi, come un gruppetto sparuto di persone intente ad esaminare i punti (non come il giorno prima quando su alcuni punti di controllo eravamo al limite della adunata sediziosa!). Come ho detto, la cosa più sorprendente per me non è stato il risultato che mi ha visto scendere al terzo posto nella classifica italiana, ma è stato il fatto che non ho avuto durante tutta la gara pensieri negativi, o pensieri oppressivi legati al risultato o legati alle risposte che stavo dando: sono entrato sul campo di gara, ho cercato di trarre il meglio dai 130 minuti di tempo e dai 4 punti di controllo a tempo finali. E non mi sono né depresso al livello di sconfitto né innalzato al rango di eroe quando la classifica finale ha dato il suo responso.
Non sono crollato emotivamente, e questa è la cosa più incredibile che porto a casa dalla due giorni di Cavalese. Questa ed un tocco tondo di metallo color bronzo, con al centro il logo Fiso, che non ho ancora tolto dal portafoglio! Perchè in fondo, ma proprio in fondo, anche l’impiegato panzottello che è in me (anzi che “è” me) è tornato a casa un po’ più fiero ed un po’ più tronfio di come era partito. E persino SHAron D. OWen questa volta non ci ha trovato nulla da ridìre!!!