Stegal67 Blog

Tuesday, July 31, 2007

Mezzanotte ed un minuto. Adesso, ufficialmente anche per l’anagrafe, sono un quarantenne. Sotto questo aspetto, l’orienteering è un passo avanti: per il mio sport sono quarantenne già da dicembre 2006 con il nuovo tesseramento. Forse per questo alla visita medica sportiva c’è stata una pantomima con la giovane e graziosa dottoressa:
“Età?”
“Quaranta anni... no, aspetti, scriva 39.. 39 anni”
“Non è un po’ grandicello per abbassarsi l’età?”
“No, sono 39 anni, sono nato il 1° agosto... ne ho ancora 39!”
Insomma, ha ammesso che era la prima volta che un 39enne le diceva che ne aveva 40! Valle a spiegare la faccenda delle H40...

La mia famiglia non era proprio una famiglia di grandi sportivi. Il papà aveva militato per breve tempo in serie C di calcio ed allenava una squadretta di periferia. Alla mamma invece il calcio stava proprio sulle scatole (saranno state le divise da lavare dopo ogni partita, i the da preparare...). Era chiaro che non sarei mai diventato un calciatore: ero troooooopo scarso. No, più che scarso direi proprio incapace. Lo zimbello della strada sterrata in fondo alla quale vivevo (strada sterrata poi campi e fogna a cielo aperto, altro che Celentano e la sua Via Gluck dei miei stivali!). Piedi troppo grossi, non è che il 50 di piede mi è arrivato tutto adesso, e statura troppo alta, con gli occhi troppo lontani dal pallone ed una coordinazione a livello zero.

Da bambino ho provato con la ginnastica artistica, ma ero veramente troppo gracile per fare tanti esercizi. Già da allora ero l’unico bambino senza le scarpette da ginnastica artistica per via dei piedi troppo grossi, portavo un paio di grosse scarpe da tennis. Una volta ci fu un piccolo meeting alla palestra e poi noi facemmo una piccola esibizione. Dopo, negli spogliatoi, un ragazzo grande disse al mio istruttore che aveva delle vecchie scarpette che non usava più e che potevano andare bene a me.

Alle elementari, per cercare di dare una istruzione sportiva ai bambini, in quarta e quinta istituirono dei corsi ai quali ci si poteva iscrivere. Io non sapevo nemmeno cosa fosse la pallavolo, e francamente la pallacanestro non mi interessava per nulla. Sapevo già cosa volevo fare da grande: io volevo essere il più grande giocatore di pallamano del mondo! Il nostro maestro ogni tanto ci faceva giocare a pallamano (una specie... non servivano né canestri né rete, che peraltro non avevamo, e bastava un segno col gesso sul muro per fare la porta) e quello sport mi aveva veramente preso. Sapevo saltare alto e lungo e avevo le mani grosse. Così convinsi i miei ad iscrivermi a pallamano. Qualche settimana dopo il responso: gli organizzatori dei corsi avevano visto il pienone a pallavolo e pallamano e ancora ridevano chiedendosi chi fosse quell’unico imbecille che si era messo nella lista di pallamano. Ero io! Sono ancora convinto che avrei potuto farcela...

Perchè sapevo saltare in lungo? Una zia acquisita era la custode del campo sportivo non lontano da casa. Per cercare di tenermi lontano dalla strada, i miei ogni pomeriggio mi mandavano al campo: facevo i compiti e poi mi trasferivo sulla pista di atletica. Il campo era una miniera di giochi, e poi la zia aveva un sacco di cani, gatti, i conigli e le galline... Il posto migliore era la buca del salto in lungo. Ci restavo per ore e alla fine mi ficcavano direttamente sotto la doccia del campo. Imparai a saltare in lungo (tanto lungo), imparai a calcolare i passi per la rincorsa con un ragazzo della Riccardi che saltava già più di 7 metri. Imparai a giocare a biglie, quelle grosse di plastica dei ciclisti: se un giorno la morte si presentasse sfidandomi a qualcosa (tipo Il Settimo Sigillo) vorrei giocarmela a biglie! Sono quasi sicuro che potrei farcela.

Comunque, qualcosa dovevo fare. Pallacanestro. Rapido corso base, dove imparai a fare il terzo tempo e poco altro. La mia squadra vinse il girone del quartiere (finale vinta 20 a 16) e andammo a fare un torneo provinciale pareggiammo (!) una partita con il “Pentagono” e perdemmo 99 a 5 con il Magenta. Alle medie continuai a saltare in lungo vincendo il provinciale con la ragguardevole misura di 5 metri e 15 centimetri. Quella volta ci fu parecchia discussione con i giudici di pedana perchè il nostro allenatore faceva saltare me e i miei due compagni di squadra (uno sarebbe stato campione europeo di pattinaggio, l’altro goleador per l’Inter in un mondiale giovanile in SudAmerica.. mondiale che fu poi revocato perchè un paio di giocatori avevano un paio di anni in più rispetto al limite e i dirigenti avevano falsificato le identità) dalla pedana dei 4 metri, dopo che il pattinatore saltando dal bordo pedana agli scolastici aveva sorvolato la buca di sabbia e si era schiantato sull’erba in fondo. Al primo salto eravamo ultimi con misure inferiori al metro! Poi l’istruttore li convinse che noi saltavamo dai quattro metri non perchè non sapevamo fare la rincorsa ma perchè così eravamo abituati, e facemmo primo secondo e terzo.

Saltavo ed ero alto, così mi chiamarono per un provino alla seconda squadra di basket di Milano, l’allora Isolabella che era in A1. Dopo un anno di gavetta, la squadra quasi si sciolse per problemi economici e fummo presi al Billy Milano di D’Antoni, Meneghin, Gallinari, Ferracini, Gianelli, ecc. Allenatore Peterson, vice Casalini. Fu una esperienza importante ma per nulla piacevole. Imiei compagni di squadra erano troppo pieni di sè per piacermi, ognuno pensava al suo futuro e alla sua carriera (erano, senz’altro, anche molto più bravi di me). Il mio gioco era distruttivo: corri, difendi, pesta duro, acchiappa rimbalzi e stoppa tutto quel che passa! In attacco giocavo pivot e in difesa talvolta difendevo sul play o sulla guardia. Ma gli allenatori preverivano i giocatori già sgamati che chiamavano la palla per segnare 30 punti a partita. Io spesso ne segnavo solo 5 o 6 ma volevo che il mio avversario diretto non vedesse nemmeno la palla e uscisse a pezzi, ma questo al mio allenatore non interessava nulla. Vincemmo molte partite per rinuncia degli avversari, e quell’anno la squadra arrivò ai nazionali dove fu quinta. Facemmo anche un pre-partita al Palazzone prima di un Billy-Scavolini (e prima, ovviamente, del crollo del tetto) dove venimmo asfaltati da Mario Boni.

Gli anni del basket giovanile preferisco dimenticarli quasi del tutto. Ricordo con grande stima un giovane allenatore che poi fece carriera nel basket femminile, Gianni Lambruschi (credo che ora alleni la nazionale: in bocca al lupo Gianni, dovunque tu sia), poi Mario Pistorello e Gullifa, e basta. Ricordo un canestro al regionale junior lanciando la palla dietro la mia testa, spalle a canestro, in un raptus di follia. Ricordo la Coppa Europa del 1985 a Lione, la semifinale con il Limoges vinta di uno e finita con la palla in mano mia, e poi la finale (persa) con il Partizan dei 5 futuri NBA, ripresa dalla televisione francese. Ricordo altre cose meno piacevoli: gli infortuni (tanti), le volate in ospedale ed un dottore che diceva a qualcuno che ero fortunato a muovere ancora le gambe, le risse con gli avversari, i colpi proibiti dati e presi, il sangue dalle arcate sopraccigliari ed una rissa pazzesca con i tifosi avversari al torneo di Caspoggio, le monetine che volavano già a livello giovanile, e Dido Guerrieri (l’allenatore della Berloni) che viene da noi negli spogliatoi a Torino a dirci che gli dispiaceva per la nostra immeritata sconfitta: avanti di 5 all’ultimo minuto gli arbitri ci chiamarono 4 tecnici. E quella volta che andammo negli spogliatoi alla fine del primo tempo avanti di 6 e uscimmo sotto di 6, per misteriosi aggiustamenti ai referti tra i due tempi. Un mondo squallido nel quale i ragazzi sono troppo spesso carne da cannone per le ambizioni di genitori, arbitri in carriera e allenatori che pensano che urlare li porterà in serie A.

Gli ultimi anno del basket sono stati il trionfo della inutilità. Anni sprecati ad allenarmi svogliatamente 3 volte alla settimana perchè non sapevo che altro fare, a giocare in C, poi in promozione o in tornei secondari, ad aspettare seduto in panchina la chiamata di un allenatore che fa giocare i suoi amici (tante partite a stare 40 minuti seduto), gli ultimi colpi presi e i tanti ultimi colpi dati da un giocatore sempre più “sporco”, le prime espulsioni (due sole, ma del tutto immotivate:potevano buttarmi fuori altre volte per motivi ben più gravi), quella volta che in campo allo Sporting Club Malaspina mi calai braghe e mutande per protesta con l’allenatore restando nudo davanti al pubblico, e la scelta di diventare a mia volta arbitro. Qualche buon commento in federazione da parte di qualche squadra, qualche soddisfazione a fare l’undicesimo uomo in campo mettendocela questa volta veramente tutta. Mollai tutto dopo che fui costretto a scappare dal campo inseguito da un branco di autentici teppisti: il capitano di quella squadra fa l’opinionista sportivo in tv e spesso partecipa a dibattiti sulla “violenza nello sport”... e io rido pensando in che mani siamo.

Poi, senza sapere che cosa fare, la proposta di Giovanni di andare a fare una strana gara a Ronzone, proprio nel momento in cui stavo per diventare un sedentario 25enne senza arte né parte. Il resto è storia di pochi giorni fa. La prima gara, poi immortalata sul chilometrosforzo “Punto 4. Canaletta. Cosa essere canaletta?”. L’HC da orientista ridicolo e l’HC da uno già più “saputo”, l’HB e l’HA, le prime trasferte fuori regione, la prima 6 giorni all’estero che è raccontata in un pezzo scritto 7 mesi fa ma che forse uscirà solo a fine anno... qualche gara in Elite quando potevo filtrare tra le maglie degli organizzatori. L’impegno blando per il sito Fiso e poi sempre di più a cercare di fare qualcosa di mio per la Fiso, e poi le ultimissime ore a fare lo speaker in Val Vigezzo, a Fusine, ad Asiago, a Folgaria e la mia seconda O-Ringen ed il mio blog.

Ma in fondo, a 40 anni suonati, ne sono ancora convinto: avrei potuto essere il più grande giocatore di pallamano del mondo!

Parlare di “Oringen in tono minore” sarebbe come se, per uno che è cresciuto a Tavon, andare a vedere il Duomo di Milano e dire che San Pietro a Roma è più grande... Non penso che l’Oringen 2007 sia stata una edizione meno frequentata delle altre, anche se i numeri all’inizio lo facevano ritenere!
La mia personale avventura alla seconda Oringen è stata in molte sue vicende diversa dalla prima, ed in altre abbastanza simile... simile soprattutto per quanto riguarda difficoltà, livello dei concorrenti, ambiente che circonda la gara, volume dell’interesse nella zona di gara. Ho rivisto i tabelloni luminosi e i mega lanternoni lungo l’autostrada, le pagine e pagine sui giornali, i ponticelli da superare per arrivare al traguardo, il traffico deviato per arrivare in zona gara, i mega campeggi, i mega posteggi. Tutto mega e tutto talmente gigante che è difficile ritrovarsi nel dedalo che si viene a creare. Io, ad esempio, avevo concordato alcuni incontri con persone che avevo conosciuto alla 5 giorni; chi li ha visti, sparsi in 5 ore di partenze, in un campo ritrovo grande come un paese di medie dimensioni?
Difficile raccontare in una botta sola le sensazioni di 5 giorni di gara, affido a qualche rapido tocco di pennello la rappresentazione del dipinto che è stata la mia seconda Oringen.

Sabato: all’arrivo al centro gare, mi aspettavo il pienone e le code: non abbiamo trovato praticamente nessuno... Forse siamo arrivati troppo presto, ma ricordo che a Goteborg siamo andato più o meno nello stesso momento e c’era una coda...! Scegliamo la domenica per il primo allenamento. Allenamento quindi on Sunday a Boxholm. Un consiglio: se andate all’Oringen, fate almeno un allenamento prima della gara; si capiscono molte cose. Quest’anno ho capito che avrei fatto ancora tanta fatica. Impossibile non accorgersi che i dettagli in carta non ci sono tutti, che nel bosco ci sono dei massi grandi come automobili o come roulotte che non sono segnati, o che magari sono segnati in giallo perchè in cima ci è cresciuto il muschio e sono indicati in carta come segni di terra (cocuzzoli o colline). Il bosco è spesso segnato bianco laddove sembra verde1; i trattori che hanno disboscato creano sentieri non presenti in carta (questo era indicato anche sui comunicati gara), talvolta le depressioni sono gli spazi vuoti tra alcune presunte colline. I movimenti del terreno sono continui ma praticamente a Boxholm non si usano le curve ausiliarie. Così tu vedi un pezzo di bosco senza una curva e una collina di 2 curve sullo sfondo, pensi a Tisvilde e credi che la vedrai stagliarsi sull’orizzonte come una guglia; e invece il bosco è un movimento unico, continui ad andare poco su e poco giù e alla fine arrivi alla collina e la superi senza neanche accorgerti! La lanterna 40: introvabile! Abbiamo girato per tutti i collinozzi della zona, inutilmente. Attilio l’ha trovata: bravo lui a non perdere la concentrazione nemmeno in allenamento.

Lunedì: tappa 1. Piove. Fa freddo. Si parte tardi e quindi si finisce tardissimo.
La prima lanterna è in fondo ad un semiaperto grezzissimo e infinito. Decido di tagliare il grezzo fino in fondo e sperare di collocarmi bene al termine dell’area. Ci riuscirò più o meno da solo... la prima lanterna dell’Oringen è sempre la prima lanterna dell’Oringen! (per Lidia: se stai leggendo ricorda questa cosa, il perchè lo scoprirai a fine anno). Poi paludi e fango e pioggia. Bosco ruvido e scivoloso e un po’ di lanterne fatte con approssimazione: si arriva in zona, se si trova subito il punto bene sennò si cerca un altro punto (che tanto lì è pieno), si controlla la posizione sulla carta (masso, cocuzzolo, radura, palude...) e si riparte per orientamento fine. Di questo passo le lanterne si fanno, ma si fanno piano! La pioggia non aiuta chi, come me, porta gli occhiali... infatti io li terrò in mano per due terzi di gara. Ma pian piano si viene a capo della tappa: 89 minuti non sono male per un impiegato come me, e cerco anche di finire forte il giro dell’arena (1’07”), ma quando vedo la classifica scopro che il primo (sempre lui per i 5 giorni) ci ha messo 35 minuti... Ciò risulta prevedibile, perchè su alcune lanterne sono stato molto lento più per paura mia di ciò cui andavo incontro che per la reale (comunque alta) difficoltà del percorso. Al termine mi cambio sotto la pioggia (praticamente una doccia) rischiando l’ipotermia.

Martedì: tappa 2. Questa volta il tempo ci grazia, meno la collocazione in griglia. Finita la gara il giorno prima alle 16.30 circa, si riparte alle 10 del mattino dopo! Questa volta le scelte sono appena appena più sicure, perchè un po’ ci si prende la mano a rimbalzare dal punto vicino (o da un punto in zona) al proprio punto di controllo; sempre ovviamente con la lentezza che mi contraddistingue. Rispetto al primo giorno, la tappa è un po’ più lunga, ma nella zona ci sono delle aree non percorribili e molto ben segnate sia in carta che sul terreno con nastri blu e gialli (la Svezia...) che ci si può appoggiare e prendere direzione e slancio per arrivare al punto successivo. Ciò fa s+ che si verifichi una strana situazione: dopo 10 lanterne fatte bene penso che la gara si stia concludendo, così sbaglio un po’ da piccione l’undicesimo punto (5 minuti), faccio bene l’undicesimo e arrivo sul dodicesimo... lanterna 72: cado al punto che credo mio e trovo la 74, capisco dove sono, mi sposto al mio punto e trovo la 73, ri-capisco dove ri-sono, mi sposto al mio punto e trovo la 71! Penso che qualcuno mi sta prendendo per fesso: la 72 è infrattatissima dietro una roccia, con gli atleti che battono palmo a palmo la zona spostandosi da un punto all’altro. Poi sbaglio anche la penultima (3 minuti) e mi concentro sullo sprint: 1”04. Domani proverò ad attaccare la barriera del minuto! 86 minuti il tempo di oggi, ma potevo fare un 76’ molto più significativo per me.

Mercoledì: tappa 3. Media distanza. Sulla carta questa tappa non mette molti timori... ma alla partenza basta prendere in mano la carta! Il primo punto sta praticamente all’interno di un frattale di dettagli: cento cocuzzoli buche tracce sassi vallette tutte in un francobollo. Vado via di puro azimut e in un paio di minuti sono dritto sul punto! Grande... infatti calo subito di concentrazione e sbaglio il punto 2 molto più semplice per trovare il quale c’è anche un bel sentiero poco oltre il punto, cui appoggiarsi. Al punto 2 sono quindi ad 11 minuti di gara (il vincitore ne impiegherà 22 per tutta la tappa) e cerco di darmi una mossa, riuscendo bene o male a mantenere una buona direzione per tutta la prova finché non giungo in zona arrivo: anche lì mille tracce e troppe persone mi fanno colpevolmente perdere la concentrazione; finisco per qualche minuto per vagare da un punto all’altro sperando che la lanterna che vedo su questo o quell’oggetto sia la mia... poi capisco che non è il caso di continuare così e mi estraneo da tutto l’ambiente circostante quel poco che basta per dire “ok, sono qua... il punto è là”. Vado ed il punto è proprio dove me lo aspetto. Finale con giro dell’arena in 1’02”, frenato un po’ dal fango non riesco a finire in meno di 1 minuto.
Al termine, allenamento sulla carta vicino al centro gara. Allenamento breve (1 ora in tutto) ma intenso, un allenamento che probabilmente mi riaggiusta il tiro sulle lanterne e sul bosco, perchè dal giorno dopo riuscirò finalmente a cambiare passo.

Giovedì: tappa 4. E’ la tappa bingo. Alla prima Oringen fu Torslanda, forse la più bella gara che ho mai corso (quella del punto 1 trovato in mezzo ai miei piedi tra due roccette mentre, convinto di essere arrivato nel punto giusto, scrutavo dubbioso l’ambiente circostante). E’ la tappa bingo perchè l’equidistanza 2 metri promette disastri orientistici, visto che sui 5 metri proprio non ci azzecco nulla. Sarà invece una tappa molto facile e da correre perchè la zona è molto vallonata e ricca di grosse depressioni e colline nette, che l’equi a 2 metri fa spiccare nettamente sulla mappa. I sentieri si sviluppano sui bordi delle grosse depressioni e si gareggia quasi sempre “in traccia”. I percorsi prevedono l’attraversamento o l’aggiramento di enormi paludi (seconda soluzione) e di ampie zone sabbiose (prima soluzione!): la sabbia è molto compatta e ci si corre veramente bene, con le gambe che spingono abbastanza e l’orientamento che finalmente mi assiste fin sui punti. Nel finale un enorme catino sabbioso ci accoglie con le sue ripide pareti da scalare, è una sorta di salita biblica in cima alla quale gli impiegati e i panzottelli si complimentano vicendevolmente per non aver mollato a metà salita! 61 minuti di gara, meno della metà del vincitore (finalmente) e solo 15 minuti presi da Roberto Pradel.

Venerdì: quinta tappa. Fin qui non ho fatto nulla di sconvolgente. Niente punti da 30 minuti, niente pascolate interminabili. I dubbi arrivano all’ultima tappa. Con il GOK che parte attorno a mezzogiorno e mezza, io parto alle 14.00. E’ la tappa più lunga e so che il vaccatone deve arrivare. In più:
- piove (probabilità di acqua: 100%)
- le scarpe mi si stanno distruggendo sotto i piedi
- l’ernia comincia a darmi fastidio
- corro praticamente a fondo griglia nella categoria la cui caccia parte per ultima!
Il primo pensiero è quello di rinunciare: non voglio metterci 2 ore o più, arrivare ad Oringen finita e magari farmi cercare dagli organizzatori che intanto stanno sbaraccando tutto (anche la tenda stampa chiude alle 14.30). Questi mogi pensieri mi fanno passare la mattinata, ma dall’Italia arrivano i messaggini del fiammone e di Rusky che dicono di non mollare, e anche le occhiate degli altri membri del GOK sono eloquenti: “fa minga el stupid...!”.
Partenza: non ci sono tante panze, ma solo tanti altri H40 di bassa classifica come me (tutti con lal loro utile funzione sociale). Partenze ogni 15 secondi, e alla svedese ho già preso il concorrente che parte prima di me e si attarda sul prato prima della discesa verso il punto. Lo supero deciso e alla 2 vengo raggiunto dai due inglesi partiti dopo (da uno dei quali, decisamente tonico, subirò l’unico sorpasso in classifica generale). Poi decido di fare da solo. Perchè nel frattempo sta ciminciando a diluviare e a tuonare. Sarà una bella gara a trovare lanterne nelle e tra le paludi, ad attraversare acquitrini veramente profondi, a tirare bene e in sicurezza le tratte lunghe e a vedere un paio di lampi cadere proprio vicini. Al punto 10, quando mancano solo 5 punti abbastanza facili, mi accorgo di aver raggiunto o superato qualcuno di quelli che sono partiti almeno 5 minuti prima di me. Mi supera alla velocità di un lampo Klaus S. e io a mia volta ancora supero uno svizzero, Franz, che però mi riprende sulle tratte di corsa. Mancano 3 punti. “Goditeli”, penso io, e inizio a rallentare inconsciamente, ma Franz poco davanti a me è uno stimolo a proseguire al massimo. Meno due punti, siamo vicini all’arrivo. Meno 1, insieme a Franz ad un masso nell’ultimo boschetto. Tirata fino all’arena, fianco a fianco, punzonatura della 500 e sono nell’arena: l’Oringen è finita ma... devo ancora battere Franz!!! Ponticello: Franz mi prende due metri sulla discesa. Inizia la corsia, accelero, lo affianco, lui accelera, restiamo affiancati .... ma da lontano vedo che la mia linea è quella giusta: in fondo alla sua linea non c’è la stazione del finish!!! Arriviamo al fotofinish e le mani si tuffano a cercare la stazione... e lui non trova nulla. Io si. Missione compiuta anche fino in fondo. Poi sono risate, pacche sulle spalle, commenti e sorrisi e complimenti reciproci con un atleta mai visto prima e chissà se mai rivedrò. Resta da vedere il tempo: 64 minuti esatti! Altro che vaccatone dell’ultimo giorno. Grazie GOK, grazie Rusky, grazie fiammone! Da adesso comincia il momento dei ricordi...

Wednesday, July 25, 2007

Riemergo ora dalla foresta. Una delle foreste piu' belle che io abbia mai visto. E tra le piu' tecniche.
Ho preso in mano la carta... e ho riso! Di gusto. Il primo punto era immerso in una zona dove, in u nfrancobollo, ci saranno stati almeno duecento dettagli. Una tratta da usare il microscopio. E´stato il punto migliore che ho fatto fino ad oggi. Infatti poi ho cannato il secondo punto... (di almeno 7 minuti, sono andato fino in fondo all'unico sentiero della zona per ricollocarmi).
Le paludi sono inesistenti, nel senso che con le piogge che ci sono basta una canaletta di minime dimensioni per creare una palude vasta come un lago: non ci si puo' orientare con quelle perche' i piedi sono sempre a mollo nell'acqua o nel fango (in genere laprima palude si attacca con circospezione, poi quando si e' ben ben masarati e' tutto uno sguazzare dove il fango e' piu' tenace... ci deve essere qualcosa di infantile inquesto).
Ci sono zone dove per centimetri attorno (di carta 1: 10000) non c'e' un solo dettaglio. I cocuzzoli non sono cocuzzoli, sono enormi massi che epro' sopra hanno il muschio, e quindi sono considerati oggetti di terra. Ma se ci arrivi da sotto.. e'un masso!

Oggi ho anche rischiato la PM: 5 e 6 vicinissime, arrivo al punto e trovo il "brusa" con la tuta skodega. Punzoniamo insieme. io ho anche controllato ... mi sono accorto solo in viaggio verso la 7 che ho saltato la 5. Eh no! Mi posso perdere, potro' arrivare ultimo, svolgendo cosi' una utile funzione sociale anche qui all'O-RIngen, ma una PM cosi' non la voglio fare.

Peccato per un errore di 3 minuti sul penultimo punto: nonostante sia l'O-Ringen si corre spesso in zone assai poco frequentate (e' l'H40 gente, mica rosina!). E quando si arriva al traguardo la folla di concorrenti ti sballotta da una parte all'altra senza potersi concentrare bene; ho dovuto isolarmi mentalmente per ri-collocarmi dopo aver fatto una terzultima egregia (l'ho trovata io in mezzo al gruppetto dove ero finito), e poi sono andato dritto al mio punto.
Notevole anche la quantita' di gente che sale su ogni piccola collinetta per scrutare il terreno intorno... sembrano tanti naufraghi che come Robinson salgono sulla cima del monte per scoprire di essere su una isola.
Tutto bellissimo. Oggi niente world cup in contemporanea: si sente che la voce dello speaker e' meno calda del solito. Allo sprint ho fatto ancora meglio dei giorni precedenti: da 67 secondi a 64 a 62 di oggi; volevo limare il minuto, ma ero stanco per l'ultima salita e gli ultimi passaggi del fango alto. Domani si cambia zona: bordo autostrada a nord di Mjolby: il ponticello che dalla foresta butta nel prato prima del passaggio obbligato sembra un trampolino olimpico; se piovesse, faranno meglio a mettere tanti materassi in fondo perche' si rischia il volo da 15 metri di altezza.

Adesso lascio il pc ai giornalisti veri (ma se gli serve il mio pc non sono dei giornalisti veri... sara' che a me hanno dato il pc con il pettorale numero uno: al due e al tre, di fronte a me, ci sono due bionde di Nykoeping di notevolissime proporzioni - non grasse, capite amme' - che farebbero la felicita' di Matteo!). Nella tenda press danno in continuazione gli A.B.B.A. Forse che sono finito in Svezia ???

Friday, July 20, 2007

10 pensieri da ricordare. Ma anche 10 pensieri da rinnovare. E non saranno solo 10!

10 : “E’ un foglio bianco A3 con le paludi” (Giovanni B.S. sulla carta di Skatos)
9 : “I’m dead!” (il genovese Stefano G., già ritirato, impietosisce una signora svedese affinché consenta il passaggio nel suo verde privato – raccontata da Stefano G. stesso)
8 : “Non sapevo che anche in Italia conoscete l’orienteering” (il giovane proprietario del food&wine bar di Kungalv)
7 : “Sono andata di qua, poi di là, poi quassù... poi è arrivata Simone (Luder n.d.r.) e siamo andate lì. Poi siamo andate a nord. Abbiamo visto il lago e abbiamo capito dove eravamo. E siamo andate al primo punto”
(mia “intervista” a Jenny J. dopo la tappa di Partille – nella tenda stampa davanti alla maxi cartina)
6 : “Andiamo a casa che è meglio!” (Stegal ad Attilio, dopo aver visto che con 65 minuti di ottima gara nella prima tappa di Molndal si rimane fuori dai primi 100 classificati)
5 : “La 15 è in una buca. Una buca profonda 1 metro. Una buca cilindrica larga quanto la lanterna. Secondo me l’hanno scavata apposta!”
(Stegal sull’argomento “non tutte le buche sono come quelle di Santa Colomba”)
4 : “Noi abbiamo appena punzonato” (Davide V. ad uno sfortunato H40 svedese, distante 2 chilometri dal suo punto di controllo ed incredulo sulla posizione in carta indicatagli dal trio di italiani)

Il mio personale podio:
3 : “Voi siete Team Sportia... e va bene! Ma noi siamo Tork! Cosa diavolo è Tork?”
“Guarda cosa vi ha regalato il vostro sponsor!”
(dialogo tra le ragazze sponsorizzate Team Sportia e i ragazzi che hanno appena ricevuto in regaalo dallo sponsor un rotolo di carta igienica...)

2 : “You were seated here! What did you understand about the competition?”
(Martin Persson e Stegal67 al media center apostrofano in malo modo i giornalisti che li stanno intervistando sul perchè siano andati a fare la gara sotto l’acqua anziché starsene al calduccio)

1 : “Eppure la lanterna dovrebbe essere qui!”
(Stegal, con un piede su una roccia ed un piede sull’altra, parlando con Davide V. senza accorgersi che la lanterna è proprio in mezzo ai suoi piedi, tra le due rocce, cl telo a livello delle caviglie – Torslanda quarta tappa)

Comunque vada a finire... sarà O-ringen! Un saluto a tutti.
Ai miei compagni di squadra che restano a Milano
A chi torna dalla Francia
Agli skodeghi in partenza per la Svezia e a quelli che restano
Al Panda e A Daniele L. e a Marino
Ad Andrea
Ad Ana
Al fratellone
A Matteo (ti porto giù due gemelle di 20 anni?)
Ad AleBer
Ad AleDipa
A MT e all'Erebus tutto quanto a partire da Gabriel, Valentino, il Direttore gara, Cristian, Dario, Simone, Tiz, Mirko, Alice, Francesca...)
A tutti gli SG dell'orienteering italiano
A Vince (allenati che a Marilleva voglio vedere le fiamme!)
A Marco Bezzi (mi alleno, sennò a Marilleva vedete altre fiamme...)
A Lidia e ai miei compagni di squadra ticinesi, e al più forte orientista H50 del mondo anche se non ha vinto il suo secondo titolo mondiale

Se non si fosse capito: I'm ready to start!

Monday, July 09, 2007

C’era una volta... e non sono passati nemmeno tanti anni. 5 anni. Luglio 2002. Una giornata di sabato, dapprima calda e poi divenuta plumbea e carica di pioggia. Al Lago di Lavarone, ma su un prato diverso.
C’era un giovane che, quando ancora qualche concorrente non aveva ancora raggiunto il traguardo, quando le premiazioni non erano ancora iniziate, vagava per il prato con lo sguardo che andava lontano, incrociando atleti e team leader provenienti da tutto il mondo, i quali esprimevano la soddisfazione ed i complimenti per la manifestazione appena conclusa.
Quel ragazzo disse a me ed a Roberta che un giorno avrebbe provato a ripetere l’esperienza dell’organizzazione di una 5 giorni. E che le cose che aveva visto gli avevano insegnato che qualcosa si poteva ancora migliorare, che certe cose potevano essere fatte in un modo o in un altro. E poi disse “Un giorno torneremo qui, e quel giorno ci sarai anche tu a darmi una mano”. 5 anni fa non potei che acconsentire. Il futuro era lontano... e poi chissà cosa avrei mai potuto fare per aiutare Andrea Rinaldi. Qualcosa per la stampa? Magari qualche pezzo per il sito Fiso? Chissà...

Ecco. Io so che dietro alla 5 giorni 2007 ci sono tante altre persone, ci sono Roberto Sartori e Bepi Simoni in prima fila. Però per me la 5 giorni 2007 è cominciata 5 anni fa. E nel corso degli anni è stato un crescendo: due anni fa le prime conferme delle date, della possibilità di dare una mano (per fare cosa? Boh?!?); l’anno scorso in Ticino e su a Hoch Ybrig a portare i volantini ed il nome della manifestazione con Ana ed Andrea. E quest’anno sempre più vicina la data... ed il compito di essere la voce della manifestazione. A ripensarci, dovevo essere impazzito: fare lo speaker in una manifestazione come quella? Probabilmente dovevo essere fuori di cotenna anche quando ho accettato di farlo in Val Vigezzo ed a Fusine.
Essere lo speaker è una cosa strana: se i percorsi non funzionano, se manca una lanterna, se l’elaborazione dati canna qualcosa, se alla partenza gli orari non sono corretti e se l’arrivo non è perfetto... ecco che la gara viene a decadere. Ma una organizzazione come quella della 5 giorni poteva avere un ricambio in tanti ruoli, che non potevano oggettivamente essere svolti da una sola persona.
Se lo speaker delira... al limite basta togliere l’audio: in Scozia alla 6 days di 3 anni fa non c’era proprio lo speaker. Ma tanti si sarebbero ricordati della “voice”, come dei percorsi e dei terreni... ed io non avevo proprio un sostituto (diciamo che *io* dovevo essere il sostituto..). E se mi fosse venuto il mal di testa? Lo schioppone? Se non avessi saputo cosa dire? Se mi fosse mancata la voce? (avevo una scorta di caramelle da far paura: usata nemmeno una!). Invece sembra che sia andato tutto per il meglio. Deve essere merito della mia timidezza. Perchè io sono timido! Nessuno mi crede, quando lo dico. Nessuno crede che da ragazzo non parlavo proprio, o quasi. Per timidezza. Ma la timidezza è una cosa strana: io dico sempre che vorrei essere invisibile, un’ombra sullo sfondo, come diceva Tommy Lee Jones a Will Smith “un dejà-vu”... vengo alla gara e nessuno mi vede, corro e nessuno lo sa; resto un nome in classifica ma nessuno si sofferma a vedere il risultato. Sono arrivato? Solo il computer lo dice. Sono transitato nel bosco? Nessuno se ne è accorto. Invisibile. Ma non lo sono. E allora la timidezza diventa un’altra cosa. Diventa il cervello che dice “Ok! Non sono invisibile? E allora... a me gli occhi! Eccomi qua, guardatemi tutti.”; parlate con una persona veramente timida: io l’ho fatto, mi hanno confidato in tanti che noi timidi la pensiamo proprio così. Niente grigio, niente colori sfumati. Trasparenti o in un bagliore di luce....

Sto delirando, vero?

Ok, devo ringraziare tantissime persone per quella che è stata una delle più belle settimane della mia vita.

Andrea l’ho già detto, vero? Il padrone della logistica (e fosse solo questo...): conosce tutti per nome, per viso. Sa dove sono alloggiati tutti. Tutti si fidano di lui. Tutti fanno quello che dice lui. Solo un difetto: cerca di essere dappertutto ma di non comparire mai. A tuo modo mi sa che anche tu sei un timido, Andrea.

Partenze.
Il mio “fratellone” Roberto T.: una passione enorme, incredibile. Una persona che è arrivata non da tanto nel nostro universo e che ha già lasciato un segno indelebile. Come avrei voluto che anche tu fossi nel bosco come me, Roberto. “Come dici? Devo spostare tutto l’arrivo di 10 metri? Va bene... quello che vuoi!”. Partenza alle 9? Alle 8? ALLE SETTE? “Va bene, ti aspettiamo, check e clear sono qui. La mappa è pronta, la descrizione pure. Coraggio. Vai nel bosco anche per me”.
E poi Aaron, Dalen “le gambe più forti del Trentino”, Paolo e il suo “massimo disprezzo”, Dario e le stripes posate per tutto il bosco. AleBer che posa e controlla ed è dappertutto. Gli occhi dolcissimi di Jessica e la faccia furba di Carlotta. E tutti gli altri che non ho fotografato perchè talvolta arrivavo allo start già in debito di O2.

Arrivi.
Daniele: mi dispiace ma ti sei allontanato per soli 5 minuti e... ti sei perso lo spettacolo :-) Daniele che prende gli\le Elite e me li porta, come Matteo avant-e-indré cento volte per la corsia di arrivo. Gianni ed il suo impianto ... e guai se fischia! Claudio e Marino e Anna e Michela. L’elaborazione dati di Paolo, di EsseGi, di Alessandro “Ti serve questo e quello? Stasera ti scrivo 3 righe di codice e domani ce l’hai” (e io penso ai miei consulenti... altro che “3 righe di codice”); una parola a parte per Gabriel: anni fa pensavo che fosse una persona seria. Seria nel senso di persona imbronciata. E’ una persona splendida, sorridente, gentile e pronta a scherzare. A scherzare ed a fare il suo lavoro nel modo più convincente, più professionale, più nitido possibile. Come agli Highlands Open, metà del mio compito era organizzato da lui.

Percorsi.
10 incredibili nomi. I percorsi posati ad orari impossibili. In 5 giorni (e sono partito talvolta poco dopo le 7...) non ho trovato: 1 stazione e 2 teli. Punto. Posati nei secondi immediatamente successivi al mio passaggio, più di un’ora prima dell’ora zero. Tutti hanno detto che i percorsi erano duri. Lo erano davvero. Per me è stata una sfida e sono convinto di non avere perso e di avere imparato molto. L’incitamento di Fabio e Luigi ad un ristoro non ancora pronto:
“Non possiamo nemmeno darti un po’ d’acqua...”
“E allora prendi la mia si-card e vai a farmi la 9!”
“Ma se è qua sotto... forza! Dai che sei nel finale...!”
Qua sotto? Un limite di vegetazione nel bosco di Forte Cherle, nel nulla più totale... trovato per fede o per disperazione.
Denny che va a controllare i percorsi e rimane due curve sotto di me per qualche centinaio di metri: lui con i pali in spalla ed io col fiatone! Carlo ed il percorso bellissimo del quarto giorno. ZP che nella nebbia posa gli ultimi punti nei prati prima di dedicarsi alla cucina. Dopo le magie di Cristian, Tiz e Simone, altri 5 giorni a correre nei capolavori color magenta.

Varie.
Ana: spero che tu sia riuscita a studiare per gli esami nonostante l’impegno; tieni d’occhio Ema. E tu Ema: tieni d’occhio Ana. Betty e le ventimila premiazioni con gli ex-aequo e quelli che arrivavano tardi e non capivano la faccenda del bib (non bid... bib!) riservato ai leader. Giada ed Elena, sempre sorridenti. Le figlie di Bepi e Betty: se ragazzotti italiani guardavano le scandinave, i ragazzini svedesi aspettavano solo loro durante le premiazioni. Martina che il primo giorno mi vede sbucare al gazebo del baby-orienteering stravolto, a chiedere “Dove cavolo è la 100?”. “Laggiù”. Come facevo a non vederla nel pratone, sulla cima dell’unica collinetta? Martina, Denny e Alessio ed il “colpo di mano” alle premiazioni degli Highlands Open: non ho potuto ripetermi a Folgaria, sorry. Cesare che conosce, lui si, le lingue che avrei dovuto usare, ma che non mi ha mai ripreso... anche se secondo me scandinavi ed italiani hanno capito meglio “high grass” rispetto a “toll grass”... Cesare con il suo laccio carico di cento bricchetti da sistemare.

Mary e Fredi. Che non erano nell’organizzazione ma anche grazie a loro è stata una bellissima settimana.

E i mie compagni di avventura: Adele, Bibi, Mary, Paola, Davide, Piero, Marco e “il Bellini” che hanno sopportato che non fossi mai lì con loro né a colazione, né alla tenda, né a pranzo né praticamente a cena o nel pomeriggio. E anche DiPa. E Chris e Joy. E Luca e Daniela. I “four cats”... Roby e Fabio. Paolo, Sabrina e Refa (e Paolo F.) anche se mai quasi mai li ho visti.

E poi i nuovi amici. Rudy e signora, con Claudia e Michael. I ragazzi cechi: Pavel, Katrina, Katerina e Vaclav. Iliana che parla un inglese incredibile che il 95% degli studenti italiani se lo sogna (come del resto lo parla in modo divino Kerschbaumer). Gli Elite che si vedevano il microfono piazzato sotto il naso sempre con la stessa domanda “Did you enjoy the race?” e rispondevano che si, che gli piaceva, e complimenti: Mikko e Martin e Robert e Oyvind, e ovviamente Michele, Teno ed Emi e Jack e tutti gli altri. E le Elite: il sorriso di Anne Olesen che è venuta 5 volte a salutarmi e che tornerà in Italia (eccome se tornerà!), Katja che non crede quando le dico che ha vinto la tappa, Ida WH abbronzatissima e lampadata che è già andata sul podio ai mondiali e chissà chi l’ha intervistata e che cosa le ha chiesto. Elin che sta al gioco all’ultima tappa e chiama al microfono il suo fidanzato Peter che chissà dove è nel bosco a perdere posizioni su posizioni e ogni volta si tira via un tocco di vestito... e poi Anna, Josefine, Maria e Greet che piange a dirotto per la fatica e per la disperazione perchè è arrivata al traguardo e non riesce più a muovere un passo, e Joanna “I’m not the strongest woman in the world!”, ma finirà l’elite anche lei.
E i master come Anders Berg, che ogni volta gli dicevo che era il mio favorito, ed un signore norvegese che ha solo vinto la M35 e si è venuto a complimentare con me, e Ruth Humbel ed il suo sorriso bellissimo di una meravigliosa signora che corre la W50 o 55 e dimostra venti anni di meno (come Christina Smedberg, peraltro).
E infine uno svizzero, che è venuto a complimentarsi con me per l’organizzazione. E con me *per le mie gare*! Fatte da solo nel bosco. Con me! Uno che ha fatto i mondiali assoluti! E si è piazzato in alto (oh se si è piazzato in alto...).

Ecco. Tutto questo e molto altro è cominciato 5 anni fa. Se queste emozioni fossero state diluite in 5 anni, ne avrei avuto già a sufficienza. In 5 giorni... tutto così compresso, tutto così concentrato... Ho fatto il pieno di emozioni per molto tempo!

Grazie a tutti, da parte de “il timido”.

Thursday, July 05, 2007

Comincio adesso. Comincio ora, così magari mi metto tranquillo. Sesto giorno di gare e sono reduce da una gara che... che... ma come può una persona normale lasciare a casa il cervello e andarsene in giro per i boschi (il Tablat!) per una MAK che di K ha di molto poco... tornare dopo 1h51m... prima tappa tra Highlands Open e 5 giorni dei forti che arrivo dopo i primi concorrenti al traguardo.
Come può un essere normale arrivare alla lanterna, senza vederla, e pensare razionalmente “Vado avanti, se c’è la collina allora è la conferma che il punto e qui a 10 metri dove so GIA’ che è...”. Niente. Oggi niente. Il sonno della ragione. Non c’entra niente che è il sesto giorno di gare, che è il sesto giorno da speaker (+ premiazioni), che parto all’alba con la colazione sullo stomaco (e la rivedo uscire da una parte o dall’altra tipicamente tra il 5° e 6° punto, o come oggi tra l’11 e il 12), che non trovo neanche un’anima nel bosco, che gli altri trovano mille treni e diecimila tracce, che è buio, che potrei essere stanco, che sono già concentrato su quello ceh dovrò e non dovrò dire: non mi ha obbligato nessuno, ma almeno IO sarei obbligato verso ME stesso a mantenere un comportamento dignitoso nel bosco, da orientista! Che cavolo importa sprintare forte quando ho fatto letteralmente pena per i 16 punti precedenti?
Non esiste proprio. Ho verificato le scelte di percorso con i miei amici: ne avessi fatta una decente, sicura. Invece fermo ogni 50 metri a capire perchè la direzione non è quella giusta, perchè la collina che mi aspettavo sulla destra è sulla sinistra... persino all’arrivo ho sbagliato strada, anziché infilarmi nella corsia giusta mi stavo infilando sulla stradina che porta al ristorante!

Vabbé...

Giorno 0 - La prima trasferta orientistica multi-days da un paio di anni a questa parte è iniziata giovedì pomeriggio scorso, quando ho lasciato l’ufficio alle 16.10 in una fase di delirio da ”non funziona più niente”... Sole 6 ore di macchina per arrivare al Camplan di Asiago e dormire nel letto-divano-branda matrimoniale lasciatomi da Mirella, Piero e Roberta perchè ero stanco del viaggio.

Giorno 1 – prima tappa Highlands open a Kubelek: Mirella e Roberta mi svegliano all’alba, velloce colazione cercando di non fare troppo casino e poi macchina fino a Kubelek. Trovo subito il grande Cristian Bellotto che mi spiega le tempistiche che potranno vedermi al via attorno alle 9. Mi cambio al volo sul prato dopo aver salutato un altro grande personaggio, Gabriel Fauner mister elaborazione dati in persona e sono in gara.
Primo punto: lo cerco un po’ alto rispetto alla lanterna e sento una voce dietro le mie spalle “Signoreeee!”. Mi giro. “Sta cercando i punti di ricognizioneeee?”. Beh... rispondo... non proprio... “Non è lì dove è lei... era là dietro, ad una cinquantina di metri... glielo ho portato...”. E adesso vedo una figura che si scaglia sul costone con palo e lanterna in mano. 3, 5 secondi di gelo. Sono su candid camera? “Ma cosa fa! C’è una gara in corso...” Salgo sul costone e gli porto via di mano il palo metallico... e adesso cosa faccio con ‘sto punto? 38. Guardo la descrizione: è la mia 2! Risalgo la zona e trovo i coriandoli attaccando il punto da un avvallamento. Dopo aver ben ammonito il tizio, mi giro dove dovrebbe essere la 1, scendo, punzono, mi rivolto e riparto a tutta birra (forse ho il miglior tempo nella tratta 1-2...). Per il resto tutto ok nemmeno troppo lento, arrivo al traguardi un po’ orticato e mi metto a fare lo speaker per il resto della mattinata.

Giorno 2 – stessa zona, carta di Lekle. Traccia il Tiz, più fisico ma ancora molto tecnico. Tutto fila abbastanza liscio fino alle ultime due tratte zona arrivo, nel bel bosco di Cesuna dove feci una bellissima sprint un paio di anni fa. Ovviamente stacco il cervello e traaaaaaaccc! Due errori da 4 minuti l’uno... che pirla! Al traguardo riprendo a fare lo speaker, acclamato perchè la musica messa su da mr. Impianto di fonodiffusione è un po’ scadente (zecchino d’oro o Celentano, ma quello brutto, mica Prisencolinensinanciusol o Svalutation o Pregherò...). Alla sera presentazione in piazza: 216 premiati in 45 minuti circa, autorità, presidente Fiso, sponsor ed avvisi trilingue compresi.

Giorno 3 – sveglia all’albissima. Dormono tutti e allora esco (i bagagli li ho messi in auto la sera prima) e faccio colazione nel parcheggio con 3 biscotti e un succo. Arrivo in gara accolto da Valentino, Dario, Francesca, Gabriel, Simone and company. Il loro calore è confortante e vorrei fare un buon risultato ad Hinterbeck visto che nonostante tutto ho tenuto poco distacco da Marco ed ho battuto Oscar due volte. Ma oggi girano poco le zampe ed un errore da 12 minuti al punto 3 smorzano le velleità e mi accontento di arrivare in tempo per controllare gli arrivi a caccia. Penso di aver determinato l’esito di una categoria: sono il primo ad attraversare i pratoni con erba molto alta e tiro una traccia che sarà poi utilizzata da tanti atleti, che eviteranno il giro basso probabilmente più breve.
Segue premiazione generale con mio divertimento per la M16 (vincitore sul podio con Lucia e Julia ex-aequo) e scopro per la mia pronuncia dei nomi finnici non è nemmeno così sbagliata. Dopo i saluti di rito, scollinamento a Passo Vezzena e dritto in mansarda al Nido Verde, da Freddy. C’è il tempo per scendere a Folgaria al centro gare a salutare tutti, prendere i primi accordi, e ri-salutare Peter Heim, l’Erebus (auguri Tiz!), il Veikhalanden Veikot e tanti altri amici.

Giorno 4 – prima tappa 5 giorni dei forti a Forte Cherle. Arrivo in tempo per aiutare il team a far sgomberare le vacche dalla zona arrivo (se si può mettere su youtube la scena di Marco Bezzi che scaccia le mucche a suon di colpi di punzone...). Vado in partenza e mi metto all’opera, su un percorso difficile (una MAK per nulla corta) che ha nella tratta 2-3 la salita al Golgota. Penso che se faccio bene arrivo in 64 minuti per 8 kmsf, e invece ne impiego 63 ed arrivo proprio al secondo zero di gara. Bravo vero? Peccato che poco dopo arrivano un norvegese ed un ceco in 35 e 38 rispettivamente... per fortuna saranno primo e secondo, ma insomma!
Alla sera, premiazioni a Folgaria, un po’ di gag per organizzare la sfilata (che non c’è stata) delle nazioni.

Giorno 5 – ancora Forte Cherle, su un percorso ancora per niente K: tecnico ma lunghissimo. Cerco di limitare i danni anche se non arrivo al minuto zero ma una ventina di minuti più tardi. E’ una tappa molto dura, e lo si sente nei commenti dei concorrenti. Mitica la scena con la belga elite che piange come una vitellina “Sono arrivata... non dovrò più correre oggi...” se c’erano altri 100 metri non so se riusciva a finire, ed un’altra scena con l’elite finnica che dice “I’m not the strongest woman in the world. I want to change my class”... ma metterà giudizio e la ritroverò in elite il terzo giorno, anche se non vorrà rilasciarmi una intervista al traguardo.

Giorno 6 – riposo. Al mattino andiamo a farci un po’ di arrampicate sugli alberi e traversate a carrucola sui fili (lascio parola e foto ai blog di Rusky, DiPa e PLab), poi diluvio e pomeriggio a giocare a El Grande, facendomi silurare da Rusky che mi gioca una carta assassina mentre erco di prendere il alrgo, così poi vince la Roby... ma questa me la paga! :-)

Giorno 7 – siamo ad oggi. Il cervello... boh? Tornerà? Una cosa è certa. Domani anticipo ancora la sveglia. E domani ... non me ne frega niente. Torno sul Tablat! O faccio bene o non torno nemmeno. Voglio andare su cattivo, torno alle vecchie abitudini. I punti saranno dove me li aspetto, fiducia nel mio orienteering: La bussola non mi è più amica. Me ne frego, ci saranno abbastanza dettagli. Domani se il tempo tiene si va alla vecchia maniera: maniche corte e via andare. Non mi capita spesso di correre sul Tablat e voglio approfittarne: domani voglio finire col sorriso.

Dovrei vedermi allo specchio, proprio ora.... perchè sto già sorridendo, felice, per la prima volta da quando sono partito questa mattina. Sono tornato contento.
Domani ci si vede sul Tablat: se non ci siete, mi dispiace per voi. Se ci siete, mi farà piacere vedervi...