GEIUOCC 2025 – Giorno 2: Cembra e quella transenna sottile tra realtà e delirio
Sono le ore 7:30 a Cembra, ridente paese che regala il nome alla omonima valle. In realtà, credo che non stia ridendo nessuno, e già da un pezzo. In effetti, a giudicare dalle facce, Cembra ride come un impiegato del catasto il lunedì mattina.
Mi piacerebbe poter dire “Il paese si sveglia al suono delle
transenne che vengono posate, dei gazebi e delle strutture che vengono
innalzate sul viale principale…” ma temo che riceverei una serie di sonore
pernacchie. Gli speaker arrivano alle 7.30, ma a giudicare dalle chat
dell’organizzazione alcune squadre sono a Cembra già dalle 5 del mattino, se
non prima, a posare transenne, alzare gazebi ed installare palchi e strutture
varie che, come ho già avuto modo di dire più volte, continuano a non volerne
sapere di spostarsi in autonomia da un punto all’altro delle valli.
Quindi no, penso che non rida nessuno.
Alle 7.30 apre anche la quarantena dei partecipanti, che
saranno chiusi dentro in una struttura nella frazione di Faver: mi chiedo a che
ora abbiano potuto fare colazione i ragazzi e le ragazze, se l’hanno fatta, se
hanno dormito, se hanno sognato, se sono in grado di chiedere un
ulteriore sforzo ai loro muscoli. Alle 7.30 l’aria è comunque ancora frizzante,
ma sappiamo che la giornata diventerà bollente e soprattutto lunghissima:
abbiamo una gara sprint valida per i Campionati Mondiali junior, una gara di
contorno, il ritorno a Baselga per organizzare le due cerimonie di premiazione
della sprint relay e della sprint, e poi il Team Official Meeting. Manca solo… una
voce dal cielo che ci dica “siete su Scherzi a Parte” e poi ci porti a
casa in elicottero
I microfoni per me, per Alexander e Nicole sono pronti.
L’orologio corre inesorabile. E noi? Noi stiamo per entrare nell’antro della
bestia, nel cuore del delirio. Ai JWOC non c’è tempo per il riscaldamento. Ti
butti nella mischia come in quei sogni in cui ti chiamano a fare l’orale di
greco e non hai studiato perché pensavi che ci fosse educazione fisica.
Ore 9.00. La sprint è cominciata, e lo schieramento della
batteria speaker è consolidato: Nicole gestisce le interviste per la IOF TV
acchiappando per la collottola tutti quelli che passano in posizione da podio,
in un caleidoscopio di nazioni e colori e lingue straniere; Alexander si divide
tra la panca di commento vera e propria e i 10 metri dopo la linea del
traguardo per intervistare atlete ed atleti che tagliano il traguardo in un mix
tra il trafelato e il “più di là che di qua”, ma che alla vista del microfono rinvengono
e rispondono a domande tecniche ed esistenziali in un inglese da BBC.
Io resto alla postazione speaker, perché il mio inglese non lo capisce nessuno… …però la gente ha ormai capito il codice Morse del mio microfono.
“Urlo forte” = qualcuno sta arrivando (potrebbe anche essere
un gatto).
“Urlo fortissimo” = forse succede qualcosa di buono (ma non
garantiamo).
“Bomba sonica” = ehi, forse sì.
Il fatto è che di tutti i partecipanti ai JWOC ne conosciamo
per nome e per fama più o meno il 10%. E per il restante 90% si va col
metodo Wikipedia-alla-cieca: vedi una maglia norvegese, urli “potrebbe
vincere!”, e se lo fa davvero… sembri preparato. È un po’ come giocare al
Fantacalcio senza conoscere i giocatori, ma con molto più sudore.
Solo per fare un esempio, qualche giorno prima dell’inizio delle gare, gli addetti stampa (gente che durante la sprint relay, in pieno delirio della seconda frazione, è arrivata in postazione speaker a domandare come funzionava la gara) mi avevano chiesto per ogni gara (= 5 gare) i nomi di almeno 10 favoriti e 10 favorite (= almeno 20 nomi diversi, per 5 gare), e magari qualche notizia su di loro.
E io che potevo dirgli? Prendete tutta la Norvegia, che non ho idea di chi
siano salvo una che tornerà buona più avanti, ma se sono norvegesi… Prendete
tutta quanta la Svezia, che è chiaro che se vesti la maglia gialloblu non sei
proprio il più scarso della batteria. Prendi tutta la Svizzera, e per i motivi
vedi sopra alla voce “Svezia”. Prendi tutta la Finlandia, non dimenticare tutta
la Cechia!!!, Vuoi non mettere dentro qualche francese e tre o quattro
ungheresi a caso (dice niente il nome di Rita Maramarosi?)? Mai sottovalutare
l’orgoglio dei britannici, e poi vuoi che tra polacchi e australiani non salti
fuori nessuno? … e la lista è presto fatta. Praticamente le pagine gialle. Di
fatto, la lista finisce nel cestino.
Ma non puoi sbagliare: magari il fenomeno di giornata è
proprio quello che parte alle 9:02, e ti ritrovi che ti sei perso la perla
delle perle mentre stavi ancora cercando il tasto per accendere il microfono.
Alle 10:30 ritorna l’addetto stampa. Sguardo sicuro, laptop già caldo, aria da
"io ho capito tutto". Mi guarda e dice: “Ormai possiamo scrivere il
pezzo, la Elli Punto ormai è in testa da più di un’ora!”. Io lo guardo. Lo
guardo davvero. Quel tipo di sguardo. Proprio QUELLO LÌ. Quello che
avete imparato a conoscere
E poi inizio a spiegare: “Vedi, una gara di orienteering si
svolge con una partenza al minuto… e ce ne sono ancora quasi centocinquanta in
gara”. Ma la gara? Il pezzo? Le tempistiche? Io glisso sull’arrivo imminente di
un turco a caso, il che mi dà la possibilità di mostrare ai coach del team a
cavallo del Bosforo che avevo imparato bene come pronunciare il nome della loro
nazione: da qualche tempo (e magari hanno anche qualche ragione, visti certi
Presidenti che girano…) non vogliono sentirsi associare a nessun tacchino.
Questo fatto Alexander lo sapeva già, glielo aveva spiegato
il presidente della conferenza mondiale del sa-il-Signore (Alexander ha un solo
grado di separazione con chiunque, fosse anche il Papa) e non esistono cose che
lui non sa, ma io sono cascato dal pero e questo fatto apparentemente innocuo e
di pura (mia) ignoranza aveva scatenato un ennesimo incidente internazionale
durante il primo Team Official Meeting.
“Ma la Elli Punto…???”. “La Elli Punto lasciala lì che
devono ancora arrivare cinque svedesi, quattro norvegesi, quattro svizzere,
ungheresi a caso…”. Tutto questo avviene a microfono aperto, purtroppo. Il
popolo degli orientisti assiepato accanto alle transenne sente nominare “Punto”
una staffilata di volte di fila, e allora io cerco di depistare cominciando a
raccontare una storia senza capo né coda che in italiano “punto” è il segno di
punteggiatura... tipo nelle email: chiocciola, punto com... Tutti mi guardano.
Scuotono la testa. Da quel momento divento “quello del punto”, che non è male,
considerando che l’alternativa era “quello del turco”. Oppure “Only in Italy”.
Altra cosa meravigliosa dei JWOC è che non esiste un
copione certo. Ai Campionati del Mondo dei professionisti (WOC) le
strambate ci sono ma fino ad un certo punto (Punto!): chi parte in testa, o
resta in testa fino alla fine o al limite arriva lì vicino. Ai JWOC chi è in
testa al punto 10 può sbagliare al punto 11 e finire in classifica tra le fila
di “chi ha fatto la spectator race ma si è perso pure lì”. In un attimo, il
leader rotola giù come un tappo di prosecco sotto pressione. E nello stesso
altrettanto attimo il bassofondo della classifica azzecca la scelta di percorso
della vita e si ritrova nel giro delle medaglie. Qui tutto può succedere. E
infatti, succede.
Le prime tre ragazze arrivano al traguardo in cinque secondi
(ah! Mia povera voce!), il che è sempre il sogno dello speaker che può
sciorinare il vecchio “Non c’è countdown!”. Tra i ragazzi Berger domina e poi
rotola lontano, Hammond domina più di Berger e poi inciampa nel cordino della
medaglia che gli abbiamo già messo virtualmente al collo e finisce quarto.
Quando arriva il vincitore maschile, lo capisci da lontano.
Cammina come uno che non sta camminando: atterra. Più che un atleta, un
missile travestito da umano. Ed è il Terminator norvegese della staffetta
sprint del giorno prima. Davanti alla transenna ci sono suo papà e suo
fratellino. Si abbracciano. Il papà ha le lacrime agli occhi. Io pure. Ma
faccio finta di avere un’allergia.
Poi lui prende fiato e la prima cosa che dice è: «Devo ringraziare Markus, il mio amico. Lui ha fatto una mappa del paese e abbiamo studiato insieme le scelte di percorso.». Boom. Altro che “dedico questa vittoria al mio pubblico, al mio coach e a chi non ha mai creduto in me”. Questo è Orienteering. Questo è JWOC.
Intorno, la bolgia aumenta. Cembra sembra l’Oktoberfest, ma
con più gente ubriaca.
Al di qua della transenna: speaker box, cavi, telecamere, microfoni e palco a
distanza ravvicinata. Di là: musica, vino, pasta, birra, bratwurst, gente che
canta, ride, mangia, urla. E ogni tanto si mettono pure a commentare la
gara.
Alexander e Nicole, appena dietro la tenda speaker, sono due
trottole: intervistano tutto quello che si muove. Atleti, tecnici, passanti,
forse pure una pianta di oleandro. Abbiamo sviluppato un codice “Prendo la
linea per…” “Copy that, go!”. Si fermano solo davanti ad una ungherese (Rita
ovviamente) che puntava a vincere l’oro e si è ritrovata con niente in mano, e
all’avvicinarsi del microfono lancia frecce più affilate di un affondo
olimpico.
Poi arriva il “momento Bertolino”: c’è un ristoratore che
evidentemente non ha ancora esaurito i piatti di pasta e vorrebbe chiamare
altri avventori; alla postazione speaker ha sentito parlare solo inglese, così
arriva con un tovagliolo scribacchiato male e chiede di poter dire al microfono
qualcosa sul fatto che lui ha ancora cibo, e inizia a parlarci a gesti. Gli
manca solo di mimare “i maccheroni stanno scuocendo” e siamo dentro Zelig. Alexander
cerca di tradurre in inglese il concetto di “scuoce”. Se ci riesce, lo candido
al Nobel per la linguistica.
Pausa pranzo. Mentre mastico un panino che urla glutine da
ogni mollica e chiede asilo politico dal dietologo, sento qualcuno che mi dice:
«Questa cosa che hai detto la compro e me la rigioco a casa!». È fatta: sono
ufficialmente una bottega di citazioni.
Parte la spectator race, ma noi iniziamo scialli, ancora in fase post traumatica, e poi io devo mollare il microfono. Alexander si riprende il trono, tanto ormai ha preso possesso della speaker box come se non avesse fatto altro per tutta la vita, e io torno a Baselga.
Missione: organizzare le premiazioni.
In Medal Plaza, zona podio, Flavia gestisce le
medaglie e le “vallette” come se fossero opere d’arte, Alessandro sistema le
bandiere (che di incidenti diplomatici per oggi anche basta grazie, ma non è
ancora finita) e mi dà la possibilità di sciorinare ancora una volta il mio
trucco per sapere dove va il secondo gradino del podio rispetto al terzo (mi ci
chiamano nelle università per insegnarlo).
Julie è ovunque, io sono da nessuna parte. Non so che
incarico ufficiale abbia Julie, di fatto non lo scoprirò mai, ma so che quando serve
a me, lei c'è. Basta che ci guardiamo in mezzo al bailamme: 1.90 per
uno. Una torre gemella umana che prova a mettere ordine tra urla, musiche e
premiati. Siamo il duo “Caos e Calma”. Lei organizza. Io urlo. Funziona!
Il palco è grande quanto un francobollo, la densità umana è
tipo centro di Manhattan all’ora di punta. Schierati da sinistra a destra ecco
a voi: bandiere, autorità a profusione, casse da concerto dei Pink Floyd,
gradino del secondo posto lungo tre metri e pesante cento chili, gradino del
primo posto lungo tre metri e pesante uguale, gradino del terzo posto lungo tre
metri e pesante pure, cavi, drappi, altre casse da concerto rock, il punto da dove
si precipita nel vuoto. Dovrebbero starci pure la mascotte e lo speaker… forse
loro li mettiamo in bilico con il vuoto
Tra i drappi ed il vuoto io dovrei riuscire a far stare 12 persone, perché forse a nessuno è venuto in mente che in orienteering si premia il “podio lungo” (top six) e la staffetta è di quattro atleti cada-squadra. Quindi devo far stare 12 persone in tre metri quadri… tipo tram all’ora di punta ma con meno zainetti da consulente figo e meno puzza sotto le ascelle. Il tutto mentre i fotografi vogliono che le foto vengano alla perfezione, la televisione vuole che le immagini risultino di una bellezza cristallina, le autorità aumentano e aumentano e aumentano…
Intanto mettiamo tre pezzi di scotch per terra, poi chiamiamo
un coach per ogni nazione, mostriamo lo scotch e spieghiamo come e dove si
dovranno mettere i premiati, che dovranno stare uno addosso all’altra in uno
spazio limitatissimo. Fino alla Finlandia va ancora bene, anche se lo sguardo è
perplesso oltre misura. Poi devo acchiappare la coach norvegese, che sarebbe
questa qui…
Lei mi guarda. Non mi capisce. Io la guardo. Provo a mimare. Lei mi riguarda con lo stesso sguardo con cui guarderebbe una roba caduta sul pavimento. Io la acchiappo per le spalle, la metto in posizione e mi schiaccio subito dietro a lei, poi faccio un piccolo passo di lato, la riacchiappo e la rimetto davanti a me. “Ok… one two three four…”. Lei mi riguarda. Scuote la testa. Sta pensando “Only in Italy” o forse ad una denuncia per molestie. Il Safeguarding compera altri fogli protocollo per stendere la relazione finale.
Julie ed io siamo ancora in caccia! “Where are
the Aussies?!? Here… you stay here!!!”. I Cechi ridono, le Svizzere fanno occhi grandi come piattini
da caffè, Rita organizza da sola tutta l’Ungheria. Io urlo “avanti marsh!”
facendo passare la truppa tra un panettone anti-parcheggio, una transenna ed un
furgoncino parcheggiato a muzzo suo.
Premiazioni, mille foto. Dovrebbero essere fatte dopo gli
inni nazionali ma i rappresentanti media esondano. Corrado, zen come solo lui
sa essere, ha in mano gli inni nazionali. Io tengo incrociate dita, gambe,
cuffie, speranze. E miracolosamente… tutto fila.
Sul podio si canta, si ride, si piange. Le ragazze posano le
corone di fiori sulla testa dei ragazzi, ragazzi, poi viceversa. Baci,
abbracci, lacrime sincere. L’addetto stampa mi chiede “dove le hanno
comprate?”. Io guardo lo stato dei giardini circostanti e faccio il vago.
Mi allontano, sudato, con un paio di sinapsi rimaste indietro
a Cembra.
Pian del Gacc ci aspetta. E io, lo speaker per caso, sarò lì. Microfono in
mano, vocabolario mezzo rotto e la speranza che domani… magari ci sia
educazione fisica.
Perché sarà ancora una volta una giornata lunga lunga lunga
che più lunga non si può.
Non solo per gli atleti. Anche per gli speaker.
Specie per quelli che ancora si ostinano a spiegare la sintassi degli indirizzi email