Stegal67 Blog

Tuesday, August 28, 2007

Il mio nome è Nessuno

Tre su tre. Ovvero tre fallimenti su tre. Neanche questa volta ho superato l’esame Sega di Ala. Due anni fa… 101 chili di mozzarella bianca con gli occhiali che si scapicollavano su e giù per i pascoli. L’anno scorso “il volo a planaaaaaaa-re” dentro al filo spinato, con conseguente perdita di maglietta, pezzi di pelle, e l’arrivo al traguardo pesto e sanguinolento sotto l’occhio vigile della telecamera.Quest’anno? Speravo meglio, molto meglio dalla prova middle. Credo che un po’ del mio risultato sia dipeso dal fatto che, tra una menata e l’altra, il viaggio casa-Sega sia durato troppo. Stanchezza, certo. Magari un po’ di voglia di strafare visto che è una delle ultime prove del 2007. Magari un po’ di dolore alle parti nobili… Arrivando alla partenza con Attilio, mi scopro inondato di sudore gelato, come sotto una doccia ghiacciata. Forse avrei dovuto rinunciare: non è andata come a Bedolpian, ma forse per me è stata peggio. Perché a Bedolpian, almeno, non mi ero accorto di tutto (non so ancora oggi come sono arrivato su alcune tratte).
Partenza tranquilla. Giù nel prato a lambire le rocce. Lanterna fatta bene, senza problemi (avviso ai naviganti: “fatta bene”, vuol dire “fatta bene per le mie possibilità”: se mi cercate tra i migliori tempi avete sbagliato strada…). Seconda lanterna e seconda buona tratta; segue piccolo equivoco: ci sono delle persone che ravanano in zona, io esco dal punto e sento una voce che chiede “I due sassi?” “Si” rispondo, e vado giù verso il sentiero. In vista del sentiero sento di nuovo la voce, dubbiosa della mia direzione; mi volto e dico “Guarda che i due sassi erano là dove mi hai visto!”… un piccolo equivoco. Tre girando largo attorno alla macchia di verde e quattro a farmi raggiungere da Mirko Dal Bello, che con Lari mi lascia lì sul prato verso la 6. Sei che faccio bene, infatti alla 7 e alla 8 c’è un gruppetto con Gambini, Dal bello, Lari ed io… io sarei l’intruso.
Per andare alla 9, i miei 3 compagni di avventura si scapicollano giù per strade diverse. Io non posso tenere il loro ritmo e opto per una scelta azzardata: in costa sulla tratta lunga, sperando di rivederli in fondo alla loro discesa-salita. Sarà la mia fine: una costa perigliosa e molle, con tanti ostacoli ed una infinità di tempo ed energie perse. Infatti mi ritrovo sotto la 9 e l’ago dell abenzina segna zero. Non vicino a zero, non asintoto orizzontale verso lo zero… zero. Più energie, più niente. Mettere i piedi uno davanti all’altro diventa una impresa. Salgo alla nove e mi fermo nella buca ad aspettare Dario Stefani, poi verso la 10 mi stacca Plab. Cerco di darmi un contegno verso la 11 ma la trovo solo perché Remo De Florian mi viene incontro: lui cerca la 1 e quella lanterna è la sua 7… Verso la 12 mi supera Fritz, ormai io mi muovo come un automa, e per salire alla 13 Mary vede arrivare una specie di moviola umana senza arte né parte. Finale accasciato, qualche minuto per riprendere le funzionalità elementari e tutto i pomeriggio per riprendere fiato, cercando nel frattempo di pubblicare l’intervista a Klaus dall’Ucraina tra le onde sinusoidali di una rete internet deficitaria.

Una buona notte di sonno e via per tappa 2 della Due giorni della Lessinia. Sarebbe la tappa long, ma sono più in forma del giorno precedente. Parto piano e cerco di tenere lo stesso passo per tutta la prova: e mi diverto! Non sono certo stato un razzo tra le rocce ed i pascoli, su e giù per i collinoni in mezzo alle mucche, ma almeno ho presenza di spirito per fare le mie scelte, per valutare dove andare e cosa fare. Lo faccio lentamente, quello sempre, ma almeno con cognizione di causa. Attorno a me non c’è più Aaron come a Nova Ponente: questa volta c’è il duo del TOL Heike Torggler e Martin Thomaseth ad essere più volte nei paraggi mentre mi aggiro tra le rocce, talvolta con le lanterne messe un po’ troppo nel verdone (secondo me) a punire concorrenti che hanno già dato il meglio di loro in salita… ma il verdone e la salita sono un problema mio e quindi il mio voto per i tracciati è positivo. Mi sarei accontentato di finire attorno alle 2 ore di gara (ad un certo punto ho pensato che la mia media gara fosse proprio quella), finisco in 1h42’, lo so lo so… ad una vita dal vincitore, ma chissenefrega? Mi sento anche io un vincitore quando posso terminare una gara lucido, quando posso contare sulle energie per rientrare a casa senza pesare troppo sui miei compagni di viaggio, quando posso sedermi al computer e cominciare a scrivere il pezzo che sarà completato dalle classifiche inviatemi da Roberto Gelmini già in serata. Io promuovo la Due giorni della Lessinia, e mi piacerebbe tornarci un’altra volta, e trovare magari un po’ più di partecipanti!

Note a margine, per chi è arrivato fino in fondo.
1) sono arrivate le peppe nuove!!!!! Falcon color oro prenotate via internet. Numero 50. Oh yes! Però la ricerca continua… Falcon color oro! Non ci credevo proprio. Faranno un po’ “sborone”? Mi sa di si…
2) l’inglese di qualcuno è messo peggio del mio. Chiedo lumi via e-mail su come è possibile seguire una certa gara via internet… mi rispondono con tutto l’itinerario del viaggio da casello a casello stile ViaMichelin da Milano fin giù nei Carpazi! Non era esattamente quello che avevo chiesto
3) oggi ho visto la mia nuova scrivania al Lingotto di Torino. Carina, ma preferisco quella di Parma, ed il cibo di Parma, e la compagnia di Parma, ed il Parco di Parma. Dove andrò ad allenarmi quando sarò a Torino?
4) ... come Hiro Nakamura in Heroes... me ne vado anche io a spasso nel tempo: Mario Ruggiero (Nirvana Verde) è diventato nel pezzo per il sito Fiso Mario Ruggiero (IK Prato). Come dicevo una volta, quando sarà presidente IOF vieterò i campi di società: si parte con una società e si finisce con quella. Poi io sbaglierò lo stesso!
5) Perché “Il mio nome è Nessuno”? Mica vorrete sapere tutto in una volta sola…!!!!! J Quando sarò convalescente e non avrò niente da fare, svelerò il (banale) mistero di cui i miei compagni di avventura alla Due giorni della Lessinia sanno già la soluzione

Tuesday, August 21, 2007

Se non si fosse capito leggendo tra le righe del pezzo apparso sul sito Fiso, a Nova Ponente – Deutschnhofen mi sono proprio divertito! Per il modico prezzo di 5 euro di iscrizione ho potuto godere di un panorama stupendo al mattino quando siamo saliti da Bolzano, di un bel luogo di ritrovo sul prato sotto un sole caldo il giusto, di un bel percorso M35 da 12 chilometri sforzo e della compagnia di parecchi orientisti impegnati a toglieersi di dosso la ruggine accumulata nelle settimane estive (falso! Si sono allenati tutti come bestie!).

I motivi della mia felicità sono vari ed eventuali. Oltre ai motivi coreografici (ambiente, compagnia, verde smeraldo dei boschi, quasi totale assenza di traffico al ritorno), vista l’ernia galoppante che mi costringe ad indossare una specie di “comprimi zona erogena” nero non potevo essere del tutto sicuro di terminare la prova. Il risultato, quindi, mi rende felice: un ottavo posto che può essere letto come “ottavo su tredici”, oppure come “si, però ultimo in classifica”, o come “no, ultimo dei classificati” o come “e ho anche battuto Beltramba e Candotti”, o come “eh già adesso hai battuto anche Casagrande che era a casa col colpo della strega” (in bocca al lupo Enrico!!!)...
No. La lettura è una sola. Ho fatto la gara, sono stato in giro 2 ore e 5 minuti e sono contento così!

L’inizio della gara faceva presagire tempi ben oltre il limite della decenza: prima lanterna molto breve (cfr. il blog di Rusky per la cartina) e un minuto perso a 10 metri dal punto a girare attorno ad un sasso simile a quello dove era effettivamente il punto. Punto 2 più tranquillo, fatto benino e senza perdere lo sproposito di tempo di Rusky, e punto 3 indecente a cercare la parete rocciosa ben lontano dalla strada. Perchè? Perchè ero convinto che la scala fosse 1:15.000 no??? Incredibile, faccio ancora errori di questo tipo... mi ero preparato il giorno prima sulla carta della finale di Coppa Italia e avevo in mente ancora la stessa scala. Me ne sono accorto alla 8, quando avevo già toppato la 5 (ma mi sono ritrovato in cima ad un bell’anfiteatro di rocce a vedere passare di sotto il “quarterback” Denny Pagliari... belle le rocce, ma scendere da lì è stata una cosa da discesa in corda doppia!), la 6 e la 8 (e si che 15 metri sopra la mia zucca vedevo Francesco Lari punzonare la sua lanterna... ma io niente! Dritto come un fuso!). Impossibile sbagliare la 7: tutta in salita, tutta camminando, tutta rantolando, in mezzo ai tafani (anzi, ai “Parma” finlandesi).
Ed è passata la bellezza di 53 minuti... guardo la carta, mi chiedo se ce la farò... e vedo la scala 1:10.000! Mavàadàviaiciappp.... adesso mi tornano un sacco di cose (la 3 ero pronto a scommettere che fosse nel posto sbagllato, troppo vicino alla strada, e invece ero io che sbagliavo). Da lì in poi ho preso il mio ritmo blando, l’unico tentativo di accelerazione in discesa (tratta lunga verso i pratoni) è stato subito frenato dai segnali di red alert dalla zona compressa nel bassissimo ventre; ma questo mi offre la possibilità di vedere meglio quelle meravigliose zone di bosco, di veder passare con calma Aaron Gaio e Segatta, Gaio e Cavazzani, Gaio e ancora Lari alla fine del ricciolo a nord, Gaio e Corradini, Gaio da solo... praticamente ogni volta che mi giravo c’era Aaron da qualche parte! Bella la parte centrale, bellissimo il finale incrociando il Prof. Mengarda con esordiente al seguito, Mirta un po’ distrutta e Vera distrutta del tutto, e poi le ultime lanterne nel bosco sudtirolese dei miei sogni (ma anche Meltina e Maranza vanno benone), fino a chiudere sopra le due ore ma sempre attorno ai 10 minuti al kmsf che mi competono di diritto.

Seguono chiacchere in libertà con orientisti felici e contenti di ogni genere, sesso e grado, la felicità per il terzo posto della “convocata nostra” al secolo Bibi Borroni, qualche parola con Denny e Martina sulle prossime gare nel pavionese e nel primierotto, due risate con il Trent-O (Andrea, Fritz, Alex e Manuela) ed è purtroppo ora di tornare a casa. Ma perchè casa non può essere lì? Per fortuna poca coda o quasi niente fino a Milano... sennò oltre alla beffa di lasciare il paradiso sopra Bolzano anche la beffa di impiegare ore e ore e ore per tornare alla vituperata casetta in periferia sud della Milano da bere.

Saturday, August 04, 2007

Un paio di scarpe.

Non è il titolo di uno dei primi gialli di Ellery Queen, tra l’altro uno dei meno nobili e di quelli che meno mi hanno colpito di tutta la produzione di Lee e Dannay. No, si tratta dell’oggetto cui mi sono dedicato per completare le pratiche relative all’O-Ringen 2007: il mio paio di scarpe, il mio paio di Botas bianche e azzurre (che con la tuta “Finlandia 1965”, come dicono Dalen e il Brusa, mi fanno tanto gelataio…) che si sono quasi, spero non, definitivamente distrutte nel corso dell’O-Ringen. Poverette. Sono sopravvissute al mio dolce peso ancora per le 5 tappe svedesi, hanno attraversato con me paludi, acquitrini e pianure di fango. Le ho pulite ad ogni tappa fino all’ultima: l’attraversamento della palude per la malefica lanterna 46 le ha lasciate coperte di uno strato di guano che è tornato il Italia con me, chiuso in un sacchetto. Fino a stamattina. Quando ho preso il coraggio (e il doccino “getto violento”) a due mani e mi sono deciso a concludere anche questa pratica.

Penso che nel mondo dell’orienteering ci siano poche persone legate alle loro scarpe quanto il sottoscritto. Anche Plab, nel suo blog, ha scritto qualcosa dell’”Orientista con i problemi alle scarpe”. Quelle Botas arrivavano da lontano, per la precisione dalla 3 giorni di Boemia di tanti anni fa. Mi lasciano adesso nelle mani (strano da dirsi per un paio di scarpe) dell’ultimo paio di Falcon acquistato due anni fa in Scozia alla 6 giorni. Se faccio fuori anche queste, avrò seri problemi!
E pensare che il commento, arrivando in terra di O-Ringen, era: “Pensi di non trovare il tuo numero al tendone Team Sportia all’O-Ringen?” Ci ho sperato, ma alla fine non ho trovato nulla. Mi sono aggirato tra mura di scatole di scarpe puntando ai numeri più alti: niente! Ho chiesto a tutti gli espositori: niente! Un paio di loro mi hanno messo in mano i pezzi più grossi della collezione: niente! Sempre corte di un numero o di mezzo numero. Attorno a me, frotte di persone provavano scarpe potendo scegliere il mezzo numero in più o in meno, il colore, il modello, il prezzo… io niente! Avrei preso ogni cosa che avessi trovato, indipendentemente dal colore o dal modello…

Il bello è che all’inizio i venditori non capiscono. Vedono queste scarpe che a loro sembrano enormi, e pensano che sia impossibile che un piede non ci entri. Vedono me, che non sono altro 3 metri ma sono comunque abbastanza proporzionato, ed il mio piede non spicca certo come quelli di Pippo. Poi vedono che io scuoto la testa e pensano al solito cliente rompicog…oni che fa solo perdere del tempo senza decidersi per l’acquisto. Col tempo, ho imparato a scuotere la testa e a piazzare piede e scarpa sotto il naso del venditore, per far capire dove finiscono o in che stato sono le mie dita. Così mi risparmio tempo e fastidi. Negli anni, la difficoltà di trovare le scarpe ha assunto talvolta connotati divertenti e talvolta anche frustranti, ed è stata fonte di avventure.

La storia delle scarpette da ginnastica l’ho già raccontata. Quando ho cominciato a giocare a pallacanestro avrei potuto trovare le scarpe da AllBasket, vicino alla sede dell’Olimpia. Ma costavano una cifra! Le mie prime scarpe da basket sono state di una marca mai più sentita: BS. Mai sentita? Neppure io fino e dopo allora. Scarpe pesantissime. Due macigni, come disse il mio allenatore. Ma solide e forti che ci avrei potuto tirare giù un muro a pedate. Passato al Billy Milano, ebbi bisogno di scarpe alte, per fasciare le caviglie (le BS erano basse). Le trovai, assurdità, al mercatino di Pesaro dove eravamo in trasferta: un tale aveva in stock delle scarpe alte di un’altra marca mai sentita: PONY. Ne aveva 5 paia del 49 e mezzo, bianche e rosse come i colori della Scovolini Pesaro, e costavano niente. Gliele comprai tutte. Tutte… ci provai. Quello non me le voleva vendere tutte: mi diceva che non poteva restare senza nel caso in cui fosse arrivato un altro acquirente… ma che razza di venditore era? Se arrivava un altro avrebbe venduto l’ultimo paio e sarebbe rimasto senza lo stesso! Niente… ho insistito per 20 minuti, perché ho la testa dura, ma lui ce l’aveva di più. Spero che quel paio di scarpe gli sia rimasto sul gozzo fino a quando ha chiuso bottega!

Con queste paia di Pony tirai avanti parecchio (resistenti: l’ultimo paio ce l’ho ancora, un po’ massacrato ma ce l’ho: se le metto in valigia non ci sta altro). Finché non cominciammo ad allenarci in una palestra con il fondo in cemento. Io a quell’epoca avevo sviluppato un modo di difendere che mi aveva illustrato Bianchini, e l’avevo un po’ affinato e fatto mio. Lo chiamavo “timone”, anche se lui lo chiamava “ancora”. Dovevo usare un bel po’ di “timone” per difendere sui giocatori più piccoli e veloci, ma ce la mettevo tutta. Sul campo in cemento, quel modo che ormai era diventato congenito provocava il rapido deperimento e distruzione delle scarpe. Dopo avere distrutte rapidamente due paia (duravano, non esagero, 4 allenamenti), i miei genitori provarono a dirmi che era il caso di cambiare tattica: non potevo giocare distruggendo due paia di scarpe al mese! Ma ormai erano alcuni anni che giocavo in quel modo, e se dovevo correre dietro alla guardia o al play non potevo mica pensare “Pensa a salvare le scarpe”. Anche la società era perplessa, perché nessuo sapeva evidentemente cosa fare. A salvare la situazione di pensò mio padre: si mise di buzzo buono e divenne calzolaio, con colla, pellami e battiscarpe e tutto! Ogni volta mi sistemava le scarpe in modo da offrire una protezione più forte e le sistemava dopo l’uso. Funzionò, prova ne è che giocai ancora a lungo e l’ultimo paio di Pony resiste ancora adesso a distanza di 25 anni.

Certo, le scarpe sportive rappresentano molto quando sei a scuola, ma quando hai una fidanzata e ci esci la sera… Quante litigate con A. per via del fatto che non potevo mai mettere quelle belle scarpe stile inglese che le sarebbero piaciute tanto: sembrava che fosse un mio sgarbo, il non voler comprare quelle scarpe. Quante volte siamo andati su e giù per Corso Vercelli per trovare una scarpa che mi andasse bene. Nei negozi mi proponevano dei 45 o 46, chiedendomi se volevo provare ugualmente. Più la ricerca non dava frutti, più lei si imbufaliva. E la colpa era mia!!! Feci uno sforzo quella volta che andammo (l’unica volta) a pattinare sul ghiaccio; anche quella volta non c’era il mio numero, ma dovendo solo affittare gli attrezzi, mi accontentai di un 46 e passai il pomeriggio come sulle uova, non per il ghiaccio ma per i pattini strettissimi. Questa prodezza mi costò una tendinite pazzesca che mi portai dietro per due mesi. Al primo allenamento, il coach mi vide arrivare conciato male e mi chiese cosa avessi combinato. Spiegai la situazione, dicendo che “forse” la causa erano i pattini stretti. “Ma va???” rispose, e mi caccio dal campo in malo modo.

Quando ho iniziato a praticare l’orienteering, le prime volte ho usato proprio le famose Pony. A suola liscia che più liscia non si può. Diciamo che non ero “un bel vedere” dal punto di vista estetico… Decisi di fare qualcosa dopo una gara corsa al Monte Maddalena, una continua costa sul fogliame umido: ero sempre per terra. I compagni di squadra avevano le famose scarpe da ori, ma si compravano alle gare nazionali e nei miei primi anni di attività non uscivo praticamente mai dalla Lombardia. Ripiegai sulle scarpe da calcetto, con i tacchetti più sottili. Funzionarono abbastanza bene ma furono giorni difficili per le mie caviglie: con le suole lisce il piede e la caviglia scivolavano via insieme; con i tacchetti, scivolava via solo la caviglia… il piede restava ancorato al suolo! Prima gara con le scarpe da calcetto e prima mega-distorsione, a Sesto Calende ad una lanterna dal traguardo. Lavoravo in Comitsiel (era il 1995) e fui costretto a stare a casa 3 giorni dall’ufficio. Quando rientrai, con la stampella, il direttore del personale mi venne a parlare: forse, diceva, lo sport che praticavo “non si attagliava con un ruolo di responsabilità nel lavoro, ruolo al quale parevo essere destinato”. Figuriamoci se potevo lasciare perdere con l’orienteering. Sarei stato più attento… Guarito, andai a gareggiare al Family Trophy a Sfruz. Seconda mega distorsione. Questa volta, però, nei primi punti. Poiché partivo per ultimo in griglia e sui quei punti avevo raggiunto almeno 10 concorrenti partiti davanti a me (praticamente tutti sul primo punto) feci tutta la gara, correndo sulla caviglia malandata. Al rientro a Milano, nemmeno più camminavo.

Ma non potevo certo presentarmi in ufficio zoppicando. Arrivai in ufficio lunedì mattina prestissimo, attraversando il cortile lentamente e facendo finta di niente, come se mi stessi guardando in giro. Speravo di non avere riunioni, per poter rimanere seduto alla mia scrivania tutto il tempo… DRIIIIINNNN…. Suona il telefono. Riunione presso il cliente (dall’altra parte del cortile). Mannaggia! Prendo su le mie cose e, con buon anticipo, attraverso il cortile, sempre lentamente. Partecipo alla riunione, e ritorno con ancora maggiore lentezza facendo finta di guardare per aria, leggendo tutti gli avvisi e stringendo i denti. Giunto a metà cortile, mi accorgo di una tenda scostata al primo piano: è l’ufficio del direttore del personale, e a fianco della tenda c’è lui, e mi sta guardando! Continuo a far finta di niente, arrivo agli ascensori, salgo al secondo piano, la porta si apre… e trovo lui: il direttore
“Dottor Galletti, come sta oggi…”
“Bene Dottore, bene. Ha visto che bella giornata?”
“Dottor Galletti, mi pare che lei non abbia ascoltato i miei consigli…”
A quel punto deve essere partito il mio sguardo alla Klaus Kinski. L’ho squadrato e sono partito in uno dei miei “numeri” cui accennava Plab.
“Dottore. Se le dico che sto bene vuol dire che sto bene. Anzi, mi sento così bene che potrei sfidarla in questo momento a fare una corsa a chi prima arriva in fondo al corridoio (che era lungo n.d.r.). Però mi rendo conto che la sfida sarebbe impari. In fondo io sono allenato e sono il campione di corsa nel corridoio, e lei no. Allora facciamo così: si trovi il suo campione, e me lo porti, e io lo sfiderò immediatamente. E vediamo chi vince!”
E lo pianto lì.
Quella volta non mi ha licenziato…

Per fortuna alla gara di Sfruz qualcuno mi parlò del taping (che non era da applicare dopo la gara, come avevo creduto di capire, ma prima!): non potevo mica sfidare il Direttore del Personale dopo ogni gara di orienteering. Da quel giorno in avanti sono stato abbastanza fortunato: le prime Silva acquistate alla 6 giorni di Svizzera, resistentissime, con una suola che dopo centinaia di gare è come nuova. Peccato che la scarpa non stia attaccata alla suola, ma io quelle Silva le uso ancora oggi per la MTB-O! Ho distrutto 3 paia di jalas (non ne faccio la pubblicità, perché io proprio non mi ci sono trovato bene), un paio di Falcon e adesso queste Botas. Mi restano un paio di Falcon, un paio solo… Ho sguinzagliato i miei agenti all’Avana: spero che Roland Vogl o Tiziano Serafini o qualcuno, rovistando tra qualche stock in disuso, mi procuri le scarpe che mi porteranno all’O-Ringen 2052 e 2053! Se avete qualche notizia per me, il mio indirizzo e-mail lo conoscete: diventate miei agenti, trovatemi le scarpe. Misura minima: 49 e mezzo o 50. E non fidatevi di chi vi propone scarpe “enormi”: nella maggior parte dei casi sono dei piccolissimi 48 o 48 e mezzo che possono andare bene solo al grande capitano Denny Pagliari, al grande primierott-brianzolo Marco Ongaro o a Thierry Gueorgiou (scusate, Danny e Marco, per l’irriverente accostamento...).