On the rocks… again!
Tre giorni
tra le rocce. Il primo giorno con il fisico, il secondo giorno con la testa, il
terzo giorno con il cuore e l’anima. Ma c’è per caso un modo migliore per
cominciare la stagione nazionale 2016? Forse no. Abbiamo trovato pure il sole,
primaverile, quello si… un primaverile decisamente tendente all’estate, un sole
che fa correre senza termica anche se è
il 18 marzo; un sole che rende ancora più attraente una notevole arena di
gara che di suo offre già il prato tagliato a raso ed il lungo schuss finale tra i pini fino al
traguardo (ok: non oso pensare a cosa sarebbe successo in caso di maltempo!).
Poiché sono
notoriamente prolisso, chi ha avuto la ventura di ascoltarmi sabato e domenica
non aveva bisogno della precisazione, potrei
riempire pagine e pagine di blog con la descrizione di questa personale “3
days on the rocks!” (in sottofondo la voce di Eddie Valiant che chiede “Ghiaccio! Non rocce!”). E lo
farò! Ma per favorire gli amici che “non
posso mica prendere le ferie per leggere il tuo blog!”, adotterò dapprima
una versione corta, prendendo a prestito l’ispirazione dal padre putativo (o
figlio adottivo) di una generazione di poeti ermetici, l’orientista il cui
volto ha sconfitto la Sfinge egiziana
nella semifinale del Campionato del Mondo di “ci guardiamo dritto negli occhi e il primo che ride ha perso”:
Alessio “ZZI”
in Larrycette. Se toccasse a lui scrivere questo blog, ecco come verrebbe fuori
la mia tre giorni:
Gare ottime. Corso alla grande. Birra
buona
Credo sia
tutto. Tutto l’essenziale intendo. Poi giù cartine di gara come se piovesse, ed
i commenti li lasciamo ai lettori che vanno a vedere se poteva essere
migliorabile o no la traccia GPS lasciata in mappa dal Master vinicolo furlan…
NO! NO! Triestino! Sennò lui e
Andrea Margiore poi vengono a picchiarmi a casa (Andrea mi stava già insultando
e non aveva ancora tagliato il traguardo di Pieve di Soligo…). Ok, bene l’ermetismo,
eh?, ma non benissimo per i miei standard un po’ più parolai.
Se fosse
toccato a Larrycette
in ZZI scrivere queste parole, il tutto sarebbe venuto fuori in un altro modo
ancora…
“Premesso che non sono più un orientista anzi
non ho mai fatto orienteering in vita mia e no non ero io quello che girava con
il radar tra le rocce di Barbisano era un sosia ed era un sosia anche quello
che è passato a palla di cannone dal punto spettacolo di Pieve di Soligo
appunto lo dicevo io se è passato a palla di cannone ed aveva il radar non
potevo essere io…”
Eccetera.
Solo che,
una volta scritte queste cose, il mio blog passerebbe a parlare di Bruce
Springsteen, di Vinicio Capossela e del fatto che, avendo a disposizione solo
il Dolce Forno della pubblicità di Topolino, non potevo sfamare più della metà
dei partecipanti alla Coppa Italia. E giunto a questo punto, onestamente mi
perderei perché: in quanto a gusti musicali i miei sono pessimi (l’Ipod che vi trita le orecchie ad
alcune gare stato recentemente integrato
con alcune new entries recentissime tipo “A whiter shade of pale” di Procul
Harum e “Hurricane” di Bob Dylan… tutta roba che conoscono solo i superMaster over-età-del-TRex), e in quanto a
capacità culinarie, la cosa che mi riesce meglio è l’uovo sodo-molto-sodo (che
peraltro mi piace tanto). Scrivendo “peraltro”, ecco spontaneo il collegamento
con il blog più letto del reame: Dario P. avrebbe iniziato il suo pezzo
scrivendo:
“Sono ancora capace!
Questo è sicuro! Una gara così, con 30… diciamo 45 secondi di errore in tutto…
non me la ricordavo dai tempi della OriCup di Madrano, o forse era la finale
del Campionato Italiano Middle? Comunque, parlando di tempi, ecco che per
andare alla 1 il mio tempo di gara è stato di 5’11” con oltre 5 minuti di vantaggio
su Maurizio Mel...”
Eccetera.
Ma
diciamocelo pure. Delle MIE scelte (non di quelle di Dario) e dei MIEI parziali
di gara non potrebbe importare di meno a chicchessia… forse solo a Marco
Giovannini ma per dirmi subito che sono rimasto veramente scarso, sia
tecnicamente che fisicamente, se dopo aver parlato a destra e sinistra dei miei
allenamenti, e dopo 20 anni di orienteering, ci metto ancora poco meno del
doppio del tempo del vincitore a finire la mia gara.
Ecco: questa
faccenda del “doppio del tempo del
vincitore” era uno degli obiettivi di inizio stagione, per raggiungere il
quale mi sono sottoposto a parecchi allenamenti in più. Nel finale di stagione
2015, causa complicità di altri eventi esterni e anche poco piacevoli, non ero
più riuscito a rimanere entro un distacco dal primo classificato almeno
“decente”, almeno per evitare di sentirmi dire cose tipo “ok… abbiamo capito che questo non sarà mai il tuo sport… grazie per
averci provato ma guarda che anche il calciobalilla è tanto divertente”.
Di
conseguenza il primo giorno della mia personale Three days on the Rocks (peccato che la birra non me l’ha portata
Jessica Rabbit, ma nemmeno il pinguino) è stato il giorno del FISICO. Metterci il fisico. Arrivare a
Barbisano pompatissimo dopo un viaggio in treno fino a Padova passato a
studiare la carta di gara, facendo tesoro degli insegnamenti di Elena Roos (una
che ormai a stare sul podio con Simone Luder ci sta facendo l’abitudine) e provando ad inventare più di un
percorso nel Rock Labyrinth per memorizzare la posizione delle poche tracce e
dei roccioni più evidenti. Arrivo in partenza accompagnato da Elia Vettorel, mi
libero del peso superfluo e poi parto ABBOMBAZZ…!
… No. Abbombazza proprio no.
Sul primo
punto me la sono presa proprio comoda, perché girando attorno al vigneto e poi
salendo lungo l’avvallamento ed il sentiero ho studiato comodamente tutta quanta la zona del “warm up”,
cioè tutto quanto il campo di gara che mi portava fino al punto spettacolo,
all’ingresso di quella parte di campo di gara che costituiva il VERO MOTIVO per
essere venuto a Barbisano a correre: il Rock Labyrinth, appunto. Carico
emotivamente ma tranquillo, bombato di Nutella e di gel Enervit, con i muscoli
delle gambe tesi e stirati e contratti e rilassati per due ore e mezza in treno
(finché il tizio di fronte a me, che andava a Venezia a fare una presentazione
per un congresso medico, ha pensato che io gli stessi facendo un approccio fisico). In quei primi
minuti ho capito una sola cosa: vai con i sentieri e le tracce!, corri più che puoi che la gara si fa
nel finale tra le rocce! Ho messo a tacere la vocina che mi ripeteva “gareggi per l’ultima posizione in classifica
e vai a cercare i sentieri? Ma almeno sii uomo e vai dritto in bussola sotto la
linea rossa!” (o era la voce di Marco Giovannini?). Diciamo che il già
citato Maurizio e poi Loris D’Errico, sempre santi siano gli amici con i quali
fare quattro risate dopo la gara, hanno dimostrato nei fatti di essere stati un po’ più arditi di me…
Sentieri
quindi. Mi appoggio ai sentieri, sfrutto i sentieri, vado a cercare i sentieri.
Le lanterne stavolta mi corrono veramente incontro facendo ciao con la manina! I vigneti sono un punto di appoggio
formidabile. Quando piombo addosso alla 6 mi sento Batman (che sono capaci tutti
di fare Batman con l’aiuto della BatMobile… ehmmm… di una traccia di sentiero
proprio prima del punto!). Alla 7 mi fermo qualche secondo sulla piazzola
appena ai piedi della roccia prima di buttare l’occhio di sotto e trovare il
telo arancione… come sarebbe a dire IL TELO
ARANCIONE? Si, o cari! L’Orienteering Miane, per farmi fare la gara nelle
migliori condizioni, aveva finito di posare tutto nel primo pomeriggio di
venerdì (grazie! Ancora grazie! Sentitamente grazie!). Giro antiorario e un po’
largo alla 8, ma si rivelerà una buona scelta (fatta anche da Marco Seppi)
perché l’inghiottitoio sul fiume mi avrebbe fatto perdere tempo e morale. Per
andare alla 9 scalo la parete di terra e, giunto a due metri dalla cima, mi
accorgo che ho bisogno di entrambe le
mani per aggrapparmi: prendo carta e bussola e le lancio di sopra, dove
spiana, mi aggrappo a tutti i fili d’erba e mi isso in cima. I primi punti tra
le rocce, quelle “non sull’ingrandimento 1:3500”, li faccio con calma… perché
adesso è ora di preparare il Rock Labyrinth, ma come faccio a rallentare quando
il bosco mi scaraventa verso il laghetto e da lontano ho già la visione del
punto spettacolo che mi aspetta?
Passo al
punto spettacolo in 53 minuti netti, e adesso so che la cosa si fa spessa. Faccio la mia scelta fino al primo punto:
traccia, traccia, traccia, curva della traccia, dentro nel bosco-avvallamento-roccia
e lì dietro ci dovrebbe essere il mio punto E C’E’! Fuori di nuovo… traccia
traccia traccia… vado appena lungo ma raggiungo un sentiero più grande che mi
ributta dentro, e questo mi consentirà di “marcare” con il tacco per terra
l’ingresso per la lanterna 20 (non si fa? Mandatemi Vladimir Pacl e i suoi regolamenti che ne riparliamo…). Ancora traccia traccia giro attorno
alla roccia, sella tra le rocce E C’E’ ancora! (è la fettuccia 83 grande come
un rotolo di carta igienica, ma c’è).
Poi via di
nuovo, andando dentro e fuori dalle tracce. Non me la sento di girare a vuoto
dentro al bosco aggirando le rocce, bravi coloro che ci sono riusciti o che
hanno anche solo pensato di riuscirci. Ma io non voglio buttare nel cesso proprio
adesso tutta la fatica che ho fatto, anche se sono mentalmente condizionato che al primo errore mi devo buttare
fuori e fare il giro del fullo per ricollocarmi e rientrare nel labirinto.
Però.. penso che la 20 in fondo l’ho già trovata e devo solo ritrovare il segno
del tacco sul sentierino E LO TROVO, e poi trovo anche la lanterna che
occhieggia a 15 metri. E infine mi ributto fuori verso il prato, comincio ad
essere stanco morto, ma manca così poco e voglio arrivare all’arrivo e far
esplodere il cuore. Il prato di arrivo è così vicino, sento le voci di chi sta
allestendo l’arena e, a costo di vomitare l’ultimo atomo di gel, voglio
arrivare al traguardo! 1 ora, 7 minuti e 11 secondi. Per una gara middle
(quelli bravi ci fanno una long distance…) ma almeno stasera potrò scrivere ad
Ercole Pin che stavolta le rocce non mi
hanno sconfitto, che volevo la mia vendetta (quanto mi ci ero perso tra
quelle rocce l’ultima volta) e l’ho avuta! Due calcoli a mente, e penso subito che
sarà difficile che qualcuno dei nazionali impieghi meno di 33’36 secondi per
finire quella gara, e che quindi potrei rimanere anche questa volta (d’altronde
lo faccio da inizio stagione, e mi sono già confrontato sia con Tobia Pezzati
che con Andrea Seppi) attorno al 90% in più del tempo del vincitore.
E fu la sera
del giorno FISICO, e poi fu mattino.
Secondo
giorno. Il giorno della TESTA.
E’ sabato mattina
e non ho nulla da fare. Ma il Rock Labyrinth è lì, a pochi metri dal posto dove
dormo. Quindi, perché non approfittarne per vedere dove passeranno anche le
altre categorie? In fondo l’Elite maschile ha solo 4 punti nel labirinto…
detto? Fatto! Carlo Pilat mi allunga la “tutti i punti” della zona delle rocce
e, seppur che sono vestito come per la
Messa di domenica, indosso di nuovo la mia bussola e vado a battere palmo a
palmo tutta la zona. Primo shock: ci saranno almeno 15 punti in quell’antro
infernale (o paradisiaco, a seconda del risultato finale); non importa: ancora una
volta vado dentro e fuori dalle tracce, mi immagino dove potrebbero incrociarsi
i percorsi dei più forti nelle varie categorie, dove potrebbero giocarsi la
gara o rischiare il tutto per tutto per una rimonta dell’ultimo secondo (e
succederà, oh se succederà!). Mi
guardo ancora i miei punti di controllo, arrivo alla 83 e stavolta il telo c’è…
e ti credo: l’ho ri-posato io! Arrivo alla 86 e, come nei miei giorni
tecnicamente migliori, trovo solo la fettuccia. Torno all’arena di gara e dico
“manca la 86! Manca la 86!”… era l’ultimo punto ancora da posare, mannaggia!, e
mancava davvero! Mi sono fatto venire un colpo per niente…
Trasferimento
a Pieve di Soligo per la gara di sabato pomeriggio e… si, qui voglio prendere a
prestito proprio le parole di Dario P., perché come ha descritto lui la zona di
gara non sarebbe capace di farlo
nemmeno Spielberg:
“…
per fortuna gli organizzatori devono aver raso al suolo il quartiere vicino al
fiume per costruirci un complesso pieno di scalette e sottopassi, e il
tracciatore ha avuto una certa fantasia. Insomma ne è venuta fuori una gara
divertente”
Parto forte, o almeno credo a
giudicare dalle sensazioni nelle gambe (“forte” è SEMPRE da intendersi “per i miei standard”… perché voglio sempre rimanere dentro quella
soglia del doppio del tempo del vincitore). Mi faccio su un po’ da solo alla 1,
mentre per la 5 scelgo il giro da nord con il risultato che passerò per TRE
VOLTE nel giro di un minuto e mezzo davanti ad una signora che staziona sulla
panchina al termine sud del muro di cinta e che sta pascolando il cane (la
terza volta mi guarda seriamente intenzionata a chiamare i carabinieri, perché
ansimo come un maniaco!). La tratta lunga per andare alla 10 non mi prende
proprio benissimo, ma finisco per passare due volte davanti ad un bar nascosto
dal numero 10 che ha fuori un bel po’ di gente, e quindi voglio farmi vedere bello tonico e scattante nei miei
colori turchesi dell’AGET Lugano (combinati con orribili pantaloni rosso fiamma
al ginocchio, in un “pendant” che nemmeno uno stilista strafatto di LSD…).
Cambio carta
e… ah! Ma si torna nella zona iniziale del delirio?... Cerco di districarmi
nelle piccole piazzette e sulle minuscole scalinate, anche se in almeno un paio
di occasioni ho una titubanza perché sembra che sto per infilarmi dritto in casa di qualcuno (ma se leggessi la
carta, e anche quella carta avesse un INGRANDIMENTO!, avrei meno problemi) ed
ho ancora le forze per sprintare attorno
alla aiuola con la 15 e buttarmi nell’ultima parte di gara, che è decisamente
più filante ma che tollero meno perché le gambe cominciano ad essere davvero
stanche. Incrocio Mauro Loss in fase di controllo, mi butto sulla collinetta
della 18 sprintando ancora per farmi vedere sempre tonico dai bambini (e dalle
mamme) che giocano nei pressi. Evito di incasinarmi tra i piccoli recinti della
19 (bastava arrivarci da ovest e non da est!) ed ancora una volta sto tornando
verso il traguardo; sento il brusio dei 500 partecipanti in piazza e accelero
fino all’ultimo metro per cercare di farmi vedere per il minor tempo possibile,
e da meno gente possibile, mentre
taglio il traguardo “scavalcando” l’arco gonfiabile che era ancora a terra. 26 minuti
e 10 secondi. Un rapido calcolo: Seppi ce la farà in meno di 13’06”? Mmmhhh…
potrebbe… potrebbe farlo. In cuor mio, mentre mi cambio ed i muscoli delle
gambe lasciano che il sangue fluisca verso la gola dello speaker, spero davvero
di no: ho dato tutto il “tuttibile” (o il “dabile”), e non voglio pensare di
esser doppiato da Andrea o da Ricky o da Zagor. Alla fine Andrea ci metterà 14’07”:
il mio tempo è superiore al suo del 85%, quasi come alla sprint notturna del
Lago Nord! Missione compiuta atleta Stegal!
E fu la sera
del giorno della TESTA e di Eleonora Donadini, e tornò il mattino.
Il mattino
del giorno del CUORE e dell’ANIMA.
Cosa rara. Non ho praticamente nulla da fare. Gli
amici che mi vedono passeggiare ad un orario umano per l’arena di gara, ed in
condizioni fisiche decenti, mi chiedono “stavolta
non hai fatto la gara prima di noi, vero?”. Ed io rispondo “certo
che l’ho fatta anche stavolta!”, lasciando in un minimo di dubbio a
quale razza di orario io possa aver lasciato le coperte per infilarmi nel bosco
(adesso lo sapete!). In realtà, se il mio fisico non ha nulla da fare, il mio
cuore e la mia anima hanno molto da fare, perché voglio che sia una giornata da
ricordare e voglio svolgere il mio compito nel modo migliore possibile. La mia
postazione speaker è ai bordi dell’arena: vedo distintamente il passaggio a
bordo del laghetto, la breve e dolce salita che porta al punto spettacolo, il
corridoio fettucciato che porterà gli atleti tra le nuvolette del Paradiso o
nella bocca dell’Inferno…
E’ in quei
momenti che io non sono più alla
postazione speaker di Barbisano.
Io sono all’ingresso del Carrefour de l’Arbre, e
sto aspettando il gruppetto dei fuggitivi che si giocheranno sulle ultime
pietre la gloria della Roubaix.
Sono
all’inizio della salitella di
Lillehammer, quella che poi butta giù verso i centomila dello stadio che
aspettano Bjorn Daehlie e si trovano davanti Silvio Fauner.
Sono all’ultimo minuto del secondo tempo
supplementare, e Del Piero ha battuto un calcio d’angolo, e poi la palla va
fuori e Pirlo la addomestica e potrebbe tirare lui… ma non tira lui verso la
porta, passerà a chi tirerà fuori una curva impossibile come quella che può
avere solo la schiena perfetta di una modella.
Sono al rifornimento del quarantesimo chilometro
della maratona di Seul, e davanti c’è uno di Gibuti, poi un keniano e solo dopo
arriva il ragazzo con la canottiera bianca, quello con il volto tirato, quello
che è stato staccato qualche chilometro prima… quello che sa che mancano ancora due chilometri!
In fondo, come ha detto Elia Vettorel, la
gara di Barbisano, e talvolta anche la vita, fino a un
certo punto “è tutto warm up”, è una
cosa quasi normale, ti serve per il dopo; poi non conta più “quello che c’è stato prima”: conta solo il
momento nel quale si sente la campana che suona. E io stavolta sono ben
intenzionato a far sentire alle ragazze ed ai ragazzi che questa volta la
campana la farò suonare io!
Il resto è
la storia che tutti conoscono. Passano quelli come Lukas Patschedier, con il
suo vantaggio irreale che manterrà fino in fondo. Poi ci sono quelli come Miki
Caraglio, che arriva con Ricky Scalet ed ha
la gara saldamente in mano… e se la lascia sfuggire al primo punto tra le
rocce per passarla a Mamleev, che poi la passa a Marco Seppi, che poi la passa
a Roberto Dallavalle, che infine la ripassa a Miki per una manciata di decimi
di secondo. C’è Christine Kirchlechner, l’atleta più avvezza alle “pressioni
dello speaker”, che passa anche lei con un bel margine di vantaggio ed avrebbe
sulle code Emilija Gvildyte a guardarle le spalle… ma poi Christine non esce
più dal bosco (la lituana si!) e consegna la gara nelle mani di Nicole Scalet.
E infine ci sono quelli come Fabiano
Bettega, con il quale andrò a scusarmi nel dopo gara e che mi regalerà il
commento più bello della giornata:
“Scusarti? Perché? Anzi… quando sono passato
e mi hai detto che avevo un bel vantaggio, mi hai messo tranquillo… sapevo di
potermi permettere un errore. E infatti ho sbagliato subito! Ma ero tranquillo,
perché sapevo di avere ancora vantaggio, e ho sbagliato ancora, e poi ancora!
Succede, non è mica colpa tua”. Grazie
Fabiano!
E infine venne
il momento di riprendere FISICO, TESTA, CUORE e ANIMA e riportarli a casa,
perché mi serviranno ancora, e molto presto. Ma si tratta di un fisico, una
testa, un cuore ed un’anima sui quali il weekend di Pieve di Soligo e Barbisano
ha lasciato un marchio che difficilmente verrà via. Che divertimento che è
stato!