Top di Santo Stefano: contiene immagini raccapriccianti
All’inizio dell’annata sportiva 2022 mi sono trovato all’orizzonte due traguardi statistici importanti, sebbene non sia mio costume farne troppa menzione: 30 anni di orienteering e 400 gare commentate come speaker. In entrambi in casi, se qualcuno durante l’estate del 1992 mi avesse detto che mi sarei trovato a questo punto, forse avrei fatto una grassa risata. Risata che probabilmente sarebbe risuonata anche a Pian del Gacc il giorno in cui Andrea Rinaldi mi ha per la prima volta affidato il microfono per commentare una gara. Quel microfono, lui e altri maestri del commento dal vivo di una gara di orienteering, l’hanno rivisto sempre più raramente.
I 30 anni si calcolavano facile: bastava
fare 30 agosto 1992 + 30 anni ed il gioco sarebbe stato fatto. Per le 400 gare,
qualche calcolo lo dovevo fare. L’ho fatto io durante l’anno sportivo, ma lo
stava facendo anche qualcuno altro. In particolare l’Orienteering Tarzo, che mi
avrebbe voluto a commentare la gara numero 400 al Cansiglio e ha cercato in
vari modi di inserire nell’equazione una singola incognita per arrivare al
fatidico “399+1”. Anche il buon Mauro Gazzerro ha cercato di far coincidere la
prima tappa della 5 Days of Italy con la gara numero 400, ma il calcolo è stato
sballato proprio da una gara organizzata da lui, i GSS del Veneto corsi (e
commentati da me) il sabato mattina della Coppa Italia di Villa Gregoriana.
Solo che ci è voluto anche l’intervento del mio angelo custode, o di tutti i miei numerosi angeli custodi, per arrivare alla quota 400 che sarebbe caduta in occasione della Relay of the Dolomites 2022.
Non mi dilungo su ciò che è accaduto il giorno prima della Relay, alla gara regionale di Pian de Gralba. Non ho ancora elaborato del tutto la cosa: lo spavento che ho provato è ancora lì sotto la pelle e si fa sentire ogni volta che guardo giù da una discesa o da un salto di rocce. E poi la descrizione di ciò che è accaduto è stata riportata fedelmente, emozionalmente, ed in un modo che io non sarei mai in grado di ripetere da Dario Pedrotti nel suo blog
“Alla ricerca di una delle prime lanterne, su un terreno non
esattamente banale, ma non peggio di mille altri dove abbiamo corso e
continueremo a farlo, "ha perso l'equilibrio" e, stando a chi lo ha
visto, è rotolato per 20-30 metri nel bosco, sui tronchi caduti a causa di
Vaia, facendo almeno una decina di rotolamenti, e fermandosi contro un albero
poco prima di un dirupo di una decina di metri”.
Si. Confermo tutto. Confermo di non essere affatto passato in un posto impossibile per andare al secondo punto (non ce ne è traccia in mappa), confermo di aver solo capito in una frazione di secondo che il terreno aveva ceduto sotto i miei piedi e che in quel breve istante mi ero già trasformato in un oggetto rotolante dominato esclusivamente dalla forza di gravità. Forse alcune delle sensazioni che ho provato le ho ricostruite solo più tardi: tutti i colpi presi contro gli spuntoni dei rami degli alberi, il tentativo di mettere le mani sul volto per proteggere gli occhi. La mappa, la sicard, gli occhiali e anche il porta-descrizione che sono volate in ogni direzione. Le urla di Mattia “Houston” Salvioni che ha assistito dall’alto alla scena, e che deve aver pensato che io ci avessi davvero lasciato le penne.
Dopo essermi schiantato contro l’albero
che ha impedito che la caduta proseguisse per un altro paio di decine di metri,
ho provato a muovere i piedi, poi le gambe, poi le braccia. Mi sono trascinato
sugli alberi per recuperare le cose che erano volate via, e confermo di aver
pensato, ma per un solo istante e nonostante la vista annebbiata, di proseguire
la gara. Ma è stato solo un istante prima che l’angelo custode prendesse il
potere e facesse risuonare forte e chiaro nella mia testa un perentorio “per oggi basta così!”
Mi sono trascinato a fatica sul
sentiero che portava fuori dal bosco e verso la zona di arrivo, ed ho visto la
traccia di sangue che dalla faccia colava ai miei piedi. Poi ho visto l’espressione
in volto di Misha Mamleev, che era stato raggiunto dalla notizia che qualcuno
si era fatto male nel bosco e stava scendendo verso il traguardo: mi è bastata
la sua faccia per capire che la mia non doveva essere del tutto a posto.
E infine l’esame in ambulanza con gli infermieri che, dopo avermi ripulito da parecchio sangue, non si capacitavano di come io rispondessi sempre “no” alla domanda “ti fa male qui? Ti fa male qui?” finché uno ha proprio detto “senti! Ho il dito dentro la ferita aperta… come è possibile che non ti faccia male?”.
Non sono Iron Man, non sono The
Unbreakable, ero ancora molto probabilmente carico di adrenalina. Il giorno
dopo, con le ferite aperte e dopo aver intriso di sangue il lenzuolo, sono
andato alla Relay of the Dolomites ed ho camminato all’alba lungo il percorso
Esordienti, per vedere con i miei occhi il sentiero nella Città delle Pietre e per
verificare se le lanterne della domenica avevano davvero le dimensioni che mi
erano state promesse.
Infine, prima di prendere la strada per l’aeroporto e per Londra dove il lavoro mi aspettava, mi sono sgolato a commentare l’edizione più bella della Relay of the Dolomites, perché sono fatto così e perché volevo dare qualcosa alle persone che non avevano potuto salire a Passo Sella e si dovevano accontentare della cronaca su Youtube