Sarebbe stato il momento epico dell'anno. Quello in cui ce la
stavo facendo contro ogni più fosca previsione. Sarebbe stato ancora più
perfetto se io avessi trovato ad accogliermi uno speaker che inneggia al mio
nome, magari con il sottofondo di una colonna sonora trasmessa da un Ipod un
po' scassato: "Going the distance" di Bill Conti, sarebbe stata
perfetta in quel momento. Come perfetta lo era stata nell'accompagnarmi per
tutte le tre ore nelle tre ore precedenti. Che poi va bene tutto, ma dopo tre
ore che te la ripeti nelle orecchie perfino
"Going the distance" scassa un po' la minchia...
Mi sarebbe piaciuto tagliare il traguardo a braccia alzate,
con quel tipo di smorfia masochistica sul viso che sta a dire che hai dato
tutto quello che avevi da spendere, che sei andato ben oltre i limiti fisici e
che ne sei orgoglioso. Sarebbe stato perfetto, se non fosse che a 200 metri dal
traguardo mi sono praticamente fermato, indeciso se continuare fino al traguardo o mollare tutto. E quando scrivo
"tutto", intendo proprio "tutto". Sono rimasto un paio di
minuti abbondanti fermo al freddo, al buio del pomeriggio inoltrato, poco prima
del trentunesimo punto di controllo. Fino a poco prima di fermarmi, nonostante
la fatica ed il tempo passato nella foresta, i piedi stavano ancora rispondendo
come raramente li avevo sentiti in tanti anni di orienteering. Poi quel
pensiero mi è passato in testa, e mi sono fermato: potevo finire la gara,
potevo aver avuto successo o essere arrivato a fondo classifica, potevo essere
stato coraggioso o pavido nell'affrontare il percorso, ma in ogni caso non avrei potuto raccontarlo a mio padre.
Nelle settimane passate dal 19 maggio mi sono posto qualche
volta la domanda se avesse senso continuare a fare orienteering, se fare finta
di essere ancora un ragazzino o un atleta dal momento che né ragazzino né
atleta lo sono più da parecchio tempo. Quest'anno ho compiuto 25 anni di
orienteering, e mi chiedo quanta strada avranno fatto le mie scarpe da quel
primo giorno a Ronzone. Tanta, sicuramente tanta. Non sempre lieta, non sempre
in discesa. Più spesso in salita, commettendo errori dal marchiano al surreale fino
al "ma ti sei bevuto il cervello o
cosa???". Sono stato superato da ragazzini alle prime armi che magari
adesso calcano i palcoscenici internazionali, sono stato superato da anziani
master... che continuano a sorpassarmi a 25 anni di distanza! Ho chiesto
indicazioni ad esordienti spaesati... e vabbé dai: ho dato indicazioni a 3
campioni del mondo!
C'è stata però sempre una costante: per tutti questi 25 anni,
c'è sempre stato mio padre a chiedermi come era andata la gara. Mi ricordo
benissimo il giorno in cui, ridendo, disse che era sorpreso che suo figlio
avesse sviluppato una strana insensibilità a spine e ortiche, dal momento che
da bambino non facevo altro che tornare a casa in lacrime dopo essere caduto in
un roveto o essere scivolato sulle ortiche al bordo dei sentieri sterrati. Da
quando quella costante della mia vita è venuta a mancare, mi ero chiesto più
volte se valeva la pena continuare. Mi ero dato una prima risposta nel primo
pezzo sul blog scritto dopo la scomparsa di papà, ma quel dubbio era rimasto.
Fino a ritornare forte nella testa in un tardo pomeriggio di un giorno di
settembre, in prossimità del trentunesimo punto di una gara fin lì perfetta. Durante
quel paio di minuti in cui sono rimasto fermo, accucciato a terra, ho
ripercorso in un lampo 25 anni di gare (25 anni sono la metà della mia vita) e di
nuovo mi sono rivolto a mio padre per sapere cosa dovevo fare. Non ci sono
stati lampi nel cielo, squarci tra le nubi, raggi di sole venuti a lambire i
miei piedi. Papà ed io non abbiamo bisogno di questi mezzucci per comunicare:
dal 19 maggio siamo tutti e due nella stessa testa, la mia, dove sono passate
immagini di amici che ho conosciuto e che sono rimasti attratti dalla forza di
gravità dei boschi e delle lanterne, di persone che hanno incrociato i miei
passi una o due volte e poi come comete si sono allontanate verso l'infinito, di
racconti scritti sul blog quando questo era la "new frontier" della
comunicazione e di altri racconti scrtti adesso che il blog è un reperto
dell'era dei dinosauri, immagini di microfoni e di parole, immagini di fatica
"questa è l'ultima volta giuro!"
e di lanterne che solo per vergogna non ho abbattuto a calci dopo una ricerca
fatta in stile "livello
vice-aiuto-esordiente".
Pensavo a tutto questo ed improvvisamente ho sentito una
specie di spinta arrivare all'altezza dei piedi, come se qualcuno mi avesse
tolto da sotto la zolla di terreno, ed ho sentito un desiderio irrefrenabile di
correre verso il traguardo. Dove non c'era lo speaker, non c'era la colonna
sonora di Rocky, non c'era la folla di orientisti, non c'era nemmeno la linea
del traguardo con il gonfiabile. Potrei quasi dire che non c'era veramente
nessuno, se non fosse che sono sicuro
che sulla linea del traguardo mi aspettava mio padre. Grazie papà!
(Foresta del Cansiglio - venerdì 8 settembre 2017)
Un posto perfetto. Una gara perfetta. Un giorno perfetto. Un
finale perfetto. Ma avrebbe potuto essere un posto da incubo, una gara
terribile, nel giorno sbagliato, con un finale diverso. D'altra parte il Cansiglio non perdona. Non perdona chi
ci accede con le migliori intenzioni e forte di una preparazione fisica e
tecnica condizionata ad arrivare al meglio a quella particolare gara;
figuriamoci se può perdonare lo speaker che arriva al Cansiglio il giorno prima
per cimentarsi sul percorso Elite dei Campionati Italiani Long Distance, che si
disputano una tantum in un’autentica
foresta "come mamma l'ha fatta". Ricordo benissimo la telefonata
di Valter Giovanelli di due anni prima: stiamo pensando di organizzare i
campionati italiani sul versante del Cansiglio che butta verso il Lago di Santa
Croce, è un posto bellissimo, verresti a fare lo speaker? Come si fa a dire di
no? In due anni ho sentito tante volte la voce di Valter che mi aggiornava
sullo stato dei rilievi della mappa, sulle idee del tracciatore: una voce
sempre rotta dalla commozione per un posto che avrebbe potuto rappresentare
nella sua immaginazione "il posto definitivo" per una gara di
orienteering. E in due anni tante volte gli ho sentito dire "sono andato nella zona della foresta per
fare un controllo, e mi sono perso!". Non è proprio un commento da
lasciare tranquillo il sottoscritto...
La mattina di venerdì 8 settembre la GOK-car lascia Milano in
direzione Cansiglio. A bordo uno speaker che non ha la più pallida idea di che
cosa gli sta venendo addosso. Una sola certezza: i ragazzi dell'Orienteering
Dolomiti si sono fatti il mazzo per mettere
giù un giorno prima il percorso Elite (con lanterne e tutto) per darmi la
possibilità di fare la gara nelle stesse condizioni degli altri. Il viaggio è
lungo. Si fa presto a farsi assalire dai pensieri: la lunghezza, il dislivello,
la difficoltà del percorso, la foresta dove sarà dentro da solo... Al cambio
driver all'autogrill di Piave Ovest mangio qualcosa... ma con il senno di poi sono
convinto che la signora Marta dell'autogrill mi abbia messo il Prozac nella
coca-cola, perché da quel momento in poi mi sembra di non avere più un solo
cattivo pensiero: la giornata è perfetta, non fa né caldo né freddo, Valter mi
aspetta per portarmi in partenza ed io non mi sento nemmeno stanco dalle ore
passate in macchina.
Rapido cambio di scena. Sono ancora in auto, ma questa volta
il guidatore è Valter che mi sta portando verso l'arena di gara e poi da lì in
partenza. Sono vestito a strati, con la termica a maniche lunghe perché la gara
sarà lunga e terminerà a pomeriggio inoltrato, e ho con me tutto il carbogel
che posso stivare in tasca. Mentre andiamo, Valter mi indica una zona di bosco
sulla destra della strada dicendo: "vedi
quel vallone? da lì ci passa la staffetta di domenica... ma quella parte di
bosco non è altrettanto bella di quella che farai oggi". Io guardo
giù, vedo un bel vallone pulito con il terreno compatto, penso a certi terreni
dalle mie parti si intende "rovi-fango-spine-brutte
parole alla mamma del tracciatore" e penso che in fondo tutto è
relativo...
Zona di partenza. Ultime raccomandazioni di Valter. Consegna
della cartina e via. Da quel momento sono da solo. Tutto quello che deciderò di
fare saranno solo caxxi miei dettati dal mio desiderio di provare il percorso di
quelli forti. Dovrei smetterla, lo so. Sono tre ore di gara come tempo massimo,
e ben difficilmente ce la potrò fare: prima ora di riscaldamento, seconda ora
ad andare avanti a colpi di carbogel, terza ora non lo so... forse "Going
the distance" mi verrà in aiuto. Magari
l'anno prossimo faccio una scelta diversa, mi dico... intanto vediamo come
inizia questa gara.
Inizia che sul sentiero in leggera salita che mi porta verso
la prima zona di lanterne sento le gambe che rispondono bene. Non sono ancora
arrivato al primo vallone che a sinistra sento una specie di crepitìo: mi giro
di scatto e vedo dei cervi che corrono paralleli a me in direzione della
Foresta. Qui sono io l'intruso, mi dico.
L'inizio non è dei più geniali: per evitare di stare troppo
basso, in una foresta nella quale la visibilità è solo poco al di sotto di
quella dell'altro versante del Cansiglio, mi alzo decisamente troppo e finisco
sul mio punto 5. Che tratta perfetta che sarebbe stata, se fosse stato quello
il punto 1! Il Prozac della signora Marta ed il carbogel che ho preso prima di
partire scorrono forte nelle mie vene: mi giro di 90 gradi e, camminando e
contando i passi come mi ha insegnato Roland Pin, punto dritto al mio vero
primo punto di controllo cercando di capire quali sassi sono stati cartografati
e quali non lo sono. "Trova il primo punto e il resto verrà da
solo" mi dico sempre. TAAAAAACC!
Dopo il primo loop arriva la tratta lunghissima che mi aveva
segnalato Paride Grava nel pre-gara. Avrei una tentazione fortissima di
scendere sulla strada e fare il giro del mondo fino al tornante ad est dei
punti 6 e 7. Però almeno fino al sentiero che passa tra il punto 2 ed il punto
3 ci so arrivare, poi c'è un altro pezzo sul sentiero forestale, poi da lì
potrei provare a buttarmi dentro con un po' di sana incoscienza e vedere se
riesco ad orientarmi tra le colline e le depressioni. Ora... io non saprei
esattamente descrivere se nei successivi 45 minuti è stato più l'effetto del
carbogel o di Thierry Gueorgiou che si è impadronito della mia testa. Sta di
fatto che l'unico pensiero che ho, una volta lasciato il sentiero, è che potrei
correre sulle creste che sembrano lisce come un biliardo, che potrei orientarmi
con l'area fettucciata con le strisce bianche e rosse (e la trovo appena alla
mia sinistra) e infine ci sarebbe persino una radice poco prima del sentiero ad
indicarmi dove mi trovo... una radice? E'
un albero secolare alto 30 metri buttato giù per terra! Credo di ricordare
che Paride si era cronometrato su quella tratta in 13 minuti circa, con tempo
stimato per i migliori di meno di 11 minuti. Io mi ero messo nel mirino una
tratta da 25 minuti circa... quando sbarco sulla sesta lanterna e faccio
scattare lo split del cronometro, il tempo segna 17 minuti e 20 secondi.
"Le Roi" continua a guidare sicuro i miei passi
almeno fino in prossimità del punto 8, dove perdo almeno 6\7 minuti girando ben
lontano dalla zona punto (ne approfitto per prendere il secondo carbogel). La 8
è in effetti parecchio problematica (vedi alla voce "hai rischiato di essere abbattuta a calci"), così proseguo al
passo verso la 9 per riprendere un po' di morale e di energie. Ne approfitto
anche per guardare intorno a me, e quel che vedo è pura beatitudine: ci sono
alberi, c'è la foresta, non c'è un solo bipede nel raggio di qualche
chilometro, ma c'è tantissima vita... ci sono i gufi che ogni tanto planano
lentamente verso di me, vedo qualche cervo in lontananza e caprioli che fuggono
quando mi avvicino. Mi sembra di percepire la forza che emana ogni albero
attorno a me, alberi che abitano la foresta da tanto prima che io nascessi e
che resteranno lì quando non ci sarò più. Io sono l'intruso oggi, mi ripeto, e
per questo voglio essere rispettoso del posto che mi sta ospitando (anche
quando si tratta di cercare di non calpestare le distese di funghi, soprattutto
sanguignoli e mazze di tamburo, che crescono ovunque). Ritornando nella zona
del punto 13 mi appoggio sempre ai sentieri: aumento il ritmo quando corro
sulle tracce e cammino, cercando di leggere le curve di livello, quando mi
avvicino ai punti. La visibilità è sempre perfetta, i movimenti del terreno
sono sempre dolci, le gambe reggono. Non sono ancora a metà gara ma, come
diceva ad ogni piano quello che stava precipitando dal grattacielo, "fin
qui tutto bene".
Punto 13-14. O
"della superbia". Non mi è passato neanche per l'anticamera del cervello
di andare a prendere la strada. Non l'ho proprio vista! Ho visto dopo la gara
le tracce gps dei campioni, e mi sembra che nessuno si sia avventurato lungo il
bosco (d'altra parte i campioni solo loro e ci sarà un perché). Io ho seguito
tutte le tracce, soprattutto quella del sentiero ad est del punto 19 che, con
il suo "sentiero cugino" poco più ad est ospiterà l'inizio della
seconda parte di gara. Avrò fatto bene? Non avrò fatto bene? Boh? Il fatto è
che continuo ad essere in uno stato di perfetto "flow" con la foresta
e con il percorso; i piccoli sentieri, che talvolta si riconoscono solo perché
sono proprio una linea pulita tra gli alberi tutto attorno, mi accompagnano
lungo il percorso. Quando sbaglio il punto 17, arrivando alla depressione più ad
est, mi fermo addirittura a salutarla e a dire qualcosa del tipo "mi dispiace cara, non è il tuo turno, devo
andare a visitare la tua amica qui a fianco". (poi non si vede bene
per via della traccia disegnata con paint, ma quella ansa tra il punto 18 ed il
punto 19 è praticamente tutta su sentiero). Il punto 19 è il cambio carta: giro
il percorso sull'altra facciata e ne approfitto per sedermi accanto ad un
albero.
Prendo l'ultimo carbogel che mi deve bastare fino al traguardo e
intanto mi guardo intorno ancora una volta cercando di immagazzinare le
immagini dello spettacolo attorno a me; oppure, come dico di solito, di mettere
il silenzio e la bellezza che mi circonda in una bottiglia che poi stapperò nei
momenti più difficili.
La prima parte del secondo giro non mi fa paura: ormai
conosco come le mie tasche quei due sentieri che corrono paralleli da nord a
sud, e la rete di sentieri tutta intorno è quella che mi ha già aiutato a
terminare il primo giro. Per andare dal punto 20 al punto 21 non mi azzardo
nemmeno a mettere fuori il naso dalle tracce perché al solo pensiero di
buttarmi a casaccio in mezzo alle depressioni ed alle colline mi fa pensare che
resterei a vagare senza meta fino alle luci dell'alba di sabato. Con calma
arrivo al punto 22: sentieri e tracce = corsa, fuori da sentieri = si cammina
con gli occhi aperti a controllare le curve di livello. La punta della bussola
che tiene il segno sulla mappa è la mia migliore amica. Per andare al punto 23
mi infilo sulla cresta tra le due depressioni: non è un punto difficile, ma è
difficile evitare di calpestare il tappeto di funghi che, lungo quella cresta,
separa il sentierino dalla madre di tutte le carbonaie del Cansiglio. La
prossima parte del percorso è la più dura: il tempo di gara sta già correndo
oltre le 2 ore di gara e manca ancora parecchia strada. Soprattutto mi mettono
una gran paura le lanterne 25 e 26 che sono buttate in mezzo ad un
"frattale" di buche sassi depressioni colline e qualunque altra cosa
possa essere disegnata in marrone su una carta da orienteering. Visto che dalla
23 alla 24 non trovo niente di meglio da fare che corricchiare sui sentieri (mi
punge vaghezza di andare dritto verso la 24 al grido di "tanto troverò il pratone che mi ferma e mi
dice che devo tornare indietro!", ma mi sa che alla fine lo farà solo
Mamleev...)
(nella foto il più famoso e iconico tesserato della FISO... quell'altro
è Mamleev)
... ma dopo la 24 decido che per arrivare alla 25 è meglio
entrare dalla porta posteriore! Punto alla 27, poi corro parallelamente alla
strada e arrivato all'avvallamento mi butto in mezzo. Questo è il piano di
battaglia. In realtà faccio su un casino
che metà basta...
In pratica. La linea gialla è quello che avrei voluto fare:
avvallamento, proseguo nell'avvallamento, piccola depressione e poi la roccia
sul bordo della collina. Quello che succede nella realtà è che in realtà il
primo avvallamento sono due avvallamenti che si biforcano, ma non me ne
accorgo; vado lungo, entro nell'avvallamento successivo, piego verso ovest e
trovo una lanterna. Per fortuna di tutti i posti dove potevo finire sono
arrivato proprio sulla mia 26! Da lì cammino fino alla 25, resistendo alla
tentazione di segnare la strada con il tacco come se io fossi Pollicino... e
con circospezione ancora maggiore ritorno sui miei passi fino al punto 27, dove
trovo un pennarello perduto da Valter
Giovanelli durante una delle sue mille uscite di controllo.
Da lì in poi si tratta solo di resistere. L'effetto
dell'ultimo carbogel sembra svanito e le scelte diventano di pura sopravvivenza
e minimo rischio. "Going the distance" è diventata irritante nella
mia testa e non ci sono più energie per accelerare nemmeno quando decido di
appoggiarmi alla strada per andare alla 28. Sono a 2 ore e 55 minuti di gara ed
il sogno di arrivare al traguardo entro le 3 ore tramonta definitivamente
mentre sto andando al punto 29 cercando di non farmi distrarre dai paletti
delle lanterne che saranno posate per la staffetta. L'ultima parte nella
Foresta del Cansiglio resta pura poesia: le pendenze del terreno sono
dolcissime, il terreno è uniformemente ricoperto di muschio o di sottobosco e
mi sembra di essere ancora una volta il primo essere vivente a passare in
un'area incontaminata.
Poi arriveranno i pensieri e i dubbi, il momento di chiedermi
se dovevo arrendermi e quello successivo nel quale mi sono reso conto di una verità:
tutte le sensazioni che ho vissuto al Cansiglio e durante tutti i 25 anni
precedenti hanno contribuito a fare di me quello che sono adesso. Un
"me" che non ho nessuna intenzione di tradire e di rinnegare, perché
a conti fatti nei panni dell'orientista (a volte un po’ clowneschi e troppo
variopinti) mi ci trovo benissimo. Per questo motivo ho ricominciato a correre,
sono arrivato correndo in cima alla salita (un po' alla Rocky), ho piegato a
sinistra e mi sono infilato tra le fettucce che portavano al traguardo.
Dove fisicamente non c'era nessuno, ma nella mia testa
c'erano esattamente tutti coloro che porto con me ogni volta che vado nel
bosco. Se devo ringraziare per una gara del 2017, ringrazio proprio la Foresta
del Cansiglio perché mi ha fatto riscoprire quello che c'è di buono nello sport
che faccio e nelle passioni che vivo. I dubbi e le angosce sono rimasti
indietro: dentro di me restano la realtà ed i ricordi delle cose belle che ho
vissuto e che vivrò ancora.
Sarebbe stato il momento più epico dell'anno: e lo è
stato!