Stegal67 Blog

Tuesday, September 27, 2011

Nel fine settimana che sancisce la vittoria del Trentino nel Trofeo delle Regioni... no, del Veneto... no, del Trentino!... (il tutto per un’ora di totale follia tra le 17 e le 18 a cercare di capire chi avrebbe dovuto tornare nella accessibilissima Fontanerosse a riconsegnare il trofeo), io me ne torno definitivamente a casa dopo un doppio avanti e indré Milano-Val Trebbia-Milano con la vittoria nella finale di Coppa Italia di trail-O, forse anche con il primo posto nella lista base di specialità, e con un dubbio amletico: sarà vera gloria?

Se dovessi infatti indicare un solo fotogramma per descrivere la gara disputata sabato mattina a Fascia di Gorreto, direi che è quello nel quale ho visto Daniele Danieli (il mio favorito) parlare a fine tenzone con Guido Michelotti (tracciatore); per me quella era la foto simbolo della competizione: il vincitore ed il tracciatore. Ero a non più di 10 metri da loro, mi sono avvicinato ed ho detto a Guido: “Bravo Guido! Oggi mi hai veramente punito!”.

“Punito”, nel rugby, rappresenta il giocatore che ha passato tutta la partita alle prese con un avversario più forte: non può mollare ma sa di avere ben poche chances ad ogni azione, in ogni momento. Penso succeda la stessa cosa ai piloni europei che si trovano di fronte Martin Castrogiovanni... Ed io a fine gara mi sono sentito proprio così: punito; un gran mal di testa per lo sforzo di rimanere concentrato per quasi tutti i 100 minuti di gara, e la sensazione diffusa di non avere molte chances di centrare una buona posizione in classifica; una gara equa e senza dubbio ben tracciata ma troppo difficile per le mie possibilità.

Adesso dirò alcune cose sul trail-O che importeranno a pochissime persone, e forse affiderò al sito di Marco Giovannini www.trailo.it i pensieri “flag by flag” sulle riflessioni (talvolta sensate talvolta ai limiti della follia o del ridicolo) che mi hanno portato a vincere la gara, unico del lotto di concorrenti a punteggio pieno.

Allora... ho già fatto in passato confronti azzardati tra gli scacchi ed il trail-O. Ora voglio fare un paragone ancora più azzardato: risolvere un punto nel trail-O è come avere in mano una serie di carte da giocare; c’è la carta “remapping”, la carta “valutazione della distanza”, la carta “direzione e azimut”... c’è quella “altezza” e quella “conoscenza del regolamento”. Talvolta capita di giocare una carta sola, talvolta vanno giocate in combinazione. Il tutto, ad ogni punto, definisce una sorta di “confidenza” nella risposta che viene data, confidenza che secondo me non può mai essere al 100% perchè questo sarebbe possibile solo disponendo non della mappa, che è una rappresentazione della realtà, ma di una fotografia...

Ecco: io durante la gara di Fascia ho dovuto spesso giocare tutte le carte che avevo in mano, tutte quelle classiche che si trovano nelle bustine comprate in cartoleria ed anche parecchie di quelle “special cards” che si acquistano nei mercatini, su E-Bay, negli scambi tra collezionisti. Ho giocato la carta “immagina dove termina l’avvallamento anche se non lo vedi”, la carta “io penso che tu mi vuoi far pensare...” (1° livello di complicazione) e la carta “io so che tu sai che io penso che tu mi vuoi far pensare...” (2° livello di complicazione). E poi la mia carta preferita con la quale sempre più spesso cerco di far quadrare i conti e valutare le brevi distanze: “quante macchine puoi parcheggiare in questo spazio?”.

Pazzo? Forse. Ma la bravura di Guido Michelotti a Fascia è stata proprio questa: ha tracciato una gara equa ed onesta per tutti ma veramente difficile; con il risultato che a fine gara, nonostante su ogni punto io abbia avuto la possibilità di elaborare una strategia, il numero di punti di controllo sui quali il mio grado di confidenza era alto o medio-alto era veramente minimo.

Giusto per dare una idea di quello che si potrebbe leggere, andiamo da qualcosa del tipo:

“1 – dal punto di vista vedevo sia le due lanterne del punto 1 che le tre del punto 2. Ho valutato l’altezza dell’unico albero in zona e del pilone della linea elettrica, e ho controllato le curve di livello degli avvallamenti per verificare che la lanterna fosse almeno nell’avvallamento giusto. Grado di confidenza: alto.”

a robe da neurodeliri del tipo...

“17 – ultima lanterna e, dopo la 16, avevo abbastanza tempo per giocare le mie carte. All’inizio non riuscivo ad identificare il masso nel bosco scuro e fitto. Poi ho guardato le curve di livello e ho visto che il masso avrebbe dovuto essere 25 metri più in alto della strada dove mi trovavo. 25 metri sono un palazzo bello alto! E invece la lanterna sembrava più vicina. Ad un certo punto tra me e la lanterna si è frapposto un concorrente, Fulvio Pacor, che è alto quasi due metri (come me) ed ho cominciato a pensare a “quanti Fulvi Pacor c’erano tra me e la lanterna” e ne ho calcolati visivamente 6 o 7 al massimo (vale giocare la carta “Fulvio Pacor”?”). Spostandomi a sinistra, ho guardato la punta sud della parete rocciosa, che era a mezza altezza tra la strada ed il centro del cerchio, e ho visto che la lanterna era sulla stessa curva di livello o quasi. E poi il sasso continuava a non vedersi! A quel punto ho lasciato lì la mia unità di misura (sempre Fulvio Pacor) a riflettere da solo e ho punzonato “Z”. Spero che Fulvio, se mai verrà a leggere questa cosa, non si arrabbi... Grado di confidenza: alto”

Post scriptum. Solo dopo aver finito di scrivere tutto questo, mentre ero sotto la doccia, ho avuto questo pensiero: forse la mia mente, se da un lato continua a calcolare distanze ed altezze, dall’altro mi “blandisce” con impressioni del tipo “stai giocando la carta - Fulvio Pacor -” o “stai giocando la carta - quante auto parcheggi in questo spazio – ” per darmi sempre l’impressione che in fondo si tratta di un gioco e che come tale va pesato...

E questo è il motivo per il quale, quando mi sono allontanato verso il ritrovo della gara a staffetta del Trofeo delle Regioni nel quale avrei fatto sia da apripista che da speaker, avevo salutato Guido e Daniele (che era il mio favorito... ma questo l’ho già detto) come vincitori della gara. Veramente stanco dal punto di vista mentale, ho affrontato il mio facile percorso a staffetta come se quelle fossero le ultime lanterne della O-Marathon... anche se un po’ mi ha tratto in inganno l’equivoco del punto K: quando sono partito io, le fettucce portavano dritte alla lanterna “70” e non al punto “K” che era nascosto. Con il risultato che, cercando di partire da quel punto, se tenevo il boschetto sulla mia destra andavo verso sud-ovest anziché verso nord-ovest come avrei dovuto fare; e se puntavo la bussola a nord-ovest il boschetto stava sulla mia sinistra anziché e destra! Ed intanto pensavo: “Caspita! Non sono in grado di orientare una mappa e penso di poter fare le gare di trail-O!!!”.

Solo dopo il secondo punto, sotto il caldissimo sole ligure, mi sono un po’ ripreso e camminando (perchè la caviglia infortunata a Sgonico continua a far male) ho completato il percorso in un tempo ridicolmente alto. Poi, improvvisamente, mentre cominciavo ad organizzare la postazione dello speaker, arriva Marco Giovannini e mi fa i complimenti... penso che, ovviamente, stia scherzando e chiedo conferma alla “sua signora”; la quale conferma quanto sta dicendo Marco. E mentre penso che mi stiano prendendo in giro tutti e due, arriva Marina Beltramo e si complimenta anche lei...

Così è diventato tutto chiaro: che avevo vinto io la gara, che avevo vinto a punteggio pieno... e che ovviamente non avevo partecipato alla premiazione (scusate ma stavo proprio facendo un’altra gara). Ma mi sono accorto durante il viaggio di ritorno a Milano sabato sera con Marco e Mary, e poi durante l’avanti e indietro della domenica quando sono sceso nuovamente nell’entroterra ligure per la gara individuale, che le mie spiegazioni su alcune “carte” davvero personali che ho giocato durante la gara non avevano una logica ferrea.

Tutto questo non fa che lasciarmi in testa la domanda con cui ho cominciato: è stata vera gloria o sono stato solo avvantaggiato da una circostanza di eventi? Certo che sono veramente tanti dubbi per uno come me che aveva dichiarato ad inizio stagione che sarebbe stato ben lontano dalle lanterne del trail-O. Di questo mio “ritorno” dovreste chiedere conto a Rusky e PLab che mi avevano convinto a partecipare alla gara di Nichelino a metà stagione... quel giorno, quando mi sono piazzato verso il fondo classifica, ho capito che avrei dovuto dotarmi di parecchie “carte” in più per poter ambire ad una posizione migliore e per dare un senso più completo alla partecipazione alle gare di trail-O.

Partecipazione che continua per me a non avere lo scopo principale di vincere, ma di affrontare una sfida intellettuale con un tracciatore che sta cercando, con onestà altrettanto intellettuale, di rendermi dura la competizione.

Due considerazioni a margine, per rispondere a chi mi ha chiesto...

1) si: è la prima volta in vita mia che non prendo parte ad una gara nella quale faccio lo speaker (domenica, la gara individuale del trofeo delle regioni) e non intendo ripetere l’esperienza... nel senso che correrò sempre e comunque foss’anche all’alba

2) si: la tuta dell’Orienteering Mezzocorona con la quale ho preso parte alla gara di trail-O ha un significato davvero speciale per me.

http://www.fiso.it/trentino/azimutn/viewnews.asp?art=56&tipo=7&dTipo=Articoli Vari

Friday, September 23, 2011

Ciao Carlo,

sei stata una delle prime persone che ho conosciuto in quella strana giornata di fine agosto a Ronzone, nel 1992, che ha cambiato per sempre la mia vita; quella in cui tu, Ivana, il piccolo Paolo, e gli amici Giovanni e Barbara mi avete introdotto ad una strana cosa chiamata “orienteering”.

Tua la mano che mi porgeva quel bicchiere di vino che, trangugiato da me tutto di un colpo dopo che avevo finito il percorso esordienti in poco meno di tre ore, ha rappresentato uno degli aneddoti che ci raccontavamo vicendevolmente e raccontavamo agli altri amici prima di una gara.

Ogni volta che ci siamo incrociati nel bosco, anche durante la gara più lunga e difficile, c’è stato tempo per un saluto da parte tua, con un filo di fiato o con la mano. E dopo la gara ci mettevamo a raccontare a cosa stavamo facendo in quel momento, al perchè eravamo entrambi proprio lì, a quale scelta di percorso ci aveva portato ad incrociare i nostri passi.

Ora è il mio turno di salutarti. Sono certo che dal cielo continuerai ad osservare le nostre vicende terrene, a commentare con una visuale migliore della nostra le scelte di percorso, delle gare come della vita.

Permettimi di dire una piccola cosa... forse non è il momento adatto per una battuta, ma conoscendoti so che non te la prenderai: leggendo la notizia sul sito Fiso, ho increspato le labbra leggendo il tuo nome; ho pensato solo per un istante a come, anche in quello strano aspetto che ho colto, tu ti sia trovato accomunato a tanti campioni del nostro sport. Che si dovrebbero togliere tutti quanti il cappello di fronte al tuo nome, perchè anche tu sei stato un campione.

Un campione della vita.

Addio Carlo.

Monday, September 19, 2011

Se dovessi cominciare dalla fine, l’immagine sarebbe questa...

... ma risulterebbe decisamente fuorviante: non sono andato agli European Master Games 2011 per tornare a casa con una medaglia, ma solo per quanto andrò a descrivere nei paragrafi che seguono.

Parto da Bellamonte (Campionati Italiani) direttamente per Lignano, e dopo un viaggio abbastanza allucinante sbarco al Game Center degli EMG in totale ritardo rispetto alla tabella di marcia. Qui mi rendo conto che muoversi in questa specie di babele olimpica non è così semplice: è tardi per ottenere un accredito, ma senza accredito non posso accedere alla mia stanza al Villaggio Ge.Tur. ... e il bello è che senza accredito sembra difficile anche accedere al desk accrediti! (non so bene se è “Comma 22” o Asterix nella casa che rende pazzi). Per fortuna la fratellanza orientistica si materializza nella persona di Alessia Ciriani, i cui occhi luminosi nascondono una grinta senza pari: con un tono di voce tagliente che al confronto Clint Eastwood in “Gunny” è una mammoletta, fa riaprire il desk e tutto il Game Center, e mi addobba di divisa, pettorale, accredito organizzazione e riferimenti per l’alloggio. Al Villaggio Ge.Tur la signora della casa Santa Maria mi da un posto letto e rifiuta categoricamente di farmi saltare la cena: fa riaprire la cucina e riesco così ad andare a letto stravolto ma rifocillato. La giornata è ancora nel segno dei Campionati Italiani, ma le cose stanno decisamente per sterzare!

E fu sera e fu mattino. Primo giorno.

Lunedì 12 sarebbe il giorno del model event a Monrupino. Anzi, dei due model event, perchè nella zona di Repen si può provare sia il percorso modello della sprint che quello della long. I segnali mandati dalle mie gambe e soprattutto dai piedi sono molto negativi, tirarsi giù dal letto è una mezza impresa. La testa opta per una via di mezzo, e decido di tornare al Game Center per vedere se c’è bisogno di una mano; “purtroppo” tutto fila abbastanza liscio come l’olio, la bellissima carta di Palmanova esposta al desk richiama parecchie persone incuriosite, e a questo punto non ci sono più scuse per non infilare le Inov-8 semidistrutte ed andare a Repen ad incontrare due dei motori, probabilmente i principali insieme a tanti altri ingranaggi, di questi EMG 2011 di orienteering: Paolo Di Bert e Mauro Nardi, che mi avevano invitato come speaker già da parecchi mesi.

A Repen mi accorgo subito del fatto che gli orientisti iscritti alle gare sono veramente un numero risicato: per lo più arrivano dalla Russia, dall’Ucraina e da altri paesi dell’ex-URSS. E che sarà molto difficile avere a che fare con parecchi di loro: quando cerco di instaurare un minimo di rapporto in inglese o in tedesco per capire se qualcuno di loro ha un passato nei WOC o comunque di alto livello, mi accorgo che quasi nessuno parla una parola al di fuori del russo... ogni tentativo di dialogo comincia con un conciliabolo fitto fitto tra loro, e poi con qualche frase smozzicata da cui capisco che la tale ha vinto i WMOC, che la talaltra è presidente della federazione ucraina, che il talaltro una volta era il numero due nel ranking sovietico... e che c’è un tale Sergei Makeichik che ha già vinto medaglie master europee e mondiali. A vederlo fa paura: magro come un cavallo da corsa, faccia inespressiva alla Ivan Drago e decisione di stampo militare; quando cerco di rompere il ghiaccio facendogli vedere la griglia di partenza e facendogli capire che sono uno dei suoi avversari... beh! La faccia inespressiva diventa addirittura di vetro! (mi ricorda molto la faccia di Mr. Vinogradov quando gli chiesi se potevo tesserarmi per l’Halden SK...).

In definitiva il model event, anzi I model event perchè li faccio tutti e due, si traduce in un buon impatto soprattutto con la zona boschiva: il terreno del Carso si rivela infido come mi aspettavo; se procedo controllando dove metto i piedi finisco per cozzare duramente contro rami che sembrano tubi Innocenti in ghisa, ma se alzo lo sguardo per non mettere a repentaglio la faccia... in questo caso che il Signore abbia pietà delle mie caviglie!

E fu sera e fu mattino. Secondo giorno.

Martedì 13 è il giorno della finale sprint a Palmanova, città incredibile se ce n’è una. L’avevo visitata per la prima volta in occasione della OOCup: non è tanto la pianta interna regolare con 9 angoli a colpire orientisticamente, quando la zona delle mura e le aree immediatamete esterne, nelle quali si potrebbe tracciare un labirinto da far venire il mal di testa. Anzi... dico che il centro, pur bellissimo, è quasi più facile che correre su una pianta regolarissima come potrebbe essere Torino, perchè il quasi impercettibile variare continuo degli angoli di corsa su strada rende immediatamente chiaro in quale punto ci si trovi senza stare nemmeno a pensare al “prima a destra seconda a sinistra”.

Il piano prevederebbe un mio arrivo alla chetichella a Palmanova, il giro-speaker prima del minuto zero e poi un po’ di berciamento nella piazza centrale... la realtà è più complessa: prima devo recuperare i pasti per il personale dell’ambulanza, pasti che arrivano da Lignano, e poi accompagno i russi e gli ucraini con pullman fino alla gara, cercando di capire quanti sono interessati a pranzare al tendone degli alpini di Palmanova. I miei nuovi tentativi di dialogare si risolvono nei soliti confabulamenti e mugugni sul pullman... comincio a capire che sarà veramente difficile, o comunque improbo, farsi capire da chi ha una età che non favorisce l’aver appreso al di là della cortina di ferro una lingua come l’inglese (speravo meglio con il tedesco, e non mi sogno nemmeno di svelare che qualche parola di russo in fondo la mastico ancora anche se sono passati 24 anni dall’esame che feci a Fisica). Quando il pullman esce dall’autostrada e, dopo due svolte, compare la Porta Aquileia, il pullman improvvisamente si desta e tutti quanti attaccano il naso ai vetri o il dito alla macchina fotografica... e tutti capiscono che ci saranno punti anche nelle zone aperte esterne alla città-fortezza e sulle mura.

La mia gara non parte all’ora prevista: uno dei posatori si è portato dietro anche clear e check e devo aspettarlo. Nel frattempo ci scappa anche un po’ di “maretta” tra alcuni concorrenti, che vorrebbero comportarsi un po’ come pare a loro, e l’organizzazione della gara; purtroppo il fatto di non avere una lingua comune con cui confrontarci non aiuta a stemperare qualche incomprensione. Devo dire però che resto perplesso quando, dopo la mia partenza, vedo parecchi concorrenti in zona gara che mi vedono prendere la strada delle gallerie napoleoniche che portano fuori dal primo livello di mura; al mio rientro la scena è la stessa e non sono pochi coloro che mi vedono punzonare le lanterne, ed altri ne trovo lungo le prime svolte in Palmanova nonostante sia stato annunciato a tutti che i concorrenti devono stare nell'area della quarantena (ah già, c'è la barriera linguistica...)

La giornata è caldissima, non calda, e Palmanova è un autentico forno. La gara, seppur su una mappa incredibile, è veramente sprint e abbastanza lineare, quindi si tira il fiato solo quando questo manca veramente (e a me manca spesso); a parte le soste per respirare, sbaglio una ventina di secondi solo nel finale quando entro nel passo carraio sbagliato (area privata, tra l’altro) anziché in quello posizionato 5 metri prima e che mi porta verso la 100; concludo la gara in 23 minuti netti e mi viene da pensare che il comunicato gara dava per il vincitore della M40 un tempo di 28 minuti... che io possa fare 5 minuti meglio è impossibile, ed il fatto che i tempi siano più da “sprint corto” che da corta distanza è confermato da Makeichik che chiude in poco più di 16 minuti, staccando di poco il bielorusso Bendik. La mia posizione finale è la quinta, ma solo perchè in M40 siamo in 6 (seconda categoria per numero di presenze, peraltro!) ed il sesto è veramente un panzone...

Dopo le premiazioni sotto il solleone di mezzogiorno (32 gradi all’ombra), ci si sposta verso il tendone degli alpini che sta ai margini di Palmanova in una zona che deve essere stata, a giudicare dalle lapidi, una specie di “Villa Triste” (se non sapete cosa è, provate con wikipedia... ma occhio che è un pugno nello stomaco). Solo una volta giunti lì ci accorgiamo che alcuni dei russi si sono dileguati: con molta difficoltà scopro che erano “spaventati” dalle persone che erano lì e dal posto in cui li stavamo portando e che quindi avevano preferito tornare subito a casa... ma come si fa a spiegare ad un russo che non parla inglese cosa sono gli Alpini?

E fu sera e fu mattina. Terzo giorno.

Mercoledì 14. Un giorno lungo e impegnativo. Che dovrebbe iniziare alle 6.20 e invece inizia prima delle 6.00 quando il complesso dei Ni-Mi-Ni (Nicholas Sbrizzi, Michael Sbrizzi, Nicolò Liva) nell’uscire da Santa Maria per andare a posare fa su un casino che la metà basta... Posare dove? A Sgonico. Dove non ho mai corso. Visto che son sveglio, anticipo colazione e partenza e mi presento sul Carso di buon ora per la gara tracciata da Marco Seppi. La giornata è calda ancora in modo esagerato, il bosco è rovente (ci saranno poi incendi a Monfalcone) ed è veramente improbo cimentarsi sulla lunga distanza. Accade però una cosa abbastanza sorprendente: poiché il terreno è infido ed il verde poco penetrabile, la velocità di percorrenza resta molto bassa ma per questo si riesce a navigare quasi sotto la linea magenta. Esco davvero bene da una zona dettagliatissima che sarà poi nota come “il triangolo delle Bermude” ed alla fine senza infamia e senza lode, metto assieme una gran bella gara (per me) chiudendo gli 8 kmsf in 1 ora e 28 minuti.

La stima del tempo del vincitore, che non potrà essere che il solito Makeichik, si aggira attorno ai 55-56 minuti, cosa che il russo farà in pieno grazie ad un errore proprio sul penultimo punto in vista (e soprattutto in perfetta visione da parte dei presenti) del traguardo... un punto che sbaglierà anche Roland Pin! (ah! questi atleti che vanno veloci e si perdono i sassi giusti...). La mia posizione in classifica alla fine è quarta, perchè il bielorusso Bendik di cui sopra o arriva dalle piste di atletica o non digerisce il terreno del Carso: riesco a rifilargli quasi 40 minuti!

In ogni caso i tentativi di scambiare due parole con chiunque al traguardo naufragano miseramente, e sicuramente l’episodio del giorno prima (quello con il tendone alpino) non mi ispira a cercare di organizzare altri spostamenti degli atleti... anche perchè le mie caviglie e le mie gambe (ed anche la testa) chiedono solo una cosa: andare a riposare.

E fu sera e fu mattina. Quarto giorno.

Giovedì 15. Sole. Mare. Spiaggia. Ombrellone. Lettino. Dormire. Dormire. Dormire. Dormire... Me lo sono meritato o no?

E fu sera e fu mattina. Quinto giorno.

Si parte anche con le gare di Trail-O. E la prima è proprio all’interno del Villaggio Ge.Tur (60 ettari di pineta!!!) che mi ospita. Sono uno dei primi (se non il primo) ad entrare in gara sulla carta di Remo Madella e mi accorgo subito che il tipo di rilievo ed il tipo di terreno e di tracciatura mi aiutano a rimanere sereno e concentrato: la pineta marittima ha un sottobosco molto pulito sul quale è facile tenere il punto della mappatura di Remo (molto precisa, secondo me), oppure è un verdone inestricabile che non lascia spazio per l’ampia visibilità. I primi punti sono introduttivi, poi seguno alcuni punti più complessi ed un finale decisamente impegnativo ma che, incredibilmente, mi scoprirò in gradi di domare senza troppe difficoltà... o almeno, in questa occasione riesco a rimanere abbastanza concentrato e sveglio ed attento da accorgermi sempre di quale sia il bandolo della matassa dei quesiti. Finisco la gara con un solo errore, un punto sul quale in effetti ero rimasto senza troppe idee, in quinta posizione, preceduto solo dai due cechi Forst e Forstova che avevo dato per favoriti, Giuliano Michelotti e tale Mykola Opanasenko che qualcuno mi dirà essere stato campione del mondo di Trail-O ma forse è stato solo una volta ali mondiali per l’Ucraina... (potere dell’incomprensione della lingua).

Il contorno della gara è purtroppo un po’ caotico: penso che al momento dell’iscrizione (tot euro sia che tu faccia una gara sia che tu le faccia tutte) molti hanno omesso di barrare anche le gare di trail-O, poi... visto che si è lì... insomma il banchetto dell’organizzazione si vede arrivare d’un botto il gruppo di russi che prendono pettorali e cartellini e vanno in partenza e tutti insieme in grande compagnia fanno la gara come un sol uomo. Quello che se la cava meglio è il solito Makeichik, che finisce settimo (quindi dietro di me)... il che mi consentirà di giocarmi l’aneddoto nel pomeriggio durante la “diretta” per Rai Sport.

Già, perchè venerdì pomeriggio sono io ad andare su Rai Sport! L’organizzatrice della diretta, spulciando su internet, trova notizie del mio bronzo agli italiani 2011 e del fatto che sono tesserato sia per l’Unione Lombarda Milano che per l’Aget Lugano. E fu così che nel “profilo” consegnato al conduttore io divento “atleta di doppio passaporto”(come Roby Tettamanti)! Riesco a correggere il profilo prima che qualcuno, sentendo, si faccia venire uno stranguglione. Il conduttore legge che sono anche speaker e quindi mi lascia la parola un po più diffusamente di quanto ha fatto con gli altri ospiti, ed io cerco di venire incontro alle immagini che scorrono e che mi sembrano un po’ fuorvianti per chi guarda la trasmissione: le riprese inquadrano alcune persone con lo sguardo perso nel vuoto, che si muovono scompostamente, con passi forzati o quasi da marionetta ... sembriamo degli ubriachi o dei matti appena usciti dal manicomio, o tutte e due le cose insieme. E forse è proprio così che siamo :-) Di quella diretta non credo resti niente: per fortuna infatti il sito Fiso non ne da notizia e finora nessuno mi ha detto di aver visto qualcosa. Forse è meglio così.

E fu sera e fu mattina. Sesto giorno.

Si arriva a sabato, ed il menu parte con la finale della gara long a Sgonico, un altro tracciato di Marco Seppi che è veramente un bellissimo pezzo di bravura. Il bosco coperto dal percorso è quello più scorrevole, la visibilità a tratti è più ampia... parto come sempre con buon anticipo ed alla terza lanterna, quando penso di essere appena alto rispetto al punto, alzo gli occhi per guardare avanti mentre continuo a correre. Ed il terreno di Sgonico reclama la sua vendetta. Crac! La caviglia... ma non verso l’esterno: verso l’interno. Il piede non si gonfia ma fa un male boia. Casco per terra e per un paio di minuti mi tengo il piede cercando di capire se proseguire o no e infine decido per la scelta meno dolorosa... ovvero proseguire claudicante per tutte le lanterne fino al traguardo. Dove giungo senza sbagliare quasi nulla ma molto lentamente e quasi in lacrime in 1 ora e 38 minuti (potevo fare 15 minuti in meno...).

Paradossalmente, la maggior percorribilità del bosco aiuta gli atleti a sbagliare di più! Makeichik resta sotto l’ora ma di pochissimo, ed anche Bendik scende a 1 ora e 25 minuti; resto però quarto nella generale grazie al vantaggio accumulato su di lui nella prima tappa. Il sito Fiso poi parlerà della mia classifica in termini che mi stanno facendo prendere in giro da un po’ di persone... ma quanto a questo voglio solo dire che io non mi sono mai citato nemmeno quando ho vinto con Rusky il titolo regionale alla Pellerina (si può andare a vedere sulle notizie passate come avevo aggirato l’ostacolo...).

Da Sgonico si rientra a Lignano per la seconda tappa del trail-O, ovvero la gara di Temp-O al parco Hemingway. Che purtroppo per me riserva la cattiva sorpresa sotto forma di un comportamento a dir poco aggressivo e poco educato dei nostri ospiti dell’est i quali, oltre a prendere d’assalto il banchetto delle iscrizioni e fare un po’ come pare a loro, pretendono di inserirsi in massa nella lista di partenza al solo grido di “partire presto!”. Ma nel Temp-O la griglia di partenza è una cosa più seria, e quindi si arriva quasi allo scontro: da una parte io e Bibi ed i giudici di partenza, dall’altra gli ex sovietici che si mettono a inveire in tutte le lingue... come sarebbe in tutte le lingue??? Si. Perchè adesso che sono loro a trovarsi in difficoltà di fronte al rifiuto da parte di tutti gli altri di fargli infrangere nuovamente il regolamento, ecco che improvvisamente arrivano quelli che parlano un tedesco perfetto che sembra quello della Deutsche Grammar, ecco quelli che si lamentano in un inglese comprensibilissimo... arriva anche a dar man forte quella che parla italiano!

Ah si? Adesso che avete bisogno voi, vi fate capire in tutte le lingue del mondo? Non sono quindi molto sereno quando mi avvio verso la prima piazzola del Temp-O; ma se in qualche modo questo stato d’animo può influire sul risultato, ecco che influisce benissimo: finisco la gara con due soli errori nell’ultima piazzola ed il quarto posto, secondo per gli EMG, e risalgo in classifica. In ogni caso, giusto per dare ancora una idea di alcuni personaggi, ecco che alle sette meno dieci compare sulla scena il solito Makeichik, il quale fa riaprire il percorso (i giudici ormai erano quasi tutti in zona ritrovo) e si avvia alla partenza con due tizi che sventolano entrambi in mano il foglio delle soluzioni (lui sarà sesto in classifica, segno che si comporta in modo sportivo... ma se solo lo fosse stato meno avrebbe potuto finire con tutte le risposte esatte in un tempo ridicolo).

E fu sera e fu mattina. Ultimo giorno.

Domenica 18. Ultimo giorno di gare. Ultima gara di trail-O. Sono terzo nella classifica generale, Roland Pin fa “il Maminski della situazione” pronosticandomi al bronzo negli EMG (e chi riconosce la citazione è un mago!). Parto molto avanti nella griglia ed assisto, poiché do una mano con l’inglese, alla solita calata in massa dei non iscritti al gazebo dell’organizzazione. Ma dopo la gara di sabato non ci faccio più caso... per guadagnarmi quel bronzo che vorrei veramente a coronamento della settimana devo tenere a bada Michelotti e Opanasenko... e Makeichik! Parto attorno alle 11.30 con la mia caviglia dolorante ed ancora una volta, come venerdì e sabato, il tracciato, il tipo di terreno ed il disegno di Remo Madella mi sono amici. Su alcune lanterne riesco tranquillamente a puntare il dito sul terreno e contemporaneamente a tenere d’occhio lo spostamento dei pixel marroni sul disegno. Mi scopro capace di pensate persino brillanti, come alla ottava lanterna (che verrà sbagliata persino da Forst) con un cambio di strategia proprio mentre stavo per abbandonare la zona. O nell’area della passerella sopra il Parco Unicef dove si affollano tanti concorrenti (qui mi trovo a mio agio con le lanterne posizionate all’interno del campo pratica di minigolf) sia nel finale dove si alternano punti a lunghissima gittata ed altri che stanno a pochi metri dal punto di osservazione.

Sono stanco, ma gli ultimi due punti a tempo mi vedono ancora in grado di qualche pensata brillante seppur lenta: alla fine il responso me lo da Giovannini quando escono le classifiche. Sono quarto nella gara, dietro Tisljar (due volte bronzo ai mondiali), Danieli che è imbattibile e Guido Michelotti che è il mio amico campione italiano. E quindi sono primo nella tappa degli EMG e sono... bronzo? No, addirittura argento negli European Master Games. In una gara che aveva un po’ più dei 5 iscritti della M40 della lunga distanza.

Il che non cambia affatto il mio approccio verso la pratica del trail-O, che vorrei restasse sempre disincantata e tranquilla come il gioco che ho fatto per tre giorni a Lignano. Non cambierei il mio status da orientista a trail-orientista, anche se nel trail-o non ci si devasta una caviglia come a Sgonico. Ma poiché andar per boschi con una lanterna e una bussola è il mio piacere, e visto che in fondo resto no scacchista convinto, il trail-o è senz’altro uno dei miei passatempi. E stavolta mi sono portato a casa anche il “Coki” (il pupazzo di peluche della mascotte dei mondiali) e la medaglia!

E fu sera e fu mattino. E fu il momento di tornare in ufficio... quanto mi mancano già le pietre di Sgonico. E Paolo. E Mauro. E i Ni-Mi-Ni. E Giovanna. Ed il mio Dj preferito. E Federica, Donatella, Nicola, Mario, Fiorella, Marirosa, Andrea, Anka, Simonetta, Luciano, Alessia e Nico e tutti quanti gli altri del Comitato FVG, un gruppo di pazzi scatenati che ha creduto che si potesse portare a casa una 6 giorni di orienteering dentro una cosa grande e mastodontica e dispersiva come gli European Master Games. E ci sono riusciti!

Wednesday, September 14, 2011

Ho un po’ di confusione in testa quando cerco di descrivere le giornate che sto passando immerso in un mare di lanterne. Tento di separare le avventure tra loro e finisco con il ritrovarmi sempre con un microfono in mano e Roland Pin tra i piedi: sono a Castellir che aspetto l’assegnazione dei titoli individuali, e vedo Roland che scende dalla pista da sci verso l’ultimo punto; sto cercando di quagliare la staffetta M”iron men”35 della domenica ed ecco Roland che chiude la gara del Tarzo. Arrivo in pieno debito di forze, di ossigeno e di dignità alla fine della sprint degli European Master Games a Palmanova ed incrocio Roland che si scalda; mi ritrovo sopra un palco, con un microfono, a poche ore dalla partenza della long di Sgonico... e sul palco sale a ritirare la medaglia d’oro sempre Roland Pin!

Dividiamo forzatamente in due: sabato e domenica ERO a Bellamonte per i Campionati Italiani. OGGI sono a Lignano per gli European Master Games. Partiamo da dove ERO. A qualcuno interessano le mie scelte in M40 e nella staffetta MAK? Alzate la mano... miiiii... tutti impegnati a massaggiarvi le caviglie vedo...

Allora provo a liquidare con poche parole (sento gli amici che ghignano...) le mie due mirabolanti prestazioni a Bellamonte. Sabato: prendo il via attorno alle ore 8.17 coperto come se stessi per affrontare la traversata dell’Alaska in pieno inverno. Mi accorgo subito di un punto K sul quale c’è il rischio di frantumarsi, tra attraversamento del torrente e curve secche tra le fettucce sempre più strette; poi lo sbarco sul pascolo alto: la linea color magenta passa un paio di curve sopra alla scritta “2000” ed i miei polmoni lanciano urla belluine all’indirizzo del sottoscritto. Dritto come un fuso sulla facile 1, drittissimo sulla 2, sono un laser sulla 3, torno ad essere un impiegato panzottello sulla 4 che trovo per caso dopo aver girato in tondo sia attorno al punto che attorno ad un convegno di galli cedroni...

Per la 5 mi autopunisco risalendo le curve di livello fino alle casette, ripasso dalla partenza (sulla strada) e forse i ragazzi che ci stanno lavorando pensano “che cosa sto facendo lì?”, “se so cosa sto facendo” o forse “se ci sono o se ci faccio... lì”. Scendo poi quelle 8 curve di livello che ho guadagnato, e ne approfitto per fare più il maser che il laser (maser = laser lento, in fisica) sulla 5, 6 e 7. Quando arrivo alla 9 penso che avrò abbastanza tempo dopo l’arrivo per riposarmi ed organizzare l’area speaker; quando esco dalla 11 non sono più un uomo ma un cinghiale che lotta contro il verde, i verdini, le rocce, il torrente (che poi diventerà “maledetto torrente”, “torrente di m...”, e via di escalation...).

Le energie diminuiscono come il valore delle azioni in borsa, lo spread tra il mio tempo ideale e quello per il quale ora lotto come un forsennato ma senza testa aumenta sempre di più. Arrivo al passaggio sotto la seggiovia lungo la quale risalgono i concorrenti, sento alcuni incitamenti ma non ho né la forza né il coraggio di alzare lo sguardo (potrebbero vedere nei miei lineamenti la gelida ala del crollo...); prendo il primo punto ad ovest della seggiovia per quello che è... una discesa folle a perdere quota che poi dovrò risalire due punti dopo! Penso che il punto non possa essere così giù, così in fondo, così in basso... ma mi devo ricredere leggendo la mappa. Costa e risalita, ed il passaggio sulla terra battuta della pista e poi sul prato è un altro tentativo di mantenere una andatura dignitosa (sto sbanfando come un asino e sbando visibilmente ad ogni contatto con un ostacolo nascosto...). Torno al “fott... torrente” e mi scontro con tutto il verde possibile, tanto che la mia scelta ad un certo punto prevede di stare sul lato sbagliato del corso d’acqua (ma più pulito) e poi una volta arrivato all’altezza del punto guadare il torrente e risalire con le unghie e le mani a picco. Gli ultimi 3 sassi del punto 17 non sono nemmeno così difficili da trovare, ma la testa vuol solo arrivare al traguardo così farò in modo di mettere in scena (per puro istinto di sopravvivenza, d’altronde sono passato 113 minuti e 45 secondi) l’Atto Primo della pièce “aree barrate in rosso: cose da fare e cose da non fare”. Astenersi commenti, grazie.

Che dire sulla parte commentata della gara? I momenti migliori rimangono quelli con i ragazzi che hanno dato tutto in una gara veramente long distance come non ne vedevo da tempo: Michela Guizzardi mai così umana come a Bellamonte, Alvise Rumor che porta via di peso Federico Venezian scavigliato (QUELLA era la foto da mettere in prima pagina sul sito Fiso... e scusate se sono solo un vecchio inguaribile romantico facile alla commozione), le vittorie che non ti aspetti e quelle che non si aspettano nemmeno i diretti protagonisti. C’è chi ritorna alla grande come Liliana Papandrea e chi macina un titolo dietro l’altro come Giacomo Zagonel, chi arriva in scioltezza e chissà se ha fatto fatica come Gaia Sebastiani e Carlo Rigoni e chi con la fatica ed il sudore ha non vuole nemmeno venire a patti, come Massimo Bianchi che senza saper né leggere né scrivere e soprattutto senza sapere nulla sprinta fino all’ultima stilla di energia ance se la sua gara è già durata 118 minuti, e si porta a casa l’argento in M35.

Oppure c’è chi stringe proprio un patto di NON belligeranza... vero ragionier Amat-ozzi e geometra Fil-gnini? :-)

Domenica. Lo yin e lo yang, lo zenit ed il nadir dell’orienteering si incontrano alle 7.15 del mattino dell’11 settembre 2011 in una località che nessuno avrebbe potuto prevedere: Bellamonte, Trentino, in pieno Parco del Paneveggio. In un silenzio irreale, Mr. Nadir attraversa l’aria tersa del primo mattino ed un’area vuota che, di lì a qualche ora, sarebbe stata invasa di colori, di sole, di suoni festosi e di espressioni di rammarico, e di berciamenti sconclusionati da parte di un improvvisato speaker... Mr. Nadir pensa di essere il primo ad arrivare; ingolfato in un pile pesante, gli occhi pieni di sonno, la testa piena di preoccupazioni. Non avrebbe vinto nemmeno questa piccola sfida: Mr. Zenit è già lì; pronto a prendere leggero la via del bosco con un’altra lanterna da posare. Mr. Zenit è Dennis Dallasanta, un nome ed una storia di cui i ragazzi e le ragazze della categoria young non hanno mai sentito parlare. Una rapida occhiata, un breve scambio di opinioni... Dennis, con la sua calma e la sua serenità olimpionica, mi regala un paio di commenti sulla giornata precedente che metto da parte in un cassetto speciale dei ricordi per tirarli fuori nei momenti bui.

Da un altro cassetto, Bettega tira fuori la mia carta da terzo frazionista MAK (e non ho né il numero uno né il due del trio) ed in pochi minuti sono di nuovo nel bosco. Scelta a scendere lungo il pascolo: dritto come un fuso sulla 1, che è facile, drittissimo sulla 2 che si prende dal sentiero, torno ad essere un po’ più me stesso sulla 3 in mezzo alle rocce ed alla 4 ho perso tutta la mia baldanza... Ma la frazione è corta, e non serve che io mi scalmani più di tanto! Mi autopunisco uscendo tutto storto verso la 5 e passando per la 124, e poi proprio al quinto punto passo al pettine fitto la zona (ma sono da solo e quindi continuo a girarci attorno) finché ad un certo momento trovo il punto per puro caso e li insulto pesantemente tutti quanti: lanterna paletto codice e stazione. Le autopunizioni non finiscono lì, visto che esco stortissimo anche dalla 5; dopo aver valicato il maledettimissimo torrente nel punto più impervio, sbarco sulla pista da sci qualche curva di livello più in alto della casetta (che sta qualche curva di livello più in alto del punto spettacolo), ma adesso la gara è veramente finita e le ultime due lanterne filanti tra il suddetto punto, assai poco spettacolo quando ci passo io, e l’arrivo si fanno rimpiangere solo per via delle mazze di tamburo che in altre circostanze mi sarei portato volentieri a casa...

Ancora ricordi dalla parte commentata. Un duello forse passato in sordina in ME ed anche in WE, ma entrambi i podi (e quello femminile comprende anche le ragazze della Besanese) sono da ricordare. La volata in M16, nella quale il povero De Noni si trova quasi a recitare la parte del cattivo in un film che deve per forza di cose vedere in Fabiano Bettega il “buono” della situazione, visto quel che gli è successo quest’anno. E poi la volata per il terzo posto in M20 dove, tanto gliel’ho già detto, non avrei scommesso contro Simone Benini ella sfida con Edoardo Tona. Ed infine la staffetta M35: sono contento per il modo in cui è finita, e mi spiace per gli altri; ma era da troppo tempo che dicevo a due amici, che rispondono al nome di Dietmar e Andreas ma sono italianissimi, che questo era l’anno buono, che era solo questione di portare dentro nella staffetta “il terzo”, che erano loro i favoriti per il titolo e non avrei accettato scommesse su altri team. Il mio modesto parere è che Dietmar e Andreas si siano portati a casa un titolo meritato; quella medaglia d’oro non aggiunge niente alla storia personale del terzo frazionista del Castello di Fiemme, ma alla loro sì...

Anche se la foto che avrei voluto vedere sul sito della Fiso è quella dell’arrivo della staffetta M20 dell’Orienteering Tarzo, medaglia d’argento. Scusate... ma in fondo sono solo un vecchio inguaribile romantico impiegato panzottello facile alla commozione.

Un ringraziamento speciale a tutta la crew del GS Pavione: devo dire che ho avuto la fortuna di operare con parecchi team che, per dirla tutta, non ti fanno sentire mai solo ma ti fanno sempre sentire parte di una squadra coesa; anche se vengo da Milano ed anche se il mio ruolo, in fondo, è quello più trascurabile in una disciplina nella quale la componente tecnica avrà sempre un ruolo preponderante. Ma è proprio così: non mi sono MAI sentito solo durante questo Campionato Italiano, e tutto il merito va ai ragazzi ed alle ragazze che operavano incessantemente attorno a me. Grazie!

Wednesday, September 07, 2011

Con il post precedente mi è stato confermato, anche tramite mail, telefonate e facebook, che l’appello “aiutate un povero speaker” è stato raccolto a tutti i livelli. Allora adesso posso provare a battere Dario Pedrotti. Sul tempo. Di pubblicazione. Sul blog...

Alta Badia, dunque. Una due giorni da ricordare, da ripetere, da tramandare alle prossime generazioni. Per una serie di motivi che cercherò di spiegare qui sotto.

Quando ho visto comparire i primi volantini della gara, mi sono molto meravigliato del fatto che non ci fosse un forte “battage” (è francese) da parte della Federazione a questa manifestazione: non credo che capiti tutti i giorni di poter avere in calendario due gare organizzate sotto l’egida di gruppi orientistici ma anche extra-orientistici che hanno nel loro carniere una Maratona Des Dolomites (28.000 richieste di partecipazione ogni anno e 9.500 iscrizioni accolte... insomma, è una O-Ringen!) o le gare di Coppa del Mondo di sci sulla pista della Gran Risa, e che annoverano tra le loro fila personaggi che anche mediaticamente godono di un certo prestigio (Maria Canins o Alex Ploner o altri ancora). Sono rimasto abbastanza perplesso in quanto mi è sembrato che su questa due giorni ci fosse una sorta di strana invisibilità, mentre per me essa rappresentava una occasione praticamente unica ed irripetibile: quella di poter andare a fare una gara di orienteering (lo sport che amo) in una zona d’Italia che non avevo mai visto prima d’ora ma che non avrei potuto esimermi dall’amare a prima vista, ovvero la conca di Corvara in Val Badia.

Ora, a costo di apparire un po’ blasfemo (ma sperando di non apparirlo affatto) dovrei dire anche che Corvara è proprio un posto “a casa di Dio”. Accomunando in questo termine il lunghissimo tragitto per arrivare in loco da Milano (abbiamo dovuto fare tappa a due terzi di strada per sfinimento da traffico del venerdì sera) nonché la eterna e tortuosa strada da Chiusa a Corvara passando per Selva di Val Gardena sempre dietro allo stesso stramaledettissmo pullman di tedeschi in gita; a questo proposito mi sento per la prima volta in vita mia di dare un consiglio ai viandanti: uscite a Brunico e risalite a Corvara dalla Val Pusteria! 35 km in più ma 350 tornanti in meno e soprattutto, al ritorno, niente pullman di tedeschi!!!

“A casa di Dio” vorrebbe essere anche espressione (non blasfema o irriverente) per dire che se io fossi al posto del Supremo Architetto dell’Universo, la casetta a Corvara per riposarmi nel settimo giorno della creazione me la sarei costruita subito! Credo che l’Unesco e l’Umanità nel distribuire a piene mani “patrimoni” ad amici ed amici degli amici abbia fatto anche qualche fesseria, ma la Val Badia da questo punto di vista è intoccabile e francamente in cima alla hit parade. Amore a prima vista tra la valle e Stegal in versione impiegato panzottello ed anche un po’ vomitino (i tornanti...), e via allora che si va subito a fare il model event a Colfosco.

Colfosco, laddove la prima cosa che vedono i miei occhi intorpiditi dalla nausea è un prato verde smeraldo brillante che degrada lentamente in discesa verso la prima lanterna; un prato inframmezzato da radi boschetti, canalette bagnate, qualche palude e qualche capanna che fa da punto di riferimento. Attorno a me, e sopra di me sulle ovovie, i turisti che risalgono le piste da sci per andare a fare una passeggiata in quota: non sanno cosa sta per fare quella specie di mozzarella bianca con gli occhiali che ha appena ricevuto un pezzo di carta da Massimo Bianchi, ma non sanno cosa si perdono... Durante il mio tragitto, per fortuna corto (anche perchè, come mi capita sempre più spesso, sono punti a sequenza libera ed io kanno brutalmente il giro dimenticandomi la lanterna 42) incrocio i passi di Alex Ploner, in tenuta sportiva ma niente affatto orientistica, e subito mi accorgo che trattasi di personaggio che con un minimo di competenza orientistica potrebbe fare veramente bene; colgo una sua frase “qui siamo a sinistra della palude” che mi fa subito pensare che io una palude ho saputo riconoscerla dopo 4 anni di gare, mentre lui aveva preso in mano una carta per la prima volta quel pomeriggio (a proposito: nella MB long di domenica a memoria 1° Ploner 2° Lukas Stampfer 3° Giuliano Rampado... sono il Moggi dell’orienteering ma anche un po’ il Dan Peterson e qualcosa ci capisco!).

Il venerdì sera riesco persino, accompagnato ed introdotto da Massimo Bianchi, a conoscere i ragazzi di Mentalità Sportiva che stanno facendo il loro workshop a Corvara: un incontro illuminante (per me) ma avrò modo di approfondire nel futuro.

Sabato il programma prevedrebbe il model event a Piz Sorega, quota 1950 metri, con salita da San Cassiano, ma il GOK Team preferisce affrontare la zona salendo da Corvara verso Prà Longià e godendosi quindi una giornata di sole sul panettone delle piste da sci: un milione e duecentomila foto della Marmolada illuminata dal sole, del SassLong, della pista della Gran Risa e di tutto ciò che i meno fortunati possono vedere solo su qualche rivista di viaggi e montagna.

Si scende a Corvara con le gambe a pezzi ed è tempo di partire per la gara sprint in paese. Laddove, complici quota, poco allenamento, ciccioneria abbondante e distrazione da montagne circostanti riesco a mettere insieme una serie di “perle” orientistiche non indifferenti che purtroppo coinvolgono anche il mio immediato inseguitore Fabio Hueller; mi prende mentre sto navigando a casaccio per andare alla seconda lanterna (la gara è di 3,4 km con 23 lanterne, quindi non sono trascorsi 10 chilometri dalla lanterna 1...) e, fidandosi dei 19 anni di orienteering del sottoscritto, mi segue ciecamente infilandosi in un autentico “cul de sac”. Seguiranno altre perle di minore importanza, rallentamenti in salita e sulle tratte più filanti, qualche indecisione nella parte di bosco sovrastante Corvara ed un finale più deciso che mi porta ad un non memorabile quarto posto finale in poco più di 32 minuti di gara.

La giornata di domenica prevede il piatto forte del fine settimana, ovvero il motivo per il quale sul posto sono convenuti un po’ da ogni dove altri 300 amici che hanno pensato alla gara di Piz Sorega come ad una occasione unica (come dicevo prima) e valida come allenamento per il campionato di Bellamonte (questo non vale per me che miro solo ad arrivare al traguardo in un tempo decente). L’impianto è ad alta quota attorno a 2000 metri, ed ha quindi una conformazione da pascolo alpino: terreni molto aperti, amplissima visibilità con l’occhio che spesso di perde in avanti per chilometri, paesaggi da favola e molecole di aria respirabile portate via nottetempo da qualche accaparratore: avrei taaaaaaaaanto gradito un ristoro a base di bombola contenente il 78% di azoto ed il 21% di ossigeno!

La prima lanterna non è difficile (mi chiedo come abbia fatto Rudi Mair a metterci 11 minuti...): dovrebbe essere sufficiente tirare dritto sui pascoli e guardare i pochi oggetti (piloni, piccoli capanni, radi alberi isolati) per arrivare dritti al punto. Il problema è che manca l’ossigeno ma per una lunga parte della lunghissima tratta si è ancora a vista degli spettatori alla partenza... e quindi bisogna correre per far vedere che si è atleti e non semplici panzottelli! Tutto ciò finisco per pagarlo già sulla lunghissimissima tratta verso la 2 e sulla salita dalla 3 alla 4. Qui mi raggiunge Fabio Hueller, sempre lui, che stavolta non si fa trarre in inganno dai miei sbandamenti; appena esco dalla 5 vengo staccato da Fabio e superato sulla destra da un Dietmar Lanz mai visto così in forma, ma con lo sguardo posso persino seguirli lungo i pascoli per una decina di minuti fino alla 6. Qui succede una cosa curiosa: arrivo in zona “6” in totale debito di fiato e trovo una lanterna che mi sembra la mia, codice 61; non ho la lucidità per controllare la descrizione e mi fido della memoria... avevo dato una occhiata al road book solo qualche minuto prima... esco dal punto e mi avvio verso la 7 meravigliandomi di avere le due capanne un po’ più lontane di quanto mi aspettassi, ma in fondo sono lento e non posso pensare che tutti gli oggetti mi vengano addosso! Un movimento appena accennato alla mia destra: un punto di controllo, con un gonfalone dell’Alta Badia, un fotografo ed una persona dell’organizzazione Ma ho punzonato poco prima... non può essere il mio... “Vuoi che abbiano messo un punto fotografico e che non sia sul percorso degli M35???” penso mentre mi allontano... sarà... ma tanto non sono qui per fare il risultato e quindi torno indietro di qualche metro e vado a punzonare una lanterna che, ovviamente, non può essere mia; ho punzonato poco prima, no? Mi metto in posa per la foto, punzono, controllo istintivamente il codice “71” e guardo il road book sul polso: “71”. Una P.M. mancata per pura vanità!!! :-)

Da lì in poi la gara è lunga ma è uno spettacolo. Mi raggiunge e mi supera Valerio Casanova “Dai che non è una passeggiata ecologica!”, mi stacca ma lo supero nuovamente verso la 9 in una tratta un po’ tecnica per venire poi subito dopo definitivamente staccato. Mi raggiunge sulla salitazza verso la 11 Andreas Weitlainer “E’ lunga... non finisce più...!”, ma commette qualche errore per andare alla 12 cosicché su questa lanterna piombano dai 4 punti cardinali diversi 4 concorrenti dell’M35 (sinceramente credo di essere quello che ha fatto la tratta più dritta), e ce ne sarebbe abbastanza per scrivere un libro sull’orienteering e su come viene variamente interpretata una mappa, persino su una tratta corta.

Nell’ultima tratta lunga vengo sfilato da Dario Pedrotti che opta per una scelta a scendere e risalire ma su un terreno piatto mentre io limo anche la curva di livello a 10 centimetri di equidistanza ma per farlo sono abbarbicato ad una costa ripida come un muro del pianto... finale “cattivissimo” con una salita finale alla 100 che consente al fotografo di riprendermi (ma non solo me) almeno 20 volte in tutte le possibili pose della fatica, del dolore e dell’asfissia!

Dopodiché verrà l’ora di abbandonare la “casa di Dio”, con un ringraziamento allo speaker ufficiale che mi coinvolge in qualche bella discussione aperta sulla materia orientistica (bella per me che parlo ed ascolto, magari meno bella per chi viene travolto dal fiume di parole...): con uno speaker così, intendo lo speaker ufficiale, si potrebbe organizzare un Mondiale senza nemmeno stare a coinvolgere Per Forsberg, e chi ha orecchie per intendere...

Tuesday, September 06, 2011

Aiutate un povero speaker!

L’idea era quella, per una volta, di battere super-Dario Pedrotti... cosa avete capito?!? Mica in gara! Batterlo sul tempo. Di pubblicazione. Sul blog. Visto che il mio favorito per una medaglia post-Rigoni ai Campionati Italiani di Bellamonte sta ancora scrivendo sul suo blog dopolavori.blogspot.com in merito alla Due giorni della Val Rendena, pensavo di batterlo sul tempo scrivendo della bella Due giorni dell’Alta Badia disputata a Corvara e Piz Sorega settimana scorsa.

Avrei anche potuto scrivere del fatto che l’ho visto passare come un Eurostar quattro o cinque curve sotto di me sul pascolo che portava verso le ultime lanterne (io ero il terzo in griglia, lui era l’ultimo...), e che per qualche misero secondo avevo cercato di “stargli a fianco” anche se lui correva sul piatto ed io su una costa ripida; certo, non ho fatto un metro di dislivello, ma ho avuto bisogno dei ramponi per non precipitare a valle (addosso a Pedro) o nel laghetto 10x10 che faceva da riferimento per l’uscita dal punto precedente.

Così avrei potuto scrivere “Pedro, ti ho battuto!”. Sul tempo. Di pubblicazione. Sul blog.

E invece Alta Badia dovrà aspettare, perchè adesso ho bisogno del Fiso-Universe per venire a capo di una questione che nel cuor mi sta ma che evidentemente ai nostri dirigenti frega poco o nulla... la questione è: quali sono gli atleti che ai prossimi Campionati Italiani di Bellamonte NON gareggerano per il titolo perchè NON in possesso della cittadinanza italiana?

Antefatto 1: campionati italiani a media distanza a Monte Penna, nell’età del dattero del secolo che fu. Sono iscritto in H21, tre batterie; dopo un viaggio allucinante da Milano faccio letteralmente pena e schifo in batteria cercando le carbonaie (ricordo di quel giorno la povera Martina Corona che arrivò al traguardo che era uno straccio). Si qualificano per la finale A in primi X, per la finale B in secondi X, gli altri nella finale di consolazione degli impiegati panzottelli...

Però nella mia batteria ci sono una quantità di stranieri iscritti, mi pare, da Gabriele Viale con la sua società di allora. E Andrea Rinaldi, speaker a Monte Penna, mi dice fugacemente in serata “guarda che forse decidono di comporre le finali escludendo dai conti gli stranieri che non gareggiano per il titolo”. Il giorno dopo, immodestamente e senza gloria, scopro che sono l’ultimo ripescato in finale B, finale che disputerò al meglio delle mie possibilità precedendo anche qualche forte atleta finito nella stessa finale.

Antefatto 2: campionati italiani a media distanza a Lama Mocogno, nell’età del paleozoico del secolo che fu. Sono iscritto in H35, ci sono pochi iscritti e se ne qualificano 10 per la finale. Dopo un inizio un po’ così così faccio una bella gara e finisco undicesimo. Tra i 10 c’è un certo Oleg Anuchkin. Così vado in segreteria gara a chiedere se gli atleti stranieri venivano contati per l’accesso in finale... la risposta dell’allora Presidente FISO fu “Perchè? Ci sono atleti stranieri in gara?”. Ovvero: nessuno si era mai posto il problema. Risultato: sono il primo degli esclusi, il giorno dopo comunque faccio una gara abbastanza penosa ed il tarlo mi rimane...

Antefatto 3: campionati italiani a media distanza a Stonlaita Platabek, nell’età del pleistocene del secolo che fu. Iscritto in H35. Faccio una bella batteria, d’altronde il bosco è uno dei miei preferiti (vero Cristian Bellotto che quel posto mi piace?), nel finale sono a lungo affiancato a Laura Scaravonati e Francesca Pelizzola.... e non sempre sono io il terzo vagoncino del treno (tanto che né Laura né Pelli mi riconobbero!!!). Anche in questi campionati italiani ci sono tanti stranieri iscritti, sia con società italiane che iscritti con i rispettivi team di appartenenza. E sono piazzati nelle griglie un po’... come dire... alla rinfusa anche se sicuramente fare meglio non si poteva: non ricordo benissimo ma nella mia griglia ci sono i vari Hayman e Anuchkin e Shutkovsky (di cui si conosce il punteggio in lista base), ma anche Guglielmetti, vari "tori del Ticino" e russi di importazione. Nell’altra batteria finiscono stranieri che terminano la gara con tempi da long distance...

Risultato finale: finisco primo o secondo degli esclusi, ed ennesima delusione vedendo i miei compagni di squadra che nell'altra batteria si qualificano per la finale con tempi di 4 o 5 minuti superiori al mio. Delusione da cui mi risolleverò solo in una piovosa giornata sull’Altopiano dell’Argentario, quando sarò l’ultimo dei qualificati ed il giorno dopo farò una delle più belle gare della mia vita nella mia prima finale middle della carriera. Ma questa è storia davvero recente... in mezzo è passato anche il periodo cretacico, l’uomo di Neanderthal e sono arrivati l’Homo Sapiens, l’Homo Thierry Gueorgiou e l’Homo Dario Pedrotti...

Nel frattempo però è iniziata mio malgrado una “fulgida” carriera di speaker. E qui casca l’asino! Alzi una mano l’organizzatore di gare di campionato italiano al quale NON ho chiesto “mi puoi dire in anticipo quali sono i concorrenti che NON gareggiano per il titolo?”. Nel corso degli anni ho assistito alle scene più invereconde: medaglie d’oro date alla piccola Julia Shutkovskaya e tolte il giorno dopo, risultati finali sub-judice in attesa di verifica della cittadinanza, medaglie NON assegnate per lo stesso motivo e poi frettolosamente recuperate in corso d’opera delle premiazioni (per chi non lo sapesse, e infatti non molti lo sanno, la laziale Maria Novella Sbaraglia è stata protagonista nel recente passato di un gesto molto sportivo che è passato praticamente inosservato ai più...).

E poi il caso per me più eclatante, che ho finalmente risolto solo quest’estate, di atleta che ha preso titoli e medaglie senza proprio avere la cittadinanza italiana.

Così quest’anno ho preso la mia decisione: sto passando la settimana precedente la gara dei Campionati Italiani a mandare mail e messaggi su Facebook e telefonate a tutti coloro che, per pura complicanza del cognome di famiglia, potrebbero ricadere nella categoria di coloro che pur partecipando alle gare di Bellamonte con dignità e perizia senz’altro superiori alla mia, non potranno fregiarsi di titoli o salire sul podio a ricevere medaglie.

Mi spiace ed è un controsenso ed una mia stortura mentale da vecchio rimbambito che nel ventunesimo secolo dell’era globale una persona debba ricevere dallo speaker una mail che dica “scusa... ma tu sei cittadino italiano o no?” solo perchè magari il cognome ha una “W” o una “K” o una “J” (e magari intanto Mario Rossi che gareggia per la società Alta Valle Orienteering è un ticinese che vive ad Ascona con il suo bel passaporto rossocrociato).

Ma sono già rimasto scottato una volta... e credo anche che sia diritto degli altri concorrenti conoscere in anticipo se il tale e la tale che fuggono lontano nel bosco (alludo soprattutto alla gara a staffetta) sono concorrenti diretti per il titolo italiano o solo per il primo posto in classifica. L’anno scorso io annunciai fin dal primo passaggio che la staffetta Elli-Sacilotto-Cole dell’Unione Lombarda non gareggiava per il titolo, pur essendo state in testa dal punto spettacolo della prima frazione... ma questo lo so IO perchè sono mie compagne di squadra. E se qualche concorrente si fosse tirata il collo fino a sbagliare per cercare di star loro dietro?

Chissà se un giorno la Federazione si metterà in pari con questa situazione? Ci sono probabilmente questioni più scottanti e più urgenti da risolvere, ma anche questa cosa va risolta. Altrimenti, il giorno in cui toccherà ad un’altra bambina di 12 anni restituire la medaglia di un titolo W14, non venite a guardare in direzione del sottoscritto!