Stegal67 Blog

Wednesday, September 26, 2012

Duplice Drammatica Disfatta a Dervio…

… ovvero: come fu che io a Dervio non ci dovevo andare nemmeno dipinto, e invece sono qua a leccarmi le ferite!

In questa fase della mia già poco nobile carriera orientistica, fase che gli storici del prossimo millennio (se mai parleranno di me) definiranno “periodo nero” o “periodo debacle”, aggiungere domenica dopo domenica un altro tassello al puzzle delle disfatte spingerebbe qualunque essere dotato di senno ad interrompere per qualche tempo gli impegni, in attesa che le forze ricompaiano, che la testa ricominci a funzionare, o più probabilmente che la cometa di Halley torni a farci visita… Ma io non sono dotato di senno. Quello deve essere marcito nel fango e sotto la pioggia che hanno accompagnato alcune tra le mie meno nobili odissee di questi anni. E fu così che, nonostante tutto, sono qui a scrivere sul mio diario quelle che potevano essere le grandi imprese del sottoscritto a Dervio, e che ovviamente non lo sono state!

Dervio ovvero “come farmi del male due volte nello stesso giorno”. Il Nirvana Verde nel giorno di grazia del 23 settembre riesce a rendere appetitosa anzichenò la domenica inserendo due gare (quasi) sprint nello stesso giorno e nello stesso posto a distanza di pochi quarti d’ora l’una dall’altra: il Campionato Regionale Sprint 2012 (che nelle intenzioni del sottoscritto avrebbe dovuto essere disputato da un’altra parte… ma è un’altra storia e non rivanghiamo) e un Trofeo Centri Storici Lombardi. Dervio si presta molto bene per entrambe le tipologie di gare, e se il nome del sottoscritto non compare nella starting list del sabato non è per il ricordo di quanto accaduto l’ultima volta che mi sono cimentato colà, bensì per alcuni impegni lavorativi che, sempre più frequentemente, prenderanno di mira anche il sabato e la domenica.

(per i nuovi lettori: l’ultima volta che ho gareggiato a Dervio ho terminato la prova colando sangue a causa dell’incontro fortuito, ma dovrei dire più correttamente “della mazzata a tradimento infertami”, con il manico dell’ombrello di un passante che era stato “spaventato” dal passaggio ravvicinato del concorrente precedente…)

Poi succede che sabato pomeriggio si concretizza uno spiraglio per evitare che la domenica del villaggio si trasformi in una giornata lavorativa… rapida telefonata agli organizzatori dove scopro l’esistenza di un “vacante”, et voilà! Eccomi inserito in lista nelle due gare! In M21. Il che farebbe pensare che già da sabato la mia intenzione era quella di farmi del male da solo. Pensavo tuttavia che qualcuno, magari Attilio, avrebbe potuto accompagnarmi nella trasferta; e quindi la mia iscrizione in M21 era un gesto per lasciare la porta aperta ad un altro master. Certo… sabato sera Gueorgiou e Hubmann (il minore) avrebbero subissato di proteste gli organizzatori per questa intrusione dell’ultimo momento nel novero dei favoriti, ma a me in fondo che mi frega di loro? Che vengano a Dervio a dimostrare di essere più forti di me! Non sono voluti venire? Peggio per loro, sono più forte io! Cicca cicca…

A Dervio comunque ci arrivo da solo, in totale ritardo sulla tabella di marcia causa apocalisse segnaletica nella zona di Muggiò (maledetti loro che stravolgono le uscite della tangenziale e poi ti lasciano senza uno straccio di indicazione per proseguire) e stop da parte dei Carabinieri sulla discesa verso il lago (benedetti loro che, loro si, lavorano anche la domenica per la mia sicurezza). Riesco in ogni caso ad arrivare in tempo in partenza, nonostante io sia schierato in griglia al minuto 4 e la partenza sia anticipata di 30 minuti rispetto alle canoniche ore 10.00, ed il numero che sento mormorare tra la folla è uno solo, e non è né “45” né “64” (si veda il blog di Pedro) bensì “830”. La descrizione punti della gara sprint, infatti, riporta bello chiaro un “830” che fa pensare a tutti coloro che non hanno ancora attaccato il cervello che, ad un certo punto, ci troveremo di fronte una tratta di 830 metri fettucciata, o obbligata, o altro ancora.


830 metri è un bel po’, se inserito in mezzo ad una gara sprint di 26 punti. Il primo pensiero va ancora a Pedro, ed agli sconquassi che le sue gambe magiche potrebbero dare alla classifica in un simile tragitto… ma è un pensiero che dura poco perché al via mi trovo lanciato in un autentico labirinto di viuzze, piccoli spazi tra le case, gradini umidi e sconnessi ed in acciottolato da scendere e risalire con un occhio alla carta, un occhio a dove metto i piedi, un occhio all’incolumità ed un occhio a “cerchiamo di non mettere a repentaglio la schiena che è meglio”. Prendo largo il punto 1, e sulla risalita verso il 2 sento già alle mie spalle i passi leggeri di Misha Anuchkin che alludono al primo sorpasso!


Da lì fino alla fine del primo giro nel vecchio borgo di Dervio passa tra un incrocio e l’altro con Misha, che sembra sbucare da ogni dove, e qualche passaggio con gli le tute della Punto Nord Monza. Le tossine che già invadono il cervello mi impediscono di ragionare su quel famoso passaggio “830” che mi aspetta a breve; sarà la salita in uscita dal punto 9, nonché il fatto che il tratteggio che porta dalla 9 alla 10 passa proprio il mezzo al lago, a darmi il tempo di ragionare sul fatto che non ci sarà nessun “Beam me up, Scotty!” per arrivare alla 10, ma che devo soltanto ragionare sulla carta e trovare qual è il punto di contatto tra i due frammenti: nello specifico, lo identifico nel trapezio di verde privato poco a sud del punto 9 (Attilio in un microsecondo troverà la soluzione grazie alla stradina a ferro di cavallo proprio al confine del primo pezzo di cartina). Un appunto per il futuro: credo che soprattutto i ragazzini o i più inesperti non si siano proprio raccapezzati, visto che anche alcuni concorrenti di lungo corso hanno finito per risalire la montagna fino a chissà dove in nome di quei famosi “830 metri”. Magari un punto facile, proprio sulla stradina a ferro di cavallo, ripetuto sui due frammenti di mappa poteva aiutare a capire come fosse possibile “da qui” (primo frammento) ritrovarsi “là” (secondo frammento).

Sorvolo sulla mia pietosa risalita in un campo di ortiche dal punto 11 al 12 (alcuni concorrenti avviluppati nell’erba alta saranno recuperati in tarda serata…) e, se qualcuno potesse spiegarmi, non capisco proprio il punto 13 che sembra messo lì solo per indurre qualcuno alla PM. Il finale di gara è molto bello e, sulla carta a disposizione dei concorrenti, molto più comprensibile del .gif che pubblico; la prossimità di alcune lanterne rende molto bene l’idea di gara sprint che si gioca sul filo dei secondi, gara che io probabilmente perderei al punto 19: giro attorno al lavatoio per almeno 30 secondi prima che Maddalena Iennaco ci si infili dritta, segnalando con il bip! la presenza del punto.

Dopo una buona oretta passata a parlare del più e del meno con gli amici Larissa e Oleg, è il momento della partenza di massa del TCSL, Trofeo Centri Storici Lombardi. E qui parrebbe proprio che il neofita del giorno sono io, che non mi preoccupo né di leggere un comunicato gara né di ascoltare (forse ero indaffarato con il porta descrizione punti) la spiegazione della gara. Spiegazione che, per me, arriva a cura di Roberto Arosio lungo la tratta sud-nord che porta dalla partenza-arrivo alla lanterna 55.

Stegal: “Ma è a sequenza libera?”. Roberto: “Si, c’è anche un tempo massimo…”. Stegal: “Ma se c’è un tempo massimo ci sono anche penalità?”. Roberto: “Si, 3 punti al minuto… mi pare…”.

Nel frattempo mi accorgo che non ho in testa uno straccio di piano per trovare “il giro giusto” (sempre che ci sia) e non ho nemmeno fatto partire il cronometro. Sul “giro giusto” me ne frego”, affermo ora senza tema di smentite che nella mia lunga carriera non ho mai imparato e on sono mai riuscito a trovare alcun “giro giusto” in una gara a sequenza libera. Sul “tempo di gara” me ne frego parimenti perché, non puntando alla classifica, di solito cerco di fare tutti i punti e “cosa ci importa del tempo ?” (questa è una cit.).


Nella pratica il mio “giro pessimo” è: 55 – 61 – 62 - 51 (con risalita e discesa dalla stessa stradina). Poi sottopasso verso la spiaggia – 86 – 85 – 84 – 83 – 66 -82 – 80. Da qui anziché puntare alla 77 torno verso la spiaggia: 79 (dove trovo seduti Oleg e Larisa, e chiedo loro un cambio stile staffetta suscitando ilarità… il che rappresenta bene il mio stato di orientista: ormai sono solo un comico!) – 76 – 75 ed è solo a questo punto che mi faccio un paio di avanti e indré 77 – 81. Poi ancora 73 – 78 – 72 – 71 – 70 – 74 – 69. La 68 vale da sola 50 punti, e se sono giuste le indicazioni di Roberto vale un ritardo di ben 17 minuti (poco motivati) quindi si va su a fare anche quella.

Nella discesa, però, le pulsazioni sono a mille, il fiatone consumerebbe tutto l’ossigeno presente ai 2.000 metri di Prà Longià e l’orologio sembra avvicinarsi ai 60 minuti (considerazione “a casaccio” sulla base del tempo che poteva essere trascorso tra la partenza ed il momento in cui Roberto mi ha accennato ai 60 minuti di gara). Tutto questo manda a ramengo anche la mia strategia “si fanno tutti i punti e chi si è visto si è visto” e quindi mi limito a scendere cautamente fino alla 67 e poi all’arrivo. Dove scopro che, forse, sono stato un po’ precipitoso nel punzonare un paio di punti che mancano al mio carnet di passaggi, e che sono ancora irrimediabilmente a fondo classifica anche se, proprio classifica alla mano, con qualche W21 o con qualche M16 e W16 me la potrei ancora giocare visto che i percorsi erano identici! (faccina che ride)

Si.. certo… “faccina che ride”… La faccina dovrebbe piangere eccome, visto e considerato come sono andato e le figure che continuo ad inanellare senza alcuna vergona apparente. Il problema è che sono ancora troppo impegnato a ristabilirmi in forze decenti per la prossima sovrumana impresa (ovvero il prossimo gradino della mia inarrestabile decadenza) per provare qualsiasi forma di pudore nei confronti dei miei risultati sempre più inclassificabili se non alla voce “Drammatiche Disfatte”

Friday, September 21, 2012

Master of Disaster in Val Badia

C’era una volta un pugile che si credeva bello, intelligente, carismatico e soprattutto invincibile. Il suo soprannome era “Master of Disaster”. Tutti lo acclamavano e se lo contendevano nei talk show e nelle pubblicità. Poi ebbe la sfortuna di incontrare un avversario meno bello, meno intelligente, meno carismatico e che non si credeva invincibile… ma un avversario che poteva essere descritto solo dalle immortali parole del trainer di “Master of Disaster”, che consegnò alla storia le immortali parole: “Lascialo perdere, non fa per te!”. Ma il campione non gli credette, e fu così che alla fine il pugile bello, intelligente, carismatico e invincibile perse, ritrovandosi soltanto un pieno di dubbi ed un passato glorioso che non sarebbe più tornato.


Io non sono bello, né intelligente, né tantomeno carismatico e soprattutto sono molto “vincibile”, ma avrei tanto desiderato salire in Val Badia, nel posto più bello del mondo (senz’altro ce ne sarà un altro ancora più bello, ma io non l’ho ancora visitato…), e scoprire alla fine della Tre giorni del Trofeo delle Regioni di aver fatto una bella figura di fronte agli amici orientisti, di vedere il mio nome in qualche parte alta (anche se non altissima, non chiedo tanto) di una qualunque classifica, di poter continuare a pensare che anche senza allenamenti, anche senza particolare concentrazione e senza una adeguata preparazione pre-gara, sono comunque in grado di rendere al meglio delle mie possibilità quando si tratta di andare per boschi con carta e bussola. Dopo tre giorni di gare a Corvara, ho una sola certezza: quel “Master of Disaster” sono io. Nel senso, credo sia chiaro e ovvio a tutti, dei tre disastri totali globali “di proporzioni bibliche” come sono quelli che ho messo insieme tra venerdì e domenica, una serie di rovesci davvero difficili da imitare!

Cominciamo dall’inizio. Dopo esser salito a Corvara fin dal giovedì mattina, un breve ma intenso allenamento il giovedì pomeriggio mi fa capire subito che l’altitudine del campo gara metterà a dura prova i miei muscoli poco allenati: bastano infatti 20 minuti abbondanti di corsa un po’ tirata per ritrovarmi addirittura con il naso che fa male, con il sapore del sangue nei polmoni e con una tosse asinìna che alla farmacista del centro di Corvara (non ero lì a far la spesa per me, ma potevo benissimo sembrarlo!) può solo far pensare che di fronte a lei c’è qualcuno che ha appena finito il secondo pacchetto giornaliero di nazionali senza filtro. Però questo è solo l’inizio, in fondo sono appena arrivato a Corvara, ho ancora nelle gambe e nella testa il viaggio da Milano… so che 24 ore potrebbero non bastare per acclimatarmi, ma una bella escursione venerdì mattina ai 2000 metri abbondanti di Prà Longià non potrà che essermi di giovamento!

Così, alle 15.30 di venerdì, fiero della mia “preparazione” e sicuro del fatto che questa volta non dovrò andare a cercare le molecole di ossigeno con la reticella della Vispa Teresa, mi reco alla partenza della gara sprint di Colfosco. “Gara sprint di orienteering” è ciò che propone il programma della Tre Giorni della Badia, ed è ciò che più o meno tutti quanti gli altri riescono a fare. Io invece non sono capace di comportarmi dignitosamente neppure nella meno nobile disciplina “Passeggio lento a casaccio”. La partenza mi vede precipitare subitaneamente nel gorgo di una curiosa malattia che si manifesta nella impossibilità di vedere figure geometriche con tre lati e tre angoli, lasciandomi però nel contempo la possibilità di scorgere distintamente cerchi, linee, numeri; dopo aver cercato per almeno 30 secondi quel fott…tissimo triangolo, non appena credo di averlo trovato (risalendo la china delle lanterne più o meno dal 12esimo punto) vengo interpellato da una concorrente che mi chiede se posso indicarle sulla mappa dove ci troviamo. Impiego così un’altra quindicina di secondi per trovare il SUO triangolo sulla SUA mappa (il fatto che questa concorrente sia una sciuretta anziana vestita da “spesa mattutina in cooperativa” ed io sia in tuta da orienteering non depone a mio favore). Quando finalmente riesco a indirizzare la sciuretta sulla retta via, passo un’ulteriore quindicina di secondi a cercare di nuovo il MIO triangolo sulla MIA mappa, questa volta risalendo la china solo dal cerchietto del settimo punto di controllo…

In tutto questo esaminare la carta di gara, continuo a ritenere che la mia migliore scelta potrebbe essere quella di girare i tacchi ed avvicinarmi al punto 1 partendo nella direzione opposta rispetto al corridoio di avvio; nella testa però risuona la voce di Attilio che mi dice “così non si fa!” (o meglio: io l’ho già fatto più volte in vita mia… ma dubito che sia lecito). Comunque il minuto perso a studiare il percorso paga un ottimo dividendo: vado infatti dritto al punto numero 4! A quel punto, non capendoci più una beneamata svèrza e trovandomi già in debito di ossigeno, arrivare al punto 1 è una mezza impresa ma almeno da lì non ho più a che fare con le figure triangolute bensì solo con quelle cerchiute sulle quali sono più sintonizzato.

Saltando parte della mia penosa prestazione, la mia scelta per il punto 7 prevede di lambire l’area violetta. Quando sbarco sul prato trovo alla mia destra un signore intento a falciare il prato, e poiché “non sono un botanico” (questa è una cit.) ma cerco sempre di avere rispetto per la proprietà altrui, mi arresto di colpo e mi giro verso di lui: “Scusi… le da fastidio se passo da questa parte?”. Quello si mette a ridere e mi dice “No, ne sono già passati tanti altri!”. Sul finire della tratta sento sopraggiungere alle mie spalle una specie di Furia Cavallo del West da tanto che galoppa; mi aspetto di veder passare Mamleev e invece è Andrea Foschian che si sta prendendo una rivincita sonante dopo la gara di Monte Sant’Angelo. A quel punto potrei cercare solo di seguire Andrea; invece per arrivare alla 10 faccio una scelta che tecnicamente sul sito di Gueorgiou è descritta come “ad minchiam” che mi fa restare corto di 40 metri rispetto al punto, in una area ristretta nella quale ci sono un semi-aperto, una curva di canaletta ed un sasso come dovrebbero esserci intorno al punto… il che farebbe pensare ad un colpo di sfortuna imparabile se non fosse che la zona appena circostante è completamente diversa e basterebbe guardarsi attorno oltre un orizzonte visivo di 5 metri per capire che non è sfortuna ma demenza acuta…

Dopo la risalita alla 11, devo attraversare ancora il fiume per punzonare la 12 e la 13. Guado il fiume, punzono e mi scapicollo verso il ponticello che porta verso il traguardo… ma per fortuna la mia testa aggancia il canale Rai del Dipartimento Scuola Educazione, si ricorda della laurea a pieni voti in fisica e si ricorda che se ho punzonato UNA volta, non posso essermi messo in saccoccia contemporaneamente sia la 12 che la 13. In effetti il mio meraviglioso senso dell’azimut mi aveva portato dalla 11 dritto sulla 13! Un Attilio un tantino sconcertato ed anche un pochino disturbato dal mio andirivieni (mi aveva già superato alla 10) mi chiede se è tutto sotto controllo, che è più o meno ciò che io sono solito chiedere quando incontro nel fitto del bosco un esordiente alle prime armi indeciso sul da farsi.

Vabbé… è solo la gara sprint di contorno… Conto quindi di rifarmi con gli interessi durante il sabato del villaggio, con un menu che un giro sul percorso della staffetta del Trofeo delle Regioni. Poiché ormai sono abituato bene e se i miei compagni di staffetta non si chiamano Christine Kirchlechner e Ingemar Neuhauser non se ne fa niente, gareggio da solo con una cartina M35 realizzata apposta per me da Denny Pagliari. Prendo il via in una frizzante mattina ladina alle 9.42, ed alle 9.44 circa sono già perso; per tutti coloro che non sono avvezzi al percorso della staffetta, e che potrebbero pensare che io in due minuti netti ho raggiunto la zona delle buche sull’Altopiano dell’Argentario (dove perdersi è lecito…), devo confidare che dopo due minuti netti io stavo ancora in pieno abitato di Corvara; purtroppo la carenza di ossigeno mi ha impedito di accertare che, se devo girare nella SECONDA strada a sinistra, non ha senso imboccare la PRIMA strada che incontro.


Poi, con in testa il pensiero della “demo” dei lanci, tutto fila liscio fino al rientro alla base dopo le farfalle nel bosco; fino purtroppo ad un totale ed improvviso black out mentale che non deve essere durato molto ma che mi lascia sconvolto sul terreno. L’arrivo provvidenziale di Rudy mi rimette sulla retta via e così, nel finale, dopo aver infilato ed attivato tutte le lanterne che ho trovato nel secondo loop boschivo (dove onestamente mi basta seguire nel’erba bagnata le tracce dei posatori che sono già passati), ingaggio un duello rusticano con il già citato Denny Pagliari: lui in auto sta posando le lanterne a Corvara ed io le sto cercando; il vantaggio sarebbe suo ed io sarei molto orgoglioso del fatto mio, se non fosse che nel tempo che lui sposta l’auto, parcheggia, tira fuori palo telo e stazione, picchetta il tutto, sistema il telo e aggancia la stazione, io non sono ancora arrivato a coprire i 100 metri che mi separano dal punto precedente. Il mio tempo finale? Una bazzecola… attorno all’ora di gara. La maggior parte delle staffette ha impiegato quel tempo, anche parecchio meno, per completare DUE percorsi!

Resterebbe così la gara long di Prà Longià. Ma questa, più o meno con dovizia di particolare, l’ho già descritta nel post precedente. Ricorderò l’emozione nel vedere il SassFort “sorgere” dietro la collinetta nella quale mi inerpico dopo il punto 1, l’urlo di “Demente!” di Jimy Origgi quando dall’alto di una collina gli segnalo che la mia scelta della 5 passerebbe di nuovo per il gazebo della partenza… (sono ancora convinto che quella scelta fosse migliore di quella che poi ho realmente fatto). Il rimbalzo sui punti 8 e 9 in mezzo all’erba “da elefanti” con i piedi che desiderano solo potersi appoggiare su un terreno solido e per giunta un po’ livellato. L’attacco completamente a casaccio della lanterna 11, trovata dopo aver raggiunto visivamente la 12. Ed infine la penosa, pietosa, irreale, intollerabile risalita dalla lanterna 16 durante la quale avrei tanto voluto vestire la maschera di un wrestler come Rey Mysterio per eviatre di essere riconosciuto dai vari Samuele Tait, Francesca Pompele, Alessio Dal Follo e compagnia cantante ai quali devo essere apparso uno squallido panzone (quale io sono) alle prese con una salita troppo impervia (quale essa era) ed un fiatone da maniaco telefonico (quale non sono ancora).


Giusto per rimanere in tema con la frase precedente, potrei dire che nel tempo della mia gara M40 Denis Dalla Santa avrebbe compiuto 2 giri e un quarto e Dario Beltramba quasi 2 giri giusti giusti… Ma la cosa che più mi scoccia è che sia sabato che domenica sono arrivato al traguardo con una sensazione simile a quella provata in Foresta Umbra: che avevo fatto una gran fatica ma che l’ultimo posto in classifica se lo sarebbe preso qualcun altro. Invece a Prà Longià il penultimo in classifica mi ha dato qualcosa come 20 minuti di distacco… altro che scarsità di ossigeno e “Master of Disaster”! Qua si tratta di “Laurea honoris causa in lumachìte e disorientamento”. Sarà per questo che ho pensato intensamente che la Tre Giorni della Badia potrebbe essere davvero il mio canto del cigno?

Wednesday, September 19, 2012

Découpage, o il canto del... brutto anatroccolo


E’ ormai chiaro a tutti che il nostro sport abbia molteplici e variegate sfaccettature, che si presti alle interpretazioni più diverse sia che si guardi ad una classifica sia che si cerchi di applicare un regolamento. Capita raramente, però, di leggere situazioni nelle quali la stessa gara, lo stesso percorso, lo stesso evento vengono interpretati in maniera così diversa da far dubitare che i commenti si riferiscano davvero alla stessa situazione. Vediamo, per esempio, come Dennis (“lui E’ l’orienteering!”) Dalla Santa avrebbe potuto commentare la gara long di Prà Longià di domenica scorsa: “Una gara facile, tutta da correre su un terreno sempre aperto. Ho fatto qualche piccolo errore, non mi è sembrato di essere andato tanto forte, non ho fatto nulla di eccezionale…”. Credo che abbia detto proprio così. Lo speaker ha risposto domandandogli dove avesse parcheggiato il quad o la moto da trial… Anche uno come Dario “bulldozer” Beltramba, che pure finisce staccato di 12 minuti (vado a memoria), potrebbe giudicare positivamente la propria performance. E così anche Zarfo, che di minuti nel prende 6 da Beltramba (io prendo 6 minuti da Beltramba se la gara è una mikrosprint da 1 mnuto e mezzo…), o Enrico Cignini, che di minuti nel prende 31 da Dennis ma che arriva bello solare e tranquillo e ha tempo persino per fare un secondo giro con la bimba.


Ma ecco che improvvisamente il sito Fiso riporta, tra tutti, il commento dello speaker http://www.fiso.it/04_notizie/dettaglio.asp?id=5822 Commento dal quale si evince che: 1) sicuramente lo speaker non capisce nulla; 2) sicuramente lo speaker è un impiegato panzottello di pochissime velleità; 3) non si capisce nemmeno con quale coraggio e con quale competenza lo speaker possa osare solo proferire certe parole. Attenzione infatti alle parole, che sono pesanti come macigni (sugli zebedei dello speaker)… “Il mio percorso M40 è stato parecchio duro…”. Caspita, certo che era duro! In fondo Dalla Santa ci ha messo la bellezza di 52 minuti, Beltramba 64, Zarfati 70, Cignini 83 (tutto a memoria, e mi dimentico di tutti quelli che stanno in mezzo…). Mr. Speaker 124 minuti. Per l’esattezza centoventiquattrominutietrentasecondi. Dove caz…pita sono stato per tutto quel tempo? Non è dato sapere! O meglio, io lo so e francamente non capisco come avrei potuto fare meglio. Ma andiamo avanti.

“… sicuramente ha giocato molto l’altitudine e il fatto che il terreno fosse molto movimentato con susseguirsi di paludi e piccoli avvallamenti nascosti dall’erba ancora più accentuati dalle piogge e dalla neve e di difficile percorribilità”. E’ tutto molto chiaro: solo IO sono andato a fare la gara a 2000 metri di quota, mentre si vede che gli altri (i suddetti già citati ed anche gli over-45 che avevano lo stesso percorso) la gara l’hanno fatta in discesa dai 2000 metri fin giù a San Cassiano, probabilmente su un tappeto erboso o su una striscia di tartan. Poi va bene la pioggia… ma la neve probabilmente si è sciolta ad aprile, quindi è altrettanto chiaro che IO la gara l’ho fatta ad aprile in condizioni stile Rocky III che si allena per sfidare Ivan Drago. Ma andiamo avanti.

“… Una gara in quota che ho portato a termine in più di due ore…”. Grande Capo Eestiqaatsi a questo punto dice… niente! Persino Grande Capo Eestiqaatsi non riesce a proferire parola. Tirèmm innanz. “… a 6 punti dal traguardo ho finito la benzina, ma ho deciso di andare avanti. Prima di essere speaker, sono in primis un orientista: gareggio con gli atleti, perché ritengo che l’Orienteering sia uno sport bellissimo, ma, soprattutto perché lo speaker deve conoscere da vicino e vivere in prima persona questa disciplina per poterla poi commentare…". Punto. Fine della dichiarazione. Che al confronto quelle che sta rilasciando Mitt Romney per l’elezione alla White House gliele scrivono degli analfabeti.

Io non sono Mitt Romney. Sono epico (minuscolo, sennò sarei il poco celebre wrestler…). Sono veramente sublime. C’è un po’ di tutto: l’atleta che dona alla fatica tutto se stesso, arriva ad erodere tutte le proprie possibilità ma getta il cuore oltre l’ostacolo e prosegue imperterrito nonostante la fatica ne ottenebri le membra e ne torturi il corpo. E poi quel “io sono un orientista”… sembra di risentire JFK pronunciare il suo immortale “Ich bin ein berliner”, o Burt Lancaster (“Io sono la legge”), o Will Smith (“Io sono leggenda”) o la pirandelliana signora Frola (“Io sono colei che mi si crede”)… ma si può credere davvero che sia da considerarsi “un orientista” qualcuno che impiega settantadue minuti più del primo in classifica per completare la gara di Prà Longià? Credo di no… al più, come dice l’immortale blog di Dario P., si può pensare a qualcuno che abbia raccolto per terra un foglio di carta con una mappa e stia cercando con fatica di raggiungere il più vicino bar per uno spritz!

“Gareggio con gli atleti” è la frase clou del pezzo destinato ad entrare nella storia della letteratura sportiva mondiale. In effetti io pensavo di gareggiare con degli spazzacamini, con dei vigili urbani in pensione, con le comparse di “Un posto al sole”… Si, io gareggio con gli atleti perché (ancora per poco, se va avanti così) trovo degli organizzatori-amici che mi consentono di prendere la strada della partenza con un certo anticipo sul resto del gruppo in nome della mia lucida follia che mi spinge a non voler abbandonare la tenzone.

Tuttavia la gara di Prà Longià, e tutto il fine settimana del Trofeo delle Regioni, impongono una riflessione. Sono ancora in grado di tirare avanti in questo modo? Mi chiedo fino a che punto potrò raschiare il fondo del barile della pazienza degli organizzatori, degli amici e delle amiche cui metto sotto il naso il microfono al termine della gara, o di Andrea “The Magister” Rinaldi con il quale metto insieme uno sketch come nemmeno i Fratelli De Rege “Ti lascio la parola ed il microfono, perché non sono nemmeno degno di reggere il microfono sotto la tua bocca” (il tutto mentre lo speaker professionale ingaggiato dagli organizzatori dell’Alta Badia Events si chiede in quale buco spazio-temporale sia capitato e quanto manchi alla fine di una giornata di lavoro obiettivamente impegnativa).

Mi chiedo quando il mio fisico in sfacelo dovrà abbandonare suo malgrado, O-Marathon o non O-Marathon, la categoria M40 visto che la matematica-anagrafica mi posiziona già più vicino ai 50 che ai 40 (ed io non ho il fisico spaziale di Giorgio Paoli, di Sergio Palusa, di Carlo Pilàt e di tanti altri che Prà Longià se lo sono letteralmente mangiati). Mi chiedo se la mia testa, quella che è completamente andata in un’altra dimensione durante la prova mattutina della staffetta del TdR (grazie Rudy! E grazie anche a Stefano Z., Gianni B. e Fabio P. per il supporto) è ancora in grado di sostenermi mentre vago per il bosco da solo con il solo obiettivo di immagazzinare tutte quelle emozioni che poi, in modo talvolta irriverente e sbracàto, cerdo di ritrasmettere agli atleti in gara. Mi chiedo fino a quando gli orientisti mi sopporteranno, e mi chiedo se non sia giunto il momento di mettere da parte i miei racconti e i cominciare a parlare “di compostaggio o di découpage”.

E quest’ultima frase è per il miglior ori-narratore del pianeta, del passato e del presente (del futuro non c’è certezza): Dario P., il quale ha dichiarato a Prà Longià di aver corso una gara perfetta, con la quale avrebbe potuto chiudere la sua carriera orientistica per mettersi a parlare di découpage… i 61 secondi di vantaggio con il quale PM Grassi declassa Dario al secondo posto ci garantiscono, ancora per qualche tempo, la lettura del blog di Dario che rappresenta in questo 2012 il momento più divertente, esilarante o riflessivo della settimana. Però, caro D(i)ario, stavolta il primo a parlare di découpage sono io!

Da Wikipedia: "Il découpage è una tecnica decorativa, il cui nome deriva dal francese découper, ovvero ritagliare. Nota in Italia come "lacca povera o arte povera", era stata introdotta nel XVIII secolo dai mobilieri veneziani per (eccetera eccetera eccetera)..."


Per ora con il découpage può bastare. Il racconto delle mie povere performances in Alta Badia seguirà nei prossimi giorni. Magari, intanto, qualcuno potrebbe aiutarmi con i .jpg della MA sprint di Colfosco, della M35 di sabato e della M40 di domenica? Giusto per far divertire ancora gli amici con le mie tratte “alla valàPeppone”…

Friday, September 07, 2012

7187 secondi...

Premessa. Alcune settimane fa sono stato costretto a spiegare ad una amica i reconditi motivi che mi portano talvolta a correre le mie gare all’alba, in compagnia dei posatori e di lanterne che non sempre vestono la loro bella mantellina o sorreggono la stazione elettronica: come il 75% di coloro che leggono il mio blog (ovvero 3 su 4…) sanno bene, questo è un mio “vezzo”, o una mia “mania”, o una mia caratteristica quando mi cimento in veste di speaker. La curiosità dell’amica ha fatto breccia nella mia naturale timidezza, così le ho promesso che un giorno avrei scritto un pezzo dal titolo “Stegal attraverso il bosco… e quel che vi trovò!” (se avete riconosciuto la citazione non gioite troppo: è facile!), nel quale avrei narrato le situazioni più improbabile, incredibili, strane e persino boccaccesche che mi sono capitate durante questi ultimi anni di partenze alle prime luci del giorno (o le ultime, in caso di speakeraggio di gara notturna). Dopo quanto accaduto domenica scorsa alla staffetta dei Campionati Italiani, penso che un titolo del genere me lo terrò nel cassetto per un po’…


Seconda premessa. Alcuni anni fa venni accompagnato in partenza (ero speaker anche in quell’occasione) da un amico che non vedeva l’ora che io tornassi dal bosco per sentire dalla mia viva voce le impressioni sul percorso che aveva realizzato. La gara che avrei affrontato, mi diceva, era il top della tecnica orientistica, la rappresentazione del perfetto connubio tra la velocità e la difficoltà che deve avere una middle distance, un percorso nel quale la sicurezza o il dubbio con i quali affrontare gli ultimi metri prima del punto avrebbero fatto la differenza tra la vittoria e la sconfitta… Non descriverò la mia gara; dirò solo che dopo essere uscito dal bosco, affrontando quasi passeggiando le ultime tratte sul pratone verso l’abitato di Gallio, ero molto indeciso su cosa raccontare: non è che io avessi trovato le lanterne, erano loro che mi correvano incontro!!! Fu solo dopo l’arrivo dei primi concorrenti, in particolare di Antonio Baccega (che allora era ancora il Baccega delle Fiamme Gialle), che mi resi conto della gara che una tantum avevo messo insieme. Conservo una foto di quel giorno, scattata da Paolo Mutterle mentre piango di gioia dopo essere crollato per l’emozione tra le braccia di Fauner…

Campionato Italiano a Lunga Distanza 2012, dunque. Il campionato della Foresta Umbra dove non ho mai corso; quello che ha fatto versare agli orientisti più parole persino dello speaker, quando è comparso nel calendario delle gare 2012. Sono schierato, quarantacinquenne, in M40 e il mio compito è abbastanza banale anche se non semplice: partire all’alba, as usual, impiegarci il tempo che ci devo mettere ed essere al traguardo entro le 10.00 per dare il via alle danze. Facile a dirsi, difficile a farsi se si comincia con un problema all’auto che mi fa arrivare allo start solo alle 8.24, già in totale ritardo sulla tabella di marcia.

Con un percorso di oltre 13 chilometri sforzo nella famosa Foresta Umbra (il blog di Pedro ne ha mostrato la carta di gara, abbastanza terrorizzante direi!), non ho una sola possibilità di completare la mia gara entro le 10.00. Mi tocca fare l’ori-turista, vedere quel poco che c’è da vedere (o che riesco a vedere) e tornare al campo gara con le pive nel sacco, pronto però a raccontare le disfide tra le ragazze ed i ragazzi che sono scesi fin sul Gargano per conquistare le medaglie nazionali di categoria. Già per il primo punto, viaggio in modalità “self control”: sentierino fino al sentierone, sentierone fino alla pozza sulla destra, depressione nel bosco piatto (che bel bosco… se non fosse per tutti quel tafani che mi inseguono!), curva del muretto, termine della traccia con lanterna annessa; giro attorno al collinozzo, affronto la zona sassosa e poco dopo sono sul punto. Mi viene in mente la voce di Walter Peraro, che mi aveva ben avvertito: “usa il primo punto per scoprire come il cartografo ha rilevato il bosco, e poi regolati di conseguenza”.



Se è così, penso, riuscirò a capire solo come sono cartografati i sentieri! Perché per il punto 2 mi fiondo nella parte piatta del bosco per raggiungere il sentiero, lo percorro fino al bivio dove torno indietro di quel poco per scorgere il punto: una piccola collina sassosa che sporge in una parte di bosco piatto che più piatto non si può! Fino alla 3 è facile: ampia radura e poi si galleggia sul bordo delle depressioni finché l’avvallamentino dal quale sbuca la lanterna non compare nel campo visivo appena alla mia destra. Poi per la 4 è ancora sentiero, girando attorno alla mamma di tutte le depressioni; su per i sassi e giù di nuovo al sentiero, che seguo pedissequamente (cit.) finché mi ritrovo proprio a metà tra i punti 5 e 6 che non ne distano più di 50 metri (e sono pure evidenti!).

Dalla 6 alla 7 è prevista la traversata della Foresta Umbra… certo che dopo la O-Marathon queste tratte mi fanno molta meno paura! Soprattutto non fanno paura perché, dopo essere tornato sul sentiero, sempre lui sempre lo stesso, percorro in sequenza: sentiero, tratta evidente che attraversa il verde fino al sentiero successivo, sentiero fino alla strada, strada. Qui il mio cervello registra che potrei rendere un buon servizio agli orientisti se, incrociando un’auto con qualche concorrente, riuscissi ad avvisarli di cospargersi di Autan per respingere i tafani che mi stanno rendendo la vita difficile più delle lanterne stesse! Purtroppo non incrocio nessuno… giro attorno al recinto costeggiandolo finché non arrivo al sentierino che mi porta al suo angolo sud-est. Poi è ancora sentiero fino al bivio (l’unica difficoltà consiste nel dribblare un enorme albero caduto in mezzo… prima di accorgermi che i gitanti hanno già realizzato una traccia che ci gira attorno). Bivio verso est, sentierino fino alla cuspide che porta fuori carta (anzi… che butterà fuori carta altri concorrenti), curva a gomito del sentiero e arrivo al punto girando in costa attorno alla collinetta.

Per il punto successivo bordeggio la nonna di tutte le depressioni e penso di essere Gueorgiou quando arrivo alla collinetta sassosa… quella sbagliata però! Da lì vedo la seconda collinetta, e mi convinco che sia la terza… ed è solo quando ne vedo un’altra davanti a me che capisco di essere solo Stegal e che ero arrivato non una ma ben due collinette più a sinistra del punto! La 9 sta al di là di una serie di curve di livello che mi respingono persino mentalmente; la carta di gara che ho allegato, passatami dal buon Stefano Zarfati (un Signor Sportivo ed un Signor Amico) non mostra tutto il sentiero che piega verso est, poi verso nord-est fino a quello che dovrebbe essere l’attacco al punto 10. Entro nel bosco proprio lì, trovo la 10 e mentalmente la fotografo, poi supero la bisnonna di tutte le depressioni e, poco oltre la zona più sassosa, arrivo alla 9 o è lei che mi viene incontro… non so! Giro di 180° (non di 360°, come dicono ogni tanto i veri giornalisti, perché in tal caso sarei nella stessa posizione di prima) e mi dico ad alta voce “Sono arrivato da lì!”, tanto non c’è nessuno che mi sente. Ritorno alla 10, torno sul sentiero per poi affrontare la 11 attraversando le due depressioni; poi di nuovo sentiero verso sud-ovest, sentiero “carrozzabile” verso nord-ovest e, percorrendo tutte le tracce (ci sono… ma si trovano sotto la mia traccia rossa) arrivo alla roccia. Da lì punto in bussola fino al sentiero, cercando di stare nella zona più piatta che posso, e sentiero fino alla depressione: ci giro attorno in senso orario, anche se la traccia rossa dice che ci passo attraverso (non avevo voglia di rifare tutto con il Paint!). Altro giro ed altro regalo verso il sentierino ed ecco il punto 14, leggermente introvabile se non fosse per la carbonaia…

Anche se sono davvero stanco, comincio a pensare che mettendoci davvero il 101% di quel che ho ancora dentro potrei finire attorno alle due ore di gara; di certo non in tempo per i primi arrivi, se per caso gli M12 fossero stati lanciati in griglia al minuto zero, ma a questo punto preferisco continuare e finire la gara in un tempo decente. Mi butto sulla traccia fino al ristoro, anche se ciò vuol dire allungare di brutto, ma il ristoro ancora non c’è; comunque meglio così, perché percorro un'altra traccia dentro al bosco e, girando dietro il colle, vedo quel po’ po’ di enorme depressione con la sua bella parete rocciosa sul bordo opposto (già, come dice Pedro cii toccherà scendere fin là e risalire aggratis…). Zarfo mi farà poi notare che c’era un sentiero ancora più bello che girava dall’altra parte, ma io in carta vedevo solo il bicchierino del ristoro… Esco dalla stessa parte, riprendo la carrozzabile con annesso steccato di legno e mi butto sulla 16.

Da lì mi tocca fare il terzo punto della gara tutto nel bosco: per fortuna le due depressioni con le rocce sono evidenti, anche se ormai sono mezzo ciucco di fatica; la mia altezza mi aiuta nell’abbordare la lanterna da sotto (vedo la salita che si interrompe, come se ci fosse una carbonaia… “ehi! Ma io sto cercando una carbonaia!” e risalendo ancora pochi passi vedo spuntare il pennacchio della mantellina bianco-arancione). A questo punto il mio unico nemico è il cronometro, oltre agli organizzatori che si staranno sicuramente chiedendo dove diavolo sono finito! Non ho più lo stimolo o la compagnia di Sharon, la mia ombra, a mordermi i polpacci (per quello ci sono i tafani!) ma ingaggio una lotta con la fatica perchè vorrei finire davvero sotto le due ore (spiegherò dopo il perché); risalgo abbastanza penosamente la depressione perché ormai faccio fatica anche a starci sui bordi, arrivo sulla traccia di sentiero (non passo attraverso la seconda depressione, come dice il .jpg…, non volevo rifare tutto con Paint!) e sbircio per vedere se nel frattempo hanno portato il ristoro: rien à faire! Carrozzabile fino alla zona picnic e ingresso irruente nel bosco per l’ultima volta, talmente irruente che becco il cocuzzolo per caso, pensando che fosse ben più in alto. Poi volata fino alla 19 ed all’arrivo.

Qui mi lascio finalmente cadere all’ombra del salsiccione gonfiabile dell’Orienteering Puglia. Nonostante il mio tempo sia decisamente rivedibile, sento di aver fatto una bella gara al mio massimo ed il fatto di essere rimasto di soli 13 secondi sotto le due ore di gara mi conforta: avrei potuto perderli ovunque quei secondi, nelle due ore appena trascorse, ma almeno questa volta il quarzo mi da conforto morale. Mi aiuta anche a vergare la mia dichiarazione da “primo concorrente al traguardo”: proprio così, la prima frase che rivolgo a Bepi e Tiz e Francesco è “ce ne sarà almeno uno che ci metterà più di due ore!”. Penso istintivamente, e mi scuso qui con loro, agli amici Giambattista Ravasio e Massimo Guidi che più o meno vanno nel bosco come me e con i quali penso che mi troverò, nelle ore successive, a condividere il brivido per evitare le posizioni di fondo classifica…

Comunque 1 ora, 59 minuti e 47 secondi ben spesi. Sono riuscito persino ad arrivare pochissimi minuti prima del primo, vero, concorrente in gara! Mostro a Tiz le mie scelte timorose e le sue parole mi confortano “questa è una bella scelta… questa l’hai fatta bene… si, qui c’era l’opzione di stare sempre vicino al sentiero…”. Vuoi vedere che anche questa volta Tiziano “ha tracciato per me”? E’ solo quando penso ai ragazzi che stanno per prendere il via, al Cip soprattutto, che mi rendo conto che le mie quasi due ore di gara non hanno proprio piegato la Foresta Umbra, perché un conto è andare ad affrontare di petto quel bosco carsico, navigando tra le buche e le colline. Un altro conto è rimanere sempre al sicuro sui sentieri fino a farsi venire di nuovo le vesciche alle caviglie a furia di correre…

“Per la staffetta di domani - mi dico – devo inventarmi qualcosa per stare di più sotto la linea magenta”. Altrimenti poi Rusky mi dice che, persino quando faccio lo speaker e non ho nulla da vincere e da perdere, non trovo ugualmente il coraggio di fare davvero orienteering…